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Una mano all’intelligenza

Autore


Paolo Sordino

Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli

naturalista, svolge attività di ricerca presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli

Indice


  1. Curiosità tattili
  2. Tra socialità e bipedalismo
  3. Appendici
  4. Devon e dintorni

 

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S&F_n. 07_2012


  1. Curiosità tattili

Tutti nascono con una spiccata curiosità tattile che nel corso della vita si trasforma, attraverso un migliore controllo del movimento delle dita, in molteplici abilità manipolative, dall’accarezzare un gatto al suonare il pianoforte.

La mano, il cui utilizzo ci rende unici tra gli animali, è in sé un simbolo di attività sia creativa che prosaica, il che la rende unica tra le strutture anatomiche. Nei primati, la possibilità di svolgere operazioni complesse utilizzando le dita della mano è il risultato di 500 milioni di anni di trasformazioni delle appendici laterali, dalle pinne dei pesci agli arti dei vertebrati terrestri, o tetrapodi. L’ipotesi che i cambiamenti strutturali delle appendici laterali dei vertebrati abbiano rivestito un ruolo determinante nel promuovere lo sviluppo di nuove funzioni neurobiologiche e nell’aumento della complessità anatomica del cervello, che il comportamento, l’intelligenza e le facoltà cognitive della specie umana, come apprendimento e linguaggio, cultura e socialità, siano intimamente legate alla storia delle appendici laterali, ha reso l’origine della mano un paradigma della teoria evolutiva e un argomento di attualità al centro del dibattito scientifico attraverso tre secoli.

Laddove esiste una lingua dei segni basata su diverse configurazioni delle mani, alcuni studiosi ritengono che la forma di alcune lettere dell’alfabeto ebraico, arabo e greco, derivi direttamente da posture della mano e delle dita. Partendo dall’evidenza che gran parte degli apparati di controllo del cervello umano si è specializzata per gestire le abilità connesse con l’uso della mano, diverse discipline scientifiche, come paleontologia, neuroscienze, psicologia ed embriologia si interrogano sulle cause e i fattori che hanno promosso, indipendentemente o per co-evoluzione, i cambiamenti di forme e funzioni del sistema nervoso e delle appendici laterali.

È un dato di fatto che l’aumento di dimensioni del cervello, al quale corrisponde un progresso operazionale, sia iniziato con l’espansione dell’invenzione e dell’utilizzo di strumenti, e col conseguente accesso a esperienze e ambienti nuovi. Eppure, nonostante l’ovvia e spesso inavvertita importanza che la mano riveste nella vita di ognuno di noi, e nell’esistenza della specie umana per se, siamo ancora lontani dal raggiungere un’esauriente comprensione delle varie fasi dell’evoluzione di questa affascinante e versatile struttura anatomica.

Lo stesso non si può dire dell’origine degli occhi, perché gli organi fotosensibili sono più antichi delle appendici dei vertebrati, o per un pregiudizio filosofico di natura platonica che affida alla contemplazione visiva il primato sensoriale nell’esistenza umana. Eppure, da Heidegger in poi, un approccio più fenomenologico reclama la centralità dell’esperienza manuale attraverso gli utensili, sino al punto da spingere l’architetto finlandese Pallasmaa ad affermare che «...la mano non è solo una passiva e fedele esecutrice delle intenzioni del cervello...la mano possiede una propria intenzionalità, conoscenza e abilità»[1].

 

  1. Tra socialità e bipedalismo

L’evoluzione è un processo imprevedibile fatto di errori e opportunità, mediante il quale le specie cambiano nel tempo, anche se solo alcuni di questi cambiamenti sono effettivamente vantaggiosi per l’organismo. E alcuni di questi, come l’evoluzione del cervello umano, possono rivelarsi utili in modi diversi e non strettamente correlati con altre trasformazioni anatomiche. Come riconobbe Charles Darwin, l’acquisizione del bipedalismo liberò le appendici anteriori (le braccia) dalla funzione di sostegno del corpo, rendendole disponibili per altre attività e favorendo l’espansione e la riorganizzazione delle aree del cervello deputate alle funzioni sensorie e motorie. Secondo una teoria neurobiologica, la principale causa dell’aumento delle capacità cerebrali è indipendente dai cambiamenti anatomici e risiederebbe nello sviluppo della cooperazione sociale e nella condivisione dell’informazione. Pur non negando il ruolo decisivo di socialità e bipedalismo, la disponibilità di una struttura del nostro corpo, la mano appunto, in grado di compiere una pletora di operazioni ha indubbiamente contribuito sostanzialmente all’evoluzione dell’intelligenza umana. Basandosi su questo concetto, il neuroscienziato Frank R. Wilson ha proposto di sviluppare programmi educativi individuali, non basati sulla conoscenza autorizzata e condivisa, ma piuttosto sul potenziale manipolatorio dei singoli allievi, convinto che l’esperienza manuale non rappresenti soltanto uno stimolo per l’apprendimento, ma possa forgiare l’intelligenza e determinare il futuro di ogni individuo.

Di recente è stato dimostrato che l’esercizio prestidigitatorio aiuta lo sviluppo del cervello, accelerando la crescita della materia grigia, dove risiedono i somata dei neuroni, e delle connessioni neurali. Al di là delle potenziali applicazioni terapeutiche per chi ha subito un danno cerebrale, è interessante notare come tali benefici siano indipendenti dalla reale capacità individuale nell’apprendere nuove attività manuali (non è importante quanto bene le si impari, ma che si provi ad acquisirle) e siano perduranti, il che spiegherebbe perché un’attività manuale appresa e poi abbandonata lasci dei ricordi “anatomici” che ci permettono di reimpadronircene dopo anni.

 

  1. Appendici

Dal punto di vista embriologico, le appendici pari di tutti i vertebrati, così come tutte le appendici animali (antenne, palpi, genitali etc.) si formano attraverso processi cellulari che coinvolgono i principali meccanismi basilari della vita, quali la divisione, la comunicazione, il movimento, il cambiamento (differenziamento) e la morte programmata. Da questo punto di vista, lo studio dello sviluppo delle pinne e degli arti è considerato un sistema modello per la comprensione della morfogenesi. Grazie a un programma orchestrato che impiega le suddette condizioni fondamentali durante lo sviluppo embrionale, gruppi distinti di poche cellule mesodermiche e (neuro)ectodermiche poste in punti precisi del tronco danno vita a potenti e versatili strutture anatomiche per camminare, nuotare, volare, o per scrivere e fabbricare arnesi. In tutte le transizioni morfologiche, un ruolo determinante è giocato da cambiamenti a carico del genoma, dei singoli geni o dei fattori molecolari che regolano l’attività e la funzione dei geni. Tra queste trasformazioni del materiale genetico, analogamente a quanto visto per gli “stati” fondamentali delle cellule, si annoverano la duplicazione, il cambiamento (mutazioni) e la perdita. Inoltre, il maggior numero di innovazioni del piano corporeo è stato reso possibile grazie all’utilizzo di moduli genetici pre-esistenti. Quanto alla formazione delle appendici pari, la ricerca ha dimostrato che i geni implicati in questo processo sono già attivi (trascritti in RNA a sua volta tradotto in proteine) nel corpo dove svolgono spesso un ruolo simile, partecipando alla corretta formazione di muscolatura, scheletro e sistema nervoso. Tra questi i più importanti sono i geni omeotici della famiglia Hox: le scoperte sulla funzione, regolazione e organizzazione genomica di questi geni, e sul loro coinvolgimento nell’evoluzione dei piani corporei di tutti gli organismi animali multicellulari, ha generato un acceso e perdurante dibattito tra evoluzionisti e creazionisti. Di fatto, la scoperta del ruolo dei geni Hox nella costruzione del piano corporeo degli animali, ha portato al conferimento del Nobel in Fisiologia e Medicina del 1995 a Edward B. Lewis, Christiane Nüsslein-Volhard ed Eric F. Wieschaus.

 

  1. Devon e dintorni

Ora facciamo un lungo passo indietro nel tempo, immaginando di trovarci nei mari primordiali del Devoniano nei quali vivevano i pesci primitivi, gli unici vertebrati allora esistenti. Per molti di noi la parola pesce richiama alla mente visioni culinarie e un bicchiere di buon vino bianco freddo. Eppure, nonostante per molti di noi i pesci siano delle semplici creature con pinne e branchie, quasi tutte le caratteristiche anatomiche di questi organismi sono presenti in tutti i tetrapodi, uomo incluso. Durante il periodo Devoniano, i mari erano popolati da invertebrati appartenenti a differenti gruppi, alcuni dei quali ancora oggi viventi, come i coralli, i molluschi e gli echinodermi, altri oramai estinti come gli artropodi Trilobiti. In questi ambienti, i pesci dominarono e si diversificarono indisturbati per milioni di anni. La fase più importante nell’evoluzione delle appendici pari, o laterali, dei vertebrati è stata indubbiamente la conquista delle terre emerse, per sfuggire alla riduzione dei corpi d’acqua dovuta all’innalzamento della temperatura globale. All’inizio, un gruppo di pesci ancora privo di polmoni modificò le proprie pinne per muoversi più agevolmente sui bassi fondali; questa e altre innovazioni anatomiche anch’esse originatesi nei pesci offrirono l’opportunità per brevi incursioni sulle terre emerse. Con la successiva acquisizione della capacità di respirare l’ossigeno atmosferico, funzione sviluppatasi originariamente per adattarsi a vivere nel fango, i primi tetrapodi poterono affrancarsi dall’ambiente acqueo per sfruttare le risorse alimentari rappresentate dall’abbondanza di artropodi e di tante forme di invertebrati vermiformi. Già da milioni di anni, scorpioni lunghi un metro, ragni, centopiedi e millepiedi abitavano gli ecosistemi terrestri, ricchi di piante nella loro più ampia diversità (insieme a felci, muschi e licheni). Questi ecosistemi si erano inizialmente sviluppati intorno alle sorgenti termali e ai corpi d’acqua dolce e si erano poi trasformati in foreste popolate da invertebrati carnivori ed erbivori. Le tracce dei primi proto-anfibi sono state rinvenute in varie regioni dei supercontinenti Euramerica e Gondwana: Groenlandia, Scozia, Russia, Baltico e Australia. Da quest’ultima area geografica provengono i fossili più antichi di tetrapodi, ed è in questo continente che vivono le forme più antiche di vita ancora esistenti, gli Stromatoliti, ma questa è un’altra storia.

Poco dopo l’inizio della diversificazione dei primi anfibi apparvero i rettili, con i quali i vertebrati divennero pienamente terrestri. La colonizzazione delle terre emerse da parte dei vertebrati è un passaggio determinante per l’evoluzione dell’uomo che, come già accennato, ha richiesto numerose e complesse trasformazioni anatomiche e fisiologiche. Assumere ossigeno dall’aria ma anche sentire l’ambiente intorno a sé sono componenti importanti dell’esplorazione per le quali è necessario essere dotati di narici, polmoni e organi di senso ben sviluppati, ma per sconfiggere la gravità e muoversi, per predare e difendersi dai pericoli, abbiamo bisogno di funzioni articolate e coordinate di tutte le componenti scheletriche e muscolari del nostro corpo.

L’evoluzione delle pinne che ha portato ad acquisire le caratteristiche standard dei moderni arti può essere vista in una serie di cambiamenti che hanno avuto inizio nelle appendici mediane dei pesci più primitivi privi di mascelle, dei cui discendenti fanno parte le lamprede. Queste pinne impari sono sostenute da raggi di origine ectodermica (esoscheletro) con una ridotta estensione dello scheletro derivante dal mesoderma (endoscheletro), proprio come nelle prime pinne pari dei pesci cartilaginei e ossei, dette pinne raggiate. Le prime appendici laterali dei vertebrati, ritrovate nei fossili di pesci vissuti nell’Ordoviciano, erano lunghe pliche lungo i lati del corpo. In pochi milioni di anni, queste strutture divennero degli organi discreti, le pinne pettorali e le pinne pelviche, che con le loro strutture di supporto rappresentano i precursori delle braccia e delle gambe. Durante il Devoniano apparvero i primi pesci con pinne lobate, oggi rappresentati dai celacanti e dai pesci polmonati (Dipnoi), veri e propri fossili viventi, le cui appendici laterali sono caratterizzate da una riduzione dei raggi esoscheletrici e dalla formazione di segmenti endoscheletrici omologhi del braccio e dell’avambraccio, ma ancora privi di vere e proprie dita. I successivi passaggi che completarono la transizione dalle pinne agli arti furono rappresentati dalla perdita delle pinne mediane, dalla quasi totale regressione dell’esoscheletro (di cui le unghie rappresentano le vestigia), e dall’apparizione della mano.

Qui le nostre conoscenze si offuscano, ancora parzialmente rischiarate dai contributi provenienti dalla paleontologia e dalla genetica dello sviluppo, con la scoperta di nuovi fossili quali potenziali anelli mancanti, e con il confronto tra i meccanismi molecolari che operano durante la formazione delle pinne raggiate e lobate dei pesci, e degli arti dei vertebrati terrestri. Pur essendo concorde nel considerare la mano centrale all’evoluzione della specie umana, la ricerca scientifica non è ancora riuscita a risolvere il principale enigma, l’origine delle dita.

Nella visione poetica di Clarice Lispector, la vita ebbe origine quando una molecola incontrò e disse sì a un’altra molecola. Che la conoscenza sia l’essenza di ogni organismo vivente, animale o vegetale, è un’evidenza biologica, ed è presumibile che tale condizione permarrà in ogni ipotetico scenario futuro. Possiamo immaginare l’umanità senza un continuo percorso di incontro e scoperta? Ma le migliaia di studi scientifici i cui risultati hanno permesso di raccontare questa storia hanno comportato il sacrificio di milioni di animali, siano essi pesci, anfibi, rettili, uccelli o mammiferi. Poiché il perimetro dell’opera del ricercatore è legato a doppio filo all’etica locale, ma è anche rielaborato nel lugar soggettivo, nell’interrogare le altre specie viventi è indispensabile non perdere mai di vista l’idea che la vita e il benessere degli organismi da laboratorio sia più importante del nostro desiderio di conoscenza.

 


[1] Cfr. J. Pallasmaa, Lampi di pensiero. Fenomenologia della percezione in architettura, a cura di M. Fratta e M. Zambelli, tr. it. Pendragon, Bologna 2011.

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