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Quel che resta della psicanalisi. Una lettura merleau-pontiana di Freud

Autore


Alessandra Scotti

Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Freud filosofo del sospetto
  2. Pansessualismo
  3. L’inconscio e la carne

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S&F_n. 14_2015

Abstract



This paper investigates Maurice Merleau-Ponty’s interest about Freud’s philosophical works. It invokes the Freud’s recognition as “Master of the School of suspicion”, a famous definition made by Paul Ricœur. According to Ricœur, Freud’s theories take place within the philosophical stream that looks at “constituted cogito” with deep mistrust. Through the analysis of “Phenomenology of Perception” we can observe the accusation of “pansexuality” moved by Merleau-Ponty. However, as Merleau-Ponty’s philosophy develops and his view changes from “existential” to “ontological”, the relation between Freud and Merleau-Ponty changes accordingly, until the acknowledgment of the unconscious as a prediction of the “chair”.

Quando i nostri relativisti dichiarano che solo le metafore esistono, non si rendono conto di quanto abbiano ragione: sottovalutano il potere di certe metafore di divenire spaventosamente reali.

René Girard, Il risentimento

 

  1. Freud filosofo del sospetto

Il filosofo contemporaneo incontra Freud nello stesso campo di interessi di Nietzsche e Marx; tutt’e tre stanno davanti a lui come i protagonisti del sospetto, i penetratori degli infingimenti. Nasce con loro un problema nuovo, quello della menzogna della coscienza e della coscienza come menzogna [...]. Un filosofo può andare tra gli psichiatri e gli psicanalisti soltanto in questa atmosfera di sospetto sulla pretesa che la coscienza avanza nel concepirsi come inizio[1].

 

Con queste parole, Ricœur, indicava Freud, Marx e Nietzsche come i “maestri del sospetto”, un’espressione iconoclasta e pervasiva che ha, in un certo senso, fatto da apripista alle possibili contaminazioni fra filosofie in apparenza così diverse, ma che nel loro andamento filosofico mantenevano e alimentavano, al contempo, una sorta di diffidenza nei confronti del cogito costituito. Se c’è un esito nella storia della filosofia novecentesca, esso è da ritrovarsi nella messa in discussione della soggettività moderna, nella frammentazione dell’ego cogito ergo sum, nel ridimensionamento di quell’arroganza della coscienza che pensa se stessa come una creatio ex nihilo. La filosofia si scopre così sua stessa archeologia, interrogazione ininterrotta sui propri limiti e sulle sue possibilità, sulla direzione del suo sguardo. Merleau-Ponty non visse abbastanza a lungo per assistere allo sviluppo dell’ermeneutica demistificatrice di Ricœur, ciò nonostante possiamo affermare che l’interesse che provò verso la psicanalisi freudiana s’inserisce a pieno titolo in questo scardinamento del soggettivismo, che predilige l’opacità alla trasparenza del cogito.

 

  1. Pansessualismo

Nel capitolo Il corpo come essere sessuato della prima parte di Fenomenologia della percezione, Merleau-Ponty si confronta con le teorie freudiane. L’intento è sempre il medesimo: riscoprire la funzione primordiale attraverso la quale si dà per noi un mondo con i suoi significanti, al fine di descrivere il corpo come il luogo di quest’appropriazione. Tale slittamento da un piano epistemologico a uno affettivo è straordinariamente funzionale: se infatti ci si rivolge allo spazio o alla cosa percepita non è facile riscoprire il rapporto fra il soggetto incarnato e il suo mondo – perché tale rapporto si trasforma quasi automaticamente in puro commercio fra il soggetto epistemologico e l’oggetto – , quando invece scivoliamo su di un piano che non ha senso e realtà se non per noi – come il nostro ambiente affettivo – diviene più facile mettere in evidenza la genesi dell’essere per noi. Comprendere quindi come un oggetto o un essere divenga d’elezione oggetto desiderato e/o amato, è propedeutico alla comprensione di come gli esseri possano esistere in generale. Naturalmente, per fare ciò, v’è bisogno che l’affettività sia riconosciuta come un «modo originale di coscienza»[2]. Il contesto al quale si riferisce Merleau-Ponty è quello della fisiologia meccanicistica di metà Ottocento, che concepisce l’affettività come un insieme di stati di piacere o dolore, semplici rappresentazioni che traspongono gli stimoli naturali di piacere e dolore, per l’appunto, secondo le leggi associazionistiche o del riflesso incondizionato. Se questa concezione fosse giusta, ogni deficienza della sessualità dovrebbe ricondursi alla perdita di ogni rappresentazione. Per dare riprova di come tale lettura dell’universo affettivo sia semplicistica e poco veritiera, Merleau-Ponty esamina il “caso Schneider” riportato da Steinfeld. Il protagonista del caso clinico è un reduce di guerra rimasto ferito da una scheggia di granata nella regione occipitale del cervello, che riporta massicce deficienze visive e linguistiche. Incapace di comprendere analogie semplici, come «il pelo è per il gatto ciò che le penne sono per l’uccello» o «la luce è per la lampada ciò che il calore è per la padella»[3], senza compiere prima un’accurata analisi concettuale; Schneider manifestava altresì una certa inettitudine per l’intendimento del linguaggio altrui, le cui «parole erano segni che andavano decifrati uno ad uno, anziché essere come nel soggetto normale, l’involucro trasparente di un senso nel quale egli avrebbe potuto vivere»[4]. Non che si potesse dire propriamente un deficit intellettivo il suo, ma era come se mostrasse una costante e ineluttabile incapacità ad aderire spontaneamente a un mondo, non si trattava né di un difetto dei sensi né dell’intelletto, piuttosto di una inadeguatezza a cogliere il senso complessivo di una situazione, non solo una situazione linguistica o visiva ma anche una situazione amorosa o desiderativa. Schneider, infatti, è un uomo i cui impulsi sessuali sono assai affievoliti:

le immagini oscene, le conversazioni su soggetti sessuali, la percezione di un corpo non fanno nascere in lui alcun desiderio. Egli non bacia quasi mai, e per lui il bacio non ha valore di stimolazione sessuale [...]. Se i preliminari sono interrotti, il ciclo sessuale non cerca di proseguire[5].

 

Come spigare l’atarassia erotica di Schneider? Come una deficienza generale della rappresentazione o forse come un indebolimento dei normali riflessi sessuali o degli stati di piacere? In Schneider sembra alterata la struttura stessa della percezione o dell’esperienza erotica, ciò che è scomparso è la capacità di proiettare di fronte a sé un mondo sessuale, di abitarlo, di dargli seguito. In tal senso, se egli percepisce freddamente qualsiasi percezione erotica è, prima di tutto, perché non la vive: le rappresentazioni difettive non sono cause ma effetti. L’intenzionalità erotica è un’intenzionalità tutta particolare che non esaurisce affatto il suo senso nella formula “coscienza di qualche cosa”. «La percezione erotica è quanto di più lontano vi sia da una cogitatio che intenziona un cogitatum»[6]. In altre parole c’è un’apprensione erotica che non appartiene all’intelletto, giacché se «l’intelletto comprende appercependo un’esperienza sotto un’idea»[7], il desiderio comprende alla cieca, spasmodicamente, collegando un corpo a un corpo o addirittura secondo una struttura infinitamente moltiplicabile. Ecco perché la vita sessuale si manifesta come un’intenzionalità originale e, al tempo stesso, la radice vitale della percezione, della motilità e della rappresentazione. Evidentemente il retroscena su cui si muove Merleau-Ponty è tutto psicanalitico. Ciò che il fenomenologo ammira di più nella psicanalisi freudiana è il tentativo di ritrovare nella sessualità le relazioni e gli atteggiamenti che prima erano scambiati per relazioni e atteggiamenti di coscienza. «Il significato della psicanalisi – scrive in Fenomenologia – non consiste tanto nel rendere biologica la psicologia, quanto nello scoprire in funzioni ritenute “puramente corporee” un movimento dialettico e nel reintegrare la sessualità all’essere umano»[8]. Anche la psicanalisi freudiana segue, per così dire, un metodo fenomenologico, affermando che ogni atto umano ha un senso e cercando ovunque di comprendere l’avvenimento nella sua globalità anziché collegarlo a condizioni meccaniche. Anche per Freud il sessuale non corrisponde perfettamente al genitale e la vita sessuale non è epifenomeno dei processi di cui gli organi sessuali sono la sede. Tuttavia, se da una parte la psicanalisi insiste sull’infrastruttura sessuale della vita, dall’altra carica talmente tanto la nozione di sessualità da integrarvi tutta l’esistenza. Per brutalizzare: tutto è sesso, tutto è complesso Edipico o invidia del pene. È l’accusa di pansessualismo che Merleau-Ponty segretamente muove a Freud. Così, quando Merleau-Ponty generalizza la nozione di sessualità non vuole dire né che tutta l’esistenza ha un significato sessuale, né che ogni fenomeno sessuale ha un significato esistenziale. Non bisogna sommergere la sessualità nell’esistenza come se ne fosse soltanto una risultante. Se non è ammissibile l’appiattimento dell’esistenziale sul sessuale, ciò che resta da comprendere è perché le psicopatologie legate alla sfera sessuale rappresentano come una lente d’ingrandimento delle deformazioni della struttura percettiva, vale a dire perché la sessualità non soltanto è un segno ma, spesso, anche un segno privilegiato. Schneider non ha delle disfunzioni erotiche, ma “perde” il mondo dell’eros, come si perde un oggetto o un ricordo, e la psicanalisi insegna che il ricordo perduto non è perduto per caso. La dimenticanza è anch’essa un atto, un tenere a distanza. Semplicemente tutto ciò che ha connotazione erotica manca d’esistenza per Schneider, viene messo fuori circuito come privo di significato. Il rapporto che Merleau-Ponty istituisce fra esistenza e sessualità e/o corporalità è del tutto analogo a quello ravvisato tra il segno e il significato. «Se dunque diciamo che in ogni momento il corpo esprime l’esistenza, lo diciamo nel senso in cui la parola esprime il pensiero»[9]. Come in un’operazione primordiale di significazione in cui l’espresso non esiste indipendentemente dall’espressione e in cui il senso abita i segni. Così inteso, tale rapporto non può dirsi a senso unico: né il corpo né l’esistenza possono essere considerati come l’elemento originale dell’essere umano, giacché entrambi si presuppongono vicendevolmente; il corpo è l’esistenza cristallizzata e l’esistenza una incarnazione perpetua.

Quando si dice che la sessualità ha un significato esistenziale o che esprime l’esistenza, ciò non va inteso come se in definitiva il dramma sessuale fosse solo una manifestazione o un sintomo di un dramma esistenziale. Il medesimo motivo che impedisce di “ridurre” l’esistenza al corpo o alla sessualità, impedisce anche di “ridurre” la sessualità all’esistenza[10].

 

L’esistenza non è un ordine di fatti quanto piuttosto la loro trama comune. In definitiva, per Merleau-Ponty, le circostanze riconducibili ai drammi sessuali dipendono più che altro dalla struttura metafisica del corpo, oggetto per l’altro e al tempo stesso soggetto per me.

 

  1. L’inconscio e la carne

Con la cosiddetta “svolta ontologica” l’interesse merleau-pontiano per la psicanalisi si colora di nuove fascinazioni. In La filosofia oggi – corso del 1958-59 – Merleau-Ponty individua la psicanalisi come uno di quei sintomi culturali – assieme alla pittura, alla musica e alla letteratura – che, alimentato da uno stato di crisi generale della filosofia, ne consentirebbe altresì una possibilità di rinascita. Come negli altri “sintomi culturali”, anche nella psicoanalisi viene ravvisato un senso ambivalente, su cui le pagine a essa dedicate più volte ritornano: «c’è una psicoanalisi sintomo di decadenza, che ponga inconscio separato o che gli opponga controllo cosciente; c’è una psicoanalisi che, in occasione di disintegrazione, ritrova unità più profonda: Pensiero inconscio come non convenzionale, io come profondamente imparentato»[11]. Così chiarisce tale ambivalenza la prima di queste pagine: la psicoanalisi, rispettivamente, «è (1) se viene intesa come spiegazione positivistica mediante il sessuale o all’opposto mediante l’io. Essa è (2) se si comprende che il “sessuale” su cui tutto poggia non è il genitale – che tutto poggia su di esso perché il desiderio umano è tutt’altra cosa che funzione automatica»[12]. Insomma la psicanalisi, proprio in virtù dell’ambivalenza notata, schiuderebbe quella nuova ontologia all’esercizio della quale Merleau-Ponty aveva votato gli ultimi anni della sua produzione filosofica. E ciò che è interessante notare è che tale nuova considerazione della psicanalisi si situa in continuità con le critiche che gli aveva rivolto in passato, in special modo con l’interpretazione del “pansessualismo” freudiano:

la vera (+ comprensione) formulazione non è tutto è sessuale, ma non c’è niente che non sia sessuale, niente è asessuato, il superamento del genitale non è distinzione o cesura assoluta → carattere ontologico della sessualità, cioè essa è contributo maggiore a nostro rapporto con l’essere[13].

 

Così intesa la psicanalisi abbozza una filosofia. Ed è alla “Filosofia del Freudismo” che Merleau-Ponty dedica una delle sue note di lavoro de Il visibile e l’invisibile, affermando che si tratta di «fare non una psicoanalisi esistenziale, ma una psicoanalisi ontologica»[14].

I precedenti elementi di critica incontrano qui uno sviluppo nuovo, favorito dal passaggio da una prospettiva esistenziale, tipica di Fenomenologia della percezione, a una ontologica, radicata negli ultimi scritti merleau-pontiani. A guidare quest’interpretazione della psicanalisi è il dispiegamento della nozione di “corpo proprio” in quello di “carne”, utilizzata da Merleau-Ponty per designare la comune stoffa ontologica che intesse il nostro corpo, l’altrui e le cose del mondo, inglobandoli in un orizzonte di co-naissance in cui soggetto e oggetto non sono ancora costituiti. E ogni corpo, e ogni cosa non si danno se non come differenza rispetto agli altri. La nota di lavoro de Il Visibile e l’invisibile qui esaminata indica che «allora la filosofia di Freud non è filosofia del corpo, ma della carne»[15], intendendo quest’ultima appunto quale orizzonte comune d’appartenenza di tutti gli essenti. E quest’orizzonte può essere inteso, in ultima analisi, come orizzonte naturale, se intendiamo la natura alla maniera merleau-pontiana come suolo, come l’altro lato della materia, come il primordiale. In una nota di lavoro del novembre 1960, Merleau-Ponty scriveva un promemoria per il futuro: «fare una psicanalisi della Natura: è la carne, la madre»[16]. Se ancora oggi ci resta da pensare un’attualità della psicanalisi, nelle sue derive junghiane, lacaniane e persino girardiane, occorre farlo a partire da questo lascito inevaso, da questo promemoria per il futuro.

 


[1] P. Ricœur, Il conflitto delle interpretazioni, tr. it. Jaca Book, Milano 1977, p. 30.

[2] M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr. it. Bompiani, Milano 2003, p. 221.

[3] Ibid., p. 182.

[4] Ibid., p. 188.

[5] Ibid., p. 221.

[6] Ibid., p. 223.

[7] Ibid.

[8] Ibid., p. 224.

[9] Ibid., p. 234.

[10] Ibid.

[11] M. Merleau-Ponty, È possibile oggi la filosofia? Lezioni al Collège de France 1958-1959 e 1960-1961, tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 142.

[12] Ibid., p. 124.

[13] Ibid., p. 126.

[14] Id., Il visibile e l’invisibile, tr. it. Bompiani, Milano 2009, p. 280.

[15] Ibid., p. 281.

[16] Ibid., p. 278.

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