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L’influenza di Einstein sul pensiero di Popper

Autore


Carlo Veronesi

Università di Verona

Carlo Veronesi è Cultore di Logica e Filosofia della scienza presso il Dipartimento di Scienze umane dell’Università di Verona. Ha insegnato matematica e fisica nel licei e ha tenuto corsi di Epistemologia e storia della matematica presso le cessate Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS) delle Università di Pavia e di Parma.

Indice


 

  1. Un incontro cruciale per il giovane Popper
  2. Antiinduttivismo e fallibilismo in Einstein e in Popper
  3. Einstein e Popper a colloquio su tempo e indeterminismo
  4. La battaglia per il realismo

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S&F_n. 16_2016

Abstract


Einstein’s Influence on Popper’s Thought


In a BBC radio programme Popper acknowledged his debt to Einstein saying that Einstein’s influence on his thinking was immense and that he mainly made explicit certain points that were implicit in the work of Einstein. In fact, in various writings Einstein presents his critical attitude toward any scientific theory: of particular interest is Einstein’s article «Induktion und Deduktion in der Physik» (1919) that can be considered a concentrate of Popper’s views of science. In the second part of the paper are presented the views of Popper on quantum mechanics and his defense of objectivity and realism. Popper opposes the idea, which he associates with the Copenhagen interpretation, that the theories describing quantum phenomena are about the subjective states of the human observers. Following the lead of Einstein, Popper emphasizes that scientific theories should be interpreted as attempts to describe a mind-independent reality.


  1. Un incontro cruciale per il giovane Popper

In un’intervista radiofonica[1] trasmessa dalla BBC nel 1966, Popper parlò della grande influenza di Einstein sul suo pensiero, dichiarando apertamente di non aver fatto altro, nella sua filosofia, che rendere espliciti alcuni punti che sono impliciti nell’opera di Einstein. In quella occasione Popper ricordava che Einstein non fu mai soddisfatto di nessuna delle teorie da lui stesso proposte[2] e che nei suoi scritti egli criticò senza sosta il proprio lavoro, esplorandone limiti e punti deboli. Einstein – proseguì Popper – era critico verso le sue teorie perché era in cerca di una teoria ancora più generale, ma anche nel senso che cercava, per ogni teoria proposta, di trovare sotto quali condizioni l’avrebbe considerata confutata dagli esperimenti. Questo atteggiamento di Einstein indusse Popper a pensare che fosse lo spirito critico la vera caratteristica della grande ricerca scientifica e che ogni teoria dovesse essere vista come una congettura provvisoria, solo una tappa del progressivo avvicinamento alla verità.

Nella sua Autobiografia intellettuale, uscita alcuni anni più tardi, Popper ritorna sull’argomento e ribadisce che l’incontro con le teorie di Einstein ebbe un ruolo cruciale nella formazione del suo pensiero, esercitando, secondo le sue stesse parole, «forse l’influenza più importante di tutte»[3]. Popper racconta di aver assistito, quand’era poco più che adolescente, a una conferenza pubblica tenuta da Einstein a Vienna e di esserne rimasto «sbalordito»[4] perché aveva sentito cose che andavano assolutamente oltre la sua comprensione. La fisica di Newton aveva conosciuto, per oltre due secoli, una serie impressionante di successi culminati nella scoperta del pianeta Nettuno, e Popper ricorda di essere cresciuto in un’atmosfera in cui le teorie di Newton erano accettate come verità inattaccabili. Ora però Einstein aveva portato alla ribalta una nuova teoria della gravitazione che era un reale miglioramento rispetto a quella di Newton. Nell’anno 1919 l’astronomo inglese Eddington organizzò due spedizioni nell’emisfero australe in cui si riuscì a verificare, con misure effettuate durante un’eclisse, che i raggi luminosi delle stelle, passando vicino al Sole, subiscono la deviazione prevista dalla teoria di Einstein. Da quelle spedizioni ebbe inizio il grande successo mediatico di Einstein e della sua relatività generale, che tuttavia Einstein stesso continuò a giudicare semplicemente come un passo in direzione di una teoria più comprensiva. Ma quello che più impressionò Popper fu la chiara affermazione di Einstein che avrebbe considerato insostenibile la sua teoria se avesse fallito in certe prove[5]. In effetti, in un’opera divulgativa pubblicata nel 1916, cioè qualche anno prima delle spedizioni britanniche di cui abbiamo detto, Einstein aveva già scritto che, in base alla sua teoria, un raggio di luce avrebbe dovuto subire una deflessione passando accanto a un corpo celeste e che, durante un’eclisse di Sole, sarebbe stato possibile controllare la «correttezza o non correttezza di questa deduzione»[6]. Einstein aveva individuato anche un’altra conseguenza controllabile della relatività generale, che sarebbe stata confermata negli anni successivi. Popper richiama esplicitamente un passo di Einstein secondo cui «se non esistesse lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso a opera del campo gravitazionale, allora la teoria della relatività generale risulterebbe insostenibile»[7].

Fu questo atteggiamento di Einstein, disposto a prendere in considerazione situazioni che avrebbero potuto sia sostenere che confutare le sue teorie, a colpire Popper, soprattutto perché lo mise a confronto con l’atteggiamento dei seguaci di teorie che pure aspiravano alla qualifica di scienze, come il marxismo, la psicanalisi di Freud e la psicologia individuale di Adler. Popper aveva familiarità con queste dottrine, essendo stato membro di un’associazione di studenti socialisti delle scuole secondarie e avendo collaborato con lo psicologo Alfred Adler a un progetto di orientamento sociale per ragazzi dei quartieri popolari di Vienna. Ma a un certo punto Popper cominciò a pensare che questi sistemi teorici apparivano come impermeabili ai fatti: i loro sostenitori vedevano conferme delle proprie credenze in ogni avvenimento e in ogni notizia, ma non avrebbero saputo immaginare situazioni in cui queste teorie sarebbero cadute in errore. Proprio il confronto fra questa diversità di atteggiamenti, di Einstein e dei seguaci del marxismo e della psicanalisi, portò Popper alla conclusione che per la scienza fosse essenziale un atteggiamento critico, che è diverso dall’atteggiamento dogmatico perché non va alla ricerca di verifiche delle proprie credenze, ma piuttosto di situazioni che possano eventualmente confutarle. Dunque – secondo la visione che Popper andava maturando – un sistema teorico dovrebbe essere considerato scientifico soltanto se fa asserzioni che possono entrare in conflitto con la realtà, e proprio questa apertura alle possibili confutazioni dovrebbe tracciare la linea di demarcazione fra la scienza e le altre forme di sapere umano.

 

  1. Antiinduttivismo e fallibilismo in Einstein e in Popper

Già nell’inverno 1919-1920 il giovane Karl cominciò a lavorare intorno a queste idee, che poi sarebbero state rese pubbliche nella sua opera principale, la Logik der Forschung[8]. Continuò a scrivere per molto tempo senza una chiara intenzione di pubblicare, finché, una decina di anni dopo, ebbe un incontro con il filosofo Herbert Feigl, suo coetaneo ma già professore negli Stati Uniti. Dopo aver discusso per una notte intera le idee di Popper sulla scienza, Feigl lo convinse a scrivere un libro. Popper si mise all’opera compilando ben due volumi che intitolò Die beiden Grundprobleme der Erkenntnistheorie (I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, con riferimento ai problemi filosofici dell’induzione e della demarcazione) ma l’editore Springer, che aveva accettato di pubblicare, richiese che il testo fosse radicalmente accorciato, concedendo un massimo di quindici sedicesimi, cioè duecentoquaranta pagine[9]. Fu uno zio di Popper, Walter Schiff, professore di statistica e di economia all’Università di Vienna, a tagliare senza pietà quasi la metà del testo riuscendo a rientrare nei limiti previsti. Il libro fu pubblicato in questa forma con il titolo Logik der Forschung, ed ebbe subito successo, con recensioni favorevoli da parte di studiosi dei principali paesi europei. A inizio primavera 1935, Popper, attraverso i buoni uffici di amici e conoscenti musicisti, trovò il modo di far pervenire una copia del libro anche a Einstein[10].

Nel giugno 1935, Albert Einstein scrisse a Popper una lettera in cui dichiarava che il libro gli era piaciuto da molti punti di vista, che le idee erano illustrate con intelligenza e che era d’accordo sul fatto che la falsificabilità dovesse essere la proprietà decisiva di ogni teoria sulla realtà[11]. Un commentatore[12] osserva che non deve sorprendere il consenso di Einstein alle idee di Popper sulla scienza dato che egli stesso aveva espresso idee abbastanza simili in un articolo, «Induktion und Deduktion in der Physik», pubblicato il 25 dicembre 1919 sul Berliner Tageblatt.

Com’è noto, uno dei principali bersagli della critica di Popper è il ruolo del metodo induttivo nella scienza. Secondo un’opinione consolidata la scienza nasce con questo metodo, cioè da lunghe sequenze di osservazioni e di esperimenti. Popper obietta che le leggi scientifiche non vengono ricavate induttivamente, dall’osservazione ripetuta di puri fatti, ma sono sempre precedute da un’intuizione sulla natura delle cose o da un’ipotesi di lavoro palese o inconscia. Ma a questo proposito Einstein aveva scritto:

L'immagine più semplice che ci si può formare dell'origine di una scienza empirica è quella che si basa sul metodo induttivo. Fatti singoli vengono scelti e raggruppati in modo da lasciare emergere con chiarezza la relazione legiforme che li connette (…). Già un rapido sguardo allo sviluppo effettivo della scienza mostra che i grandi progressi della conoscenza scientifica si sono avuti solo in piccola parte in questo modo. Infatti, se il ricercatore si avvicinasse alle cose senza una qualche idea preconcetta, come potrebbe egli cogliere dall’enorme quantità di una complicatissima esperienza quei fatti che sono abbastanza semplici da rendere palesi relazioni legiformi? Galilei non avrebbe mai potuto trovare la legge della caduta libera dei gravi senza l'idea preconcetta che i rapporti che troviamo di fatto sono complicati dagli effetti della resistenza dell'aria, e che quindi dobbiamo considerare cadute di gravi in cui tale resistenza gioca un ruolo sostanzialmente nullo. I progressi veramente grandi della conoscenza della natura si sono avuti da una via quasi diametralmente opposta a quella dell'induzione (…). Il ricercatore (…) non perviene al suo sistema teorico per via metodica, induttiva; egli piuttosto, si avvicina ai fatti tramite una scelta intuitiva tra teorie pensabili, basate su assiomi[13].

 

Dunque Einstein ci spiega che l’induzione non serve nel contesto della scoperta di una legge scientifica; e poi prosegue spiegandoci che non può servire nemmeno nel contesto della giustificazione, cioè quando vogliamo trovare un modo per confermarla:

Una teoria può ben essere riconosciuta come sbagliata, quando c’è un errore logico nelle sue deduzioni, o come inadeguata quando un fatto non si accorda con una delle sue conseguenze. Ma non si può mai dimostrare la verità di una teoria. Perché non si sa mai se anche nel futuro non si avrà una esperienza che contraddica le sue conseguenze; e perché sono sempre pensabili altri sistemi teorici che siano in grado di connettere i medesimi fatti dati[14].

 

Ma questa è proprio l’asimmetria logica di cui parla Popper nel primo capitolo[15] del suo libro e che è alla base del suo famoso criterio di demarcazione della scienza: l’occorrenza di un fatto contrario può falsificare una legge universale (modus tollens della logica classica) ma la sua verità non può essere ricavata dall’osservazione di alcuni o molti esempi confermanti, perché la serie delle conseguenze è potenzialmente infinita e nessuno può leggere il futuro.  

Data la stretta analogia fra queste idee di Einstein e di Popper, molti anni dopo, nel 1984, John Stachel, curatore degli Einstein Papers, scrisse una lettera[16] a Popper chiedendogli se all’epoca avesse letto l’articolo di Einstein del 1919. Popper rispose di essere rimasto colpito dal suo contenuto ma di non averlo mai visto prima. Aggiunse che ciò che lo aveva spinto a rigettare l’induzione fu semplicemente il rovesciamento della fisica newtoniana da parte di Einstein, cioè la dimostrazione del fatto che anche la teoria più collaudata può essere solo una prima approssimazione della verità. In effetti Popper cita molto spesso Einstein nella sua opera (è stato calcolato che, nella Logik, Einstein è il secondo autore più citato dopo Carnap) ma non fa menzione di questo scritto del 1919. Sull’argomento cita un intervento un po’ meno diretto: un discorso pronunciato in occasione del sessantesimo compleanno di Max Planck, in cui Einstein scrive che per la ricerca delle leggi universali della fisica non esiste alcuna via logica: esse possono essere raggiunte solo tramite un’intuizione basata su qualcosa che potremmo chiamare «immedesimazione» con gli oggetti d’esperienza[17].

Tornando alla lettera di Einstein del giugno 1935, dobbiamo aggiungere, per completezza, che, insieme agli apprezzamenti, conteneva una critica su un punto specifico[18] del libro di Popper, un esperimento ideale pensato dall’ancor giovane Karl contro l’interpretazione di Copenaghen del principio di indeterminazione di Heisenberg. Einstein scrisse che questo esperimento non era valido e Popper, nell’estate di quell’anno, volle replicare con due lettere in cui cercava di spiegare meglio il suo punto di vista. Einstein gli scrisse un’altra volta[19] nel settembre 1935 confermando di non credere che il ragionamento di Popper fosse corretto e illustrandogli l’esperimento ideale che aveva concepito egli stesso, insieme a Podolsky e Rosen, sull’incompletezza della meccanica quantistica. Finalmente Popper riconobbe il proprio errore, di cui, da allora in poi, si disse sempre profondamento rammaricato. Ma a questo proposito si deve anche ricordare l’opinione dello storico della scienza Max Jammer secondo il quale non è impossibile che sia stato proprio questo errore di Popper a indurre Einstein a pubblicare il famoso argomento Einstein-Podolsky-Rosen (EPR). Popper scrisse a Jammer che non gli era mai passata per la testa l’idea che il suo errore grossolano avesse potuto  avere qualche influenza su un uomo come Einstein, ma che dal punto di vista cronologico questo sospetto non si potesse del tutto escludere[20].

 

  1. Einstein e Popper a colloquio su tempo e indeterminismo

Popper incontrerà ancora Einstein dopo il secondo conflitto mondiale, quando, professore ormai molto noto, compì il suo primo viaggio negli Stati Uniti su invito dell’Università di Harvard. Era l’anno 1950 e, nel corso di quel viaggio, Popper fu invitato anche a Princeton per una conferenza su «Indeterminismo nella fisica quantistica e nella fisica classica». A questa conferenza presenziarono due spettatori d’eccezione, Albert Einstein e Niels Bohr. «Il fatto che Einstein e Bohr siano venuti alla mia conferenza - scrive Popper nella sua Autobiografia - lo considero come il massimo complimento che io abbia mai ricevuto[21] Popper aveva già incontrato Bohr nel 1936 a Copenaghen[22] e nella discussione che seguì la conferenza americana di Popper fu proprio Bohr a parlare più a lungo di tutti, mentre Einstein pronunciò solo poche parole. Ma Einstein e Popper si erano incontrati appena prima della conferenza, a casa del chimico e filosofo Paul Oppenheim, che ospitava Popper in America. A questo primo colloquio ne seguirono altri due e Popper rimase ancora una volta affascinato dalla personalità di Einstein:

È difficile – ricorda – esprimere l'impressione che mi fece la personalità di Einstein. Forse la si può descrivere dicendo che con lui ci si sente immediatamente a proprio agio. Era impossibile non entrare in confidenza con lui, non fare implicitamente affidamento sulla sua schiettezza, la sua gentilezza, il suo buon senso, la sua saggezza e la sua semplicità quasi infantile[23].

 

Durante questi tre incontri, Einstein e Popper confrontarono a lungo le proprie idee, principalmente sul problema dell’indeterminismo e sulla natura del tempo. Einstein pensava al mondo – riferisce Popper – come a un universo chiuso a quattro dimensioni, in cui il cambiamento e lo scorrere del tempo erano qualcosa di simile a una illusione umana[24], e Popper lo paragonò all’antico filosofo Parmenide, che negava il divenire e il mutamento degli eventi naturali. Su questo Popper non era d’accordo con Einstein: riteneva che la realtà del tempo e del cambiamento dovesse essere un punto fondamentale e che si dovesse prendere posizione in favore di un universo aperto, in cui non tutto fosse predeterminato e in cui il futuro non sia in alcun modo contenuto nel passato, anche se da esso ovviamente condizionato. Popper cercò di convincere Einstein  argomentando che se gli uomini potevano avere esperienza della successione del tempo, questa successione era allora reale. Non era possibile cercare di spiegarla attraverso una teoria del successivo affiorare alla nostra coscienza di porzioni di tempo che in un certo senso coesistono; infatti questa specie di «affiorare alla coscienza» avrebbe avuto esattamente lo stesso carattere di quella successione di cambiamenti che la teoria cerca di spiegare[25].

A distanza di molti anni, in una intervista rilasciata in occasione del suo ottantesimo compleanno, Popper ritornerà sui suoi incontri americani, spiegando che Einstein non voleva abbandonare il realismo e che per questo non teneva abbastanza separati il suo realismo dal suo determinismo[26]. Il realismo è l’idea, la stessa del senso comune, secondo cui esiste una realtà esterna indipendente dalla nostra presenza e dalle nostre percezioni. Il determinismo è la concezione secondo cui nell’universo nulla è lasciato al caso e che è stata illustrata in modo emblematico da Laplace in un famoso passo: «Dobbiamo considerare lo stato presente dell'universo – scrisse Laplace – come l'effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro»; se poi ci fosse un’Intelligenza abbastanza vasta da tener conto di tutte le forze e di tutti gli esseri che compongono la natura, essa «abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e dell’atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, così come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi»[27].

Popper illustra la concezione determinista, e l’opposta concezione indeterminista, ricorrendo alle immagini delle nuvole e degli orologi[28]. Il determinismo – spiega Popper – è sostanzialmente la tesi che tutto ciò che accade nel mondo si svolge come in un ideale meccanismo a orologeria. L’opposto dell’orologio è la nuvola, formazione evanescente che non possiamo predeterminare come un orologio. Ma il determinista pensa che se noi conoscessimo meglio la nuvola, potremmo determinare nei dettagli tutto il suo comportamento e che perciò le nuvole sono come gli orologi. L’indeterminista invece osserva, come già fece Charles S. Peirce, che se noi spingessimo le nostre ricerche sugli orologi abbastanza a fondo, scopriremmo che sono nuvole di particelle elementari, in cui accadono cose assolutamente imprevedibili: solo la grandezza fisica dell’orologio ci consente di considerarlo predeterminato. Dunque dal punto di vista indeterminista anche gli orologi, nonostante le apparenze, sono nuvole[29]. Anche Popper era di quest’idea, che gli orologi siano nuvole e che nel mondo accadano cose che non sono completamente predeterminate. Einstein era invece legato a un più rigido determinismo. Popper aveva una propria interpretazione propensionale della probabilità[30] che avrebbe potuto permettere, in qualche misura, di conciliare l’indeterminismo con l’oggettività e il realismo. Non risulta che ne abbia parlato nei suoi incontri americani; cercò comunque di spiegare a Einstein che il determinismo non era così importante sul fronte della battaglia per il realismo e che un certo grado di indeterminismo, come lui lo concepiva, non era incompatibile con il rifiuto della interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. I fisici quantistici come Heisenberg e Bohr mettevano in dubbio, o consideravano superflua, l’idea di una realtà oggettiva indipendente dalle osservazioni umane e stimavano che il compito della fisica fosse solo quello di spiegare ciò che è osservabile. Einstein invece pensava che noi dobbiamo cercare di comprendere la realtà fisica a un livello più profondo della mera osservabilità. È anche vero che ai tempi della relatività speciale, Einstein stesso, influenzato dalle teorie di Hume e di Mach, aveva respinto, perché non osservabili, le concezioni di un tempo assoluto e di uno spazio assoluto, ma in seguito si allontanò radicalmente dal positivismo machiano e Popper riferisce che durante i suoi incontri gli disse di rammaricarsi di questo sbaglio più di qualsiasi altro[31]. Per il resto della sua vita, Einstein si oppose in modo irriducibile alle concezioni soggettiviste e antirealiste nella fisica e su questo punto la posizione di Popper sarà la stessa.

 

  1. La battaglia per il realismo

Einstein, in una lettera a Max Born, aveva espresso la famosa convinzione che Dio non giochi a dadi col mondo e in un colloquio con Abraham Pais, suo principale biografo, aveva chiesto se davvero credesse che la Luna esista solo se la si guarda[32]. In altri termini Einstein non era disposto, nello «spirito del metodo di Newton»[33], a concedere ai fisici quantistici che la fisica rinunciasse alla causalità rigorosa per far posto all’indeterminazione e alla probabilità. Ma, soprattutto, Einstein non voleva accettare l’immagine sfuggente della realtà che è implicita nelle teorie di Heisenberg e di Bohr. Anche il realista ingenuo si trova in grande imbarazzo di fronte all’idea che una particella possa normalmente trovarsi in una sovrapposizione di stati che solo l’interferenza dell’osservatore può far precipitare verso uno degli stati possibili. Einstein pensava che una simile visione fosse incompleta e che potesse essere superata da una più profonda conoscenza della realtà fisica. In una lettera scritta nella primavera 1950, la stessa dei suoi colloqui con Popper, scriverà che «al cuore del problema non c’è tanto la questione della causalità ma la questione del realismo»[34], perché, come aveva spesso spiegato, «senza la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà (…) non potrebbe esserci scienza»[35].

In questa battaglia per il realismo Popper si schiera con Einstein e contro i fisici quantistici della scuola di Copenaghen, parlando di «grande confusione quantistica»[36] o di gran pasticcio dei quanti (great quantum muddle). Popper, come sappiamo, sosteneva che non possiamo mai essere certi che le nostre teorie siano vere, ma difese sempre il punto di vista realista secondo cui lo scopo della scienza è la continua ricerca della verità. Benché Popper si renda conto che, in base ai suoi stessi criteri di scientificità, questo realismo sia una concezione metafisica non controllabile, ugualmente pensa che abbiamo delle ragioni per accettarlo e delle ragioni per respingere i punti di vista contrari dell’idealismo e dello strumentalismo. Popper dichiara di non poteva accettare un’affermazione come quella di Heisenberg secondo cui «il concetto di una realtà oggettiva delle particelle elementari (…) è evaporata nella chiarezza trasparente di una matematica che non rappresenta più il comportamento delle particelle, ma piuttosto la nostra conoscenza di tale comportamento»[37]. Anche Bohr aveva espresso un concetto simile, affermando che non c’è nessun mondo dei quanti, ma solo una descrizione astratta della fisica quantistica: «È sbagliato pensare che il compito della fisica sia di scoprire com’è la natura. La fisica ha per oggetto ciò che possiamo dire sulla natura»[38].

Popper si schiera risolutamente contro questa concezione che considera le nostre descrizioni e osservazioni quasi più sicure e reali della realtà fisica e fa presumere che il mondo possa essere solo una nostra costruzione mentale. Popper non esita ad accomunare queste concezioni a una linea di pensiero strumentalista o solipsista che risale fino al Cardinale Bellarmino e al Vescovo Berkeley, i quali cercavano in tutti i modi di neutralizzare la portata della nuova scienza di Galileo e Newton[39].

Ma Popper si scaglia anche contro la pretesa dei fisici quantistici che le loro teorie fossero la verità finale, la «fine della strada della fisica»[40]. Popper riferisce che Heisenberg pensava di aver avuto una sorta di visione intuitiva della soluzione dei problemi che «proprio alla fine» illumina tutto[41] e confronta questo atteggiamento con quello di Einstein, che invece non considerò mai definitiva nessuna delle sue teorie, né la teoria dei fotoni, né la relatività ristretta, né la relatività generale, che si sforzò di superare dal momento in cui fu concepita fino al termine della sua vita[42].

Popper ricorda un altro scritto in cui Heisenberg  lamentava il fatto che Einstein, pur essendo consapevole che la meccanica quantistica rappresentava correttamente i fenomeni, non intendesse riconoscerle il carattere di una rappresentazione finale e completa di quei fenomeni. I collaboratori di Heisenberg interpretavano questo atteggiamento di Einstein come segno di un ormai arretrato conservatorismo, ma Popper rimprovera ai fisici della scuola di Heisenberg di essersi dimenticati che l’atteggiamento di Einstein verso le proprie teorie era stato ben più critico di quello verso lo teorie dello stesso Heisenberg[43].

Per quanto riguarda il «grande scontro di titani» fra Einstein e Bohr ai congressi Solvay, Popper si schiera contro l’opinione prevalente secondo cui Einstein ne sarebbe uscito sconfitto: cita in particolare l’opinione di Murray Gell-Mann, Premio Nobel per la fisica del 1969, secondo cui Niels Bohr aveva fatto il lavaggio del cervello a una intera generazione di fisici teorici nel pensare che tutto il lavoro (di interpretazione della teoria quantistica) fosse stato fatto 50 anni prima[44].

Il problema posto da Einstein era se la fisica quantistica fosse completa e cercava di provare questa incompletezza, pensando che potesse esserci un livello più profondo della realtà fisica. Popper aveva una grande capacità di entrare nelle controversie scientifiche, come testimoniano le sue discussioni con Einstein, con Bohr, con Heisenberg, con Schrödinger...; tuttavia era consapevole di non essere un fisico di professione e che se un filosofo si oppone a un dogma della fisica, deve aspettarsi di andare incontro a «derisione e disprezzo»[45]. Ugualmente volle seguire Einstein e impegnarsi a lungo in questa battaglia per il realismo, sostenendo la tesi che la nostra conoscenza possa essere incompleta e allo stesso tempo oggettiva, cioè in grado di rivelarci qualcosa sulla realtà del mondo. Nel 1982, all’età di ottant’anni, scrisse una prefazione al terzo volume del Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, in cui parla dello scisma della fisica che aveva visto da una parte i fisici della scuola di Copenaghen e dall’altra parte i fisici realisti come Einstein, de Broglie e Schrödinger. Popper parla di una meccanica quantistica senza l’osservatore e respinge l’idea che possa esserci una fisica alla fine della strada, come preconizzato da Heisenberg e Bohr. Che nessuna teoria possa essere completa Popper l’aveva appreso già nel lontano 1919, quando aveva confrontato l’atteggiamento problematico di Einstein con quello dei seguaci di dottrine totalizzanti che davano l’illusione che non ci fosse più nulla da discutere o da imparare. Anche il positivismo e le concezioni di Heisenberg e Bohr potrebbero darci questa illusione: perché, se riteniamo che la nostra scienza non sia conoscenza del mondo, ma di come vediamo il mondo, se ci fermiamo alle apparenze e alla superficie, allora possiamo veramente pensare che la nostra conoscenza sia completa e non vi sia più nulla da scoprire. Se invece, seguendo Einstein, pensiamo che noi possiamo squarciare il velo delle apparenze e penetrare nei segreti della natura, allora dobbiamo riconoscere che la nostra conoscenza può essere solo approssimata e incompleta. Le nostre teorie più audaci si scontrano col mondo, e in questo scontro il mondo ci dice che possono essere false e possono essere migliorate. Ma soprattutto le nostre teorie ci dicono che il mondo non è una nostra illusione, perché «quando [le nostre idee] si scontrano sappiamo, allora, che esiste una realtà: qualcosa che può informarci che le nostre idee sono errate. Ecco perché il realista ha ragione»[46].

 


[1] Cfr. G. J. Whitrow (ed.), Einstein. The Man and His Achievement, British Broadcasting Corporation, London 1967, pp. 23-28.

[2] Per questa insoddisfazione di Einstein, si può vedere P. Greco, Marmo pregiato e legno scadente. Albert Einstein, la relatività e la ricerca dell’unità in fisica, Carocci, Roma 2015.

[3] K.R. Popper, La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale (1974), tr. it. Armando, Roma 1976, p. 39.

[4] Ibid.

[5] Ibid., p. 40.

[6] A. Einstein, Relatività: esposizione divulgativa (1916), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1967, p. 101.

[7] Cfr. A. Einstein, op. cit., p. 140; cfr. anche K.R. Popper, op. cit., p. 40.

[8] K.R. Popper, Logik der Forschung, Springer, Wien 1934; tr. ing. The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson, London 19682; tr. it. Logica della Scoperta Scientifica, Einaudi, Torino 1970.

[9] Il libro sarà pubblicato nella versione originale molti anni dopo: K.R. Popper, I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza (1979), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1987.

[10] Cfr. M.H. Hacohen, Karl Popper - The Formative Years 1902-1945, Cambridge University Press, New York 2000, p. 278.

[11] Cfr. J. van Dongen, Einstein’s Unification, Cambridge University Press, Cambridge 2010, p. 43. 

[12] Ibid., p. 44.

[13] A. Einstein, Induzione e deduzione nella fisica (1919), tr. it. in «Nuova Civiltà delle Macchine», XIII, 49-50, 1995, p. 49.

[14] Ibid.

[15] K.R. Popper, Logica, cit., pp. 21-25.

[16] Cfr. J. van Dongen, op. cit., p. 44, nota 30.

[17] K.R. Popper, Logica, cit., p. 11.

[18] Ibid., § 77.

[19] Questa lettera di Einstein, datata 11 settembre 1935, è riportata in Appendice all’edizione inglese e anche nella traduzione italiana della Logica (pp. 519-526).

[20] Cfr. K.R. Popper, Poscritto alla Logica della scoperta scientifica: III. La teoria dei quanti e lo scisma nella fisica (19822), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1984, p. 31-32, nota 21.

[21] K.R. Popper, La ricerca, cit., p. 133.

[22] Ibid., p. 96.

[23] Ibid., p. 136.

[24] Ibid., p. 133.

[25] Ibid.

[26] Si veda K.R Popper, Società aperta, universo aperto (19862), tr. it. Borla, Roma 1984, pp. 133-137.

[27] P.S. de Laplace, Saggio Filosofico sulle probabilità (1814), tr. it. in Opere, UTET, Torino 1967, p. 243.

[28] Si veda K.R. Popper, Nuvole e orologi, in Conoscenza oggettiva (1972), tr. it., Armando, Roma 1975, pp. 277-340.

[29] Ibid., p. 285.

[30] A questo proposito si può vedere K.R. Popper, Un universo di propensioni (1990), tr. it. Vallecchi, Firenze 1991.

[31] Cfr. K.R. Popper, La ricerca, cit., p. 100.

[32] A. Pais, “Sottile è il Signore…” La scienza e la vita di A. Einstein (1982), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 15.

[33] Lettera alla Royal Society per il Bicentenario di Newton, citata in W. Isaacson, Einstein. La sua vita, il suo universo (2007), tr. it. Mondadori, Milano 2008, p. 322.

[34] Lettera citata in W. Isaacson, op. cit., p. 445.

[35] A. Einstein, L. Infeld , L’evoluzione della fisica (1938), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1965, p. 303.

[36] K.R. Popper, Poscritto alla Logica, cit., p. 23.

[37] Cfr. W. Heisenberg, The Representation of Nature in Contemporary Physics, in «Daedalus», 87 (3), 1958, p. 100.

[38] Cfr. W. Isaacson, op. cit., p. 321. La citazione è presa da Aage Petersen, The Philosophy of Niels Bohr, in «Bulletin of the Atomic Scientists», XIX (7), 1963, p. 12.

[39] Cfr. K.R. Popper, Poscritto alla Logica, cit. p. 20.

[40] Ibid., p. 23 e sgg.

[41] Ibid., p. 25.

[42] Ibid.

[43] Ibid., p. 26.

[44] Ibid., p. 27.

[45] Ibid., p. 51.

[46] Ibid., p. 21.

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