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L’INFORMATICA: SCIENZA, TECNOLOGIA, MERCATO. E LE DONNE?

Autore


Simonetta Ronchi Della Rocca

Università degli Studi di Torino

Prof.ssa Emerita di Informatica, Università degli Studi di Torino

Indice


  1. La sparizione dei corpi

2. Il lavoro riproduttivo (di che lavoro si tratta)

3. Trasformazioni del lavoro riproduttivo (dal lavatoio alla lavatrice)

4. Informatizzazione e controllo (la casa sicura)

5. Corpi e tecnologia nella riproduzione sociale (un’altra società)

6. Le macchine nella cura (può farlo un robot)

7. Tra macchinizzazione e informatizzazione (appropriarsi della tecnologia)

 

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S&F_n. 23_2020

Abstract


Computer science: science, technology, market. What about women?

The women percentage in the field of Computer Science is very low, in both universities and workplace, in comparison with the other scientific fields. Some explanations could be advanced: some questionable choices in teaching this matter, a difficult relation between women and technology, a social bias.

 

 

 

  1. L’informatica nelle scuole e nelle università

L’informatica si presenta nell’immaginario collettivo come la scienza del futuro, ma sembra che la progettazione del futuro sia interamente in mano agli uomini. Infatti, la proporzione di donne nello studio e nelle professioni dell’Informatica è bassissima, molto più bassa che in tutti gli altri ambiti scientifici[1]. Perché? Le donne non sono interessate? O non sono capaci? O sono “meno portate”? La sproporzione rispetto alle altre scienze è talmente evidente che il problema è stato affrontato e discusso in diversi ambiti, sia nazionali che in seno alla comunità europea[2]. Non ho una risposta, e non penso che possa esistere un’unica motivazione, ma mi propongo qui di analizzare il problema a partire dalla mia esperienza di docente nel corso di laurea di Informatica dell’Università di Torino, che data dall’inizio di questo, e precisamente dall’anno accademico 1970-71.

Se si guarda ai corsi universitari, in particolare a quelli dell’area scientifica, da un punto di vista di genere, dobbiamo ammettere che siamo ancora lontani da una effettiva parità, ma che la situazione si sta evolvendo velocemente. Nel campo delle scienze della vita (medicina, biologia) le donne ormai sono la maggioranza. Nei corsi di fisica, chimica, matematica, la percentuale delle donne è vicina al 30% del totale degli studenti, ed è in continua crescita. Fanno eccezione i corsi più tecnologici: ingegneria e informatica. Ma le due situazioni sono molto diverse: secondo dati del 2017, le laureate in ingegneria in Italia sono il 24% del totale, e sono state in continua crescita negli ultimi anni, mentre le laureate in informatica sono il 2% del totale, e sono in continua decrescita[3]. E il trend in Europa è molto simile.

Quando sono nati i primi corsi di Informatica, agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, la situazione era completamente diversa dall’attuale. La cultura digitale diffusa non esisteva ancora, i calcolatori erano mostri grandi come una stanza, a cui si accedeva con difficoltà e solo se in possesso di tecniche specifiche. La stessa parola Informatica non era ancora di uso comune: il corso di laurea si chiamava Scienza dell’Informazione, e la parola scienza la caratterizzava fortemente: non una tecnica ma la scienza che stava alla base dello sviluppo tecnologico. Tra la popolazione studentesca di quei primi anni, le donne superavano il 40%. Scienza dell’Informazione era allora, tra i corsi di studio scientifici, quello con la maggiore percentuale di donne. Anche fra i docenti, tutti molto giovani e entusiasti, le donne rappresentavano una percentuale simile se non maggiore. Poi, poco per volta, la situazione si è deteriorata, arrivando ai numeri di oggi. Cosa è successo?

Innanzitutto, è cambiata la società. La cultura digitale si è poco per volta diffusa, i calcolatori sono diventati piccoli, maneggevoli e personali, e la parola informatica è diventata di uso comune. Ma che cosa significa informatica? È una parola ambigua, che può avere tanti significati. La Treccani la definisce come

L’insieme dei varî aspetti scientifici e tecnici che sono specificamente applicati alla raccolta e al trattamento dell’informazione e in particolare all’elaborazione automatica dei dati, come sussidio e supporto alla documentazione, alla ricerca e allo studio nei varî settori della scienza, della tecnica, delle attività economiche, sociali, e anche pratiche: l’i. applicata alle scienze, al diritto (e alla documentazione giuridica), alla medicina, alla linguistica, alla gestione aziendale, ecc. (anche, l’i. giuridica, medica, linguistica, aziendale, ecc.).

 

Quindi informatica è tutto quanto abbia a che fare con l’uso del calcolatore, dal punto di vista sia scientifico che tecnologico che commerciale. Si chiama informatica la sezione del supermercato che vende cellulari e stampanti, l’ufficio della fabbrica che gestisce l’amministrazione, la scienza che studia il trattamento dell’informazione. 

Per seguire questa evoluzione linguistica, nei primi anni ‘90 quasi tutti i corsi di laurea in Scienza dell’Informazione hanno deciso di cambiare nome, e diventare corsi di laurea in Informatica. Ma cambiare nome non è una operazione neutra, quando nominiamo assegniamo un significato, e Scienza dell’Informazione e Informatica hanno significati ben diversi; il cambiamento di nome non ha fatto altro che sancire un cambiamento di contenuti che era già avvenuto, ma lo ha ulteriormente accelerato. In estrema sintesi: meno fondamenti e più applicazioni. Ma il passo definitivo è stata l’istituzione della laurea triennale, nell’a.a. 2000/2001. La riforma universitaria che l’ha istituita proponeva per la laurea triennale una duplice finalità: da una parte l’acquisizione di competenze immediatamente spendibili nel campo del lavoro, dall’altra la preparazione di base che permettesse poi di continuare lo studio più teorico nella laurea specialistica, poi denominata magistrale. È evidente che queste competenze non possono essere entrambe acquisite in tre anni, e si è privilegiata la prima, trasformando così la laurea triennale in Informatica in una specie di avviamento alla professione. Tant’è vero che, vista la richiesta di personale che arriva dalle aziende, pochi studenti, in proporzione, dopo la triennale si iscrivono alla magistrale, ma immediatamente cercano, e trovano, un lavoro. In parallelo a questa trasformazione il numero di donne è andato sempre diminuendo.

Prima di trarre delle conclusioni, dobbiamo analizzare anche che cosa è successo nelle scuole secondarie, perché è da lì che le/i giovani scelgono il futuro percorso universitario. Nella scuola dell’obbligo l’insegnamento dell’informatica è stato introdotto molto recentemente, nel 2006/07. Non che prima non se ne parlasse, ma si affrontava un po’ come un extra, legato all’insegnamento della matematica, non era una materia curricolare. Soprattutto non era considerato una materia di studio, ma vi si insegnava un avviamento all’uso del calcolatore, spesso avendo come scopo quello di far prendere agli studenti il patentino dell’ECDL, che garantisce la capacità di uso di alcuni applicativi per il calcolatore[4]. È tragica la differenza: a scuola non insegnano la fisica o la matematica per preparare a un mestiere, ma per illustrare i principi primi su cui queste scienze si basano. Ma l’informatica è stata insegnata, quando è stata insegnata, come acquisizione di una abilità poco più che manuale, nell’ottica di un lavoro futuro. È da poco che si è cominciato a discutere dell’insegnamento dell’informatica come educazione al pensiero computazionale, che è definito come:

Quei principi dell’informatica che soggiacciono e guidano la tecnologia, che ci consentono quindi di leggere correttamente la nuova realtà che ci circonda, e che è naturale e artificiale assieme. In estrema sintesi, possiamo dire che il pensiero computazionale è ciò che ci permette di leggere la “trama algoritmica” (cioè effettiva, calcolabile, procedurale) della realtà; di saper descrivere tale trama in un opportuno linguaggio; in modo tale che tale descrizione sia eseguibile da un esecutore in grado di manipolare informazione in modo effettivo[5].

 

In attesa di un cambiamento culturale, la tipologia dell’insegnamento dell’Informatica nella scuola dell’obbligo ha prodotto i suoi danni, secondo me difficilmente rimediabili. Gli istituti tecnici a indirizzo informatico, scelti quindi dopo la scuola dell’obbligo, sono delle enclave maschili. Si potrebbe obiettare che in genere tutti gli istituti tecnici hanno studenti per la maggioranza maschi, ma anche qui quelli a indirizzo informatico si distinguono per una popolazione femminile praticamente inesistente. Poiché tutti i diplomati tecnici di questo indirizzo che vogliono proseguire gli studi si iscrivono a un corso di laurea in Informatica, ecco che il bacino di utenza si chiarisce: già in ingresso la percentuale di donne è molto bassa.

 

  1. Il condizionamento sociale

Analizzando i dati che ho enunciato finora, si può cominciare a azzardare qualche ipotesi. Innanzitutto, quando l’informatica ancora non aveva invaso le nostre vite con la sua tecnologia, la curiosità per la nuova scienza non ha visto differenze di genere. Poi il numero di donne è andato decrescendo in parallelo al graduale incremento dei contenuti tecnologici, e si è poi ulteriormente ridotto con l’apertura degli istituti tecnico-informatici, che per loro naturale caratteristica hanno un taglio decisamente più tecnologico che scientifico. Una prima conseguenza che potremmo trarne è che le donne sono meno attratte dagli uomini dalla tecnologia, il che può essere vero, ma solo parzialmente: infatti nei corsi di ingegneria il numero di donne va crescendo. Qui però la differenza di percezione tra le due tecnologie è discriminante: nell’immaginario collettivo, l’ingegnere è un colto che sa progettare la tecnologia, l’informatico è un tecnico che la sa usare. Non so dire come questa percezione sia nata, forse il fatto incontrovertibile che l’Informatica sia un campo di studio nato e sviluppato intorno a un particolare strumento, il calcolatore, ha portato a confondere la conoscenza dei principi su cui questo strumento di basa con l’abilità nel suo uso. Del resto, penso sia improbabile che un ingegnere elettronico si senta chiedere consulenza per aggiustare una presa elettrica che non funziona. Io, docente di informatica, che studio la semantica dei linguaggi formali, mi sono sentita chiedere da gente non incolta di aggiustare il loro PC che aveva problemi di vario tipo e la richiesta iniziava con: “Tu che sei un’informatica…”, dando per scontato che la relazione tra me il calcolatore fosse analoga a quella tra l’idraulico e il rubinetto!

Ci si può poi chiedere se esista un differente modo di porsi di fronte alla tecnologia informatica a seconda del genere. Ovviamente è sempre difficile, controproducente, e rischioso fare generalizzazioni eccessive, ma qualche ipotesi si può azzardare.

L’informatica come tecnologia ha una peculiarità: è molto complessa. Se usiamo un’automobile o una lavatrice possiamo facilmente immaginare il suo funzionamento, un personal computer sfugge quasi completamente alla nostra intuizione. Anche i tecnici sono esperti di alcune parti, non di tutto, e forse è impossibile per una sola persona comprenderne completamente tutti gli aspetti. Per usarlo, è necessario un approccio completamente diverso dalle altre tecnologie: bisogna provare, giocare, sperimentare. L’approccio più corretto è quello ludico, bisogna giocare come un bambino gioca con un giocattolo nuovo[6]. Ma il gioco, almeno quello che qui è utile, è storicamente un diritto maschile, non femminile: i giochi tradizionalmente maschili hanno a che fare con la manualità, la tecnica, la manipolazione di oggetti mentre i giochi cosiddetti femminili sono più simulazioni di attività di cura. Rischiando una semplificazione eccessiva, direi che il bambino gioca a “fare” mentre la bambina gioca a “essere”. Chiaramente l’approccio ludico maschile è più funzionale per impadronirsi dell’uso di un calcolatore.  E io credo che questo abbia un peso anche nella scelta del corso di studi: una ragazza interessata a studiare scienza può considerare “poco serio” un corso di studi che si immagina insegni essenzialmente il funzionamento e l’uso di uno strumento con cui giocare.

Un aspetto da non sottovalutare è il condizionamento sociale. All’inizio dell’avventura dei corsi di Scienza dell’Informazione, le nostre prime laureate si sono poi scontrate con un mondo del lavoro che non le voleva. In Piemonte, a parte l’Olivetti che assorbiva allora senza pregiudizi i migliori nostri laureati e laureate, molte aziende di ricerca e produzione informatica non accettavano donne. Ricordo di aver spesso denunciato queste situazioni. Le giustificazioni erano le solite: in un ambiente essenzialmente maschile le donne erano potenziali elementi di distrazione, rimanevano incinte e quindi risultavano in una perdita economica per l’azienda, etc. Spesso donne erano assunte a patto di firmare lettere di dimissioni non datate che sarebbe divenute effettive in caso di maternità. Le ragazze che erano entrate entusiaste a studiare la nuova scienza si scontravano con i vecchi pregiudizi nel momento in cui uscivano nel mondo, pronte a mettere in pratica le loro conoscenze. Poco per volta il modo è cambiato, non molto, ma un po’ più di apertura alle donne ora c’è. Ma è ormai troppo tardi, il circolo vizioso si è messo in moto: poco per volta, sia a causa della delusione del lavoro non facile che dell’involuzione tecnologica del corso di laurea le donne hanno cominciato a disertare il corso di laurea in Informatica, che intanto diventava sempre più maschile anche per l’ingresso dei periti informatici. E parallelamente, anche per le più motivate, l’ingresso diventava sempre più difficile.

 

  1. Che spazio per le donne in questo mondo?

Spesso, quando si parla dell’importanza di favorire l’ingresso delle donne in un ambiente maschile, si sottovaluta lo sforzo psicologico che questo richiede. Lo so per esperienza. Spesso mi sono trovata a essere l’unica donna in una conferenza scientifica o in qualche commissione. Non che ci fosse a priori una discriminazione: semplicemente noi donne eravamo, e siamo ancora, pochissime, soprattutto nell’ambito internazionale. L’ambiente della ricerca scientifica in informatica non è mai stato sessista, io non ho mai subito discriminazioni in quanto donna, e non sono mai stata oggetto di molestie di alcun tipo. Ma lo stesso entrare in un ambiente di solo uomini mi è stato psicologicamente difficile, all’inizio ho oscillato tra la tentazione di attirare l’attenzione non solo per la mia bravura ma anche per il mio aspetto fisico e quella invece di passare inosservata il più possibile, vestita in jeans e maglione come i miei colleghi maschi. Ho impiegato del tempo a trovare l’atteggiamento giusto, in cui sentirmi a mio agio. E quindi capisco bene che una ragazza abbia bisogno di un grosso sforzo sia per inserirsi in un corso di laurea con compagni quasi tutti maschi, sia poi per entrare in un mondo del lavoro quasi tutto maschile.

Inoltre, l’ambiente maschile informatico è molto peculiare. Se chiediamo a un non addetto ai lavori come si immagina un informatico, abbiamo in maggioranza due possibili risposte, corrispondenti a due quadri ben precisi veicolati dai media.

Da una parte ci si immagina il classico “nerd” (Zuckerberg all’inizio della sua avventura): un adolescente brufoloso, incapace di relazioni umane, che passa il tempo chiuso in un garage a pestare i tasti di un PC; l’informatico come genio un po’ autistico.

Dall’altra l’uomo di successo della Silicon Valley: un quarantenne bello e elegante, che passa le sue giornate in uffici dalle pareti di vetro a gestire ricchissime imprese internazionali; l’informatico come arrampicatore sociale senza scrupoli.

Che spazio per le donne in questo mondo?

Eppure, l’informatica avrebbe tanto da guadagnare da una più alta percentuale di donne, e in effetti nel recente passato le donne hanno molto contribuito allo sviluppo di questa nuova scienza[7]. L’informatica è multidisciplinare per natura: sviluppare algoritmi per la risoluzione di problemi, trattare e interpretare dati di ogni tipo, formalizzare e rappresentare digitalmente realtà diverse sono alcune competenze informatiche che richiedono non solo studio e competenze specifiche, ma capacità di interagire e comprendere il mondo circostante, per poi modellarlo formalmente.

Molti applicativi informatici sono difficili da usare perché chi li scrive non ha la capacità e l’immaginazione necessarie per mettersi nei panni di chi li userà, che non possiede le stesse competenze tecniche.

Le donne, che tradizionalmente hanno maggior capacità empatica, potrebbero davvero produrre qui un grosso e importante cambiamento.

Io spero che l’introduzione del pensiero computazionale come insegnamento curricolare nelle scuole possa davvero cambiare questa situazione patologica. E lo spero soprattutto perché sono un’informatica che ama il suo mestiere, e considero la scienza dell’informazione una scienza bellissima e affascinante, che può contribuire a cambiare il mondo.


[1] C. Bodei, L. Pagli, L’informatica: non è un paese per donne, Mondo Digitale, Alcanet, Novembre 2017.

[2] European Commission, Science with and for society. A Union of Equality: Gender Equality Strategy 2020-2025, https://ec.europa.eu/research/swafs/index.cfm.

[3] E. Boschetto, A. Candiello, A. Cortesi, F. Fignani, Donne e tecnologia informatica, un approfondimento quantitativo e qualitativo, DAIS, Università Ca’ Foscari, Venezia, Commissione regionale Pari Opportunità Regione Veneto, 2012.

[4] A. Labella (a cura di), E questo tutti chiamano informatica, Sapienza Università ed., Roma 2015.

[5] S. Martini, Pensare computazionale: una quarta competenza dopo scrivere, leggere e far di conto, in «Il Nodo», XXI, 47, 2017.

[6] S. Ronchi Della Rocca, Donne e tecnologia: un rapporto difficile?, Atti del Convegno “Donne, scienza e tecnologia”, a cura di Rete Donne-Lavoro, Provincia di Bolzano, maggio 2005.

[7] C. Ballesio, G. Giordano, L’Informatica al femminile (storie sconosciute di donne che hanno cambiato il mondo), Neos, Torino 2019.

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