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Slavoj Zizek – Organs without Bodies. On Deleuze and Consequences [Routledge, New York 2004, pp. 272, € 26,16]


Al cospetto della figura di Gilles Deleuze che, nel bene e nel male, ha influenzato per decenni la filosofia, il maggior pregio di Organs without Bodies sta probabilmente nella capacità di trovare argomenti per una via mediana, che non esalti il filosofo né tenda a ignorarlo, e costruisca una solida critica all’ontologia deleuziana.

È per certi versi curioso che essa arrivi dalla psicoanalisi, di cui il filosofo fu il più aspro oppositore, anche se non si è mai riflettuto a fondo su un paradosso sottostante il suo lavoro creativo: Deleuze contesta la psicoanalisi partendo dai suoi stessi mezzi (Lacan, Fromm, ma soprattutto Reich).  E così Slavoj Zizek, autore lacaniano ben noto anche al pubblico italiano, mette in luce almeno tre punti, che si discuteranno brevemente, e che sembrano molto innovativi.

Punto primo, il fenomenismo. La filosofia di Deleuze nel suo rapporto con la scienza ha funzionato esattamente alla rovescia di quel che predicava, laddove Deleuze diceva che il compito del filosofo era quello di “far emergere le domande” cui la scienza avrebbe dovuto rispondere. Ciò che è invece avvenuto è che tutte le ipotesi materialistiche (da Deleuze in su), conservano questo pregiudizio “antiessenzialista” di carattere, si direbbe, deleuziano-heideggeriano. Esso ha origine nella fondamentale ambiguità dell’ontologia di Deleuze. Il fallo, la quasi-causa cui si rifà Deleuze nella sua teoria, continuerebbe a svanire in un tempo proprio della superficie (Aion), sulla quale si disporrebbero gli oggetti parziali. Questo falso movimento – che poi non è altro che lo slancio vitale descritto da Bergson – ha in realtà una doppia natura: quella dell’organo parziale che produce il flusso vitale, e del fallo che si dà alla Vorstellung. Ed è su quest’equivoco, su tale aporia che, secondo Zizek, si basa la filosofia di Deleuze. Per Deleuze produzione e rappresentazione si identificherebbero, cosa che non si può asserire se si considera che, sebbene siano originati entrambi dallo slancio vitale, il flusso non agisce come rappresentazione e, nel momento in cui è divenuto rappresentazione, non agisce come flusso. L’ontologia di Deleuze prescinde dall’emergeredi relazioni fra gli oggetti parziali, dando pure per scontata la loro emergenza: essi sono dei monstra, che devono tendere con il loro infinito movimento al corpo senza organi. Pure intendendo la filosofia di Deleuze come una forma di costruttivismo, che racconta di una “tensione” verso la riduzione, rimarrebbe il pericolo latente di un empiriocriticismo, per il quale sarebbe possibile definire la rappresentazione di un oggetto a partire dal suo movimento, dal suo essere grumo di senso, e viceversa. Ecco che la ricerca del corpo senza organi produce una massa di organi senza corpo, o meglio ancora di organi “assenti” al loro corpo, il cui agire non può essere definito dal movimento che li ha prodotti. In Deleuze si ripresenta in questo modo l’opposizione latente fra materialismo e idealismo.

Il secondo punto, Hegel e il negativo, brilla in quanto riflessione sulla storia del pensiero, e riguarda l’approccio a quello che per Deleuze è un autore tabù: Hegel. L’arditezza del raffronto parte dall’idea del rapporto improprio che il filosofo francese avrebbe con Hegel, il cui sistema sarebbe visto come un tentativo di superare i limiti imposti dalla riflessione kantiana sul trascendentale. Hegel non rappresenta un semplice tentativo di dare delle risposte alla problematicità trascendentale, che per suo statuto sarebbe dovuta rimanere tale, rappresenta piuttosto un tentativo di utilizzare i limiti stessi del trascendentale “già dati” come risposta a essi. Il limite assoluto, “la cosa”, è al centro di entrambi i movimenti ontologici teorizzati. L’automovimento hegeliano esprimerebbe dunque il rapporto con il fallo dal punto di vista del Master, il falso-moviemento deleuziano è piuttosto un tentativo di vedere la “cosa” dal punto di vista del suo slancio ontologico. Entrambi i filosofi condividerebbero dunque questo rapporto conflittuale tra epistemologia e ontologia, creando sistemi di pensiero fondati sull’impossibilità di avvicinare queste due sfere. La dialettica hegeliana è strutturata sulla necessità della costante relazione con il significante nel momento in cui l’ontologia perviene a un’epistemologia (la differenza tra ciò che una cosa è e cosa noi sappiamo essere), così come l’aporia deleuziana porterebbe il filosofo a evitare il negativo pensando di poter ricondurre il valore epistemologico dell’Immaginario (vero motore del negativo in Hegel) alla sua quasi-causalità (per Deleuze fare filosofia significa “inventer des façons de percevoir).

Terzo punto, l’autopoiesi e l’idealismo. Se poniamo il “problema Deleuze” in quest’ottica strutturale, possiamo comprendere molte delle aporie cui sono pervenute alcune filosofie di ispirazione scientifico-materialistica influenzate anche da Deleuze. Difatti la posizione “fenomenologica” classica, che sfrutta il cognitivismo, basa la sua teoria sul concetto di “emergenza”, ovvero la definizione del soggetto sulla semplice base delle sue relazioni organiche. Zizek cita Francisco Varela: «My sense of self exists because it gives me an interface with the world (…) An emergent property, which is produced by an underlying network, is a coherent condition that allows in which it exists to interface at that level (…) Life is in the configuration and in the dynamical pattern which embodies it as an emergent property» (p. 117). Se è persino ovvio che la biologia definisca la nozione di soggetto come un qualcosa che emerge da delle relazioni organiche, l’affermazione “il soggetto non esiste” andrebbe, tuttavia, presa con cautela. Si potrebbe in effetti rovesciare il rapporto fra il soggetto e il suo organismo. Il problema dell’emergenza non attiene all’ontologia del soggetto, ma alla sua epistemologia. Il soggetto per Varela esiste proprio in quanto insieme di relazioni, come una mera proprietà dell’organismo che si colloca “sulla superficie” di esso. In effetti la nozione di “emergenza” è proprio ciò che l’ontologia deleuziana non tiene in considerazione: il soggetto è dunque una proprietà che pone le condizioni di esistenza stessa del soggetto dopo la sua genesi, e nondimeno la fonda. L’interfaccia di un organismo è il fine dell’organismo stesso e dà a esso un senso a posteriori. La prospettiva materialistica in questo caso diverge da Deleuze a livello strutturale: ciò che conta è ciò che emerge oltre il senso, anche se ciò non potrebbe avvenire senza il suo falso movimento. Lungi dall’opporsi all’idealismo, dunque, il materialismo filosofico ne sarebbe una coerente prosecuzione, lo slancio vitale non è semplicemente il movimento di un flusso, ma un atto puro: l’atto che pone con se stesso il senso delle proprie cause a posteriori. In tale prospettiva sembra restaurata la relazione fra significante e significato, fra ontologia ed epistemologia. Non deve spaventare se il cognitivismo in tale interpretazione è quasi assimilato a un processo di “castrazione simbolica” in termini lacaniani, né tanto meno se il processo di emergenza ricorda in questa luce le prime pagine della Fenomenologia dello Spirito; esso appare semplicemente il ponte coerente fra natura e soggettività: in questa concezione c’è perfetta continuità fra il segno e l’organismo.

Luca Marangolo

06_2009

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