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L’UOMO CREATORE DI SE STESSO. LA RIVOLUZIONE DELLA GENETICA TRA NUOVE POSSIBILITÀ E (IN)EVITABILI RISCHI

Autore


Mauro Mandrioli

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

docente di Genetica presso il Dipartimento di Scienze della Vita sede ex-Biologia dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Indice


  1. Conosci te stesso
  2. Costruire genomi del futuro
  3. Verso una nuova alleanza tra genetica e bioetica?
  4. Conclusioni

 

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S&F_n. 24_2020

Abstract


The self-made Man. The genetic Revolution between new Chances and (un)avoidable Risks

In the last two decades we moved from first data about the human genome to the availability of new molecular tools for editing the human genome. An interdisciplinary approach is therefore essential to understand the role of genes in the establishment of human phenotypes and attitudes and to gain a mature knowledge about which human traits can be really improved by editing our genome.


4 diti fa un palmo e 4 palmi fa un piè; 6 palmi fa un cubito, 4 cubiti fa un homo, e 4 cubiti fa un passo e 24 palmi fa un homo.

Leonardo da Vinci

 

 

  1. Conosci te stesso

In un futuro non troppo lontano, il nostro DNA determinerà tutto di noi. Una minuscola goccia di sangue, di saliva, un capello decideranno che lavoro potrai fare, chi potrai sposare, quali risultati potrai raggiungere. In una società in cui il successo viene determinato dalla genetica e i cui membri vengono divisi per gradi di perfezione, l’unica soluzione che resta è nascondere la propria identità. Ma in un posto in cui puoi essere rintracciato attraverso una cellula di una parte qualunque del tuo corpo, come ti nascondi se ciascuno di noi perde 500 milioni di cellule al giorno? Benvenuti a Gattaca.

 

Iniziava così il film di fantascienza Gattaca – La porta dell’universo, in cui il regista Andrew Niccol nel 1997 immaginava il futuro dell’umanità in un pianeta in cui tutti gli aspetti della vita umana erano regolati dalla genetica. Sono passati oltre vent’anni, ma questo film è tutt’oggi ben presente nell’immaginario comune, tanto da essere ancora citato in libri e saggi come una sorta di futuro possibile/probabile, cui si potrebbe celermente giungere grazie agli attuali progressi della genetica. Ma è realmente così? E perché è importante capire quanto la permanenza dell’idea di Gattaca nell’immaginario comune possa influenzare la percezione della genetica del ventunesimo secolo?

Pochi anni dopo l’uscita di Gattaca nelle sale cinematografiche si è chiusa la prima fase del progetto genoma umano e negli anni successivi il genoma umano completamente sequenziato è divenuto patrimonio dell’umanità. Come attestato dall’enfasi con cui è stato annunciato il completamento della prima fase di sequenziamento[1], le aspettative verso questo progetto erano decisamente elevate, in quanto si riteneva di poter identificare nel DNA le basi biologiche della nostra identità, fisica e non solo. Tuttavia, vent’anni di pubblicazioni scientifiche e oltre centocinquantamila genomi umani sequenziati ci hanno mostrato che per capire noi stessi non basta leggere cosa è scritto nel nostro DNA.

Studiando il DNA abbiamo capito che non tutto è dovuto al nostro materiale genetico e da questo deriva la necessità di recuperare il dialogo con altre discipline per capire ciò che siamo e per raggiungere una consapevolezza più matura di cosa realmente possa essere ricondotto ai geni. Scrive a questo proposito Adam Rutherford: 

Gli esseri umani adorano raccontare storie. La nostra specie ha un bisogno fortissimo di narrazioni e, in particolare, di appagamento narrativo, di spiegazioni, di dare un senso alle cose e alle ineffabili complessità della condizione umana, di un inizio, di uno svolgimento e di una fine. Quando abbiamo iniziato a leggere il genoma, quello che vi andavamo cercando erano delle narrazioni che rimettessero ordine nei misteri della storia, della cultura, dell’identità individuale… che ci dicessero con esattezza chi siamo e perché. I nostri desideri però non sono stati esauditi perché la genetica umana si è rivelata molto più interessante e complessa di quanto si potesse immaginare. (…) Se è importante capire ciò che i geni possono dirci, altrettanto lo è ciò che non possono dirci[2].

 

Cogliere l’invito Rutherford è oggi particolarmente importante non solo perché ci permette di avere aspettative più corrette di ciò che la genetica può fare, ma anche perché ci aiuta nel definire quali ambiti realistici di intervento possiamo immaginare per le metodiche di editing del genoma (che vedremo nella sezione successiva di questo saggio), al centro di un quotidiano dibattito in questi anni. Ad esempio, il numero di maggio 2015 della celebre rivista MIT Technology Review era intitolato “Engineering the Perfect Baby. Scientists are developing ways to edit the DNA of tomorrow’s children”, mentre nello stesso anno la rivista The Economist usciva nel numero di agosto 2015 con una copertina dal titolo “Genetic engineering. Editing humanity”, in cui si faceva espresso riferimento a miglioramenti del quoziente intellettivo e delle prestazioni sportive, oltre che a caratteristiche comportamentali migliorate. In realtà però questi caratteri non sono determinati dai soli geni e l’idea di carattere genetico raccontato in questi articoli era frutto di una visione gene-centrica che nella realtà è stata già abbandonata dagli stessi genetisti da tempo. È infatti interessante osservare che mentre in genetica abbiamo acquisito una grande consapevolezza, ad esempio, del peso dell’ambiente nel determinare il nostro fenotipo, all’esterno della comunità scientifica questa variazione non è ancora stata colta.

Uscendo dal campo della sola genetica, possiamo inoltre osservare che oggi è in realtà molto più complesso definire un individuo e forse anche in questo si nascondeva la speranza che tutto si celasse nel materiale genetico. Complessità che è oggi aumentata in funzione del fatto che abbiamo dovuto prendere atto del fatto che non esiste una sola eredità biologica, ma ne esistono almeno due: una genetica e una epigenetica[3]. In quest’ultima, gli ambienti modificano selettivamente il modo in cui i geni sono attivati dalle modificazioni epigenetiche e, applicando queste dinamiche alle popolazioni umane, possiamo immaginare che in un certo senso ciascuno di noi co-diriga la sua stessa evoluzione, cambiando sistematicamente gli ambienti che ci circondano e influenzando così il quadro delle pressioni selettive. Se così fosse, allora ogni popolazione biologica umana erediterebbe dalla generazione precedente non soltanto un pacchetto di geni, ma anche una nicchia ecologica modificata, oltre che un insieme di specifiche modifiche epigenetiche. L’ereditarietà che ciascuno di noi riceve e trasmette è quindi multipla: genetica, epigenetica, ecologica e culturale.

Aggiungiamo poi che nei nostri organismi ci sono miliardi di batteri simbionti, e quindi componenti “altri” che non sono noi, che ci “compongono” e che sono essenziali per il nostro sviluppo e per il quotidiano funzionamento del nostro organismo[4]. Ecco che allora il DNA non è più la nostra carta di identità, ma piuttosto una base, a partire dalla quale si può aggiungere altro. Se per anni abbiamo sperato che la genetica ci aiutasse a trovare noi stessi, ecco che, come scrive Nathaniel Comfort (Professore di storia della medicina alla Johns Hopkins University di Baltimora)

gli studi cellulari e molecolari hanno rilassato i confini del sé. Tecnologia riproduttiva, ingegneria genetica e biologia sintetica hanno reso la natura umana più malleabile, l'epigenetica e la microbiologia complicano le nozioni di individualità e autonomia, e la biotecnologia e la tecnologia dell'informazione suggeriscono un mondo in cui il sé è distribuito, disperso, atomizzato[5].

 

Le identità individuali, non più radicate nella biologia, diventano quindi sempre più sfocate, rendendo quindi imprescindibile un approccio multidisciplinare, che includa lo studio di arte, storia e filosofia.

Identificare cosa di noi stessi è geneticamente codificato è oggi più che mai essenziale anche per rendere maggiormente concreto e fondato il dibattito sull’impatto delle manipolazioni genetiche, lasciando quindi alla finzione di Gattaca gran parte dei timori sulla possibilità di modificare tratti comportamentali, la cui genesi non è in realtà da ricondurre al solo DNA. Una corretta definizione di individuo è quindi fondamentale non solo da un punto di vista epistemologico[6], ma anche per guidare la discussione sulle reali possibilità che la genetica può avere di scrivere il nostro futuro.

 

  1. Costruire i genomi del futuro

Per molti decenni numerosi genetisti e biologi molecolari hanno lavorato allo sviluppo di metodiche utili per modificare il nostro genoma, al fine di eliminare le mutazioni alla base delle malattie genetiche[7]. È importante partire da questa premessa per ricordare che la prima finalità della genetica medica consiste nella diagnosi (possibilmente precoce) delle malattie genetiche e nella loro cura.

Mentre sul fronte della diagnostica si sono registrati notevoli miglioramenti, l’efficacia dei metodi usati per correggere la sequenza dei geni mutati è stata scarsa per molti decenni e, in assenza di risultati concreti, anche la discussione sugli aspetti etici di tali manipolazioni è rimasta più su un piano teorico che non di reale applicazione.

Negli ultimi dieci anni abbiamo invece assistito alla definizione di nuove metodiche in grado di modificare il DNA in modo inaspettatamente facile e veloce portando alla necessità di riprendere la discussione relativa alle manipolazioni del genoma umano[8].

Studiando alcuni microbi utilizzati per la produzione di yogurt, alcuni ricercatori hanno osservato che in molte specie batteriche è presente una particolare forma di immunità, che si basa su sequenze denominate Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats (CRISPR), date da sequenze ripetute palindromiche alternate a tratti di DNA corrispondenti a porzioni di DNA esogeno (tra cui plasmidi e fagi). Le sequenze CRISPR sono un vero e proprio catalogo di tratti di DNA esogeni, che devono essere degradati. In presenza di virus, le sequenze CRISPR sono infatti trascritte e tagliate così che si formino piccole molecole di RNA in grado di legare e attivare l’endonucleasi Cas9 e di guidarla verso i DNA estranei entrati nella cellula batterica, favorendone la degradazione. In questo modo quindi un batterio può difendersi dall’infezione di un virus, degradandone il DNA dopo il suo riconoscimento specifico[9].

Nel 2012, le genetiste Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier hanno dimostrato sperimentalmente che questo sistema è perfettamente funzionante anche negli eucarioti e si possono utilizzare sequenze CRISPR sintetizzate in laboratorio come guida per portare l’endonucleasi Cas9 a tagliare il DNA a livello di sequenze specifiche scelte dai ricercatori[10] e per questa scoperta sono state premiate nel mese di ottobre 2020 con il Premio Nobel per la Chimica.

Come dimostrato dal lavoro di Doudna e Charpentier, se oltre alla molecola di RNA guida viene fornito un DNA stampo, questo frammento può essere integrato a livello del sito in cui è avvenuto il taglio oppure la sequenza fornita può essere letteralmente ricopiata dalla cellula per riparare il DNA andando così a correggere la sequenza originariamente presente. Questo significa, quindi, che ricorrendo alla metodica CRISPR-Cas9 si può integrare un qualsiasi gene decidendo in quale specifica posizione del genoma tale inserimento dovrà avvenire oppure si possono eliminare le mutazioni inserendo tratti di DNA liberi da mutazioni[11].

Oggi la metodica CRISPR-Cas9 è applicabile a batteri, piante e animali e permette al ricercatore di scegliere la porzione del genoma su cui intervenire e che tipo di modificazione fare[12]. Ad esempio, alcuni ricercatori hanno usato questa metodica per eliminare le mutazioni alla base di patologie genetiche come l’anemia falciforme, mentre altri stanno valutando la possibilità di usare questa metodica per introdurre mutazioni all’interno di virus presenti in forma latente nel nostro genoma, tra cui ad esempio il virus HIV[13].

La rivoluzione CRISPR è arrivata anche nei laboratori di genetica animale e, in particolare, in quelli dedicati allo studio di tumori e malattie genetiche nell’uomo. Numerose pubblicazioni hanno, infatti, mostrato la possibilità di realizzare animali geneticamente modificati, che presentano specifiche mutazioni associate a malattie umane. In questo caso è quindi possibile realizzare, in laboratorio, animali da usare per replicare specifiche patologie genetiche umane per sperimentare nuove cure[14] o animali i cui organi possono essere usati in sostituzione di organi umani (xenotrapianti)[15].

Con una velocità decisamente sorprendente sono inoltre state attivate sperimentazioni per usare questo metodo per correggere mutazioni alla base di malattie genetiche nell’uomo e alla fine del 2016 in Cina vi è stato il primo caso di utilizzo del sistema CRISPR-Cas9 come strumento terapeutico nell’uomo[16], così come sono stati pubblicati i risultati delle prime prove di applicazione di questa tecnica su embrioni umani non utilizzabili a scopo riproduttivo[17].

Si è invece avvalsa di embrioni umani sani ai primi stadi di sviluppo una equipe inglese che ha inserito in tali embrioni una copia funzionale del gene MYBPC3, che se mutato causa la cardiomiopatia ipertrofica, una patologia che può comportare un’improvvisa interruzione del battito cardiaco[18]. Sebbene l’efficienza non sia arrivata al 100% (a indicare che la tecnica deve essere ancora migliorata), i ricercatori non hanno osservato mutazioni in altri geni. Nel pieno rispetto delle attuali regole etiche, lo sviluppo degli embrioni manipolati è stato bloccato dopo tre giorni, ma se altri studi ne confermeranno la sicurezza e l’efficacia, CRISPR potrebbe innescare ben presto una vera e propria rivoluzione nella cura delle malattie genetiche potendo agire a livello embrionale[19].

Nel mese di novembre 2018 lo scienziato cinese He Jiankui ha annunciato, in un video pubblicato su Youtube, di aver fatto nascere due bambine (chiamate in modo fittizio Lulu e Nana) geneticamente modificate[20]. Jiankui, avvalendosi della tecnica di editing genetico CRISPR/Cas9, ha introdotto modificazioni nel gene CCR5 per rendere le due bambine resistenti alle infezioni del virus dell'HIV, di cui era affetto il padre.

L'annuncio ha scatenato una pioggia di critiche dall'intero mondo accademico non solo perché mancavano gli adeguati permessi, ma perché non erano stati consultati i comitati etici prima di applicare questa tecnica, che ancora oggi non è stata approvata per l'uso umano se non nei rari casi già citati.

Tralasciando al momento il fatto che il gene CCR5 svolge varie funzioni nel nostro corpo ed è quindi difficile valutare gli effetti della sua inattivazione, questa vicenda mostra l’urgenza di un dibattito su queste metodiche. È tuttavia di consolazione (seppure magra!) che le autorità competenti abbiano prontamente avviato un’indagine sul lavoro di He, che è stato prima licenziato dall’Università SUSTech di Shenzhen e poi incarcerato.

Alla conferenza internazionale CRISPRcon19 che si è tenuta a Wageningen, in Olanda, lo scorso anno il bioeticista cinese Guobin Cheng ha tenuto a precisare che «non è la Cina che si è spinta troppo in là. È una persona che si è spinta troppo in là in Cina»[21]. Si potrebbe ampliare questa frase affermando che non è la comunità scientifica che si è spinta troppo in là. È una persona che si è spinta troppo in là nella comunità scientifica, ma resta che queste azioni da un lato arrecano danni clamorosi alla ricerca scientifica e dall’altro ribadiscono la necessità di avere regole internazionali condivise per normare la sperimentazione in questo ambito che non ha precedenti nella storia delle scienze della vita. Come ha infatti recentemente scritto il Nobel David Baltimore: “Oggi sentiamo di essere vicini alla possibilità di alterare il patrimonio genetico umano […] Potremmo essere sull’orlo di una nuova era della storia”[22]. L’avvento di CRISPR-Cas9 può quindi divenire un nuovo elemento a sostegno della necessità di definire questa era come quella in cui l’uomo acquisisce una capacità mai avuta prima di influenzare non solo l’evoluzione degli altri viventi, ma anche la propria.

Parallelamente alla discussione sulla manipolazione di cellule somatiche, un numero crescente di articoli si è occupato della manipolazione di cellule della linea germinale e per guidare la discussione in questi ambiti è nata nel 2018  l’Association for Responsible Research and Innovation in Genome Editing (ARRIGE, https://arrige.org/), mentre a inizio di settembre di quest’anno si è riunito l’International Commission on the Clinical Use of Human Germline Genome Editing, che si propone di fornire indicazioni tecniche, e non solo, in merito alle manipolazioni genetiche a carico di embrioni, sia a scopo di ricerca che per finalità riproduttive.

Una proposta decisamente originale è stata invece pubblicata nel numero del 18 settembre della rivista scientifica Science, in cui è apparso un appello, firmato da venticinque studiosi, affinché sia creato un gruppo di cittadini che discuta delle problematiche relative all’editing genetico. Questo gruppo, che nella proposta è composto da cento cittadini scelti per rappresentare la popolazione globale in tutta la sua diversità, dovrebbe includere uomini e donne di ogni continente, differenti per età, livello di istruzione e appartenenze socio-culturali. Una sorta di focus group, che dovrebbe identificare gli elementi di maggiore criticità legati alle applicazioni di questa nuova tecnologia. Così come i diritti umani e la qualità dell’ambiente sono oggetto di attenzione di tante associazioni, in modo analogo questo dovrebbe accadere per le manipolazioni genetiche.

Chi deve guidare il processo decisionale in questa ambito e come ci si può rapportare ai differenti ordinamenti costituzionali che si trovano nelle diverse nazioni? In merito a quest’ultimo punto si può pensare di definire non vere e proprie linee guida, ma ambiti in cui la manipolazione genetica può essere autorizzata, lasciando però ai singoli governi la decisione su come gestirli/autorizzarli. Una dinamica quindi simile a quella degli obiettivi per la sostenibilità dell’Agenda 2030[23] in cui le nazioni firmatarie hanno concordato gli obiettivi, ma è ciascun governo nazionale che decide in modo autonomo quali obiettivi perseguire e con quali fondi e strumenti.

Io trovo personalmente poco efficaci tutte le proposte finora sviluppate perché, per natura stessa della rivoluzione in atto nella genetica moderna, una governance delle innovazioni sarà efficace solo se si configurerà come momento di dialogo e confronto costruttivo e coordinato non solo tra il pubblico, ma più in generale tra tutte le diverse competenze utili, includendo sia quelle etiche e morali che quelle empiriche, senza dimenticare la possibilità che anche altre forme di sapere possano essere coinvolte nei processi su cui si vuole intervenire. Ad esempio, penso che si imprescindibile includere non solo il mondo accademico, ma anche le aziende biotecnologiche che su tali ambiti possono fare (e in molti casi hanno già fatto) importanti investimenti.

Serve inoltre tenere in considerazione che da questo confronto non devono necessariamente emergere le soluzioni tecnologiche migliori quanto la domanda cui le tecnologie genetiche possono dare risposta. È evidente infatti che se il contesto di applicazione risultasse limitato a pochissimi rari casi, gli investimenti potrebbero essere indirizzati verso altri ambiti di ricerca delle scienze della vita.

Inoltre, deve essere garantito un accesso diffuso alle innovazioni al fine di garantire il diritto all’uguaglianza dei cittadini in merito agli strumenti di cura. L’editing genetico dovrebbe quindi essere preso in considerazione come tecnica applicabile all’uomo solo nella misura in cui fosse consentito a tutti gli individui l’accesso a tali possibilità terapeutiche.

È quindi necessario chiarire non solo gli aspetti tecnologici e i margini di sicurezza, ma anche gli ambiti di applicazione ammessi. Ciò che intendo è che per molti aspetti è come se la discussione etica venisse rinviata in funzione del fatto che le metodiche di editing del genoma non sono ancora sufficientemente sicure: quando saranno sicure, decideremo. A mio avviso serve un cambiamento di approccio nel senso che il dibattito etico dovrebbe precedere lo sviluppo tecnologico e per alcuni aspetti guidarlo. Decidendo da subito quali ambiti applicativi sull’uomo saranno esclusi per motivi etici e morali andremo anche a favorire il lavoro degli scienziati che sapranno in quale contesto il loro lavoro sarà giudicato accettabile.

Serve quindi condurre un dialogo multidisciplinare che analizzi quali aspettative sono lecite in merito alle modificazioni del genoma, per evitare, come suggerito in una recente video-intervista di Michela Marzano[24], che le nuove tecnologie, nate e sviluppatesi allo scopo di aiutare, curare e riparare l’umano, diventino in realtà un modo per ambire ad un corpo perfettamente controllato, addomesticato e padroneggiato.

 

  1. Verso una nuova alleanza tra genetica e bioetica?

Il passaggio dai test genetici legati alla ricerca di mutazioni in un singolo gene all’analisi dell’intero genoma ha reso più complesso lo scenario bioetico con cui dobbiamo confrontarci. Nel primo caso, infatti, l’analisi è mirata ad uno specifico gene con la richiesta che nasce generalmente da una anamnesi famigliare. Nel secondo caso il risultato è invece una vera e propria fotografia dell’intero patrimonio genetico di un individuo, inclusi geni di cui conosciamo a stento la funzione e con la possibilità di evidenziare mutazioni in cui il legame con l’insorgenza di specifiche patologie è scarsamente provato. Inoltre, a fronte di patologie monogeniche in cui la presenza di specifiche mutazioni è sufficiente per diagnosticare la comparsa della patologia corrispondente, per la quasi totalità delle malattie genetiche umane, la componente genetica può consistere in più geni, la cui espressione può essere influenzata dall’ambiente. In questi casi quindi la manifestazione della malattia dipenderà sia dall’interazione tra geni che tra geni e ambiente, per cui il rischio può essere stimato solo probabilisticamente. Quando e come comunicare quindi questi dati?

Il quesito potrebbe essere considerato di scarsa rilevanza generale, ma oggi possiamo applicare sia a neonati che a bambini test genetici che identificano mutazioni associate a predisposizioni per malattie che potrebbero fare la propria comparsa numerosi decenni dopo. Potremmo, ad esempio, eseguire test genetici prenatali su feti in via di sviluppo per cercare da un lato la presenza di mutazioni causative di malattie gravi, così come mutazioni associate all’ipertensione piuttosto che all’insorgenza dell’Alzheimer. Possiamo considerare etico consegnare informazioni al genitore di un paziente minorenne che non si è sottoposto volontariamente ad un test che potrebbe indicare la predisposizione per patologie che si manifesteranno dopo decenni? Oppure dovremmo pensare di restringere a malattie genetiche gravi e ad insorgenza precoce, come ad esempio la fibrosi cistica, l’applicazione dei test genetici? Ad esempio, i geni Brca1 che Brca2 fanno parte di un complesso di proteine riparatrici, per cui la presenza di mutazioni in uno di questi geni comporta una ridotta capacità per la cellula di riparare correttamente i danni che il DNA può subire, con un conseguente aumento del rischio di sviluppare tumori. In presenza di mutazioni in questi geni, una donna ha una probabilità cinque volte maggiore di una persona senza mutazioni di sviluppare un tumore a seno, ovaie o utero. Sebbene per la famiglia disporre di questo dato può essere di aiuto per indirizzare la figlia verso una attenta sorveglianza, l’indicazione comune per i test genetici dovrebbe essere che solo l’interessato possa decidere di sottoporsi al test genetico, secondo un vero e proprio principio di autonomia. Come possiamo però garantire questo diritto in una fase storica in cui il sequenziamento dell’intero genoma può essere condotto con un investimento economico nell’ordine delle poche centinaia di euro e utilizzando pochissime cellule coma campione di partenza? Come e quando comunicare la presenza di una mutazione che è lecito pensare andrà a generare uno stato di profonda angoscia?

L’esempio precedentemente citato dei geni Brca1 non era affatto casuale perché richiama quello che è stato definito l’effetto Jolie dovuto al fatto che l’attrice Angelina Jolie nel 2013 ha acceso i riflettori su un dilemma angoscioso: convivere con l’ansia della presenza di una mutazione associata a maggiori rischi di tumore al seno oppure entrare in sala operatoria e abbattere il livello del rischio con una mastectomia? 

Nel corso degli ultimi anni un crescente numero di esperti ha più volte proposto il principio di autonomia dei minori secondo cui vi dovrebbe essere un approccio proibitivo verso i test genetici sui minori se volti all’identificazione dello status di portatore sano o test predittivi e pre-sintomatici per malattie che si manifestano in età adulta. La maggior parte delle linee guida esistenti raccomanda di astenersi dal condurre tali analisi genetiche, a eccezione dei casi in cui trattamenti medici preventivi o terapeutici siano disponibili o quando posporre il test rischi di causare un deterioramento della salute del minore. Tale raccomandazione si basa sull’assunto che bambini e adolescenti non hanno ancora sviluppato le capacità intellettive e la maturità emotiva necessarie per essere considerati competenti nel prendere decisioni autonome, il che implica che i loro genitori o tutori hanno la responsabilità legale di fare scelte mediche a loro nome. Tali scelte possono avere importanti ripercussioni sul benessere psicofisico del minore e sulle sue possibilità future. Di conseguenza, il principio di autonomia afferma che, nel caso in cui non offra alcun beneficio medico immediato, il test genetico deve essere posticipato al fine di rispettare l’autonomia che il minore svilupperà da adulto, quando sarà in grado di decidere da sé se vuole conoscere il proprio patrimonio genetico.

Nella pratica, un genetista dovrebbe rifiutarsi di soddisfare la richiesta di due genitori che vorrebbero che la propria figlia minorenne fosse sottoposta a un’analisi genetica per la mutazione Brca1, associata con lo sviluppo del cancro al seno. Questo test predittivo non fornirebbe nessun beneficio medico alla bambina nell’immediato, dal momento che la mutazione causa nelle donne che ne sono portatrici un aumentato rischio di sviluppare la malattia in età adulta, intorno ai 30–50 anni di età. Inoltre, priverebbe la giovane dell’opportunità di decidere autonomamente se effettuare il test ed eventualmente sottoporsi a un trattamento preventivo di mastectomia, una volta in grado di compiere scelte autonome. In parallelo però disporre di tale dato potrebbe mettere i genitori nella condizione di essere meglio preparati ad affrontare il futuro dei propri figli ed anche l’assenza del dato genetico potrebbe essere stressante da un punto di vista psicologico. Scartata (in quanto decisamente improbabile) l’ipotesi che la disponibilità dei dati genetici lasci inalterati i comportamenti dei genitori, come assicurare ai minori il diritto a un futuro non determinato?

Sulla base di quanto esposto finora dovrebbe essere chiaro che se da un lato il sequenziamento dell’intero genoma ha una grande potenzialità nell’ambito della prevenzione e del trattamento delle malattie genetiche, dall’altro la nostra capacità di sfruttare tale potenzialità è ancora limitata.

Non ho dubbi sul fatto che la genomica faccia ormai parte degli strumenti a disposizione della biomedicina e che l’era della medicina personalizzata, nella quale le analisi genetiche permetteranno una sempre migliore prevenzione e cura delle patologie basate sulle specifiche caratteristiche di ciascuno, è di fatto dietro l’angolo. Per quanto auspicabile, questa prospettiva impone però delle riflessioni sul quesito normativo che chiede come e, in alcuni casi, se il potenziale delle tecnologie genomiche debba essere sfruttato.

Questo aspetto diventa ancora più importante oggi in funzione della crescente offerta di servizi genetici rivolti direttamente al consumatore e di cui l’utente riceve i risultati senza alcuna intermediazione medica. Nato delle analisi genetiche di popolazione condotte dagli studiosi di antropologia che si occupano dell’origine evolutiva dell’uomo e delle sue migrazioni nel tempo, questo servizio di consulenza genetica oggi offre nuove applicazioni dei test genetici legate a test genetici per malattie. Questi servizi genetici sono offerti da numerose compagnie private tra cui, per esempio, l’americana 23andMe[25] e prevede che il consumatore spedisca tramite corriere un campione della propria saliva così da consultare on-line i risultati delle proprie analisi genetiche.

L’applicazione di questi test in ambito medico ha attratto le critiche di molti genetisti medici (oltre che della FDA americana), poiché i risultati delle analisi vengono forniti  senza che le compagnie offrano alcun servizio di consulenza genetica, limitandosi a dei “disclaimer” legali che ricordano come i dati forniti vadano discussi con il proprio medico e non rappresenti vere e proprie analisi mediche. Come non considerare però un dato medico il fatto di sapere di avere una mutazione causativa di una patologia grave come l’anemia falciforme o la Corea di Huntington? Utilizzando sistemi molto banali per comunicare i dati, nei fatti l’interpretazione dei risultati viene interamente delegata ai consumatori, i quali tuttavia raramente hanno le competenze necessarie per comprendere il significato dei fattori di rischio genetici.

Inoltre, le verifiche pre-analisi sono spesso molto scarne, per cui chi verifica che il campione da me spedito sia realmente mio? Già oggi potrei effettuare un’analisi genetica non autorizzata sul DNA di un candidato all’assunzione per verificare che non abbia particolari predisposizioni a patologie altamente debilitanti, o potrei essere un assicuratore che vuole verificare il grado di rischio genetico di un potenziale assicurato, o un coniuge che voglia avere “garanzie” sullo stato di salute della/del partner. Per quanto improbabile possa sembrare ai non addetti ai lavori, questo tipo di analisi senza consenso degli interessati è tecnicamente possibile già ora, a partire da quantità minute di campioni biologici, facilmente reperibili. Ovviamente, la maggior parte di questi comportamenti è vietata per legge, ma non impossibile da realizzare. Per esempio, negli Stati Uniti il Genetic Information Nondiscrimination Act ha proibito già dal 2010 alle compagnie assicurative di richiedere test genetici prima della sottoscrizione di una polizza sanitaria, ma molti degli scenari suggeriti in precedenza sono tutt’altro che improbabili.

Genetica e riflessione bioetica dovranno quindi evolvere in parallelo e così come ai genetisti si deve chiedere di migliorare la qualità dei dati e la loro utilità, a filosofi ed esperti si bioetica competerà di mantenere viva la riflessione normativa sugli sviluppi applicativi della genetica, attraverso il coinvolgimento sia della comunità scientifica che del pubblico più in generale, al fine di garantire che lo sviluppo scientifico proceda nel rispetto delle persone coinvolte. 

Servirà infine fornire dati sempre più chiari su quali saranno le mutazioni di cui si potrà effettuare realmente l’editing (ad esempio in casi di fecondazione assistita), in una ottica che il filosofo Julian Savulescu ha definito di responsabilità morale ad avere il “miglior” figlio possibile. In particolare, nel suo articolo intitolato Procreative beneficence. Why we should select the best children[26], Savulescu ha formulato il principio della beneficenza riproduttiva secondo cui tra tutti i bambini che potrebbero avere, le coppie o i singoli individui dovrebbero selezionare quello che, sulla base delle informazioni pertinenti e disponibili, si prevede avrà la miglior vita o almeno una vita tanto buona quanto quella degli altri. La genetica potrebbe quindi permettere di esercitare questo ruolo nel migliore dei modi, ma questo principio potrebbe confliggere con quello citato in precedenza legato all’autonomia delle scelte dei figli.

Savulescu[27] immagina un futuro in cui i test genetici saranno in grado di analizzare il DNA per tratti complessi e i genitori saranno moralmente tenuti a selezionare gli embrioni che predispongono verso stati fisici o psicologici favorevoli, come l’altezza o l’intelligenza. Siamo ritornati quindi a caratteri non esclusivamente genetici che ci riportano in realtà più all’idea di Gattaca che non alla genetica reale. Un ottimo esempio per ribadire che in questo momento è importante capire ciò che i geni possono dirci, tanto quanto lo è ciò che non possono dirci[28].

 

  1. Conclusioni

La genetica vive oggi una rivoluzione tecnologica che va ben oltre le possibilità giudicate preoccupanti e da temere divenute possibili negli anni ’70 del secolo scorso grazie alle prime tecnologie di ingegneria genetica applicate al DNA dei batteri. Con le prime forme di ingegneria genetica entrò nella cassetta degli attrezzi dei genetisti anche il concetto di responsabilità morale in campo scientifico. Genetisti e biologi molecolari non volevano infatti incorrere nella stessa condanna morale che gravava sui fisici dopo lo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima.

Oggi alcuni genetisti e biologi molecolari vedono nella genetica un modo per costruire il futuro dell’uomo dichiarandone per alcuni aspetti l’indipendenza dalla biologia. Con ciò non voglio suggerire che non sia più la biologia a stabilire i parametri basilari della vita umana, quanto che a fronte di una fase che ha caratterizzato gli ultimi diecimila anni in cui l’uomo ha costruito e modificato la propria nicchia ecologica usando la tecnologia per colmare le proprie carenze biologiche (basti pensare alla medicina), ora l’uomo può non solo prevedere, ma addirittura costruire, il proprio avvenire adattando anche i propri geni. Per alcuni aspetti è come se l’uomo, costantemente a contatto con la propria finitezza storica, si trovasse ad avere una possibilità di disporre della propria realtà biologica.

Come scrive Paolo Benanti in Le macchine sapienti:

il tempo segna la tecnica e il mondo modificandone le possibilità e i limiti: viviamo costantemente nella dialettica tra il mondo dei nostri desideri e il mondo delle possibilità, definito qui e ora dalle nostre capacità e possibilità tecniche[29].

 

Oggi, consapevoli della nostra fragilità, possiamo pensare ad una condizione che per alcuni versi può divenire transumana.

Non è la prima volta nella storia umana che il sodalizio fra tecnica e comprensione scientifica della realtà produce un cambiamento generale nei nostri vissuti e nelle nostre aspettative. È già stato così come le rivoluzioni industriali che ci hanno permesso di passare prima da un sistema agricolo-artigianale a quello industriale moderno e poi alla società dell’innovazione tecnologia e informatica in cui viviamo oggi; anche oggi però serve ricordare che queste innovazioni non sono un solo problema tecnologico, ma lo sono (e devono esserlo) anche da un punto di vista epistemologico e filosofico.

Alla luce di questa constatazione, non è pensabile che gli sviluppi tecnologici e le loro ricadute e/o la definizione degli ambiti di applicazione siano definiti in modo autonomo da genetisti e biologi molecolari. Agli scienziati compete certamente lo sviluppo tecnologico, ma spetta a noi come umanità trovare le risposte, nella consapevolezza del fatto che potremo dare risposte adeguate solo se sapremo includere le humanities. Il fatto che una tecnologia funzioni correttamente non implica infatti che essa sia anche accettabile da un punto di vista etico e morale. Solo coinvolgendo filosofi, esperti di bioetica, cittadini comuni e storici potremo sperare di produrre un futuro, più o meno vicino, in cui la genetica non avrà contribuito a creare maggiori disparità nelle società umane.

La situazione attuale per alcuni versi mi ha richiamato alla memoria Vita di Galileo, un’opera teatrale di Bertolt Brecht, in cui nella scena quarta Galileo suggerisce ai teologi e filosofi della corte di Cosimo de’ Medici di iniziare la discussione partendo da un dato empirico (l’osservazione dei satelliti di Giove con il suo telescopio) e di rinviare a dopo la disputa: «permettetemi un consiglio – suggerisce Galileo – cominciate col dare un’occhiata e vi convincerete subito».

Oggi ci troviamo in una situazione simile, grazie agli sviluppi della genetica che ci permette una diversa percezione e cognizione dei viventi che ci circondano, oltre che di noi stessi. Diverse prove sperimentali, illustrate in questo saggio, ci mostrano che tanti hanno già “guardato” in questo nuovo mirabile strumento che è l’editing genetico… è quindi auspicabile che ora la discussione abbia quindi inizio!


[1] Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti d’America nel 2000, dichiarò che il progetto genoma umano è «la mappa più importante mai prodotta dall’uomo […] Stiamo imparando il linguaggio usato da Dio nel creare la vita» (“La Repubblica”, 26 giugno 2000).

[2] Cfr. A. Rutherford, Breve storia di chiunque sia mai vissuto. Il racconto dei nostri geni, Bollati Boringhieri, Torino 2017.

[3] M. Mandrioli, Not by our genes alone, Aisthesis, 2013, 6, pp. 21-29; M. Portera, M. Mandrioli, Vulnerabilità ed epigenetica. Un punto di vista biologico, Psiche, 2020, pp. 101-111.

[4] M. Mandrioli, Quello che i geni non dicono: quale spazio per il determinismo genetico nella genetica moderna? In: Meccanicismo. Riflessioni interdisciplinari su un paradigma teorico. A cura di Berenice Cavarra e Vallori Rasini. Meltemi Editore, 2019, pp.127-148.

[5] N. Comfort, How science has shifted our sense of identity, Nature, 2019, 574, pp. 167-170.

[6] M. Portera, M. Mandrioli, Chi sono io? Forme dell'individuo tra filosofia e biologia. Atque. Materiali tra filosofia e psicoterapia, 2013, 12, pp. 81-104.

[7] M. Mandrioli, Genomi in evoluzione: analizzare il genoma umano per capire la nostra origine e pensare la nostra futura evoluzione. In: Evoluzione e adeguamento. A cura di Vallori Rasini. Meltemi, 2019, pp.127-156.

[8] M. Adli, The CRISPR tool kit for genome editing and beyond. Nature Communications, 2018, 9, p. 1911.

[9] E.V. Koonin e K.S Makarova, Origins and evolution of CRISPR-Cas systems, Philosophical Transactions of the Royal Society of London. Series B, 2019, 374, e20180087.

[10] L. Qi, R.E. Haurwitz, W. Shao, J.A. Doudna, A.P. Arkin, RNA processing enables predictable programming of gene expression, Nature Biotechnology, 2012, 30, pp. 1002-1006; E. Charpentier, J.A. Doudna, Biotechnology: rewriting a genome, Nature, 2013, 495, pp. 50-51.

[11] Ibid E. Charpentier et al.,

[12] F. Jiang, J.A. Doudna, CRISPR-Cas9 structures and mechanisms, Annual Review in Biophysics, 2017, 46, pp. 505-529.

[13] M. Jinek, K. Chylinski, I. Fonfara, M. Hauer, J.A. Doudna, E. Charpentier, A programmable dual-RNA-guided DNA endonuclease in adaptive bacterial immunity, Science, 2012, 337, pp. 816-821.

[14] R. Torres-Ruiz, S. Rodriguez-Perales, CRISPR-Cas9 technology: applications and human disease modelling, Briefings in Functional Genomics, 2017, 16, pp. 4-12.

[15] H. Niemann, B. Petersen, The production of multi-transgenic pigs: update and perspectives for xenotransplantation, Transgenic Research, 2016, 25, pp. 361-74.

[16] M.P. Hirakawa, R. Krishnakumar, J.A. Timlin, J.P. Carney, K.S. Butler, Gene editing and CRISPR in the clinic: current and future perspectives, Bioscience Reports, 2020, 40, e BSR20200127.

[17] X. Kang, W.H.Y. He, Q. Yu, Y. Chen, X. Gao, X. Sun, Y. Fan, Introducing precise genetic modifications into human 3PN embryos by CRISPR/Cas-mediated genome editing, Journal of Assisted Reproduction and Genetics, 2016, 33, pp. 581-588.

[18] H. Ma, N. Marti-Gutierrez, S.W. Park, J. Wu, Y. Lee, K. Suzuki, A.D. Koski, T. et al., Correction of a pathogenic gene mutation in human embryos, Nature, 2017, pp. 413-419.

[19] Ibid. Jiang et al..

[20] H.T. Greely, CRISPR’d babies: human germline genome editing in the ‘He Jiankui affair’, Journal of Law and Biosciences, 2019, 6, pp. 111-183.

[21] È possibile rivedere gli interventi al link https://crisprcon.org/crisprcon-2019/

[22] D. Baltimore, P. Berg, M. Botchan, D. Carroll, R.A. Charo, G. Church, J.E. Corn, G.Q. Daley, J.A. Doudna, M. Fenner, H.T. Greely, M. Jinek, G.S. Martin, E. Penhoet, J. Puck, S.H. Sternberg, J.S. Weissman, K.R. Yamamoto, Biotechnology. A Prudent path forward for genomic engineering and germline gene modification, Science, 2015, 348, p.38.

[23] https://unric.org/it/agenda-2030/

[24] Link alla video-intervista: https://www.dire.it/19-09-2020/504906-video-la-filosofa-marzano-il-potenziamento-e-il-miglioramento-del-corpo-non-e-un-obbligo/

[25] https://www.23andme.com/?nav1=true

[26] J. Savulescu, Procreative beneficence: why we should select the best children, Bioethics, 2001, 15, pp. 413-26.

[27] Ibid.

[28] Ibid. Rutherford, 2017.

[29] P. Benanti, Le macchine sapienti. Intelligenze artificiali e decisioni umane (2018), Marietti Editore, Bologna, p.65.

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