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AREALE. GEOSOFIA DELLO SGUARDO

Autore


Ugo Locatelli

interessato all’ecologia del pensiero e dello sguardo. Dal 1997 estende il sistema pluridisciplinare Areale, un laboratorio di apprendimento per scoperta nella filigrana della realtà

Indice


  1. Introduzione
  2. Luoghi, ricognizioni, mappe
  3. Estratti da alcuni progetti
  4. Glossario minimo
  5. Per non concludere

 

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S&F_n. 23_2020

Abstract


Areal. Geosophy of Looking

The reality is much more uncertain than it appears. The ways in which human beings perceive the reality, on the basis of their own culture and experience, are countless. Whether as adjective or as substantive, the term “Areal” refers to the nature or the identity of an area; for the author, it becomes an approach that suggest a “suspended reality” – i.e. A blurred area between the real and the unreal – and that considers the appearance as “the surface of the profundity”. Areal represents an area of sensible “indeterminateness”, a fluid filigree, where the sense of possibility may be seen. The possibility that forms and signs of reality different from the apparent one may unveil our way of looking at things.

 

 

 

  1. Introduzione

Una riflessione orientativa e stimolante sull’area di tema dell’articolo la troviamo in un libro di Paul Watzlawick che scrive: «Non esiste alcuna realtà assoluta, ma soltanto concezioni della realtà soggettive e spesso completamente contradditorie, che vengono ingenuamente presunte essere la realtà reale»[1].

La realtà è molto più incerta di quanto appare. I modi con cui gli esseri umani percepiscono il reale, sulla base delle proprie esperienze e della propria cultura, sono innumerevoli.

Areale, la prima delle parole chiave del titolo, è un termine che indica generalmente, come aggettivo o sostantivo, la natura o l’identità di un’area che, ad esempio in senso biogeografico, è un’entità dinamica e in continua evoluzione: una prima distinzione è tra areale “primario”, storicamente occupato da una specie, e areale “secondario” che è quello in cui la specie si è diffusa in seguito spontaneamente o con l’intervento umano; in relazione alla sua estensione l’areale può essere “continuo” o “discontinuo”, “frammentato”, oppure “relitto” quando occupa solo una parte limitata dell’area che abitava in epoca passata.

Per lo scrivente il termine viene considerato dal 1997 – oltre che per le “metafore attive” del linguaggio scientifico, che innescano processi associativi – con una triplice valenza: come area di relazione; con l’A privativa che indica mancanza, assenza del reale; con l’A di moto a luogo che segnala avvicinamento al reale. Un approccio generativo che suggerisce una realtà sospesa[2] – un campo sfumato (fuzzy[3]) tra reale e irreale, o diversamente reale – che osserva l’apparenza come superficie di una profondità esplorabile. Un laboratorio di esperienze, fondato su ricognizioni in continuo divenire, nel quale l’a-reale è una zona di indeterminazione sensibile, una filigrana fluida con forme e segni inediti che possono dis-velare il nostro modo di guardare. Un processo di apprendimento per scoperta attraverso numerosi progetti pluridisciplinari – una cartografia aperta di cui l’articolo presenterà alcune angolazioni – che possono favorire una ristrutturazione della propria percezione del mondo e di sé nel mondo.

La seconda parola chiave del titolo è Geosofia[4], un concetto introdotto da J.K. Wright nel 1947 unendo i termini greci geo e sophia: indica “la geografia della conoscenza”, che considera l’immaterialità dell’esperienza e le visioni soggettive; la definizione è stata anche riassunta come «Lo studio del mondo come le persone lo concepiscono e lo immaginano»[5].

La terza parola chiave è Sguardo, un tema ampio e sfaccettato sul quale troviamo, fra le possibili, alcune riflessioni utili per cercare di focalizzare la “struttura” di questo frame:

a) un valido distinguo tra “guardare” e “vedere” lo segnala G. Capuano nella sua tesi di laurea sulla questione filosofica dello sguardo[6] in cui annota che spesso, per errore, le due azioni sono considerate sinonimi e cita il filosofo J.L. Nancy sulle sfumature di fondamentale interesse:

Il vedere si conforma al campo degli oggetti, mentre il guardare porta il soggetto in evidenza. “Guardare” significa anzitutto badare [garder], sorvegliare, custodire [prendre en garde]. Avere cura e preoccuparsi. Guardando veglio e (mi) sorveglio: sono in rapporto con il mondo, non con l’oggetto. Ed è così che io “sono”: nel vedere mi vedo, a causa dell’ottica; nello sguardo sono messo in gioco. Non posso guardare senza che ciò mi riguardi [ça me regarde][7].

 

b) Il lavoro di Wittgenstein è intessuto di riferimenti per una “filosofia in immagini”:

Guarda se c’è qualcosa in comune; guarda le somiglianze e le parentele; guarda i vari giochi, guarda come le somiglianze emergono e spariscono, si sovrappongono e si incrociano, poi si dissolvono, svaniscono là da dove vengono, si intravedono, in controluce, poi riemergono. Sei in presenza di una famiglia, non di un principio, né di un concetto: qualcosa di sfumato. Non pensare, ma osserva!

 

La filosofia, come un guardare attraverso, descrive il senso, lo guarda in quanto tale, muove dalla meraviglia e dallo stupore che il mondo è, che questo è, e dice: «Ecco qui, ciò che è, lo comprendo nel suo tutto, uno, lo guardo nelle sue differenze e nelle sue connessioni, e lo lascio così com’è». La filosofia è, così, estetica[8].

 

c) Nell’ultima opera che Giordano Bruno pubblica prima del suo arresto a Venezia emergono: il ruolo decisivo del “pensare per immagini” all’interno dei processi di conoscenza; il tema del rapporto fra mente, figura e parola; l’intuizione di una natura infinita e di mondi innumerevoli che sono immagine e riflesso del divino. Sullo sguardo scrive:

L’ombra prepara lo sguardo alla luce. Attraverso l’ombra la divinità tempera e pone davanti all’occhio oscurato dell’anima affamata e assetata quelle immagini che sono i messaggeri delle cose[9].

 

d) Il lavoro di Krishnamurti è continuamente rivolto alla liberazione dai condizionamenti:

Un’immagine, come l’osservatore, osserva dozzine di altre immagini intorno a se e dentro di se e dice: “Mi piace questa immagine, la conserverò”, oppure: “Non mi piace questa immagine, me ne sbarazzerò”; ma l’osservatore stesso è stato plasmato dalle varie immagini che sono nate nelle reazioni a varie altre immagini[10].

 

e) Il filosofo francese Jean Baudrillard, invitato nel 1999 a esporre sue “fotografie filosofiche” recenti e a tenere un seminario a Karlsruhe (Germania) al Centro ZKM[11] scrive, nel testo della mostra intitolata “C’est l’objet qui nous pense”: «L’immagine, dice Platone, è all’incrocio della luce che proviene dall’oggetto con quella che proviene dallo sguardo».

Due schemi concettuali sono risultati particolarmente utili allo scrivente sia in occasioni di presentazione e formazione dell’approccio Areale, che nelle fasi di ideazione dei progetti:

- il Nastro di Möbius (Fig.1), dal nome del matematico che lo ha studiato a fondo nel 19° sec., che ha un solo bordo e una sola faccia: un continuo divenire, simbolo dell’implicita unità di tutti gli opposti. Era già noto presso gli antichi romani come simbolo dell’infinito;

- le Stazioni areali (Fig.2) che sono eventi intrecciati, filigrana e processi del luogo, della profondità abitata. In questo stato di non-distinzione può accadere di percepire, sincronicamente, il labirinto di ponti nella stazione delle relazioni, la danza del tutto nella stazione delle increspature, il tempo qualitativo nella stazione dei raggi di esplorazione. Oltre l’apparenza delle cose.

 

 

   

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 1  U. Locatelli, Nastro di Möbius, 1997

Figura 2  U. Locatelli, Stazioni areali, 1997

 

 

 

 

2. Luoghi, ricognizioni, mappe

Nelle ricognizioni areali la fotografia, l’arte come sistema[12] aperto, il testo e il luogo come insieme di scritture, sono gli strumenti per esplorare lo spazio tra l’azione del guardare e lo stato del vedere, oltre la pelle della realtà. Il mondo è un insieme di luoghi e ogni luogo è un linguaggio. Uno stesso luogo – naturale, costruito, culturale, mentale – può essere mappato in modi molto diversi, perché le percezioni dei mondi, esterni e interni, sono innumerevoli. Così l’unicità e l’identità di un luogo diventano fluide: la sua realtà si sfaccetta in luoghi e campi di osservazione plurali e mutevoli. E la ricognizione, in quanto processo di apprendimento, non si esaurisce mai.

Le mappe, transitorie e iniziali per ogni osservatore-viaggiatore, sono come le antiche tavole cartografiche – strumenti conoscitivi e interpretativi della realtà percepita – utilizzate dagli esploratori per scoprire luoghi sconosciuti o per individuare nuove caratteristiche di un luogo già noto. Esistono vari tipi di mappe (ad esempio “mentali”, “concettuali”, “reticolari”) utilizzate per la didattica, il lavoro di gruppo, il problem solving, l’infografica, la metaconoscenza (la conoscenza della natura del conoscere). Nel sistema areale (Figg. 3 e 4) possono essere utilizzate sia nella fase di ideazione di un progetto, che durante il processo realizzativo con adattamenti e diramazioni a seconda del numero degli elementi e del tipo di collegamenti. Ogni mappa è un insieme che può comprendere materiali visivi, verbali e a volte sonori, un ipertesto con molte aperture per il repertorio emotivo e cognitivo del lettore, diverso da persona a persona come le impronte digitali. Nello scandagliare i mondi esterni e interni l’interesse è rivolto alle cose che ci sono e si vedono, alle cose che ci sono ma non si vedono, alle cose che si vedono ma non ci sono, alle relazioni fra le cose, al non-ancora. È noto che il linguaggio delle immagini tende a produrre senso secondo modalità solo parzialmente traducibili attraverso la parola; d’altra parte le parole possono esprimere idee non rappresentabili con immagini; Areale tende a promuovere la capacità di “vedere nelle parole” e di “leggere nelle immagini” – per generare relazioni ed estensione di significato – attraverso un libero flusso di pensieri e di forme, per contiguità, somiglianze, sporgenze o contrasto.

Altre idee guida e contributi di pensiero dalle più svariate fonti si trovano nella sezione Materiali per un glossario, che accompagna – in continua evoluzione – il percorso areale dal 1997 e del quale in chiusura dell’articolo si riporta un consistente estratto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 3  Sistema policentrico areale, 1997

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 4  Mappa delle relazioni, 1997

 

 

3. Estratti da alcuni progetti

Una premessa: la Geosofia dello sguardo è una rete viva di legami che la costituiscono, in cui ogni osservazione genera nuove esperienze cognitive, un’estensione della mappa del mondo esterno e interiore: una specie di istantanea fra le infinite possibili[13]. In questa dimensione i processi immaginativi[14], le relazioni e le risonanze che si possono produrre sono innumerevoli, come le impronte digitali, e ogni osservatore-partecipatore, con il suo guardare e interpretare, diventa un coautore. Qualunque elemento visivo e verbale di un progetto è come un germoglio mentale e può migrare in tutte le direzioni, influenzando-influenzandosi.

Le immagini hanno origini e caratteristiche diverse: fotografie fatte dallo scrivente, recenti e non; immagini delegate ad altri o scelte nei loro archivi; metafotografie, vale a dire disegni e schemi che visualizzano un’idea (un pensare figurato), o qualcosa che non è – o non era – fotografabile. Le modalità di presentazione e di comunicazione dei progetti areali sono variabili, in relazione al contesto, agli obiettivi e alle risorse: videoproiezione automatica o commentata, touch screen, pubblicazione elettronica o cartacea, esposizione di tavole, frame e documenti. In questa occasione vengono estratti da alcuni progetti elementi visivi e verbali.

 

 PROGETTO: Paradiso Areale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 5  Ideogrammi dei fiumi del “Paradiso Areale”, Forum d’arte contemporanea, Lussemburgo, 2000

(a sinistra: “i fiumi si colorano delle terre che attraversano, degli affluenti che ricevono

e dei cieli che riflettono; a destra: i fiumi nel fiume”)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 6  Struttura visuale del progetto “Paradiso Areale” e di alcune traiettorie iniziali,

Forum d’arte contemporanea, Lussemburgo, 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 7  Mappa dell’installazione fotografica “Paradiso areale”[15]

Forum d’arte contemporanea, Lussemburgo, 2000

 

PROGETTO: Terra Areale – La mappa mutilata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 8 “Terra Areale – La mappa mutilata”, Biennale internazionale d’arte sacra,

Gabriele (Teramo) 2003-2004

 

 

 

 

Gli fu chiesto: “Qual è la scienza più necessaria?”

“Disimparare il male” rispose Antistene (436-366 ca a.C.)

 

 

La mappa mutilata è l’atlante geografico della Terra dal quale sono asportate le nazioni in guerra in quel periodo. La loro temporanea sparizione segnala “l’etica smarrita” e la diffusione della predazione umana.

La mappa mutilata traccia questa esperienza del male: è una sezione del reale, della dualità luce-buio: un’allucinazione olografica per riflettere sul male: il possesso illusorio, l’espropriazione delle coscienze, la passività: il considerare “io” un diminutivo di “dio”.

È un’immagine tendenzialmente senza tempo, in quanto attraversa il tempo, ridisegnandosi continuamente.

È, letteralmente e simbolicamente, il luogo degli eventi che stanno avvenendo al suo interno.

Il senso della Terra Areale dipende da ciò che non si vede e da ciò che può scomparire.

 

 PROGETTO: Trapani Areale: vedere oltre la realtà apparente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 9 “Trapani Areale: vedere oltre la realtà apparente”, mappa (fronte), Trapani, 2005

 

La ricognizione culturale e fotografica a Trapani e dintorni è stata fatta nel corso di una settimana con Simona Licata, che vi abita, e che ha focalizzato sull’idea Areale la tesi di laurea all’Università di Catania, col titolo: “Mente Areale: prospettiva di comunicazione multisensoriale”.

Il progetto è stato veicolato dalla rivista internazionale «La Sicilia ritrovata – Tra alchimia e botanica» (2, 2005), che includeva la mappa Trapani Areale: vedere oltre la realtà apparente. In occasione di successivi convegni e seminari il lavoro è stato presentato con videoproiezioni e dibattiti a Trapani, Roma e Piacenza.

 

 

PROGETTO: Volumen. Dialogo fra pensiero e immagine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 10 “Volumen” – Tavola 3, 2012-2013

 

È un viaggio di esplorazione che genera una sorta di grande mappa ipertestuale, articolata in 24 tavole (la Fig. 10 ne esemplifica una), dove si incontrano e interagiscono con fotogrammi, diagrammi e voci di glossario, estratti di quattro testi-luogo:

De imaginum, signorum et idearum compositione (1591) è l’ultima opera che Giordano Bruno pubblica prima del suo arresto a Venezia.

Qohélet è uno dei libri poetici e sapienziali dell’Antico Testamento, IV-III secolo a.C.

Comment j’ai écrit certains de mes livres (1935) di Raymond Roussel, considerato uno dei padri della letteratura potenziale e della letteratura combinatoria.

Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo (1760-1767), di Laurence Sterne, considerato il capostipite del romanzo moderno e antecedente dello spirito decostruttivo delle avanguardie del primo Novecento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 11 “Volumen” – Tavola interattiva dei contenuti, 2012-2013

 

PROGETTO: Erbario Areale

 

 

 

 

 

 

      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 12 “Erbario Areale”, foto-collage su tela, 2015

 

 

È un collage inedito costruito con numerosi frammenti fotografici di erbari secchi ed erbari dipinti con aggiunte alcune foglie fossili del Museo Geologico di Castell’Arquato.

La struttura dell’erbario areale è derivata dal disegno del “Lentiscus” di Petri Andreae Matthioli nel suo Commentarij in VI libros Pedacij Diofcoridis Anazarbei de Medica materia (1583). È stato presentato nella mostra “Hortus siccus” del Collegio Alberoni di Piacenza, poi esposto e donato al Museo Civico di Storia Naturale della città.

 

Glossario minimo

Da vent’anni ogni progetto Areale include una sezione in progress Materiali per un glossario, aperto e pluridisciplinare, che intende promuovere riflessioni su diversi livelli di realtà, da una pluralità di punti di vista e di interazione fra arte, filosofia e scienza. Lo scopo è offrire alcune possibilità di schiudere la capacità di meravigliarsi oltre l’apparenza e attivare l’apprendimento per scoperta, favorendo scambi fruttuosi tra i saperi (cross fertilization). Poiché parole, concetti e segni tendono a riflettere la cultura e la storia di chi li espone, vengono presentati termini di autori diversi, materiali costruttivi di una raccolta in continuo divenire. In quest’ottica ogni elemento verbale proposto potrà essere considerato liberamente dal lettore-partecipatore, con angolazioni differenti o divergenti da quelle presentate e integrato con altre riflessioni o figure. Così il glossario non sarà mai finito o finale.

Per tutte le voci sono indicate le fonti ma non la pagina nella quale si trova il frammento citato: una scelta che garantisce un margine di segretezza provvisorio, che può favorire una ricognizione del lettore nel testo-sorgente, per l’individuazione del passo e per l’eventuale scoperta di altri elementi. I termini senza indicazione della fonte sono dell’autore.

 

a

1 Ripete la funzione che aveva in greco il cosiddetto ‘alfa negativo’, di origine indoeuropea; indica mancanza, assenza, indifferenza, passività e simili relativamente a ciò che è espresso dall’aggettivo o sostantivo con cui entra in composizione.

2 Stabilisce diverse relazioni dando luogo a molti complementi.

3 Indica avvicinamento, tendenza verso qualcosa, direzione verso un luogo o un modello e simili.

Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1994.

 

accadere

L’accadere che maggiormente accade è quello più segreto.

Chini, Il linguaggio fotografico, in Enciclopedia della stampa – vol. I, Politecnico di Torino, SEI, Torino 1969.

 

alchimia

L’alchimia è l’arte di trasmutare i metalli per ottenere l’oro. Essa non è in alcun modo una specie di “pre-chimica”, ma un’operazione simbolica. Da un altro punto di vista l’alchimia rappresenta l’evoluzione umana da uno stato dove predomina la materia a uno spirituale.

Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Rizzoli, Milano 1987.

 

ambiente

1 È l’insieme delle relazioni tra oggetti ed eventi.

von Foerster, Sistemi che osservano, intervista (1987) e selezione di testi (dal 1960 al 1984) a cura di M. Ceruti e U. Telfner, Astrolabio, Roma, 1987.

2 L’essere umano fa molto più che vedere, udire, sentire, toccare, odorare, nel semplice senso di registrare il suo ambiente. Egli lo interpreta, lo esplora, rispetto a esso sogna, lo osserva, lo immagina e si impegna in altre forme di conoscenza.

W.H. Ittelson, La psicologia dell’ambiente (1974), tr. it. Franco Angeli Editore, Milano 1978.

 

apprendimento

1 Nei suoi libri-laboratorio (pubblicati in italiano da Feltrinelli: Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, 1987; Aprire le menti, 1991; Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico, 1993; Intelligenze creative, 1994), pietre miliari negli studi contemporanei sull’apprendimento, lo studioso americano Howard Gardner nega il concetto unitario di intelligenza e segnala che ognuno di noi dispone di diverse intelligenze (linguistica, musicale, visivo-spaziale, logico-matematica, corporeo-cinestesica, intrapersonale, interpersonale), ma che non esistono due persone che abbiano esattamente la stessa combinazione.

2 L’apprendimento – scrisse nel 1931 Edward Throndike – è mettere in connessione. La mente è il sistema di connessione dell’essere umano.

Bullock, O. Stallybrass, Il dizionario del sapere moderno, Mondadori, Milano 1981.

3 Apprendere significa muovere lo sguardo oltre la realtà apparente.

 

archetipo

L’archetipo non è un concetto, ma un’energia plastica, generativa. Sinonimo di archetipo è forma formante o idea. L’idea, la formatività intrinseca che in un oggetto si manifesta, si coglie grazie a un’intuizione, non è il prodotto di induzioni e calcoli; un’idea si accende, spunta nella mente: si rivela. “Forma formante” evoca le forze invisibili all’opera nelle semenze, capaci di plasmare vive piante e creature dal protoplasma inerte. Gli archetipi sono dunque schemi unificanti, carichi di energia emotiva e simbolica: significati significativi. L’estrazione degli archetipi esige che si facciano emergere da una nebbia mentale queste presenze che non si catturano nel campo denotativo delle parole, ma soltanto nell’alone, nella risonanza delle parole. La ragione da sola non li afferra, perché coglie soltanto i significati, non la significatività.

Zolla, Archetipi, Marsilio, Venezia 1988.

 

arcipelago

Se si immagina di togliere l’acqua dai mari si nota che tutte le isole sono collegate.

 

Areale, areale

1 (biol.) s.m. Area occupata da una specie che, supposta originata in un dato luogo, si è diffusa fino a che non ha trovato ostacoli alla sua espansione e alla sua capacità moltiplicativa. (ling.) agg. Che ha relazione con l’area di diffusione di una lingua.

Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1994.

2 Il termine areale viene inteso qui in una triplice valenza: il “reale” come area di relazione; con l’a privativa la mancanza, l’assenza del “reale”; con l’a di moto a luogo un avvicinamento al “reale”.

3 Areale è uno strumento di conoscenza, un laboratorio in cui si genera un processo continuo di apprendimento per scoperta, mai finito o finale. Simbolicamente può essere rappresentato dal nastro topologico di Möbius. È uno spazio indeterminato, generativo e permeabile, instabile e plastico, tra realtà e lettura della realtà. Un metodo di osservazione e autosservazione, che intreccia campi di sapere e campi di tensione, incorporandovi innumerevoli possibilità combinatorie. Un cammino aperto che, acuendo e rallentando il processo di osservazione e di ascolto della realtà, può svelare forme di vita. Tende a ramificarsi in più direzioni, non come un albero ma come un cespuglio. Analogamente alla formazione di un fiume, il suo corso – prima debolmente accennato – cresce e si approfondisce nello spazio e nel tempo.

4 Areale è un’esplorazione interminabile nella filigrana della realtà.

5 La ramificazione, l’aleatorietà, l’indeterminazione, l’ipertestualità, la combinazione, la connessione, l’immagine e il testo (verbale e sonoro) come sistemi aperti, abitano i luoghi non omologabili del campo areale.

6 Nella meccanica musicale traspare una dimensione analoga a quella areale nella distanza che si instaura tra l’intendimento del compositore e la sua traduzione concreta in partitura. Sembrerebbe uno spazio infinitamente piccolo, mentre in realtà è talmente esteso e, soprattutto, praticabile, da trasformare l’opera in un generoso giacimento di dati, cui l’interprete può attingere elementi di lettura senza timore di provocarne l’esaurimento. Il dato areale è invece alimentato in pari misura dalla pratica concreta dell’arte visiva, intesa come processo di apprendimento, e dalla riflessione sui fenomeni di ridefinizione delle cose attraverso le immagini. Il cuore armonico dell’operazione batte in corrispondenza di un territorio altrettanto franco di quello interpretativo: nello spazio di lettura situato tra un qualunque luogo fisico – teatro – e il luogo concettualmente detto. Questo ambito assicura un legame, una continuità tra le sfere antagoniste del reale e dell’irreale, e si configura come campo senza misura e senza autore, nel quale ciascuno può ritrovare gli elementi più consoni al proprio desiderio.

Gazzola, Areale: istruzioni per l’uso, in U. Locatelli, Areale, Elefante Rosso, Piacenza 1997.

7 Collocata in posizione eternamente oscillante tra scienza ed estetica, la dimensione areale della percezione ha trovato una sua definizione concreta e uno sbocco dimostrativo nella presentazione all’Elefante Rosso, in via Santa Franca a Piacenza. Per la verità, più che di una mostra si tratta di un evento risultante dalla somma di diverse azioni, svolte in tempi diversi, e di più contributi.

Segalini, Ho rivisto ieri, in «Galleria», 3, 1997.

8 È chiaro, dunque, che l’indagine dell’autore avviene disarticolando e ricreando le relazioni tra osservatore e luogo, misurando la distanza tra reale e irreale, ammesso che queste dimensioni siano distinguibili o non producano invece, come nel nastro di Möbius, un divenire continuo in cui ciascun lato dell’anello confluisce nell’altro. La modalità di percezione di uno spazio, il suo ritmo e infine l’indagine sull’occhio che osserva sé stesso al lavoro, sono le piste da seguire. In questo rigore apparentemente freddo scaturisce la piena libertà, per quel tanto di non detto (le pause tra i fotogrammi, le pause del tempo di osservazione), che sospinge il riguardante verso più personali fughe, interpretative o emotive o intellettuali, nel labirinto delle relazioni percorribili.

Soffientini, Areale: uno sguardo a distanza, dalla recensione sul quotidiano «Libertà», Piacenza, 27 ottobre 1997.

9 Sembrerebbe dunque che possiamo ricorrere a una possibilità quasi infinita per comunicare qualcosa. Ma penso meriti fare una sosta proprio su questo ‘quasi’, così irrilevante da scomparire inosservato all’interno del discorso. Dove si situa allora il limite alla possibilità umana di comunicare? O, per dirla diversamente, l’atto comunicativo non si fonda semmai proprio su quel nucleo irriducibile? Se sì, qual è? […] Nella lezione inaugurale della cattedra di Semiologia del Collège de France, poi divenuta famosa, pronunciata da R. Barthes il 7 gennaio 1977, l’autore evidenziava alcuni punti assai importanti in merito. Diceva – e qui posso solamente sintetizzare un discorso molto più nuancé – che il reale è l’impossibile perché non lo si può rappresentare ma solo mostrare, in quanto non è possibile in alcun modo far coincidere un ordine pluridimensionale in continuo divenire (il reale) e uno unidimensionale e statico (il linguaggio).

Battistutta, Quasi in Areale, «Città in controluce», 6, 1998.

10 La sfera areale dell’osservazione è quella dimensione priva di realtà (pur senza essere irreale) in cui la percezione e la ricostruzione operata da un osservatore – posto in determinate condizioni di fronte al dato di fatto (un luogo, un’opera, una persona) – si costituiscono con la mediazione di più elementi scientifici, estetici, filosofici e psicologici.

Gazzola, Introduzione in Areale, «Città in controluce», cit.

11 Smontata la rete linguistica che informa una stanza è possibile praticare un nuovo alfabeto, a scelta di chi guarda, con gli stessi elementi che si potevano osservare in origine. Ogni ipotesi alfabetica, luminosa o sonora che sia, riposa sulla rimozione del silenzio e del buio, ogni alfabeto è uno strumento di transito, continuamente ritmato dalla coscienza che la voce scompare e rinasce ogni volta che una sola parola viene pronunciata. «Questa operazione è il fine, la via di un’esperienza» (G. Bataille). Areale: l’origine formale del segno, la sua fonte simbolica, permane vivente all’interno di qualsiasi rimontaggio o casuale rappresentazione nel reale; i mille punti millimesimali dove il segno comincia e organizza il suo orientamento, producono comunque e sempre una stanza nel mondo.

Sargiani, Areale: il rovescio della lingua è l’inizio della forma, in «Città in controluce», cit.

12 Questa volta è il museo stesso l’oggetto della sua attenzione, e il luogo per lo sguardo diventa il luogo-guardato. Il museo si specchia nello sguardo dell’autore, si riflette creando dittici tra interni ed esterni, chiaro e scuro, recto e verso, dittici forzati in un’adiacenza che stravolge la percezione, che mette alla prova il giudizio richiamato dalla conoscenza. Qualcosa di fondamentale è avvenuto: non sarà mai il museo della fotografia in mostra, come forse ci aspettavamo di ritrovare a conclusione di un processo circolare. Il luogo ha subito un prelievo, i frammenti hanno trovato un’autonomia propria, la ricollocazione è altrove rispetto all’origine, ancora una volta conoscenza e giudizio non sono d’aiuto. Un’opera vitalizzante. Come un autotrapianto.

d’Alessandro, Introduzione, in U. Locatelli, Areale: Luogo e Dualità, Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino 1999.

13 Di questa operazione areale, in cui siamo ormai coinvolti, stentiamo a governare la struttura di logica evolutiva e la complessità concettuale: forse perché assomiglia al tentativo di individuare le regole che governano il caos, un tema che non a caso affascina e impegna fisici e filosofi.

Dragone, Un percorso su tracce areali, in Areale: Luogo e Dualità, cit.

14 In questo scenario, Areale – come metodo e come stato dell’arte – diventa uno strumento di conoscenza, il laboratorio in cui collaudare la coerenza di un’intuizione, la resistenza di un concetto, la traduzione di un’ipotesi storica in documento concreto a sostegno di una nuova ecologia del guardare. Tradotto nella pratica estetica, un sistema è “aperto” quando è perennemente modificabile, e perciò accresciuto di valore dalla relazione tra eventi, cose, persone che nel tempo sussistono, intervengono, si modificano al suo interno e al di fuori di esso: relazioni tra elementi interni e tra margini permeabili a stimoli, variazioni, inserimenti, perturbazioni, ipotesi, informazioni, arricchimenti, significati, …. Un sistema aperto è sempre in corso d’opera. Per esempio: questo episodio di Areale che stiamo componendo nelle sue parti, è il secondo capitolo di una storia aperta dello sguardo. […] Le immagini fotografiche sono senz’altro irripetibili e perciò uniche (solo la riproduzione è riproducibile), fondate sul dualismo degli elementi trascritti e sulla lettura dualistica – pertanto altra e parallela rispetto alla realtà – del luogo visitato. In questo caso, il potere dello sguardo si risolve nel dubbio anziché nella certezza di avere visto. Servono dunque nuove relazioni, se vogliamo sciogliere l’ennesimo enigma. Ed è così che ci avviciniamo a una totalità del guardare, che comprende un numero sempre maggiore di sguardi utili e tra loro connessi. Ci avviciniamo a un complesso sistema di sguardi.

Gazzola, Un’Arte Sistemica, in Areale: Luogo e Dualità, cit.

15 Areale apre con quell’alfa che è innanzitutto scarto e negazione del reale. Il reale come punto del pentagramma. Il reale-oggetto come dimensione da reinterpretare e decifrare, perché da sempre legata alle funzioni di destinazione e d’uso, e alle convenzioni, non meno catalizzanti, della registrazione e della scrittura. Razionalmente consapevole di questo dilemma e di questo inganno, l’autore da tempo porta avanti con coerenza e costanza un suo personalissimo percorso, senza lasciarsi fuorviare dal ricorrente pericolo dell’indugio formale o dalla tentazione della decifrazione estetica. Con estrema attenzione alimenta e rinnova gli strumenti del suo laboratorio, in cui analizza e mette a confronto – usando indici etimologici, reperti visivi, citazioni, graffiti, ideogrammi e pensiero critico – gli elementi metodologici di quel progetto, con il quale tenta di costruire la storia dello sguardo.

Racanicchi, L’immagine come documento di analisi, in Areale: Luogo e Dualità, cit.

16 Il tono silenzioso con cui le opere vengono proposte esclude la possibilità dell’emozione immediata. L’autore gioca con il nostro sguardo, lo rapisce piano piano, ci costringe a entrare in punta di piedi in un mondo “areale”. La sua intenzione è quella di far vacillare la nostra convinzione di percepire la realtà in modo univoco. Non dà una soluzione al problema, non crea un archetipo alternativo di realtà, ma fa emergere, attraverso un’operazione che ha radici nell’analisi pirandelliana, multiformi manifestazioni di realtà attraverso la visione. In questo senso l’autore non opera un’indagine filosofica attraverso un’immagine scientifica, bensì, a mio parere, indaga la realtà come uno sciamano, e come lo sciamano pone in atto tale indagine attraverso la magia, intesa come alternativa metodologica per raggiungere la verità. Le ultime ricerche nel campo della fisica ci fanno intravedere la possibilità dell’esistenza di dimensioni diverse da quelle comunemente accettate. Le “uscite dal mondo” di Locatelli indagano questi aspetti della realtà, distaccandosi dal panorama artistico attuale, proponendo un’idea d’arte che non si può collocare nell’avanguardia ma in un futuro che è sempre esistito.

Guerrieri, Areale, luogo e dualità, in «Galleria», 11, 1999.

17 Si crea così un luogo altro, che permette di scoprire aspetti nascosti delle cose, negandone altri che qualche momento prima erano dati per scontati e facendoli quindi scivolare, almeno per un istante, nell’irrealtà. Chi passa per Areale si muove in modo personale tra i dati raccolti e riveste le immagini e i testi di significati nuovi, arricchendo, di fatto il sistema.

Barbieri, A rebours, da Areale alle origini, in «Piacentini», 3, 1999.

18 I Materiali per un glossario prendono la forma di una carta geografica, piegata come la pianta di una città e allegata al catalogo generale dell’esposizione. Voci scelte accuratamente, definizioni soggettive distillate, personali o citate, il tutto formante un paesaggio a-reale, vale a dire né reale né irreale, ma situato oltre queste categorie. La mappa di Locatelli aiuta a percorrere, nei suoi meandri complessi, le sue lentezze rassicuranti, le sue cascate inattese, i suoi vortici e anche le sue incertezze, il lungo fiume del pensiero, che attraversa contrade coltivate dai filosofi, dagli artisti, dai poeti, uomini e donne che hanno piantato, su territori bianchi come le zone ancora inesplorate del globo nei secoli scorsi, i semi dai quali ha germogliato tutta la ricchezza del nostro mondo, ricchezza costituita, prima di tutto, dalla distesa contenuta nella nostra testa e che il linguaggio permette di attraversare.

Lunghi, curatore dell’esposizione internazionale Strange Paradises, estratto dal catalogo generale, Forum d’art contemporain, Casino Luxembourg, 2000.

19 Perché nel frammento è comunque contenuta un’aspirazione al tutto. E’ un po’ come osservare al rallentatore l’assemblaggio dei vetri di un caleidoscopio per intuirne e poi coglierne l’insieme (o viceversa). Con questo metodo si hanno sottomano duttili piastrelle, i fotogrammi appunto, per ricreare o smontare qualsiasi stanza mentale, qualsiasi memoria, condensata nei piccoli, alfabetici particolari che l’autore preleva dai luoghi, in continuo, osmotico pendolarismo tra realtà e irrealtà.

Soffientini, Nel caleidoscopio degli sguardi. L’indagine di Ugo Locatelli sull’atto di osservare, dalla recensione sul quotidiano «Libertà», Piacenza, 20 agosto 2000.

20 Un’immagine “reale” deve il più possibile discostarsi dalla realtà per rappresentarla veramente. Deve condurre un percorso di purificazione da convenzioni, preconcetti e clichés. Il mondo non è quello che vediamo, ma quello che vedremmo se solo riuscissimo a trasporre le visuali. E forse chissà, ce ne sarebbero ancora altri, più latenti, ancora più profondi nella mischia tra reale e irreale: nell’areale.

Busalacchi, Lettere in ombra, www.ombra.blogspot.com, 2000

21 L’immagine “areale” risulta sempre transitiva, cioè indica la possibilità di un’uscita, di un’ulteriorità, di una spinta intenzionale verso la dimensione del futuro attraverso la ragnatela delle relazioni. Queste operazioni, sia quella del 1997 che del 1999, legate all’idea di “Areale”, in fondo ci insegnano a mettere in atto una “naturale”, o comunque fisiologica, produzione di anticorpi per fare fronte alla generalizzata dissipazione di immagini prodottasi nell’epoca dei media e della riproducibilità tecnica. L’autore cerca di fare della curiosità e dell’attenzione alle cose un abito morale e una consuetudine dell’intelligenza, contro le insidie della ‘distrazione’, oppure del lasciarsi vivere subendo l’oggettività del mondo e dei rapporti costituiti, delle cose come sono.

Vescovo, L’occhio interminabile, in F. Lezoli, Ugo Locatelli 1962-1972. Fotografia, scrittura, sperimentazione, Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino 2003.

22 Areale diventa in sostanza un luogo continuamente de-finito, senza posa e, in una certa accezione, in continuo rinnovamento cognitivo. […] La definizione del luogo areale è l’esempio di come sia quotidiana, ancorché inconsapevole, l’adozione di punti di vista, grazie ai quali le nostre espressioni di giudizio sulla realtà-arealtà sono utilizzate per comunicare parziali visioni, anche e soprattutto di noi stessi.

Bertirotti, Apparente-mente in U. Locatelli, Areale: Luogo e Relazione, Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino 2004.

23 Comporre un brano che sia in qualche modo immanente l’operazione di ‘Areale’ è un’elaborazione decisamente complessa ancorché affascinante. Condizione cognitiva sufficiente è la destrutturazione e ristrutturazione di idee musicali precostituite, per rendere caleidoscopica una sequenza musicale staticamente concepita. Tutto questo per tramutare il ruolo degli ascoltatori in quello di costruttori di tracce musicali e quello di compositori in ascoltatori di se stessi.

Napoli, U. D’Auria, S-composizione musicale in Areale: Luogo e Relazione, cit.

24 “Arealità” è una parola desueta che indica la natura e la proprietà di area. Per caso la parola si presta anche a suggerire una mancanza di realtà o, meglio, una realtà tenue, leggera, sospesa: quella della distanza che localizza un corpo o che è in un corpo. Poca realtà del “fondo”, quindi, della sostanza, della materia o del soggetto. Ma questo poco di realtà rende areale tutto il reale in cui si articola e si gioca quella che è stata chiamata l’archi-tettonica dei corpi. In questo senso, l’arealità è l’ens realissimum, la potenza massima dell’esistere, nell’estensione totale del suo orizzonte. Il reale in quanto areale riunisce l’infinito del massimo di esistenza (“quo maius cogitari non potest”) e il finito assoluto dell’orizzonte areale. Questa “riunione” non è una mediazione: e ciò che corpo vuol dire, ciò che corpo vuol dire o dà a pensare è proprio questo, il fatto che qui non c’è mediazione. Il finito e l’infinito non trapassano l’uno nell’altro con un movimento dialettico, non sublimano il luogo in un punto, non concentrano l’arealità in un sostrato. Questo è ciò che vuol dire corpo, ma con un voler dire che va subito sottratto alla dialettica significante: corpo non può voler dire un senso reale del corpo fuori del suo orizzonte areale. “Corpo” deve avere senso, perciò, direttamente nell’estensione (ivi compresa l’estensione della parola “corpo”). Questa condizione “significante” (se la si può ancora chiamare così) è inaccettabile, impraticabile per il nostro discorso. Ma è la condizione reale/areale di ogni senso possibile per un mondo dei corpi.

J.L. Nancy, Corpus (1992), tr. it. Cronopio, Napoli 1995.

25 L’apprendimento non è un processo di “propriazione”: esso non è né appropriazione né espropriazione, ma costituisce l’altro: dentro-fuori, come un supplemento. […] Areale come un supplemento, un eccesso attraverso il quale abitare il movimento, abitare in un certo modo il percorso di una voce che si fa avanti e dice: je voudrais apprendre.

Battistini, Dal Supplemento in U. Locatelli, Trapani Areale. Vedere oltre la realtà apparente, P. Giuffrè Editore, Trapani 2005.

26 Fin dal principio Areale è senza parole, perché propone microscopici (e macroscopici assieme) modelli interpretativi del mondo sensibile. Sta a noi, poi, parlare, vedere o solo ascoltare.

Bertirotti, Senza parole in Trapani Areale. Vedere oltre la realtà apparente, cit.

27 L’evento “Areale: Luogo e Risonanza” segna altresì una tappa nell’evoluzione delle attività e delle scelte ideologiche della nostra Fondazione, sempre più attenta alla ricerca di un metodo di apprendimento e di consapevolezza: il rallentamento e l’intensificazione del processo di osservazione dei luoghi – naturali, costruiti, culturali, mentali – generati dall’operazione ‘Areale’, possono renderci più consapevoli della nostra misura.

d’Alessandro, Introduzione a U. Locatelli, Areale: Luogo e Risonanza, Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino 2005.

28 Gli oggetti non sono dunque delle cose, ma sono eventi, ossia il risultato della loro fisicità che incontra e risuona nella nostra. L’arealità diventa, in questa accezione, una dis-velazione della sostanza nascosta ai nostri occhi. La sostanza è kaos di possibilità, ossia una sorta di indistinto fisico dal quale possono emergere forme nuove; la sostanza è una forma compiuta appartenente al mondo noumenico che vuole diventare fenomeno; la sostanza è areale, come espressione visuale dell’humanitas che si nasconde ai nostri occhi.

Bertirotti, Andata e Ritorno, in Areale: Luogo e Risonanza, cit.

29 L’A-realtà mira, però, a quel salto quantico che possa riconciliarci con la vita e quindi con il paradosso, opera di integrazione nel senso batesoniano (G. Bateson, Verso una ecologia della mente, Adelphi, Milano 1995), nel senso artistico e, per lo scrivente, nel senso matematico-etico-esperienziale.

Crosta, Andata e Ritorno, in Areale: Luogo e Risonanza, cit.

30 Perché ogni Areale è il contenitore dei precedenti. Il sospetto evidente è che la vera forza si scateni nella congiunzione, negli incroci tra gruppi-sistema di immagini, tra “universi-opera”. Se il contenitore (dei precedenti) è universo, allora automaticamente si espande. Come un ipertesto in evoluzione. Per questo motivo il sito è stato costruito con applicazioni dinamiche per l’autogenerazione e implementazione dei contenuti. Mi sono così occupato del “sistema” e delle griglie di inserimento proprio nella speranza di perdere ogni futuro controllo sul cosiddetto “popolamento”. Motori di ricerca per interconnettere contenuti tra i più disparati attraverso anche solo una parola. Sviluppi asimmetrici. Percorsi proposti o apparentemente casuali. Fruizioni praticamente irripetibili e quindi esperienze individuali di navigazione fra i contenuti. Catalogazioni razionali e comunque trasversali, cronologiche e cronoillogiche. E quindi, ancora una volta, misteriosamente infinite, in un contenitore che non è limite né confine.

Galli, Illusioni interconnesse. Appunti di viaggio attraverso “sistemi”, in Areale: Luogo e Risonanza, cit.

31 Areale è una porta tra il reale e l’irreale; quella porta siamo noi.

Licata, Mente Areale: prospettiva di comunicazione multisensoriale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Catania, 2006.

32 In effetti “areale” si presta a moltissime interpretazioni: pensa a come noi vediamo quello che ci circonda e come potrebbe essere visto e interpretato da altri. E sarà poi realmente così?

Verzé, riflessione su Areale, Torino 2006.

33 Chiara: “Questo mondo è finto?” – Paola: “In che senso?” – Chiara: “E’ troppo bello per essere vero!”.

Bravi, conversazione con P. Montanari, Piacenza 2006.

34 Confrontando le lingue nel contesto dello spazio, la linguistica areale ha introdotto diversi concetti, come il prestito, il calco, la diffusione, l’alleanza di lingue ecc. Questo contributo sottolinea la distinzione essenziale tra il contatto, in quanto fenomeno dell’antropologia della comunicazione, e l’interferenza in quanto fenomeno linguistico. La comunicazione tra gli individui, così come quella tra le comunità di individui non si realizza mai in modo semplice, è sempre stratificata dai due lati, ma questa stratificazione è di natura diversa: dal lato dei locutori si tratta di stratificazione di sistemi sociali, da quello delle lingue si tratta di sistemi linguistici.

Zima, L’importance du critère de la stratification en linguistique aréale, in Contact des langues, Seminario all’Università di Nizza, 31 marzo 2006.

35 Il sistema Areale non è solo una ricerca teorica, ma un vero e proprio strumento che può essere finalizzato a obiettivi didattici e progettuali. Vedere la realtà da un altro punto di vista, di fatto un’altra realtà, estrapolarne elementi nuovi e ispiratori, cercare di visualizzare e condividere queste “scoperte” di senso è un percorso essenziale per la disciplina del design in tutte le sue declinazioni. Il designer è infatti e prima di tutto un “ricercatore di senso” che parte da una realtà convenzionale e istituzionalizzata per dare origine a visioni alternative le quali, a loro volta, popoleranno mondi possibili. In questo scenario Areale suggerisce una metodologia d’approccio che non porta volutamente a risultati chiusi, ma genera continue aperture multiversali che sono un habitat ideale per l’innovazione, sia incrementale che radicale. Per come è strutturato, infine, ‘obbliga’ positivamente a un crossover culturale continuo, che è la condizione necessaria per l’emersione di un flusso creativo.

Bergonzi, Riflessione sul sistema Areale, luglio 2007.

36 Ho conosciuto l’autore nella primavera del 2004, in occasione dell’evento “Areale: Luogo e Relazione” organizzato all’interno del MAP – Museo Archivio Politecnico di Torino, da me diretto. Subito mi ha affascinato la sua capacità di analizzare attraverso le scritture di immagini la complessità del reale, cercandone una descrizione che affonda le sue radici negli alfabeti elementari come nelle più intricate enciclopedie.

Classificare il mondo attraverso l’immediatezza delle immagini è certamente arduo, ma Locatelli ha imboccato questa strada con grande sensibilità; e per uno come me che, provenendo dal mondo high-tech è approdato a quello più “oscuro” dell’antropologia delle cose, certo ha saputo stimolare molte nuove idee e progetti. Il sistema Areale non è solo il risultato di una ricerca personale, ma un “modello” che lascia tracce sensibili sulle frontiere della ricerca antropologica, in una società che sta attraversando forti cambiamenti proprio sul piano della rappresentazione e della comunicazione. Trovare nuove strade per coniugare le tecnologie e le loro estetiche è certamente una sfida che non deve essere lasciata cadere nel nulla, e che anche nel mondo della “tecnologia più dura” permette di sollecitare fortemente i giovani alla consapevolezza delle sfide del futuro.

Marchis, Riflessione sul sistema Areale, luglio 2007.

37 Discipline e approcci, a fronte dell’aumentata complessità del reale, in ogni campo, in epoca moderna, hanno presentato un carattere ambivalente: hanno affinato i loro strumenti, ma, contemporaneamente, si è registrato al loro interno uno specialismo sempre più distaccato dal sapere ordinario e dall’esperienza quotidiana. Questo è apparso del tutto evidente nei settori dell’architettura e dell’urbanistica, dei quali mi occupo come docente universitario, nei quali si è spesso oscillato fra una scientifizzazione e un’estetizzazione delle scelte, dovuta a un’indagine sul reale che si valeva di schemi analitici semplificati che sottovalutavano gravemente le pratiche che sono alla base dalla vita urbana. La consapevolezza della portata di questi problemi è alla base del mio interesse per il lavoro Areale, che seguo da molto tempo: ritengo infatti che rappresenti un tentativo, perseguito con grande rigore e coerenza, di gettare un ponte fra discipline e esperienza, condotto attraverso una rara capacità di muoversi sui piani dell’osservazione e dell’ascolto, della comunicazione fra campi disciplinari, dell’interferenza fra linguaggi diversi.

Spagnoli, Riflessione sul sistema Areale, luglio 2007.

 

arena

Secondo Einstein il tempo è una semplice arena in cui si svolgono gli eventi. Il tempo e lo spazio vengono modificati dalla presenza di materia (e, più in generale, di energia), e su questa materia influiscono reciprocamente.

Bouquet, Presentazione di S. Hawking, Inizio del tempo e fine della fisica, Mondadori, Milano 1992.

 

arte

1 Mi sono servito dell’arte per stabilire un modus vivendi, una specie di metodo per capire la vita, per cercare cioè di fare della mia stessa vita un’opera d’arte, invece di passarla a fare quadri e sculture. Ora penso che si possa usare il proprio modo di respirare, di agire, di reagire agli altri; si può trattarli come un quadro, un quadro vivente o un’immagine cinematografica. Sono le mie conclusioni di oggi.

Duchamp, intervista filmata di J. Antoine a Neuilly (1968), pubblicata da Allemandi Vision, Torino 1993.

2 Questo libro è la storia di un viaggio e di uno sguardo che prende la carta geografica come motivo, punto di partenza e modello di un’estetica aperta sull’infinito. Così cartografie nell’arte e cartografie dell’arte disegnano costellazioni temporali e artistiche multiple, in cui ogni approccio definisce una nuova modalità dell’occhio cartografico.

Buci-Glucksmann, L’oeil cartographique de l’art, Editions Galilée, Paris 1996.

3 Non è che l’arte sia l’espressione dell’inconscio; piuttosto essa si occupa del rapporto tra i livelli inconsci, consci ed esterni del processo mentale.

Bateson, Verso un’ecologia della mente (1972), Adelphi, Milano 1977.

4 Le opere d’arte sono entità di qualità intermedia fra un pensiero e una cosa.

S.T. Coleridge, Sulla poesia e sull’arte, in Poesie e prose, Utet, Torino 1942.

5 L’arte non è da guardare: è l’arte che ci guarda. Ciò che per gli altri è arte non lo è altrettanto per me e viceversa. Ciò che prima per me era o non era arte può aver perso o acquistato il suo valore nel frattempo, e anche più volte. Così l’arte non è oggetto, ma esperienza; per percepirla dobbiamo essere ricettivi. Per questo l’arte è là dove l’arte ci tocca.

Albers, Omaggio al quadrato (1950), catalogo della retrospettiva a cura di P. Weiermair, Silvana Editoriale, Milano, 2005.

 

6 L’arte è un’esperienza fondamentale. Essa deriva dall’innato desiderio dell’essere umano di sviluppare un mezzo che gli permetta di esprimere la sua vita interiore.

Giedion, L’eterno presente (1962), tr. it. Feltrinelli, Milano 1967.

7 Quello che mi colpisce, è il fatto che nella nostra società l’arte sia diventata qualcosa che è in relazione soltanto con gli oggetti, e non con gli individui, o con la vita. E che l’arte sia qualcosa di specializzato, e che sia fatta da quegli esperti che sono gli artisti. Ma perché la vita di tutti i giorni non potrebbe diventare un’opera d’arte? Perché una lampada o una casa potrebbero essere un’opera d’arte, ma non la nostra vita?

Foucault, Postfazione alla monografia di Dreyfuss e Rabinow La ricerca di Michel Foucault (1983), tr. it. Ponte alle Grazie, Firenze 1989.

8 Il concetto stesso di opera d’arte è qui dichiarato in tutta la sua evidenza processuale: non una singola fotografia o un insieme di fotografie; e neppure una successione temporale delle riprese abbinata alla sequenza spaziale della mostra. L’opera, in questo caso, è data dall’insieme dei momenti costitutivi dell’operazione, mentre la sua manifestazione più eclatante è lo sguardo che esplora il posto secondo un ordine e con un grado di intensità diverso dal consueto. Ma sarebbe meglio definire questo sguardo come un vettore che asseconda una lettura del tutto nuova, stimolata dalla successione dei segni contenuti nelle immagini, i quali connotano lo spazio rappresentato come questo luogo e non più come il posto-tra-i-tanti che era all’inizio.

Gazzola, Areale: istruzioni per l’uso, in Areale, cit.

9 L’arte può rendere visibile il formarsi di un’idea: in questa prospettiva, l’opera – che è il mezzo e non il fine – presenta sia il risultato di un processo che il processo stesso.

10 L’arte generativa è “scoperta”, non invenzione. È in noi. E intorno a noi.

 

ascolto

1 L’ideogramma giapponese “ascoltare” è composto dal carattere “orecchio” inserito all’interno del carattere “cancello”: significa che quando ascoltiamo qualcuno attentamente oltrepassiamo la sua porta ed entriamo nel suo mondo.

2 Vedere significa sempre ascoltare, l’occhio si trasforma in orecchio – in vascello – che si riempie di immagini sonore, di suoni visivi, all’apparenza indistinti, immobili, pieni di un’energia muta, di stupore.

Salvini, in U. Locatelli, Areale: Luogo e Risonanza, Glossario, Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino 2005.

3 Che si possa anche solo per un momento sostare nel silenzio della montagna e intenderne la voce, è una delle estreme possibilità di salvaguardia di questo mondo.

Bonesio, Pensare come una montagna, in Antonio Stragà (a cura di), Oltre le vette. Metafore, uomini, luoghi della montagna, Il Poligrafo, Padova 2000.

 

aseità

(lat. aseitas, da a se “da sé, per sé”). Termine della filosofia scolastica, indicante la maniera di essere della realtà assoluta, che non deriva da altro il principio della sua esistenza, bensì l’ha in sé stessa: attributo tipico, perciò, della divinità. Nella lingua filosofica tedesca, il termine (Aseität) fu ripreso da Schopenhauer e da Edoardo von Hartmann per indicare l’assoluta realtà, rispettivamente, della Volontà e dell’Inconscio.

Treccani Cultura, www.treccani.it, 2017.

 

associazione di idee

Atto della mente che stabilisce un nesso fra immagini o pensieri.

 

attenzione

1 Dal punto di vista dell’attenzione non è una distribuzione casuale come quella delle opere di Jackson Pollock – in cui sono volutamente assenti strutture “pre-attentive” – che produce il massimo dell’instabilità. Per avere un effetto di questo tipo bisogna costruire una figura organizzata ma pluristabile, dove l’attenzione non riesce a bloccarsi mai.

Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive, Laterza, Roma-Bari 2002.

2 Dovunque si posi la tua attenzione, in quel punto preciso, sperimenta.

Trovare il centro, 104, tratto da antichi testi indiani (2000-3000 a.C.), in Mumon, La porta senza porta, Adelphi, Milano 1980.

 

conoscenza

Secondo la Bibbia, quando Adamo ed Eva mangiarono il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male furono trasformati in altri esseri e non poterono mai più tornare alla loro primitiva condizione di innocenza. In precedenza, la loro conoscenza del mondo si esprimeva nella loro nudità, e si muovevano con essa e in essa nell’innocenza del semplice sapere; dopo, sapevano di essere nudi, sapevano di sapere. La conoscenza della conoscenza obbliga. Ci obbliga a tenere un atteggiamento di permanente vigilanza contro la tentazione della certezza, a riconoscere che le nostre certezze non sono prove di verità, come se il mondo che ciascuno di noi vede fosse il mondo e non un mondo con cui veniamo a contatto insieme ad altri. Ci obbliga perché, sapendo di sapere, non possiamo negare ciò che sappiamo.

Maturana – F. Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1987.

 

 

Per non concludere

Nel chiudere, temporaneamente, questi appunti, annoto che considero l’insieme progressivo di tutte le componenti del percorso Areale – quindi anche questo articolo – un’unica opera aperta, superando i confini convenzionali, soprattutto tra scienza, filosofia e arte.

In questa accezione l’opera diventa come un’immagine-cristallo, le cui sfaccettature cambiano a ogni sguardo. Umberto Eco ne scrive portando alle estreme conseguenze il pensiero del suo maestro Luigi Pareyson[16]: «Il segno distintivo del moderno è la possibilità di creare, con ogni opera, un nuovo sistema linguistico»[17].

E aggiunge:

Il dizionario, che ci presenta migliaia di parole con le quali siamo liberi di comporre poemi e trattati fisici, lettere anonime o elenchi di generi alimentari, è molto “aperto” a qualsiasi ricomposizione del materiale che esibisce, ma non è un’opera. L’apertura e la dinamicità di un’opera consistono invece nel rendersi disponibile a varie integrazioni, concreti complementi produttivi, incanalandoli a priori nel gioco di una vitalità organica che l’opera possiede e che appare valida anche in vista di esiti diversi e molteplici.

 

È così che l’insieme di tutti gli elementi del percorso diventano un sistema sensibile, un ready made aperto e in continuo divenire, poiché in ogni lettura e interpretazione l’opera rivive in una prospettiva ampliata. E l’Areale può diventare anche una metafora dell’estetica contemporanea, intesa come fenomeno che ha nell’interrogarsi e nello sperimentare la natura della sua stessa realtà.

 


[1] P. Watzlawick, La realtà della realtà: comunicazione, disinformazione, confusione (1976), tr. it. Astrolabio Ubaldini Edizioni, Roma 1976.

[2] Il filosofo francese J.L. Nancy scrive nel suo libro Corpus: «La parola Arealità indica la natura e la proprietà di area. Per caso la parola si presta anche a suggerire una mancanza di realtà o, meglio, una realtà tenue, leggera, sospesa» (J.L. Nancy, Corpus, Editions Métailié, Paris 2000).

[3] La logica fuzzy - ideata verso la fine degli anni Settanta da L.A. Zadeh della University of California a Berkeley - è basata su insiemi ed elementi dal contorno sfumato, non esattamente definiti, e rende possibile considerare un determinato elemento non come esclusivamente appartenente a un singolo insieme, ma come simultaneamente appartenente, anche se in misura differente, a più insiemi distinti (http://www.treccani.it/enciclopedia/logica-fuzzy/).

[4] J.K. Wright, Terrae Incognitae: The Place of Imagination, in «Annals of the Association of American Geographers», 37, 1947, pp. 1-15.

[5] P. McGreevy, Imagining the future at Niagara Falls, in «Annals of the Association of American Geographers» 77, 1987, pp. 48-62.

[6] G. Capuano, Vedere l’invisibile: la questione filosofica dello sguardo, Tesi di laurea specialistica in Filosofia e forme del sapere, Università degli Studi di Pisa, 2010-2011.

[7] J.L. Nancy, Il ritratto e il suo sguardo (2000), tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.

[8] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche (1953), tr. it. Einaudi, Torino 1983.

[9] G. Bruno, De Umbris Idearum (1582), in M. Matteoli, R. Sturlese, N. Tirinnanzi (a cura di), Opere mnemotecniche, edizione diretta da M. Ciliberto, Adelphi, Milano 2004, p. 64.

[10] J. Krishnamurti, Libertà dal conosciuto (1969), tr. it. Astrolabio Ubaldini Editore, Roma 1973.

[11] Zentrum für Kunst und Medientechnologie.

[12] E. Gazzola scrive, ne La natura sistemica dell’arte (si tratta del primo capitolo presente nel volume di U. Locatelli, Areale: Luogo e Dualità, Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino 1999): «Ci sono due fondamentali dai quali non possiamo prescindere per introdurre Areale: il primo concerne la natura sistemica dell’operazione di Locatelli, dove “sistemica” è la struttura e, insieme, il modo di procedere alla compilazione dell’opera. Il secondo è relativo all’opera compiuta, ai suoi effetti, agli agganci e ai rinvii che la rimettono nuovamente in discussione appena esposta al pubblico. L’opera (e con essa il processo della sua composizione) riparte dal punto in cui era apparsa conclusa. Non abbiamo più un’opera finita o finale».

[13] I. Calvino scriveva: «Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria di esperienze, di informazioni, di letture, di immaginazioni. Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili», I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti, Milano 1988, p. 120.

[14] I. Calvino scriveva (per la conferenza sulla Visibilità proposta nel 1985 all’Università di Harvard): «Possiamo distinguere due tipi di processi immaginativi, quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva e quello che parte dall’immagine visiva e arriva all’espressione verbale. Il primo processo è quello che avviene normalmente nella lettura, in cui siamo portati a vedere una scena, o suoi frammenti e dettagli, come se si svolgesse davanti ai nostri occhi; il secondo tipo di processo, definito il “cinema mentale” dell’immaginazione, è la somma incessante di immagini proiettate alla nostra vista interiore», ibid., p. 94.

[15] E. Lunghi, curatore dell’esposizione internazionale Strange Paradises e direttore del Forum, scrive nella pubblicazione della mostra: «La mappa del Paradiso Areale aiuta a percorrere, nei suoi meandri complessi, le sue lentezze rassicuranti, le sue cascate inattese, i suoi vortici e anche le sue incertezze, il lungo fiume del pensiero, che attraversa contrade coltivate dai filosofi, dagli artisti, dai poeti, uomini e donne che hanno piantato, su territori bianchi come le zone ancora inesplorate del globo nei secoli scorsi, i semi dai quali ha germogliato la ricchezza del nostro mondo, ricchezza costituita, prima di tutto, dalla distesa contenuta nella nostra testa e che il linguaggio permette di attraversare».

[16] L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Edizioni di filosofia, Torino 1954.

[17] U. Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano 1962.

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