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Gianvito Martino – In crisi d’identità. Contro natura o contro la natura? [Mondadori, Milano 2014, pp. 174, € 16]


Nel mondo complesso del XXI secolo, il concetto di identità è spesso utilizzato come strumento per la contestazione o rivendicazione di specifici diritti umani.Spesso, tali rivendicazioni o contestazioni si basano su una idea di ciò che è naturale prive di qualsiasi fondamento biologico e scientifico.Sulla base del concetto di natura, ad esempio, si contestano i diritti degli omosessuali a costruirsi una famiglia legalmente riconosciuta (la quale sarebbe contro natura).Ma la natura stessa, se consideriamo la messe di dati forniti da biologia e citologia, presenta una varietà di situazioni e possibilità, da rendere molto problematica una distinzione netta tra maschio e femmina, e, parimenti, un appaiamento preciso tra identità di genere e identità sessuale.Di fatto, se da un lato è possibile individuare, a partire dai caratteri sessuali primari (cellule germinali e apparato riproduttore) una distinzione di fondo tra maschio e femmina (ma anche qui abbiamo una varietà di situazioni ragguardevole), dall’altro l’identità di genere presenta una quantità di sfumature impressionante.Il testo di Gianvito Martino vuole essere una proposta di esplorazione in questa direzione.Un lavoro sul concetto di identità che parte dai dati provenienti dai vari ambiti delle scienze della vita.«È propria dell’evoluzione degli organismi, da unicellulari a multicellulari, la divisione di compiti tra cellule somatiche e cellule germinali ed è qui che risiede il confine tra identità cellulare e identità di genere. Con la deriva in senso germinale delle cellule somatiche, quindi con la comparsa, all’interno delle cellule germinali, prima nelle piante a polline e poi negli animali, di due cellule distinte morfologicamente e funzionalmente (la cellula uovo e lo spermatozoo) si fonda l’identità di genere» (p. 69).La presenza di cellule sessuali di piccola dimensione (gli spermatozoi) ci consente di parlare, da un punto di vista biologico, di “maschio”. Ci sono anche altri tratti, come la presenza del cromosoma X e Y, che consentono di tracciare distinzioni in questo senso.Se, però, cominciamo ad approfondire la questione ci rendiamo conto che, in natura, l’identità sessuale è più problematica di quello che sembra.L’identità non può essere, di fatto, qualcosa di rigido.L’ampio margine di oscillazione dell’identità sessuale trova il suo fondamento (già) nella natura plastica delle cellule (come testimonia l’ambito della staminologia).Infatti, esempio eclatante in tal senso è quello delle iPSC (cellule staminali pluripotenti indotte) di Yamanaka.«Nel 2006, Shinya Yamanaka rese noti i primi positivi tentativi, compiuti attraverso l’utilizzo di strumenti di ingegneria genetica, di trasformare (ringiovanire) cellule adulte somatiche già differenziate in cellule della pelle in cellule staminali embrionali, che lui ha chiamata cellule staminali indotte pluripotenti» (p. 49).O, ancora, quello della riprogrammazione in vivo di cellule murine, laddove «cellule esocrine del pancreas sono state convertite in cellule endocrine in grado, a loro volta, di produrre cellule beta pancreatiche secernenti insulina perfettamente funzionanti» (p. 57).Oltre a questo va ricordato che, unitamente al genotipo, riveste un ruolo di primo piano, il fenotipo. Questo è uno dei motivi per cui, alla genetica va affiancata l’epigenetica, per un tentativo di inquadramento plausibile dell’essere umano (pp. 22-25).Nel passare dalla citologia alla biologia della riproduzione, si possono scorgere altrettanti elementi peculiari, in grado di porre l’accento sull’ampia variabilità, presente in natura, nelle soluzioni riproduttive.Ad esempio, si possono esaminare quei casi in cui il sesso non è necessario alla riproduzione (fissione binaria e gemmazione).Inoltre, l’analisi di organismi come alcune specie di funghi o altri animali testimoniano che la «multisessualità è naturale» (p. 70) e i dimorfismi sessuali molto diffusi.Ancora, è possibile scorgere la molteplicità di fattori che sta dietro l’identità di genere. Ad esempio, il ruolo degli ormoni (p. 106).Anche nella determinazione del concetto di specie si presentano molteplici problemi.L’identità di specie è assai labile e c’è tuttora un aspro dibattito in corso in merito all’individuazione di criteri condivisibili.La Stanford Encyclopedia of philosophy sostiene che, a prima vista, la domanda “che cos’è la specie”? sia semplice e immediata: homo sapiens è una specie, il canis familiaris è una specie. Ma la risposta non è esaustiva, in quanto non definisce la specie e non ne chiarisce la sostanza.Sul concetto di specie esiste una disputa di ordine metodologico e filosofico.La definizione più utilizzata è quella di Ernst Mayr per il quale le specie sono «gruppi di popolazioni che si sono incrociate tra loro, che sono isolate dal punto di vista riproduttivo da altri gruppi, e sono in grado di dare prole fertile» (p. 126).Questa definizione, però, presenta una serie di problemi rilevanti, in quanto, ad esempio, lascia fuori quegli animali che, seppure fisiologicamente e fisicamente in grado di accoppiarsi, non lo fanno.«Se c’è poca chiarezza rispetto alla definizione del termine specie, restano dubbi anche sull’uso che operativamente, se ne può fare nel momento in cui si tratta di affermare quali organismi appartengano a una particolare specie […] In microbiologia, poi, la definizione di specie assume un significato diverso rispetto a quello generale, e alcune forme vegetali, pur presentando evidenti diversità, tali da non permettere l’inclusione della medesima specie, riescono a incrociarsi originando ibridi illimitatamente fertili» (p. 127).Se consideriamo le numerose difficoltà, legate alla definizione del concetto di specie, e al suo uso operativo, questo viene ad assumere un valore più classificatorio che biologico (p. 134).«Si tratta, dunque, in pieno del tema dell’incertezza dell’identità. Tema che si percepisce chiaramente quando si analizzano nel dettaglio le compenetrazioni simbiotiche tra organismi di specie diverse» (p. 136).Come si può rilevare con il caso delle orchidee, queste ultime subiscono delle modificazioni radicali a seconda dell’habitat e delle variazioni climatiche.«Li Yuan e colleghi, dell’Accademia delle Scienze Cinese, hanno identificato sei specie di orchidee provenienti dalle regioni a Sud Ovest della Cina, che cambiando il partner mutano di specie. Questi fiori cambiano specie per poter crescere in habitat diversi da quelli di appartenenza» (p. 135).«Abbiamo stabilito con altrettanta chiarezza che la tassonomia, anche se rigida permette a un organismo di passare da una specie a un’altra. L’orchidea lo fa cambiando partner e ambiente […]. La natura degli organismi viventi è mutevole e la capacità di cambiare identità è la conseguenza della semplice necessità di sopravvivere in ambienti mutevoli […]. In natura i cambi di specie sono connaturati e si sono susseguiti freneticamente nel tempo, a tal punto da aver messo in crisi il sistema stesso di classificazione delle specie e il concetto di specie in sé» (p. 137).L’estrema flessibilità che caratterizza gli esseri viventi (quanto alla loro appartenenza a una specie o un’altra) può essere riscontrata anche nell’ambito della biologia sintetica. Di fatto, gli esperimenti di Craig Venter hanno messo in luce come organismi viventi (nel caso specifico batteri) possono essere manipolati, in modo più o meno radicale. La manipolabilità, però, non deve essere vista come un artificio che si può ottenere solo attraverso un radicale sovvertimento dell’ordine naturale. Essa è, piuttosto, possibile proprio perché gli esseri viventi sono già, per natura, estremamente cangianti, mutevoli.Altro ambito in cui emerge con evidenza la natura plastica degli organismi viventi e delle cellule (che li costituiscono), è quello della biologia delle cellule staminali. Come detto in precedenza, il lavoro di Yamanaka ha messo in luce la possibilità di ricondurre una cellula somatica a uno stadio di pluripotenza (indotto). Tale proprietà è da ascrivere alla natura plastica delle cellule.«Se è possibile manipolare radicalmente le cellule (fino a raggiungere i risultati di Yamanaka) è perché esse sono intrinsecamente manipolabili, intimamente pronte a essere reindirizzate verso un alto destino. È nel loro DNA cambiare faccia, direzione, attitudine, caratteristiche, capacità, in base all’ambiente in cui si vengono a trovare» (p. 144).Come emerge dal testo di Martino, se concentriamo l’attenzione sulle cellule germinali (cellule sessuali) «viene spontaneo pensare all’identità di genere, che in biologia viene identificata con l’identità sessuale, maschio o femmina. Abbiamo visto che anche in questo caso l’identità è messa in discussione non solo dagli esperimenti fatti in laboratorio ma dalla natura stessa, dagli esperimenti che la natura stessa si occupa di portare al termine da quando la vita è comparsa sul nostro pianeta. Un’identità cangiante, che muta in base alla necessità di sopravvivenza dell’organismo, che può trovarsi in condizioni in cui gli è più utile trasformarsi da maschio in femmina, o viceversa. Anche in questo caso, se possiamo cambiare identità di genere a un topo in laboratorio, è perché la natura stessa lo prevede. Noi ci limitiamo a percorrere una strada che la natura stessa ha tracciato» (pp. 144-145).Pertanto, «additare come contro natura certi comportamenti che risultano del tutto naturali, significa semplicemente ignorare la realtà delle cose ed essere deliberatamente, in modo più ideologico che fattuale contro natura» (p. 146).Al fine di evitare scivolamenti inopportuni verso le ideologie della natura (che, per quanto detto, sono, invece, ideologie contro la natura) si dovrebbe, forse, sostituire al concetto di identità, quello di plasticità (p. 147).Certo, il testo di Martino, che ha il pregio di collazionare, in modo organico e coerente, una serie di dati provenienti da vari ambiti della biologia e della citologia, non compie il passo decisivo verso una strutturata teoria dell’identità. Quest’ultima, pur poggiando le sue basi sui dati biologici, dovrebbe, poi, procedere a tracciare, in maniera complessiva le coordinate concettuali per inquadrare fenomeni complessi (quali possono essere, ad esempio, le attuali rivendicazioni del mondo Lgbt).Partire dalla biologia è fondamentale, ma bisogna ricordare che 1) il passaggio dalla descrizione alla norma morale non è immediatamente evidente e bisogna lavorare capillarmente sui concetti al fine di tracciare, in maniera coerente, un raccordo, tra questi due distinti domini; 2) le conoscenze scientifiche sono dirimenti, ma vanno approcciate in modo critico da parte della riflessione filosofica, al fine di evitare ridondanti apologie della scienza.Lo scopo del testo di Martino, non è, però, quello di delineare una teoria dell’identità che si giovi di un complesso approfondimento filosofico né quello di tracciare i lineamenti di una teoria morale normativa.Al contrario, è compito della filosofia partire dai dati che biologia e citologia (ivi comprese le nuove branche della biologia riproduttiva e sintetica) forniscono, per tracciare una nuova cartografia dell’umano, in grado (anche) di fungere da orientamento per la costruzione di una coerente teoria morale.Un testo, quello di Martino, del quale servirsi, come utile strumento, per avere una panoramica (ragionata) intorno alle varie forme, cangianti e difficilmente rinchiudibili in facili etichette, che gli organismi viventi mostrano. Un testo dal quale partire, che non struttura, però, la parte più rilevante della questione, che resta, probabilmente, ancora tutta da scrivere.

Luca Lo Sapio

S&F_n. 12_2014

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