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La triplice idea di economia nel pensiero di Ernst Mach

Autore


Davide Monaco

Università degli Studi di Napoli Federico II

Laureato in Filosofia, svolge attività di ricerca all’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice



  1. Intro
  2. I – Economia di pensiero
  3. II – Sparsamkeit der Natur
  4. III – Economia biologica

 

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S&F_n. 09_2013

Abstract


Ernst Mach’s economic  theory, simply categorized as “principle of economy”, reveals, instead, to a greater extent its complex theoretical nature, that could be summarized in three different concepts: the “economy of thought”, applied to every scientific mind, the “economy of nature”, valid without exception in the whole nature, and the “biological economy”, an original mixture of them, extended to all living organisms. This third concept is clearly meant to limit the most extreme consequences deriving from the other two ones.


  1. Intro

Il pensiero di Ernst Mach è giustamente al centro dell’attenzione nel dibattito epistemologico contemporaneo, attratto da taluni concetti chiave della sua riflessione, che, interpretati in maniere differenti, riescono ancora a creare il più completo disaccordo tra gli studiosi: ne è esempio la querelle nata intorno alla ricezione della teoria della relatività o di quella degli atomi[1]. Eppure, a nostro avviso, anche quelli che potrebbero sembrare i punti meno problematici nelle concezioni del fisico austriaco risultano rivelativi di una complessità tutt’altro che eludibile. È questo il caso del concetto di economia, oggetto della presente disamina.

Per prima cosa va detto che la nozione d’economia per Mach non s’istituisce mai in un principio razionale, che si presenti in una forma concettuale fissa e regolare, ma permane al fondo di una dimensione ben più generale: immediata conseguenza di ciò risulta la fluida terminologia machiana, che a tale proposito parla, in maniera indifferenziata, di «Begriff»[2] (concetto) o «Gedanke»[3] (idea). Coerentemente si è deciso di non ricorrere, nel corso delle presenti pagine, alla dicitura “principio di economia”, cogliendo, fra l’altro, un suggerimento di Edmund Husserl, il quale esclude nella formulazione machiana la presenza di «un principio (Prinzip) nel senso di una teoria razionale», laddove invece l’idea d’economia si qualificherebbe più accuratamente come «punto di vista» (Gesichtspunkt)[4], dunque qualcosa di eccedente il piano di ogni formulazione teorica. Come non sembra ammissibile l’esistenza di un qualche generico “principio d’economia” machiano, allo stesso modo bisogna negare recisamente una natura monolitica dello stesso, ipoteticamente dotato di una struttura concettuale acquisita una volta per tutte, dal momento che esso nasconde non solo un’insospettabile pregnanza teoretica, ma, come si vedrà, ben tre diverse varianti: allo scopo, infatti, di evidenziarne la complessità stratificata se ne propone in questa sede una triplice definizione, a partire dal classico concetto di economia di pensiero (I) – l’espressione più ricorrente in Mach e più sottolineata dagli studiosi –, proseguendo con la giovanile concezione di economia naturale (II), per finire con la delineazione di quella che si configura come una vera e propria sintesi, una sorta di compromesso tra le due prime letture: l’economia biologica (III).

 

  1. I – Economia di pensiero

Mach reputava quale fonte d’ispirazione primaria della sua concezione l’economia politica di Emanuel Hermann, con la quale era venuto in contatto nel 1864; d’altra parte appare chiaro che numerosi altri spunti possono essere stati offerti da antecedenti più o meno lontani nel tempo, a partire dal celebre rasoio ockhamiano. In realtà per Mach l’ammissione della presenza di un criterio economico all’interno del regime scientifico rappresenta un risultato di natura essenzialmente empirica, induttiva, perché esso viene ricavato a partire dall’attività sperimentale condivisa da tutti gli uomini di scienza, costantemente al lavoro sul versante della semplificazione e della riduzione delle ipotesi in gioco: tutto ciò suggerisce l’idea di un criterio operativo immanente alla pratica stessa dell’indagine scientifica, vale a dire un vero e proprio modus existendi della scienza stessa, che non potrebbe essere pensata diversamente da come è. Si tratta, perciò, di un presupposto comune alla base dell’edificio della scienza moderna:

Quanto più ampiamente e profondamente si analizzano i metodi scientifici e la costruzione logico-matematica sistematica, ordinatrice, semplificatrice, tanto più si riconosce l’agire scientifico in quanto agire economico[5].

 

Tale matrice induttiva dell’idea di economia, concettualizzata a partire dalle manifestazioni concrete della scienza, dunque, sembrerebbe esprimersi per il momento in una tipica limitazione al solo ambito della mens scientifica dell’uomo di scienza senza ulteriori riferimenti all’ambito più generale dell’intero pensiero umano; essa viene quindi a configurarsi nei termini di una economia di pensiero («ökonomie des Denkens»[6], «Denkökonomie»[7], «Gedankenökonomie»[8]):

Se ci fossero immediatamente accessibili tutti i singoli fatti, tutti i singoli fenomeni, non appena desideriamo conoscerli – non sarebbe mai sorta una scienza. Poiché la capacità di comprensione del singolo, la sua memoria, ha un limite, il materiale deve essere ordinato. Se noi per esempio conoscessimo lo spazio percorso da un grave in caduta per ogni intervallo di tempo, ne potremmo essere soddisfatti. Solo, qual enorme memoria ci vorrebbe per portare nella testa la ivi connessa tabella di s e t. Invece di ciò, ci imprimiamo nella mente la formula s = gt2/2, cioè la regola di deduzione secondo la quale dato t troviamo il relativo s, e ciò costituisce un sostituto molto completo, molto comodo e conciso di quella tabella. Ora, questa regola di derivazione, questa formula, questa ‘legge’ non ha nemmeno per idea più valore oggettivo che i singoli fatti presi insieme. Il suo valore risiede puramente nella comodità dell’uso. Essa ha un valore economico[9].

 

Come si vede, l’esigenza economica si presenta nelle vesti di una necessaria attività organizzatrice del pensiero umano, tutto dominato da un bisogno di sistemazione del sapere pregresso e dell’esperienza accumulata in un ordine logico sufficientemente intellegibile e di facile fruibilità. Da quanto emerge, l’istanza economica apparterrebbe tipicamente all’uomo, anzi più precisamente all’uomo di scienza, perché riferita e riferibile a una mente raziocinante che sovrintende alla organizzazione del materiale cognitivo: da questo punto di vista è proprio l’equazione tra economia di pensiero e economia di pensiero scientifico a costituire la garanzia contro ogni uso improprio della teoria, perché un suo eventuale impiego extra-scientifico condurrebbe a esiti potenzialmente dannosi:

è assai naturale che in epoche in cui la penetrazione della critica gnoseologica è minore, le motivazioni psicologiche siano state proiettate sulla natura e poi attribuite ad essa. Dio o la natura tendono alla semplicità o alla bellezza, poi ad una determinazione e conformità a leggi più rigorosa, infine al risparmio e all’economia in tutti i processi naturali, per ottenere tutti gli effetti con il minimo dispendio[10].

 

Benché Mach si astenga da una critica severa nei confronti di tali antiche credenze, è a ogni modo evidente come egli ricalchi, nel suo giudizio, il tradizionale motivo positivistico della sconfessione di tutti i procedimenti antropomorfici e animistici presenti nel passato delle scienze. In un paragrafo della Meccanica dal titolo decisamente poco equivocabile (Concezioni teologiche, animistiche e mistiche nella meccanica [Theologische, animistische und mystische Gesichtspunkte in der Mechanik]), Mach spiega le motivazioni che stanno alla base di una tale concezione:

Alcuni fenomeni naturali danno l’impressione di economia per il fatto che essi diventano percepibili solo se si produce un’accumulazione di effetti. Quest’idea è nel dominio della natura inorganica l’equivalente di quella che Darwin ha formulato per lo studio della natura organica. Istintivamente cerchiamo di facilitare a noi stessi la comprensione della natura attribuendole gli intenti economici che sono nostri[11].

 

Non solo la parsimonia di natura («Sparsamkeit der Natur») – «Sparsamkeit» è senza dubbio un termine meno neutro di economia e pare qui usato in un’accezione vagamente negativa – non va mai data per scontata, anzi può valere proprio l’esatto contrario: la totale mancanza di essa, ciò che Mach chiama «Verschwendung» (prodigalità, dissipazione), che può prendere il sopravvento e dettare regola[12]. Se dunque, come Mach ribadisce in risposta a una critica di Josef Petzoldt[13], «i metodi, tramite i quali si ottiene la conoscenza, sono di natura economica»[14], a ogni modo «non ci può essere nessun discorso su di un’economia nei fatti fisici, dal momento che tra un evento fattuale e un altro non c’è alcuna scelta»[15]. Il motivo principale, qui da Mach invocato per giustificare l’impossibilità di una concezione economica del mondo fattuale, inorganico, è l’assenza di un qualsiasi criterio utilitaristico, indispensabile qualora si debba dirimere tra due ordini fattuali, laddove l’uomo, specialmente lo scienziato, può sempre operare una scelta in ragione del suo connaturato pragmatismo e, dunque, giudicare un ordine più o meno economico rispetto a un altro. Diretta conseguenza di una tale impostazione risulta un convinto richiamo metodologico a non lasciarsi tentare da ipotesi metafisiche, comportanti intuizioni globali della realtà.

Necessario esito di questa lettura del principio d’economia sarebbe quello di assumere le riflessioni epistemologiche machiane alla stregua di un coerente nominalismo scientifico, già molto distante dal classico realismo ingenuo, di cui ancora si alimentava, ad esempio, uno “scienziato classico” quale Newton. Le leggi del pensiero – nella fattispecie il criterio economico – descriverebbero una realtà fisica che dal canto suo e in quanto tale non è però tenuta in alcun modo a sottostarvi, né presenta alcun tipo di analogia con esse, ragion per cui queste andrebbero considerate il prodotto originale di una razionalità – quella scientifica – che ne fa un uso eminentemente metodologico e pratico.

 

  1. II – Sparsamkeit der Natur

Il discorso appena svolto ci impone, nonostante tutto, di indagare se Mach non ammetta o abbia mai ammesso una qualche forma di economia naturale (II), vale a dire un criterio economico operante e intrinseco già nel sostrato fisico comune a tutte le cose. In effetti, in una conferenza dedicata alle Forme dei liquidi (Die Gestalten der Flüssigkeit) risalente al 1868, ma pubblicata solo nel 1872, Mach sembra tratteggiare una concezione ben più ampia dell’economia, decisamente antitetica rispetto alla Denkönomie (I) testé analizzata. In questo breve scritto egli appare tanto sopraffatto dal fascino della sorprendente regolarità, insita nelle forme geometriche dei corpi liquidi[16], da lasciarsi sfuggire un’ardita similitudine tra la natura e il sarto: «la natura nella formazione delle figure liquide procede come un sarto che vuol far risparmio di stoffa; essa non si preoccupa del modo; ma, cosa singolare, la forma più bella si produce da sé»[17]. Con il beneplacito dei versi di Goethe[18], Mach sposa una versione del tutto realistica, dai tratti panpsichistici, dell’idea d’economia, che cessa immediatamente di essere un puro “criterio soggettivo” ovvero un’ipotesi metodologica di ricerca, assurgendo a tutti gli effetti al rango di un principio autenticamente fondativo implicante – seppur per via di metafora – un’ipotesi globale circa i fini stessi della natura. Tale nuovo assunto viene rielaborato poche pagine più avanti ancora nelle vesti di una perspicua metafora in cui abbonda l’uso di un vocabolario antropomorfico che conduce verso esiti insospettatamente schopenhaueriani:

la natura ha dunque l’intenzione (hat also die Absicht) di avvicinare il ferro al magnete, la pietra al centro della terra, ecc. Se l’intenzione può avere il suo effetto, avviene il fenomeno. Ma senza una intenzione da effettuare la natura non fa nulla; essa procede in tutto come un abile uomo d’affari. La natura vuole (will) spingere in basso i corpi pesanti. Ma noi possiamo sollevare un peso, spingendo in basso un altro peso maggiore, oppure soddisfacendo ad un’altra più forte intenzione della natura. E se pure noi crediamo di servirci abilmente della natura, considerata più dappresso la faccenda è affatto diversa. Poiché la natura si è sempre servita di noi per raggiungere i suoi fini (immer hat sie uns benützt, um ihre Absichten zu erreichen)[19].

 

È evidente come questa formulazione di una natura che opera economicamente alla stregua di un sarto con l’esigenza di risparmiare stoffa o di un uomo d’affari dominato da ansie di tipo eminentemente pratico, possieda tratti sfacciatamente teleologici. Mach non esce mai fuori di metafora, anzi vi rimane provocatoriamente all’interno, quando, nel chiudere la conferenza, formula l’equazione tra scienza e affari – «la scienza in sostanza non è che un affare (Geschäft). Essa si propone, col minimo di lavoro, nel minimo tempo, col minimo sforzo di pensiero, di appropriarsi la massima quantità possibile dell’infinita, eterna verità»[20] –, sottintendo esplicitamente la domanda: se la natura opera economicamente perché non dovrebbe farlo allora pure la scienza, che, come si sa, appartiene a un ente, l’uomo, che rappresenta una minima parte di questa stessa natura?

La visione che qui si delinea risulta diametralmente opposta a quella considerata finora: se infatti prima ci chiedevamo, con Mach, se non fosse illegittimo attribuire antropomorficamente alla natura quello che si ero rivelato come un parametro di matrice del tutto umana – l’idea di economia di pensiero, appunto –, ora, in chiusura della sua breve esposizione sui liquidi, è lo stesso Mach a suggerire il percorso inverso e cioè che la scienza ricomprenda entro i propri schemi dei criteri teleologicamente orientati al risparmio, che sono i tratti somatici della natura stessa. L’idea di un’economia di natura ha il merito di suggerire la ricomprensione sotto un unico paradigma dei fini scientifici e di quelli naturali, dell’uomo e del mondo, benché all’inevitabile prezzo dell’introduzione di una variabile di tipo chiaramente metafisico. A tale proposito, scrive Gargani, uno dei pochi interpreti a notare l’importanza teoretica della conferenza in questione:

sullo sfondo della concezione economicistica della scienza c’era una visione di carattere filosofico che vedeva l’uomo come parte della natura, e dunque come un essere, anche nella sua veste di ricercatore scientifico, che conduce le sue indagini e le sue osservazioni secondo un criterio di economia che è anche il modo di procedere della stessa natura[21].

 

Rimane a ogni modo aperta la questione se l’idea machiana dell’uomo «Stück Natur»[22], ontologicamente posizionato nell’alveo della natura, sia soltanto una funzione di tale concezione vitalistica della natura, non poi tanto dissimile da determinate posizioni speculative di Gustav Fechner, che pure influì sulla formazione del pensiero del primo Mach; oppure se essa risulti realmente autonoma nell’ambito del pensiero machiano, non necessitante di alcun paradigma di sostegno.

Benché questa lettura machiana dell’idea di economia si trovi compromessa sul versante del rigore scientifico, pesantemente influenzata, com’è, da ipoteche di tipo extra-metodologico, essa riuscirebbe tuttavia a dissipare il dubbio nominalistico, nel momento in cui offre una dose predominante di realismo, conseguenza, a sua volta, del perfetto riduzionismo dell’economia umana (Denkönomie) (I) a quella naturale (II). Invece d’impartire la propria legislazione alla natura, la mente umana ne risulterebbe affetta sin nella propria costituzione, tanto che le sue leggi si identificherebbero agevolmente con le leggi più generali della natura. In tal modo verrebbe quindi a cadere qualsiasi distinzione tra i due ambiti, in considerazione del fatto che tra la volontà umana e la caduta di una pietra non vigerebbe alcuna differenza sostanziale.

 

  1. III – Economia biologica

Rimanendo all’irriducibile dialettica della duplice definizione di economia – la radicale economia di pensiero (I) e l’altrettanto radicale economia di natura (II) – si rischierebbe, però, di non cogliere la peculiare tendenza machiana a mediare armonicamente più livelli di discorso: laddove, infatti, l’economia di natura viene rifiutata dal Mach maturo sulla base del suo portato vitalistico e metafisico, una pura economia di pensiero, arroccata nella cittadella della razionalità scientifica, è allo stesso tempo altrettanto insostenibile. Mach deve aver avvertito l’esigenza di inserire lo statuto economico della scienza all’interno di una cornice più ampia della psiche umana e, allo stesso tempo, di ridimensionare il campo dell’ipotesi globale di un’economia di natura: risultato di ciò è una peculiare limitazione dell’idea al solo regno vivente. Lo scienziato può utilizzare una modalità operativa sommamente economica precisamente perché egli fa parte di una più generale movenza economizzante, tipica di tutti gli organismi viventi, ma sconosciuta alla materia inanimata. Alla base di tale ampliamento/restringimento si trova, come è facile intuire, proprio quella «idea» già citata, che il Darwin dell’Origine delle specie aveva formulato «per lo studio della natura organica», vale a dire la circostanza per cui la selezione naturale si risolve sempre nell’utilità e nel vantaggio di ciascun organismo vivente a essa sottoposto[23].

Viene così a delinearsi una terza tipologia dell’idea cardine machiana, che a questo punto può essere coerentemente definita economia biologica (III):

La nozione or ora accennata [l’economia di pensiero] acquista immediatamente un’ampia base e viene illuminata da nuove direzioni se, seguendo i suggerimenti della teoria darwiniana, concepiamo l’intera vita psichica – compresa la scienza – come un fenomeno biologico e se applichiamo ad essa le nozioni darwiniane della lotta per l’esistenza, dell’evoluzione e della selezione[24].

 

La rilettura del proprio principio compiuta da Mach si mostra rilevante in quanto egli sembra riconoscere consapevolmente sia la strutturale differenza che corre tra la semplice economia di pensiero (I) e la sua generalizzazione su base biologica (III), sia il fatto che l’idea di economia abbisognasse proprio di una tale re-interpretazione per ambire a un più solido fondamento.

La connotazione biologica del criterio d’economia fa una delle sue prime apparizioni in alcuni passaggi di una conferenza  di Mach, intitolata La natura economica delle investigazioni fisiche (Die ökonomische Natur der physikalischen Forschung), risalente al 1882:

Quando il pensiero coi suoi mezzi limitati tenta di rispecchiare in sé la vita multiforme dell’universo, del quale esso stesso non è che una piccola parte, non potendo mai sperare di penetrarvi fino al fondo, ha tutte le ragioni di risparmiare le proprie forze. Di qui lo sforzo della filosofia di tutti i tempi volto a comprendere con pochi pensieri organicamente connessi le linee fondamentali della realtà[25].

 

Se l’uomo, coerentemente all’insegnamento darwiniano e prometeico, non è altro che un animale tra i tanti e forse pure quello più sprovvisto di mezzi, appare necessaria l’elaborazione biologica di un’astuzia intellettuale mirante al controllo del proprio spazio d’esistenza. L’idea di economia si presenta, perciò, conseguentemente alla stregua di un’arma biologica, la cui funzione principale è il risparmio delle energie vitali nella generale lotta per la sopravvivenza. Il riferimento all’aspetto biologico dell’ersparen permette di identificare in un unico individuo quello stesso scienziato armato di tutti i suoi principi metodologici apparentemente astratti – tra i quali inevitabilmente deve far capolino l’idea di economia di pensiero (I) – e un organismo qualsiasi che lotta per la propria esistenza agendo sull’ambiente circostante. Al pari di ogni essere vivente, tendente al risparmio – all’economia – delle proprie energie vitali, anche lo scienziato si preoccupa di non sperperare lavoro mentale, per riservarlo al confronto con nuovi problemi.

A ben vedere l’intera opera di Darwin è solcata dal concetto del risparmio di energie vitali come strumento di evoluzione della specie, ma si può facilmente verificare come qualche passaggio può aver costituito più di una semplice ispirazione per il futuro lavoro del fisico austriaco: è il caso, ad esempio, della discussione sugli istinti delle api dove Darwin vede all’opera nella natura «il grande principio della gradazione» (great principle of gradation)[26], capace di spiegare il passaggio dalle celle meno complesse costruite dai bombi ai perfetti prismi esagonali delle api domestiche; l’evoluzione e la perfezione della forma organica sono qui contraddistinte proprio dalla capacità di far «economia di cera e, ciò che è più importante, di lavoro»[27]. Mach ha, allo stesso modo, ipotizzato la possibilità di una distinzione tra i vari regni biologici – distinzione per altri versi del tutto convenzionale e soggettiva – proprio tramite il richiamo al criterio dell’economia:

Le piante si procurano da sole l’energia solare mettendo rami e foglie alla luce ed all’aria e facendo scendere verso il basso radici che rompono il terreno alla ricerca di acqua e sali minerali […]. L’animale fa scorta di energia in forma utilizzabile in modo più breve, sottraendola al corpo delle piante o degli animali come sostanza che contiene energia. Le piante sono limitate dal fatto di poter derubare o soffocare le loro vicine più prossime; solo molto lentamente una pianta può diffondersi su di un territorio più ampio. Già in partenza all’animale, grazie alla sua mobilità, si offre un più ampio territorio di predazione[28].

 

In Mach, dunque, l’elemento dell’economia, graduato secondo i regni biologici, funge da principio gerarchico per la loro specificazione e allo stesso tempo da garante dell’unità indissolubile tra di essi, dal momento che esso agisce parallelamente al principio di selezione di Darwin, relativo all’intero bios.   

È probabile che Mach abbia avvertito l’esigenza di una chiarificazione ancora maggiore della sua lettura biologica dell’economia in seguito ad alcune aspre critiche rivoltegli da Max Planck. Nel momento in cui Planck, nella celebre conferenza di Leida del 1908, si scaglia contro la concezione machiana della scienza, dichiarandola puramente logica, «formale»[29] – priva cioè di riferimenti oggettivi, reali e di conseguenza inefficace, ininfluente per le sorti del progresso scientifico –, Mach stesso, in una replica non meno vibrante, ribadisce la sua nuova, originale lettura dell’idea di economia:

Tale veduta [cioè la «concezione della competizione tra le idee scientifiche come lotta per l’esistenza, come sopravvivenza della più adatta»] non contraddice la concezione economica, ma si può riunire, completando quest’ultima, in un’esposizione biologico-economica (biologisch-ökonomischen Darstellung) della teoria della conoscenza: l’adattamento delle idee ai fatti e delle idee tra loro. […] Tutti i processi conoscitivi sono casi particolari o parti di processi biologici vantaggiosi, infatti il comportamento fisico-biologico degli esseri viventi superiori, maggiormente organizzati, viene codeterminato e completato dal processo interiore del conoscere, del pensare. Nel processo della conoscenza si possono senz’altro notare le più diverse proprietà; noi lo caratterizziamo anzitutto come biologico ed economico, cioè escludendo attività non finalizzate[30].

 

È come se egli accogliesse parzialmente, benché restio ad ammetterlo, la critica di Planck verso una concezione puramente funzionale e formale dell’economia (la Denkökonomie), avvertendo il conseguente bisogno di definire in un senso ancora più realistico questo tratto così peculiare della sua riflessione. È di nuovo la prospettiva darwiniana[31] a offrire l’assistenza necessaria per una tale impresa: Mach sembra suggerirci che non esiste qualcosa di più oggettivamente valido dell’idea darwiniana dell’evoluzione, regolata secondo la legge fondamentale della selezione naturale, ragion per cui essa potrebbe costituirsi come l’autentico spazio fondante dell’idea di economia, qualora quest’ultima venisse ancorata al suo interno.

La nuova opzione mediana (III) di Mach produce l’immediato effetto di respingere altrettanto recisamente, facendone emergere l’inaggirabile parzialità, le due prime letture della teoria economica: mentre l’economia naturale (II), con la sua probabile derivazione antropomorfica e feticistica, può essere a questo punto circoscritta realmente all’infatuazione giovanile di Mach per la speculazione fechneriana, si defila anche, per contrasto e in maniera del tutto netta, una considerazione puramente funzionale e formale dell’idea di economia, vale a dire una concezione della Denkökonomie (I) da riferirsi esclusivamente all’operato dello scienziato, perché non includente prima facie un convinto richiamo alla natura autenticamente economica di tutti i processi biologici. Nello spunto polemico contro Planck Mach coglie, insomma, l’occasione per ribellarsi allo stesso rischio, paventato in alcuni passaggi della sua riflessione, di una circoscrizione semplicemente gnoseologica dell’idea di economia. Tale scollatura tra l’ambito formale dell’idea di economia e la sua dimensione biologica più originaria è stata giustamente evidenziata da Pietro Gori, il quale, partendo da alcune riflessioni di Federigo Enriques, sottolinea come il discorso metodologico del pensiero machiano vada incontro ad una sostanziale «ridefinizione»[32], dal momento che «se in una prospettiva puramente epistemologica Mach si concentra sulla dimensione relativa alla metodologia della ricerca scientifica, questo non arriva tuttavia a esaurire la ricchezza del principio di economia della scienza da lui definito»[33]

La mole degli sforzi appena documentata non convinse tuttavia Planck, il quale non resisté alla tentazione di tacciare di “metafisica” il tentativo machiano di ampliare la portata del proprio concetto di economia da un orizzonte pratico-funzionale a uno di carattere più complessivamente biologico:

Mach afferma che “l’economia di pensiero non è per questo limitata e legata nei suoi fini alla ricerca di bisogni economici pratici umani”. Ora questo è qualcosa di completamente diverso da quello che era stato detto prima. L’economia di pensiero nei suoi fini non è legata ai bisogni pratici umani! Già, a quali altri bisogni allora? I fini dell’economia di pensiero sono dedotti, o sono da dedurre proprio dalla prassi della vita (Praxis des menschlichen Lebens) […]. L’economia di pensiero serve forse anche altri fini oltre che il promuovere la conoscenza umana? – si cercherebbe invano una risposta a questa domanda. – Io perciò oso affermare che il concetto di economia perde il suo primitivo significato e si trasforma senz’altro in uno metafisico con questa generalizzazione proposta[34].

 

Planck acutamente nota il fondamentale spostamento d’accento, senza perciò lasciarsene persuadere; al contrario, egli attacca Mach su un nuovo fronte, quello metafisico. Il suo ragionamento può essere sintetizzato come segue: se la teoria dell’economia risulta valida per il solo ambito gnoseologico della mente scientifica, allora essa è solo «formale», vuota, inefficace, benché sia svolgibile logicamente a partire dalle sue premesse. Se invece può essere applicata anche all’intero mondo biologico, diventando tratto distintivo tanto della razionalità umana quanto di qualsiasi organismo vivente, allora assurge a principio metafisico, ovvero qualcosa di ben più problematico rispetto a un principio “meramente” formale. Insomma, nel momento in cui Mach avesse inteso divincolarsi da una considerazione pratico-funzionale della scienza sarebbe finito per reificare more biologico questi stessi criteri funzionali, sfociando in esiti pericolosamente metafisici.

Se la strategia machiana di estendere l’economia dalla mente umana al bios globalmente inteso – con ciò segnando il confine con il mondo fisico, incommensurabile per il Mach maturo, come si è visto, con ogni discorso di tipo economico – abbia avuto successo, rappresenta una problematica tuttora aperta. A ogni modo la mediazione da lui operata tra una visione scientifico-realistica gravata in senso metafisico, che può farsi risalire alla sua giovinezza, e una idealistico-poietica di tipo nominalistico rappresenta un tentativo pregevole di salvare a un tempo l’eccentricità della physis rispetto agli schemi concettuali dell’uomo di scienza e l’appartenenza innegabile di questo stesso uomo di scienza alla più grande catena del bios. Il terzo tipo d’economia (III) sorge, infatti, come esigenza di sintesi tra due piani chiaramente antitetici: è in essa, con la guida sicura di un’originale intuizione offerta dalle pagine di Darwin, che si compie una mediazione complessa tra un’economia di pensiero (I), limitata alla sola razionalità scientifica, e un criterio economico di natura (II), esteso all’intera physis, entrambi scartati a favore di una circoscrizione dell’economia al solo ambito biologico; tra un realismo, che impone una perfetta congruenza dell’accadere fisico e delle descrizioni della scienza, e un nominalismo idealistico, nel quale le leggi scientifiche rappresentano solo schemi mentali d’ordinamento. È, in definitiva, proprio il biologico la dimensione nella quale Mach ha inteso fondare la sua peculiare e problematica difesa dell’economia, ovvero la sua persuasione ultima circa l’irriducibilità di qualsiasi discorso scientifico all’aut-aut di una compaginazione o realistica o nominalistica.

 


[1] Si vedano in particolare G. Wolters, Atome und Relativität – Was meinte Mach? in R. Haller & F. Stadler (hrsg.), Ernst Mach. Werk und Wirkung, Hölder-Pichler-Tempsky, Wien, 1988, pp. 484-507; P. K. Feyerabend, La teoria della ricerca di Mach e il suo rapporto con Einstein, in Id., Addio alla ragione (1987), Armando, Roma 1990, pp. 192-217; J.T. Blackmore, Ernst Mach leaves ‘The Church of Physics’ in «The British Journal for the Philosophy of Science», XL, 4, 1989, pp. 519-540.

[2] E. Mach,  Die Prinzipien der Wärmelehre. Historisch-kritisch entwickelt, J. A. Barth, Leipzig 19002, p.392.

[3] Id., Die Mechanik in ihrer Entwickelung historisch-kritisch dargestellt, Brockhaus, Leipzig 18834, p. 525.

[4] E. Husserl, Ricerche logiche. Volume primo (1900), a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 202 e s.

[5] E. Mach, Le idee-guida della mia teoria della conoscenza e la loro ricezione da parte dei contemporanei (1910), in Id., Scienza tra storia e critica, a cura di L. Guzzardi, Polimetrica, Monza 2005, p. 115 e s.

[6] Id., Die Analyse der Empfindungen und das Verhältnis des Physischen zum Psychischen, Fischer, Jena 18863, p. 39.

[7] Id., Die Mechanik in ihrer Entwickelung historisch-kritisch dargestellt, cit., p. 528.

[8] Id., Populär-wissenschaftliche Vorlesungen, Barth, Leipzig 1896,  p. 211. 

[9] Id., La storia e la radice del principio di conservazione del lavoro (1872), in Id., Scienza tra storia e critica, cit., p. 81 e s.

[10] Id., Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca (1905), tr. it. Einaudi, Torino 1982, p. 448.

[11] Id., La meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1971, p. 452 e s.

[12] Ibid., p. 452. Vedi anche pp. 447-449.

[13] J. Petzoldt, Maxima, Minima und Oekonomie, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» XIV, 1890, pp. 206-239; 354-366; 417-442. 

[14] E. Mach,  Die Prinzipien der Wärmelehre. Historisch-kritisch entwickelt, cit., p. 391.

[15] Ibid., p. 393.

[16] Id., Le forme dei liquidi (1872), in Id., Letture scientifiche popolari (1895), a cura di A. Bongioanni, Bocca, Torino 1900, p. 6.

[17] Ibid., p. 8.

[18] Ibid., p. 7; J. W. Goethe, La metamorfosi delle piante (1798), in Id., La metamorfosi delle piante e altri scritti sulla scienza della natura, tr. it. Guanda, Parma 19836, pp. 86-88.

[19] Ibid., p. 12 e sgg.

[20] Ibid., p. 14.

[21] A. G. Gargani, La «buona austriacità» di Ernst Mach, in E. Mach, Conoscenza ed errore, cit., p. IX.

[22] E. Mach, L’analisi delle sensazioni e il rapporto fra fisico e psichico (1886), tr. it. Feltrinelli, Milano 1975, p. 287.

[23] C. Darwin, L’origine delle specie (1859), tr. it. Boringhieri, Torino 19673, p. 260.

[24] E. Mach, L’analisi delle sensazioni, cit., p. 72.

[25] Id., La natura economica delle investigazioni fisiche (1882), in Id., L’evoluzione della scienza. Nove “Lezioni popolari”, a cura di M. Debernardi, Melquìades, Milano 2010, p. 177.

[26] C. Darwin, L’origine delle specie, cit., p. 322.

[27] Ibid., p. 323.

[28] E. Mach, Lo spettacolo della vita dal punto di vista fisico e psichico, in Id., L’evoluzione della scienza. Nove “Lezioni popolari”, cit., p.208.

[29] M. Planck, L’unità dell’immagine fisica del mondo (1909), in Id., La conoscenza del mondo fisico, tr. it. Einaudi, Torino 1954, p. 41. 

[30] E. Mach, Le idee-guida della mia teoria della conoscenza e la loro ricezione da parte dei contemporanei (1910), in Id., Scienza tra storia e critica, cit., p. 116.

[31] Ibid.

[32] P. Gori, Il darwinismo di Ernst Mach. Riflessioni sul principio di economia della scienza, in «Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici», XXII, 2006/2007, pp.223-252. Cit. a pag. 235.

[33] Ibid., p.239.

[34] M. Planck, Intorno alla teoria di Mach sulla conoscenza fisica (1910), in Id., Scienza, filosofia e religione, tr. it. Fabbri, Milano 1965, p. 168.

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