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Scienza e apparenza in Leonardo

Autore


Luca Picco

Università degli Studi di Firenze

svolge attività di ricerca alla Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Firenze

Indice


  1. Introduzione: Leonardo e la fisiognomica
  2. Una traccia giovanile (1478). Alla corte di Firenze e Milano (1480 – 1487)
  3. Milano (1489 – 1499): crani
  4. Venezia, Firenze, Milano, Roma, Francia (1500-1519): cardiocentrismo
  5. Due casi particolari: Ethos e pathos nel Cenacolo e l’analogia zoologica nella Battaglia di Anghiari

 

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S&F_n. 03_2010


  1. Introduzione: Leonardo e la fisiognomica

 

Nel presentare la controversa e complessa figura di Leonardo da Vinci è importante fare alcune considerazioni preliminari, allontanando in questo modo ogni interpretazione ideologicamente faziosa. Prima di entrare nel mito e nella leggenda come genio universale, ed essere così il protagonista di numerose curiosità o vere e proprie distorsioni storiche, Leonardo è un uomo e, come tale, è figlio del proprio tempo, in quanto ogni artista, per quanto rivoluzionario e innovatore, ha un debito nei confronti dell’ambiente dove compie la propria formazione culturale.

Affrontando l’argomento legato alla ricerca fisiognomica, quindi, bisogna tenere conto che gli studi compiuti nell’arco della sua esistenza in questa direzione sono direttamente connessi a gran parte della tradizione precedente e, in special modo, sono legati alla condizione e allo status sociale di cui godeva un artista nella seconda metà del 1400, a Firenze in particolare e nella cultura rinascimentale in generale.

Questo ambito di studi, affrontato a più riprese in differenti periodi della propria vita, viene considerato da Leonardo come parte integrante della ricerca anatomica ed è chiamato da lui stesso “de figura umana”, dove il termine figura possiede l’accezione di forma oggettiva del corpo. Comprende quindi l’analisi dell’anatomia umana, di quella animale e, appunto, della fisiognomica. Per tale disciplina si intende lo «studio della forma esterna del corpo umano come espressione del carattere»[1] e concerne la ricerca della forma somatica visibile alla luce della causa psicologica interna che Leonardo interpreta sotto un duplice punto di vista: quello artistico e quello scientifico.

La novità, rispetto alla tradizione scolastica medioevale, riguarda per l’appunto quest’ultima precisazione e cioè la compresenza in questo campo di studi di finalità scientifiche e artistiche. Leonardo tuttavia non si limita a introdurre questo nuovo approccio ma rinnova anche mezzi e modalità di trasmissione del sapere stesso. La scienza fisiognomica, infatti, aveva già stabilito paradigmi e modelli teorici e comunicativi nell’ambito della filosofia naturale scolastica, ma questi sono esclusivamente di tipo testuale. L’artista toscano fonda, attraverso la rappresentazione grafica del disegno, un linguaggio visivo per la fisiognomica sulla base dei cinque generi in voga nelle botteghe artistiche fiorentine con cui ha occasione di entrare in contatto: rappresentazioni di genere comico, il ritratto eroico-marziale, le teste di adolescente, gli studi sull’espressione delle emozioni e i ritratti realistici di morfologie facciali particolari. La neonata iconografia fisiognomica da questo momento, quindi, affonda le proprie basi sul ritratto rinascimentale che esige verosimiglianza individuale e contemporaneamente avvicinamento a convenzioni tipologiche atti a esaltare le qualità morali, psicologiche e il rango sociale del soggetto. Leonardo compie uno scacco ulteriore rappresentando elementi simbolici, tipici del corredo iconografico tradizionale, adattati a elementi morfologici. La ricerca anatomica risulta in questo modo un’indagine sulle cause interne della “figura” e forma “esterna” del corpo affrontate in maniera complementare: aspetto organico-anatomico da un lato e funzionale-psichico dall’altro. Questa riflessione si ripercuote sulla connessione arte-scienza e sulla ricerca della forma, termine che deve essere inteso nel senso aristotelico di entelechia, ovvero espressione di una finalità.

Entrando più nello specifico la fisiognomica affronta lo studio del carattere permanente di un individuo, l’ethos, partendo dall’aspetto stabile del suo corpo. Non appartengono invece a questa tipologia di studi sia la mimica, ovvero l’espressione occasionale di una passione, il pathos, sia le parodie e le teste grottesche satiriche. 

Dalla tradizione Leonardo eredita anche altri due aspetti legati a tale disciplina: la connessione fra anatomia e fisiognomica arricchita da elementi embriologici, seguendo l’eco del pensiero biologico scolastico, rappresentato dal De animalibus di Alberto Magno, e l’unione tra fisiognomica e astrologia, sottolineata invece da Pietro d’Abano. Se nel primo caso il lavoro del genio fiorentino ben si inserisce sull’onda lunga della tradizione, nel secondo caso vi è un netto rifiuto. La teoria secondo cui i segni visibili sul palmo della mano, impressi nel momento dell’embriogenesi, sarebbero le segnature dell’influenza dei pianeti, viene aspramente condannata da Leonardo. Chiromanzia e metoscopia (predizione attraverso le linee della fronte) sono considerate solo semplici falsità divinatorie:

Della fallace fisionomia e chiromanzia non mi astenderò, perché in loro non è verità. Vero è che li segni de’volti mostrano in parte la natura degli uomini, di lor vizi e complessioni; […] Ma della mano tu troverai grandissimi esserciti essere morti in una medesima ora di coltello, che nessun segno della mano è simile l’uno con l’altro, e così in un naufragio[2].

 

L’obiettivo complessivo di Leonardo è quindi quello di inserire lo studio delle cause interne della figura umana all’interno di una coerente philosophia naturalis. Due passi della prima parte del Libro di Pittura, il Paragone, sono esemplificativi da questo punto di vista: «la pittura si estende […] in filosofia naturale»[3] che a sua volta «[…] penetra dentro alli […] corpi, considerando in quelli le lor proprie virtù»[4]. L’intento di Leonardo di affrontare tale argomento (o come viene chiamata da lui stesso filosomia) viene rinnovato molto spesso nel corso dei suoi studi: in tre elenchi programmatici stilati in periodi diversi, più precisamente attorno al 1489-’90, al 1506-’08 e infine al 1508-’10, compare per iscritto la precisazione di occuparsi di fisiognomica[5].

 

  1. Una traccia giovanile (1478). Alla corte di Firenze e Milano (1480 – 1487)

Leonardo è ormai a Firenze da poco meno di una decina d’anni, come apprendista all’interno della poliedrica bottega artistica di Andrea del Verrocchio, ma questo, al di là delle mansioni artigianali da adempiere, non gli impedisce di abbozzare idee e ricerche personali. In un disegno infatti compaiono due profili di volti umani molto significativi: quello del vecchio dal naso adunco e quello dell’adolescente efebico[6]. Sul recto dello stesso foglio vi sono anche alcuni schizzi, posti in antitesi, atti a identificare le differenze fra l’aspetto melanconico-apatico e quello corrucciato, rispettivamente attraverso lo studio dei lineamenti facciali del giovane efebico e del ritratto eroico-marziale. Questi studi rimandano in maniera chiara a esperimenti molto diffusi nelle botteghe artigianali fiorentine quattrocentesche, volti a differenziare il carattere permanente (ethos) dalle emozioni momentanee (pathos). Ma per Leonardo non si tratta del mero apprendimento artistico sull’espressione, sono i primi abbozzi di studi scientifici di tipo antropometrico del volto umano. Inoltre, egli compie un confronto anatomo-morfologico tra la forma del corpo umano e il comportamento animale: il meccanismo fondamentale è quello che porta a ricercare segni che mettano in relazione gli aspetti comuni. Il concetto più diffuso è senza dubbio quello che compara e lega in maniera deterministica il carattere collerico e il volto leonino. In questo caso Leonardo individua un segno, una prominenza frontale, che rimanda l’espressione corrucciata dell’uomo alla testa del leone.

Sono anni molto duri per l’artista fiorentino, oltre ai problemi personali legati al processo per sodomia del 1476 e il rapporto poco limpido con il padre Ser Piero, anche la situazione a Firenze è molto tesa. Nel 1478 infatti muore Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico, durante la famosa “Congiura dei Pazzi”, il che costringe gli artisti a stare lontani dai palazzi del potere e quindi da una buona fetta delle committenze artistiche. I lavori comunque non mancano e gli studi anatomici di questo periodo si concentrano su una doppia finalità: artistica, al fine del disegno, e scientifica, riguardante studi sulle arterie, vene e vasi sanguigni utili alla flebotomia. In questo lasso di tempo, poco prima della partenza in direzione della Milano di Ludovico Moro, dipinge il San Gerolamo e, subito dopo l’arrivo alla corte sforzesca, La vergine delle rocce e la Donna dell’ermellino. In questi tre famosi dipinti (incompiuti) Leonardo si concentra sulla rappresentazione anatomica del corpo in movimento e più nello specifico sul caratteristico moto di torsione che impone a molti suoi soggetti. I rimandi simbolici inoltre sono fondamentali per capire l’analogia umana-zoologica. Il ritratto di Cecilia Gallerani è ricco di corrispondenze tra la giovane donna e, appunto, l’ermellino, come in un gioco fisiognomico: lo scatto nervoso della zampa e della mano, le linee curve dei profili, lo sguardo, tutto sembra legare i due soggetti. L’analogia non si placa alle sole relazioni esteriori, la scelta dell’ermellino, simbolo di purezza e soprattutto di moderazione, non deve essere casuale se accostata a Cecilia, amante di Ludovico Moro.

 

  1. Milano (1489 – 1499): crani

Presso la corte Sforzesca Leonardo ha modo di dedicare il suo tempo alla lettura di testi scientifici, nel campo dell’ottica e della prospettiva, e soprattutto in campo medico-anatomico. Risale al 2 aprile del 1489, inoltre, l’appunto del desiderio, da parte sua, di cominciare un libro intitolato De figura umana contemporaneamente all’avvio della commissione del progetto della statua equestre in onore del padre di Ludovico, Francesco Sforza. Oltre all’organizzazione di feste, spettacoli e scenografie ludiche, Leonardo riesce ad approfondire le sue conoscenze in campo architettonico, avendo occasione di incontrare un vero esperto in materia: l’ingegnere senese Francesco Di Giorgio Martini. Quest’ultimo aveva rielaborato e reso accessibile, in un suo trattato, il De architectura di Vitruvio, impossibile per Leonardo da fruire in quanto scritto in latino, e fu lui, probabilmente, a ispirargli l’idea della corrispondenza delle proporzioni tra corpo umano e struttura di un edificio, ben espressa nell’architettura classica e iconograficamente realizzata nel celebre uomo vitruviano iscritto in un a circonferenza e in un cerchio. Per esempio, le tre sezioni in cui si possono dividere un capitello di una colonna rimandano alle tre sezioni in cui il volto dell’uomo viene suddiviso. Tali considerazioni sono importanti per il fatto che Leonardo sta via via elaborando una concezione quantitativa del corpo umano, statico e misurabile sulla base di proporzioni numeriche, messa in diretta relazione con i suoi studi sulla ricerca dell’anima. Quest’ultima è infatti collocata in una posizione intracranica in base alla forma e alla misura delle cavità del massiccio frontale. La ricerca sulla posizione del senso comune rivela da un lato il debito che Leonardo possiede con certe teorie tradizionali di filosofia naturale riguardanti la sede dell’anima e dall’altro l’approccio verso una anatomia più essenzialista e funzionalista. La scolastica medica, infatti, studiava il corpo per capire la virtù dell’anima organica. Ma mentre secondo tale tradizione l’anima organica differisce dall’anima intellettiva, Leonardo ne ha in mente una sola che presiede a tutte le facoltà, da quelle vegetative a quelle intellettive e la sua posizione, come dimostra in un passo del Libro di Pittura, è messa in rapporto solo alle basi più solide, quelle ossee quindi, dello scheletro cranico:

Dico che le misure universali si debbono osservare nelle lunghezze delle figure, e non nelle grossezze […]. Adonque tu,imitatore di tal natura, guarda et atende alla varietà de’ lineamenti […] piglia adonque le misure delle gionture e le grossezze in che forte varia, variale ancora tu […][7].

 

È negli anni del primo soggiorno milanese che Leonardo compila la prima parte del suo trattato sulla pittura, ideato per colmare il vuoto fra la linea umanistica di Leon Battista Alberti, con il suo De pictura, e quella tradizione esclusivamente pratica e operativa delle botteghe artigianali. La prima parte, detta il Paragone, è caratterizzata da un confronto che l’artista compie fra la pittura e le altre arti, in special modo la scultura e la poesia. Questa diatriba però si può chiarire solo se inserita all’interno del contesto in cui Leonardo si trova a vivere: ovvero quell’ambiente milanese in cui la sua carriera stenta a decollare, superato dall’attività degli umanisti che giudicano l’opera poetica più longeva di quella artistica[8]. La risposta non si fa attendere e, sostenendo la superiorità della pittura, Leonardo esalta la sua particolare formazione culturale e la sua fonte primaria di conoscenza: la natura. A una conoscenza di tipo libresco, inoltre, prepone quella sottoposta al vaglio della “sperienza”. 

 

  1. Venezia, Firenze, Milano, Roma, Francia (1500 – 1519): cardiocentrismo

Il primo decennio del sedicesimo secolo per Leonardo si presenta molto movimentato. A causa della recente discesa in Italia di Carlo VIII è costretto a vagabondare attraverso varie corti della penisola settentrionale: Venezia, la Firenze retta da Pier Soderini e dal suo consigliere Machiavelli, come ingegnere militare al servizio del duca Valentino, al secolo Cesare Borgia, e di nuovo a Milano presso Charles d’Amboise, sono le tappe delle sue frenetiche peregrinazioni. Al suo fianco, quasi sempre, Luca Pacioli, matematico con il quale ha avviato una proficua collaborazione, e il Salaì, giovane apprendista. Nel frattempo Michelangelo, suo rivale e antagonista, comincia a Firenze la sua celere ascesa verso il successo.

Ma la novità sostanziale di questo periodo, al livello scientifico per lo meno, è il mutare di una concezione quantitativa e antropometrica del corpo umano in una più “fluida”, inserita in un contesto vitalistico dove il cuore e la Vita assumono un ruolo fondamentale: l’anima organica come principio di vita e il cuore come sua sede anatomica. A livello iconografico invece la novità più importante si rivela essere il mutato punto di vista della rappresentazione anatomica. Ora Leonardo punta dritto verso un disegno di tipo complessivo del corpo, non rivolto alle rappresentazioni isolate ed estrapolate dal contesto dei soggetti, ma attento alle relazione fra le parti: l’intento del maestro fiorentino ora è quello di evidenziare la complessità di un corpo umano dove tutto risulta essere collegato e in armonia. Leonardo scopre che il cuore è un muscolo e come tale è in grado di generare una forza: la vita si riduce quindi a una questione di forze. Inoltre dedica molto tempo allo studio della genesi delle passioni: quest’ultime infatti sono generate attraverso un meccanismo cardiocentrico, termodinamico e pneumatico. La passione non risulta essere niente altro che un movimento di sangue, “calor naturale” e “spiriti vitali” da o verso il cuore in seguito al riscaldamento (ira) o raffreddamento (paura) dello stesso.

Negli studi neuropsichiatrici di Leonardo viene privilegiata la posizione di Galeno secondo cui l’anima organica e l’origine del moto volontario sono collocati nel cervello, ma con un forte coinvolgimento anche del cuore. Le ripercussioni fisiognomiche di tale concezione si evidenziano negli studi compiuti sui peli e sui capelli. Questi ultimi, infatti, sono una diretta conseguenza dell’efficacia dell’anima organica e della funzionalità cardiaca: per esempio la presenza di capelli ispidi e forti sono l’inequivocabile segno di una forza vitale, a questo è collegato necessariamente la compresenza di una carattere coraggioso e di tutti i segni necessari per individuare la tipologia di individuo leonino. Ugualmente, i capelli lisci sono signa di timidezza e rimandano a un carattere simile a quello di una lepre.

Siamo nel 1508 e Leonardo ha bisogno di risistemare il molto materiale sciolto che ha elaborato fino a quel momento e fare mente locale sulla sua biblioteca; l’occasione la fornisce Piero di Braccio Martelli, amico dell’umanista Rucellai, a Firenze. Fondamentale in questo periodo è la consapevolezza, che si sta irrobustendo sempre di più, da un lato sull’importanza del disegno e del senso più legato a questa attività, la vista e di conseguenza l’occhio; dall’altro sul rifiuto netto nei confronti di una concezione che lega il microcosmo (uomo) al macrocosmo (universo) per quanto riguarda l’interpretazione dei fenomeni particolari[9].

In tutti questi anni passati nelle corti italiane ha anche accumulato molti volumi utili alle sue ricerche scientifiche, grazie anche all’aiuto di Luca Pacioli: volgarizzamenti di Filone da Bisanzio e degli Elementi di Euclide e il Liber phisionomiae di Michele Scoto sono solo alcuni esempi di fonti su cui i suoi studi si basavano.

Di questo periodo è inoltre molto importante il sodalizio che instaura con Francesco Melzi, suo allievo e figlio del patrizio e capitano della milizia milanese nominato dal re. Il giovane, con una buona predisposizione umanistica, si sarebbe occupato di cancelleria, dato che conosceva sia il greco sia il latino, ma avrebbe ricevuto anche l’incarico, a nome di Leonardo, della risistemazione architettonica dei navigli milanesi. È di questi anni (1510) l’idea del trattato di anatomia che sta prendendo forma nella mente di Leonardo. La sua marginalità nei confronti della tradizione galenica e ippocratica gli consente ardite intuizioni[10]: i dipinti della Gioconda e della Leda, infatti, sono tali sono se visti alla luce dei suoi interessi anatomici. Curiosità che lo hanno portato a compiere addirittura dissezioni su corpi femminili e a sfruttare le sue capacità nel campo del disegno per riprodurre tutti i particolari con una pluralità di punti di vista (anche otto) con sequenze quasi cinematografiche. Il progetto del trattato di anatomia doveva essere compiuto attraverso l’aiuto del Melzi, che si sarebbe concentrato sui testi, lasciando a Leonardo il compito delle raffigurazioni per mezzo dell’acquaforte, su lastre di metallo incise, e con l’assistenza del medico di Pavia Marcantonio della Torre. Progetto utile e lungimirante soprattutto alla luce del fatto che, dopo la morte di Leonardo, gli autori dei disegni non saranno le stesse persone impegnate a fare le dissezioni: con la netta separazione fra l’anatomista e l’artista.

Del successivo periodo romano invece si può sottolineare l’interesse che sviluppa nei confronti dell’embriologia (argomento comunque già affrontato in precedenza) con implicazioni sia pratiche sia filosofiche: il modo in cui il sangue entra in contatto con il feto all’interno della placenta o lo statuto vitale dell’embrione, per esempio. Il rischio di cadere su sconsigliabili posizioni materialistiche è sempre in agguato, anche con pericolose conseguenze giudiziarie, per chi come lui è già visto con sospetto poiché compie dissezioni anatomiche proibite dalla Chiesa.

Sulla relazione fra embriologia e fisiognomica è bene soffermarsi descrivendone la relazione sempre alla luce delle reciproche influenze anatomiche. L’anima infatti presiede alle funzioni del corpo e ne è anche l’artefice. Fondamentale da questo punto di vista è il concetto di compositio, inteso come sinonimo di fabrica[11], cui Leonardo fa continuo riferimento, associato alla figura umana come prodotto dell’azione formatrice dell’anima organica. Esiste quindi uno stretto rapporto fra la figura del corpo e la forma dell’anima.

 

  1. Due casi particolari: Ethos e pathos nel Cenacolo e l’analogia zoologica nella Battaglia di Anghiari

 

In due casi Leonardo applica i suoi studi in campo fisiognomico su due dipinti molto famosi, mettendo in questo modo in risalto la relazione fra aspetto somatico e “accidenti” o “moti mentali”: Il Cenacolo e La Battaglia di Anghiari.

Partendo quindi dalla descrizione del carattere permanente, l’ethos, si può giungere alla rappresentazione artistica dell’emozione momentanea, il pathos. Nel primo dipinto i dodici apostoli sono descritti attraverso la scelta di “tipi” psico-somatici sulla base della tradizione anatomo-fisiognomica agiografica, ciascuno differenziato dalla reazione mimica ed emotiva istantanea in base al carattere particolare nel momento in cui Cristo dichiara a tutti il sospetto del tradimento.

Ipotizzando un rapporto invariabile fra anima e corpo, ogni apostolo reagisce con un misto di meraviglia, incredulità e paura, adattando i propri lineamenti del viso all’inclinazione personale. Per fare questo Leonardo ha compiuto uno studio teorico della qualità e natura di un individuo (studio del “tipo” quindi), ha verificato nel reale questo “tipo” e infine è giunto alla composizione artistica[12].

Ogni apostolo ha un carattere diverso e quindi necessariamente un aspetto diverso. Alla sinistra di Cristo, per esempio, sono seduti Giovanni e Pietro, rappresentati attraverso i caratteri che li contraddistinguono: rispettivamente il mansueto, simbolo di vita contemplativa, e l’iracondo, simbolo di vita attiva. Le loro reazioni sono adeguate all’inclinazione individuale.

Nella Battaglia di Anghiari (1503-‘06), invece, l’analogia zoologica è rappresentata seguendo la linea di continuità della tradizione pliniana, ovvero attraverso il confronto uomo-animale di tipo caratteriologico-comportamentale. Dal manoscritto H si evince che per Leonardo l’analogia umana-zoologica riguarda solamente i “mores”: in questo caso il ruolo della fisiognomica serve a rendere evidente l’animalità dell’uomo che è espressa attraverso la rappresentazione scenica della battaglia e della guerra, considerata come una “pazzia bestialissima[13].

La trasfigurazione del condottiero più a sinistra, che risulta essere quasi il prolungamento del corpo del cavallo che lo sella, è espressione del fatto che le passioni sono fattori di continuità tra l’uomo e la bestia e solo la sapienza e l’autocontrollo morale vincono l’inclinazione naturale, come aveva già teorizzato Ruggero Bacone nel suo commento al Secretum secretorum[14].

 


[1] D. Laurenza, De figura umana: fisiognomica, anatomia e arte in Leonardo, Firenze, L. Olschki, 2001.

[2] Leonardo da Vinci, Libro di Pittura, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, 2 voll., Firenze, Giunti, 1995, § 292.

[3] Ibid., § 19.

[4] Ibid., § 10.

[5] Tutte le precisazioni sono trascritte sul manoscritto W, conservato alla Royal Library del Windsor Castle, rispettivamente in W. 19037v, W. 19061r e W. 19018r.

[6] Disegno numero 12276v del codice Windsor (1478 c.).

[7] Leonardo da Vinci, op. cit., § 270.

[8] Cfr. C. Vecce, Leonardo, Editrice Salerno, Roma 1998.

[9] Cfr. ibid.

[10] Cfr. ibid.

[11] Termine metaforico che va ricondotto all’opera biologica di Aristotele e Galeno, ma utilizzato soprattutto dall’anatomista Andrea Vesalio nel De humani corporis fabrica (1543), opera che rivoluziona l’approccio scientifico alla medicina.

[12] Cfr. D. Laurenza, op. cit.

[13] Leonardo da Vinci, op. cit., § 177.

[14] Cfr. D. Laurenza, op. cit.

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