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SCIENZA E FILOSOFIA: QUALE ALLEANZA?

Autore


Marco Ciardi

Università degli Studi di Bologna

insegna Storia della Scienza e della Tecnica all’Università di Bologna

Indice


  1. Filosofia, scienza e scuola
  2. Chimica e filosofia
  3. Scuola e specialismo

 

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S&F_n. 24_2020

Abstract


Science and Philosophy: What Alliance?

This article will focus on the question of specialization of science and philosophy in teaching and research. It will be argued that specialization is not a good method to improve standards of learning, concerning the relationship between science and philosophy in secondary schools. In particular, the case of chemistry and philosophy will be shown. 


  1. Filosofia, scienza e scuola

«La filosofia si insinua in ogni piega della nostra esistenza», ha scritto in un testo del 2004 Giulio Giorello, il quale purtroppo ci ha da poco lasciato a causa del coronavirus. È significativo che quella affermazione sia stata fatta all’inizio di una riflessione sugli aspetti filosofici caratterizzanti Tex, uno dei fumetti che hanno fatto la storia dell’editoria italiana[1]. Non è certo questo l’unico caso in cui Giorello ha voluto sottolineare l’importanza del fumetto nel veicolare importanti concetti filosofici. Si pensi, ad esempio, ai suoi lavori sull’universo Disney[2]. Ciò non deve stupire. Come ha scritto Enrico Castelli Gattinara,

partendo dalla ovvia considerazione che il mondo dei fumetti ha per obiettivo culturale ed economico quello di divertire – il che non va mai perso di vista – è altrettanto ovvio che dietro l’apparente superficialità di molte storie si nascondono sensi, significati e contenuti anche molto profondi[3].

 

E la filosofia è lì pronta a coglierli e spiegarli. Proprio per questo motivo, e quanto mai opportunamente, un nuovo manuale di filosofia per le scuole secondarie superiori (ma utilissimo anche per i corsi universitari) ha puntato molto sia sull’uso dei fumetti che su quello del cinema (una forma d’arte non a caso comparsa contemporaneamente ai comics a fine ottocento), basandosi sulla convinzione che

cinema e fumetti favoriscono un coinvolgimento non solo cognitivo, ma anche emotivo e avvicinano a problematiche morali, teoretiche, gnoseologiche”, dimostrando “che è possibile rintracciare problematiche di carattere filosofico nei campi più disparati”[4].

 

Naturalmente anche nella scienza. Ecco dunque che, in apertura del primo volume del manuale, dedicato ad Antichità e Medioevo, nel capitolo sulla “Genesi della filosofia”, la sezione “Che cos’è la filosofia?” è seguita da un approfondimento dedicato a “Blade Runner di Ridley Scott e le domande filosofiche fondamentali”, all’interno del quale si evidenzia come il rapporto tra filosofia e scienza sia uno degli elementi (se non l’elemento) fondamentale di tutto il percorso[5]. Non è un’impresa da poco, dato che scienza e filosofia spesso sono concepite dagli studenti (e non solo quelli italiani) come delle entità separate.

Se dobbiamo parlare del rapporto tra filosofia e scienza, è indispensabile partire da una riflessione sul modo in cui noi insegniamo queste discipline. Perché è proprio la scuola uno dei luoghi in cui si consolidano certi luoghi comuni intorno alla filosofia e alla scienza. Partiamo da quest’ultima.

C’è oggi in tutto il mondo la sensazione che l’educazione scientifica nelle scuole non raggiunga i suoi scopi. Si pensa che ciò avvenga perché lo studio delle materie scientifiche è isolato dalla vita degli studenti, che imparano a conoscerle solo attraverso i libri di testo, con lo scopo esclusivo di superare gli esami; non c’è l’eccitazione della scoperta di cose sconosciute, che è la parte più importante della scienza[6].

 

Così si esprimeva Renato Dulbecco nel 1995, premio Nobel per la Medicina nel 1975. La situazione da allora non ha fatto grandi progressi. Non a caso, Massimiano Bucchi ha non troppo tempo fa ribadito che la maggior parte degli studenti continua a recepire le discipline scientifiche come difficili e/o noiose[7]. Ciò va di pari passo con quanto sostenuto da Martha Nussbaum, la quale ha denunciato i rischi di un insegnamento delle discipline scientifiche in senso puramente specialistico, qualificando tale pratica come

diseducazione, nel senso che gli studenti si concentrano esclusivamente sulle conoscenze tecniche e sono scoraggiati dall’apprendere metodi di ricerca autonoma[8].

 

Oltre alla matematica, il primato in questo senso spetta in genere alla chimica, generalmente considerata come una materia arida, spesso associata a tutta una serie di conseguenze negative, da quelle ambientali a quelle alimentari, tanto da far parlare di “chemiofobia”. Un’immagine negativa che, come hanno dimostrato anche recenti studi (in ambito inglese), si forma in genere soprattutto in ambito scolastico[9].

 

  1. Chimica e filosofia

Non c’è dubbio che lo stretto legame instauratosi fra la chimica e il processo di industrializzazione abbia contribuito, a partire dalla fine dell’Ottocento, alla diffusione dell’immagine di una disciplina sempre più subordinata alle esigenze dell’economia e della politica e sempre meno capace di esprimere contenuti filosofici e culturali. E che la scuola (in particolare gli indirizzi tecnici e professionali), sia stata partecipe della diffusione di una visione negativa della chimica, addestrando intere generazioni a svolgere i compiti e le mansioni richieste, ma non ad avere un’idea chiara degli scopi e del valore culturale della disciplina. I manuali di chimica hanno assunto sempre più la forma di un elenco (un po’ dogmatico) di nozioni e di principi, lontani anni luce dagli sviluppi della ricerca teorica e dalle riflessioni sui fondamenti della disciplina.[10] Anche i filosofi, tuttavia, hanno la loro parte di responsabilità. Infatti, tranne la rilevante e non certo secondaria eccezione di Gaston Bachelard, la filosofia non si è certo mostrata particolarmente interessata a una riflessione sui fondamenti della chimica, come è stato sottolineato al IX Congresso Internazionale di Logica, Metodologia e Filosofia della Scienza, tenutosi a Uppsala nel 1991[11]. In sostanza, a differenza della fisica e della biologia, nel corso del XX secolo la chimica non ha costituito l’oggetto di specifici studi filosofici in numero tale da poter dare vita a un capitolo denominato «filosofia della chimica». Negli ultimi decenni, per fortuna, la situazione è notevolmente migliorata[12].

Ciò risulta davvero singolare, se si tiene conto che la chimica moderna è una delle discipline che più ha intrattenuto un dialogo proficuo con la filosofia sin dalla sua nascita, nella seconda metà del Settecento. Tanto per fare qualche esempio, certamente noto, la rivoluzione chimica di Lavoisier e, in particolare, la nuova definizione del concetto di elemento formulata dallo studioso francese, furono influenzate in modo determinante dalla logica e dalla filosofia di Condillac[13]. E la riforma del linguaggio chimico trasse la sua ispirazione dalla Logique edita nel 1780[14]. Il riconoscimento della rivoluzione lavoisieriana da parte di Immanuel Kant (che avvenne intorno al 1793) lo indusse a ridiscutere i fondamenti della disciplina, dopo quanto aveva scritto nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786[15]. Kant fu così in grado di concepire una teoria della materia che prevedeva una precisa distinzione tra il livello dei fenomeni fisici e quello dei fenomeni chimici[16]. Lavoisier e Kant, a loro volta, saranno alla base della filosofia della chimica che animerà l’opera di Dmitrij Ivanoviĉ Mendeleev (l’inventore della tavola periodica degli elementi), i cui principi fondanti sono ben delineati nella Faraday Lecture intitolata The Periodic Law of the Chemical Elements, tenuta presso la Royal Institution il 4 giugno 1889, della quale riportiamo questo affascinante passo:

Nel connettere con nuovi legami la teoria degli elementi chimici alla teoria delle proporzioni multiple di Dalton, cioè alla struttura atomica dei corpi, la legge periodica ha aperto alla filosofia naturale un nuovo e vasto campo di speculazione. Secondo Kant vi sono al mondo «due cose che non cessano mai di suscitare l’ammirazione e la riverenza dell’uomo: la legge morale che è dentro di noi, e il cielo stellato che è sopra di noi». Ma quando rivolgiamo i nostri pensieri alla natura degli elementi e alla legge periodica, dobbiamo aggiungere un terzo oggetto di ammirazione, cioè «la natura degli individui elementari che scopriamo ovunque intorno a noi». Senza di essi lo stesso cielo stellato sarebbe inconcepibile; e negli atomi vediamo contemporaneamente le loro individualità peculiari, l’infinita molteplicità degli individui, e la sottomissione della loro apparente libertà alla generale armonia della Natura[17].

 

Chi si iscrive a un corso di laurea in chimica ha ovviamente superato il problema dell’immagine negativa della chimica. Gli studenti universitari hanno tuttavia acquisito piena consapevolezza dell’importanza del ruolo culturale della loro disciplina? Riescono inoltre a pensare allo studio della chimica come a un’attività di ricerca creativa, strettamente legata a molti altri campi del sapere, e non come a una professione esclusivamente tecnica? Ma anche se così fosse, come potranno riuscirsi tutti coloro che non si iscriveranno a un corso di laurea in chimica, o comunque non frequenteranno le aule e i corridoi di un dipartimento scientifico, e che invece a scuola svilupperanno un’immagine negativa della chimica?[18] È evidente che il modo in cui va presentata e insegnata, non solo la chimica, ma la scienza nel suo complesso, soprattutto a livello di scuola secondaria di primo e secondo grado deve essere profondamente modificato. Tuttavia, se siamo convinti che questa sia una battaglia che deve essere combattuta, gli insegnanti delle discipline scientifiche non possono essere lasciati da soli. Anzi, sono proprio i docenti delle materie umanistiche che dovrebbero sforzarsi di trasmettere e far comprendere i valori filosofici culturali della scienza[19].

Non credo che l’alleanza tra filosofia e scienza sia totalmente venuta meno tra chi pratica questi campi del sapere a livello specialistico, ad alto livello. Mi limito a riportare le parole di Elena Cattaneo: «devo confessare che non mi appassionano le discussioni sulle “due culture” perché, pur vivendo soprattutto in laboratorio, ho sempre dialogato facilmente con i colleghi umanisti».

Dunque il problema non risiede nello specialismo sempre più accentuato delle discipline scientifiche e umanistiche[20], specialismo assolutamente necessario per far progredire le ricerche in qualsiasi campo.

Il problema è che lo specialismo è diventato una modalità di impostazione della conoscenza là dove non dovrebbe esserlo, cioè nel percorso scolastico fino all’università. E quindi prima di tutto a questo livello che deve essere promossa una solida alleanza tra scienza e filosofia. Un’alleanza che non può che avere come conseguenza la richiesta di introdurre un nuovo modo di insegnare nelle scuole sia la scienza che la filosofia (ma anche la letteratura e la maggior parte delle discipline)[21].

 

 

  1. Scuola e specialismo

Non si tratta, ovviamente, di una proposta nuova. Ma non necessariamente tutte le proposte valide devono essere proposte originali. Circa un secolo fa, Alfred North Whitehead ha sostenuto che la specializzazione è necessaria al progresso della conoscenza, altrimenti non avremmo alcun avanzamento del sapere. Tuttavia, se estesa a livello generale, la specializzazione comporta un grave pericolo non solo conoscitivo e educativo, ma politico. Una specializzazione mal controllata, unita a un pessimo modello educativo, può mettere in pericolo la stessa democrazia:

I pericoli derivanti da questo carattere della specializzazione sono grandi, specie nelle nostre società democratiche. La forza della ragione è indebolita. Le menti direttive difettano di equilibrio. Esse vedono questo o quel complesso di circostanze, ma non li vedono nel loro insieme[22].

 

Una questione quanto mai attuale nel mondo contemporaneo, soprattutto in relazione al periodo che stiamo vivendo. Così come è attuale una delle conclusioni di Whitehead:

La mia critica ai nostri metodi tradizionali di educazione è che essi si preoccupano troppo dell’aspetto analitico e dell’acquisizione di nozioni per formule[23].

 

Non stupisce, in questo senso, una affinità di intenti fra Whitehead e John Dewey, uniti, fra le molte altre cose, nella valutazione positiva del ruolo del sapere artistico e, più in generale, umanistico, ai fini di una corretta formazione dell’individuo. Così scriveva Dewey a proposito de La scienza e il mondo moderno di Whitehead:

È forse l’arte del dipingere così estranea all’educazione ed è l’educazione così estranea all’arte che debbano esser tenute distinte e separate, o non è forse l’arte intrinsecamente educativa, per il fatto stesso di esistere, e non in virtù di qualsiasi proposito didattico a cui sta subordinata? La risposta a queste domande diviene abbastanza chiara se si tiene conto del punto di vista filosofico di Whitehead[24].

 

D’altra parte, Dewey aveva già espresso chiaramente la sua posizione nei confronti dei metodi tradizionali di insegnamento in uno dei suoi testi più importanti ed efficaci, Democrazia e educazione, edito nel 1916. In ambito educativo, argomentava lo studioso americano, a tutti i livelli gli «studi umanistici quanto quelli naturalistici» devono essere svolti sulla base di una «stretta interdipendenza». Infatti, «la scienza in quanto studio della natura» non va «separata dalla letteratura in quanto documentazione degli interessi umani», ma è necessaria una continua intersezione fra «le scienze della natura e le varie discipline umane come la storia, la letteratura, l’economia e la politica». Le scienze non possono essere insegnate come «semplici complessi tecnici d’informazione e forme tecniche di manipolazione fisica», così come «gli studi umanistici» non vanno presentati come un insieme di «discipline isolate» dalla scienza, perché tutto questo istituisce «una separazione artificiale nell’esperienza degli allievi». Non solo. Questa impostazione impedisce alla maggior parte degli studenti di formarsi una corretta idea dei metodi e dei valori alla base delle scienza, soprattutto a coloro che «non diventeranno specialisti in qualcuna di esse», che poi saranno la maggioranza dei futuri cittadini, a cui spetterà il compito di custodire e controllare la democrazia in cui vivono. Per quanto riguarda la preparazione specifica in ambito scientifico, infine, essa risulta del tutto inutile, perché troppo spesso l’allievo esce con un’infarinatura troppo superficiale per essere scientifica e troppo tecnica per essere applicabile alle questioni ordinarie[25].

In sostanza, troppe formule da mandare a memoria (per poi essere rapidamente dimenticate qualche tempo dopo) e poca analisi dei metodi e dei valori alla base della scienza. Metodi e valori che non possono non essere analizzati e spiegati anche in relazione alla filosofia. Senza dimenticare (è un elemento che ritengo scontato in questa sede), il fondamentale apporto della storia,[26] l’altra grande assente all’interno degli insegnamenti scientifici. Infatti, senza la comprensione del contesto in cui la scienza moderna è nata, e del cammino da essa percorso sino ai giorni nostri, ogni discussione sui metodi e i valori diventa pressoché impossibile.


[1] Il saggio è stato recentemente riproposto in G. Giorello, La filosofia di Tex e altri saggi. Dal fumetto alla scienza, Prefazione di R. Festi. Postfazione di G. Manfredi, Mimesis, Milano-Udine 2020, p. 25.

[2] G. Giorello, I. Cozzaglio, La filosofia di Topolino, Guanda, Milano 2013.

[3] E. Castelli Gattinara, Epistemologia e scienza … per i fumetti, in A bordo della cronosfera. I fumetti tra scienza, storia e filosofia, a cura di M. Ciardi, Carocci, Roma 2014, p. 17.

[4] A. Sani, A. Linguiti, Sinapsi. Storia della filosofia, protagonisti, percorsi, connessioni, Editrice La Scuola, Brescia,2020, 3 voll., Vol. 1, pp. 5-6.

[5] Tra i molti contributi di Andrea Sani sul tema, cfr. I filosofi e le nuvolette. La ricerca del sapere, Casa editrice G. D’Anna, Messina-Firenze 2011; Ciak si pensa! Come scoprire la filosofia al cinema, Carocci, Roma 2016.

[6] R. Dulbecco, Ricerca, educazione e società, in Scienza e società. Dieci Nobel per il futuro, Marsilio, Venezia 1995, p. 17.

[7] M. Bucchi, Tutta colpa di Harry Potter?, in «Nòva24 Review», 17, 1, 2008, p. 29.

[8] M. C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011, p. 144.

[9] Cfr. V. Domenici, La percezione della chimica nella società e il ruolo della comunicazione, oggi, in Società Chimica Italiana, La Chimica nella Scuola. Workshop nazionale. Etica e sperimentazioni scientifiche (Pisa 22 – 23 gennaio 2016), Aracne, Roma 2016, pp. 25-37.

[10] La ricchezza teorica e filosofica della chimica può essere apprezzata in L. Cerruti, Bella e potente. La chimica dagli inizi del Novecento ai giorni nostri, Editori Riuniti, Roma 2016.

[11] G. Del Re, The specificity of chemistry and the philosophy of science, in Philosophers in the laboratory, edited by V. Mosini, Accademia di Scienze Lettere ed Arti – Musis, Modena 1996, p. 11.

[12] R. F. Hendry, Filosofia della chimica, in Filosofie delle scienze, a cura di N. Vassallo, Einaudi, Torino 2003, pp. 39-69; Philosophy of Chemistry. Synthesis of a New Discipline, edited by D. Baird, E. Scerri, L. McIntyre, Springer, Dordrecht 2006; Handbook of the Philosophy of Science, Vol. 6: Philosophy of Chemistry, edited by A. I. Woody, R. F. Hendry, P. Needham, Elsevier-North Holland, Oxford-Amsterdam-Waltham 2012; J.-P. Llored, The Philosophy of Chemistry. Practices, Methodologies, and Concepts, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle 2013; Philosophy of Chemistry. Growth of a New Discipline, edited by E. Scerri, L. McIntyre, Springer, Dordrecht-Heidelberg-New York-London 2015; Essays in the Philosophy of Chemistry, edited by E. Scerri, G. Fisher, Oxford University Press, Oxford 2016; Philosophie de la chimie, sous la direction de B. Bensaude-Vincent, R.-E. Eastes, De Boeck Supérieur, Louvain-la-Neuve-Paris 2020; What Is A Chemical Element? A Collection of Essays by Chemists, Philosophers, Historians, and Educators, edited by E. Scerri, E. Ghibaudi, Oxford Universty Press, Oxford 2020.

[13] Cfr. F. Abbri, Le terre, l’acqua, le arie. La rivoluzione chimica del Settecento, Il Mulino, Bologna 1984.

[14] «L’algebra è in effetti un metodo analitico, ma nondimeno una lingua, se tutte le lingue sono esse stesse metodi analitici. Ora l’algebra è, ancora una volta, ciò che le lingue sono effettivamente. Ma l’algebra è una prova molto sorprendente che gli sviluppi delle scienze dipendono unicamente dagli sviluppi delle lingue e che soltanto lingue ben fatte potrebbero dare all’analisi il grado si semplicità e di precisione di cui essa è suscettibile, secondo il genere dei nostri studi», E.-B. de Condillac, Opere, a cura di C. A. Viano, UTET, Torino 1976, p. 759.

[15] «La chimica non potrà divenire nient’altro che un’arte sistematica, o dottrina sperimentale, mai una vera e propria scienza», I. Kant, Principi metafisici della scienza della natura, a cura di P. Pecere, Bompiani, Milano 2003, pp. 104-105.

[16] Id., Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, in Opus postumum, Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 76-77.

[17] M. Ciardi, Il segreto degli elementi. Mendeleev e l’invenzione del Sistema Periodico, Hoepli, Milano 2019, p. 120.

[18] Oggi, fortunatamente, la consapevolezza che la chimica sia una disciplina determinante per la risoluzione delle questioni ambientali sta risultando determinante per la rivalutazione culturale e filosofica della disciplina, con la conseguente comparsa di adeguati strumenti didattici; cfr. ad esempio, V. Balzani, M. Venturi, Energia, ambiente, risorse, Zanichelli, Bologna 2014.

[19] In questo caso mi riferisco genericamente ai docenti di materie umanistiche, e non solo ai filosofi, perché non bisogna dimenticare che, purtroppo, la filosofia non è presente in tutte le fasi del percorso scolastico, né in tutti gli ordini di scuola. Mentre, al contrario, dovrebbe esserlo.

[20] Sullo specialismo in filosofia cfr. D. Marconi, Il mestiere di pensare, Einaudi, Torino 2014.

[21] Ho sviluppato questo discorso in M. Ciardi, Galileo e Harry Potter. La magia può aiutare la scienza?, Carocci, Roma 2014. Cfr. anche Id., Se Harry Potter aiuta a capire la scienza, in «Repubblica», 9 giugno 2015, p. 46; Id., Più scienza col fantasy, in «Il Sole-24 ore», 5 luglio 2017 https://www.ilsole24ore.com/art/piu-scienza-col-fantasy--AE92AaoB?refresh_ce=1   

[22] A. N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Boringhieri, Torino 1979, p. 214.

[23] Ibid., p. 215.

[24] J. Dewey, Arte come esperienza e altri scritti, a cura di A. Granese, La Nuova Italia, Firenze 1995, pp. 440-441. Cfr. A. N. Whitehead, John Dewey e la sua influenza, in Scienza e filosofia, Il Saggiatore, Milano 1966, pp. 128-130.

[25] J. Dewey, Democrazia e educazione, Firenze, Sansoni, 2008, pp. 314-315.

[26]  Sul ruolo fondamentale della storia si veda il recentissimo lavoro di T. Di Carpegna Falconieri, Nel labirinto del passato. 10 modi di riscrivere la storia, Roma-Bari, Laterza, 2020.

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