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L’astronomia gravitazionale: in ascolto dei sussurri dell’universo

Autore


Annalisa Allocca

Università di Pisa

Assegnista di Ricerca presso la Facoltà di Fisica dell’Università di Pisa e associata al gruppo Virgo dell’INFN – sez. di Pisa. È un fisico sperimentale e lavora presso il sito dell’esperimento Virgo, a Cascina (PI)

Indice


  1. Introduzione
  2. Il concetto di relatività nei secoli
  3. Le onde gravitazionali
  4. Le sorgenti di onde gravitazionali …
  5. … E il loro effetto
  6. I rivelatori di onde gravitazionali
  7. La rete di detector nel mondo
  8. La scoperta delle onde gravitazionali
  9. L’importanza della rivelazione di onde gravitazionali
  10. Conclusioni

 

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S&F_ n. 18_ 2017

Abstract


Gravitational astronomy: listening to the whispers of the universe


It was about 10 am, Greenwich time, on September 14th 2015 when scientists detected something which had never been detected before: the “sound” of two colliding black holes which, after orbiting around each other for billion years, approached closer and closer until colliding, giving rise to a single huge black hole. A tiny fraction of second before the collision, they sent a signal towards the rest of the universe, their “swansong”, a vibration which propagated in space and time at the speed of light, getting to the Earth 1.4 billion years later. A gravitational wave. A hundred years after the publication of the General Relativity, the Gravitational Waves detection confirms once again the validity of Einstein’s Theory, and paves the way for a completely new research field. Space-time ripples poorly interacting with matter and giving rise to extremely tiny effects, Gravitational Waves need very sophisticated instruments to be detected. In this paper we will retrace the history of this discovery, starting from the breath of revolution of General Relativity which carries along the theorization of Gravitational Wave. We will then go through the analysis of the effect that Gravitational Waves induce on the matter, and we will describe the basic principles of the instrument which detected them, to finally get to the first discovery which opens the way to a completely new era for astronomy.

 

 


“Vorrei poter vedere la faccia di Einstein ora!”

Reiner Weiss, premio Nobel per la fisica 2017 per la scoperta delle onde gravitazionali

  1. Introduzione

La pubblicazione della teoria della relatività generale risale a oltre un secolo fa. Eppure ogni nuova conferma della sua validità continua a suscitare un moto di sconcerto, quasi la nostra natura facesse fatica ad accettare una teoria così “fuori dalle righe” o, per meglio dire, fuori dal senso comune. “La più sorprendente combinazione di penetrazione filosofica, intuizione fisica e abilità matematica”: così definiva Max Born la più completa equazione di campo che lega tra loro geometria dello spazio-tempo, velocità della luce e forza gravitazionale in una formulazione visionaria che riesce ad andare al di là delle comuni categorie mentali.

Sono molteplici le scoperte che, in quest’ultimo secolo, si sono dimostrate in linea con la teoria della relatività generale. Ultima, e solo in termini temporali, quella delle onde gravitazionali. Anni di ricerche sono stati necessari al fine di sviluppare le tecnologie più sofisticate e mettere a punto uno strumento capace di rivelare un effetto pari a una frazione di un nucleo atomico. Attualmente, sono tre al mondo i rivelatori con queste caratteristiche: due fanno capo al progetto statunitense LIGO, mentre il terzo è situato in Italia ed è il frutto di una collaborazione tra diversi paesi europei. Si tratta dell’interferometro Virgo.

Nonostante le attuali tecniche astrofisiche ci abbiano permesso e ci permettano tuttora di esplorare l’universo, esistono oggetti che, per loro natura, non sono mai stati direttamente rivelati. Inoltre, svariati sono gli aspetti fisici ancora sconosciuti riguardo alla formazione e alla composizione stellare. Un’astrofisica basata sulla rivelazione di onde gravitazionali permette la rivelazione diretta di oggetti altrimenti non osservabili, come i buchi neri, e ci fornisce informazioni aggiuntive sulla natura della materia, della popolazione stellare e persino della loro struttura interna. Questa è la portata dell’astrofisica delle onde gravitazionali.

In questo articolo ripercorreremo brevemente le tappe della storia della fisica che hanno portato il genio di Einstein alla formulazione della teoria della relatività generale, per poi soffermarci sulla teorizzazione delle onde gravitazionali che rappresenta una conseguenza diretta di questa teoria. Entreremo nel dettaglio sulla natura delle onde gravitazionali, il loro effetto sulla materia e le caratteristiche dello strumento preposto alla loro rivelazione per giungere, infine, alla loro importanza nell’ambito dello scenario astrofisico.

  1. Il concetto di relatività nei secoli

La prima formulazione matematica della legge di gravitazione viene presentata nel Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, pubblicato nel 1687 da Sir Isaac Newton. Secondo questo modello, che per più di duecento anni ha rappresentato la più valida descrizione dell’attrazione gravitazionale tra masse, esiste una forza attrattiva tra i corpi di natura istantanea, la cui intensità dipende direttamente da quanto essi sono massivi e inversamente dal quadrato della loro reciproca distanza.

La gravitazione newtoniana soddisfa pienamente il principio di relatività galileiana, secondo cui le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali (vale a dire per un osservatore che si trovi in stato di quiete o di moto rettilineo uniforme), ed esistono opportune trasformazioni di coordinate puramente spaziali (dette trasformazioni di Galileo) che permettono di passare da un sistema di riferimento all’altro senza modificare le leggi della fisica. In questo quadro il tempo è assoluto, e in quanto tale non è affetto da tali trasformazioni.

Dopo la formulazione di Maxwell dell’elettrodinamica, il principio di relatività galileiana inizia a vacillare: le leggi fisiche che regolano l’elettrodinamica, infatti, non sono invarianti per trasformazioni di Galileo, bensì per trasformazioni di Lorentz, la cui novità consiste nel considerare spazio e tempo come coordinate analoghe, interconnesse, non più nettamente separate né assolute.

È questo il punto di partenza di Einstein che, nel 1905, riassume nella teoria della relatività ristretta i concetti che le leggi fisiche, non solo della meccanica ma anche dell’elettromagnetismo, debbano valere in tutti i sistemi di riferimento inerziali e che la velocità della luce nel vuoto sia la stessa in tutti i sistemi di riferimento. La relatività ristretta ipotizza uno spazio-tempo euclideo (vale a dire con metrica piatta) in cui è possibile definire dei sistemi di riferimento inerziali legati tra loro dalle trasformazioni di Lorentz, che devono garantire l’invarianza di tutte le leggi fisiche. L’insuperabilità della velocità della luce è però in contraddizione con le leggi di gravitazione di Newton, secondo la quale le masse esercitano un’azione istantanea sulle altre: questo suggerisce la necessità di rifondare una teoria della gravitazione. La forza gravitazionale è per ora, però, esclusa da questa descrizione.

Conciliare le leggi di gravitazione con la teoria della relatività ristretta richiede un ulteriore passaggio concettuale, che lo stesso Einstein concretizza in uno dei principi fondamentali della storia della fisica gravitazionale: si tratta del principio di equivalenza, che assume la completa equivalenza fisica tra un campo gravitazionale e un sistema di riferimento accelerato, ed estende il principio di relatività al caso di moto uniformemente accelerato del sistema di riferimento.

Per comprendere quest’ultimo passaggio, confrontiamo gli esperimenti immaginari che hanno portato Galileo alla formulazione del principio di relatività e Einstein alla creazione della teoria della relatività generale.

Galileo immaginava di condurre esperimenti di fisica in un vascello che si muovesse con velocità costante rispetto alla terraferma e concludeva che, dai risultati ottenuti, era impossibile discernere se questi esperimenti fossero stati condotti in un sistema di riferimento in quiete o in moto rettilineo uniforme.

Analogamente, Einstein ipotizzava di condurre esperimenti in un ascensore a cui fossero stati tagliati i cavi e che pertanto fosse in caduta libera nel campo gravitazionale. In questo caso, a partire dal risultato degli esperimenti condotti, non si può distinguere se il laboratorio si trova in un sistema di riferimento accelerato e soggetto al campo gravitazionale oppure in un sistema di riferimento in quiete e nel vuoto, non soggetto ad alcuna attrazione gravitazionale. A partire da questo Gedankenexperiment, Einstein formula la teoria della relatività generale.

Tuttavia, Einstein ben presto realizza che una metrica piatta non è più adatta alla descrizione di sistemi di riferimento accelerati e, memore degli studi sulla teoria delle superfici di Gauss, cerca di coniugare l’idea di campo gravitazionale generato da masse con una descrizione geometrica dello spazio-tempo. Questo lavoro lo impegna per i dieci anni successivi finché, nel novembre del 1915, pubblica la teoria della relatività generale[1], che rappresenta tutt’ora la teoria di riferimento della gravitazione ed è considerata fra le più alte creazioni del pensiero umano di tutti i tempi.

In questa nuova teoria della gravitazione, Einstein presenta una visione dello spazio-tempo come di un continuo la cui metrica non più euclidea è influenzata dalla distribuzione di massa. È di John Archibald Wheeler la frase che meglio riassume il senso profondo di questa teoria: «Matter tells the space-time how to curve, and space-time tells matter how to move» – La materia dice allo spazio-tempo come curvarsi, e lo spazio-tempo dice alla materia come muoversi.

In questo nuovo quadro, l’azione della forza di gravità non è altro che una diretta conseguenza della curvatura dello spazio-tempo indotta dalla presenza di masse che si muovono di moto “rettilineo uniforme” rispetto a un sistema di riferimento opportunamente distorto dalla loro stessa presenza.

 

  1. Le onde gravitazionali

Il primo embrione del concetto di onda gravitazionale si ritrova negli scritti di Poincaré, il quale supponeva che «la propagazione dell’interazione gravitazionale non è istantanea, ma viaggia alla velocità della luce. Quando pertanto si parla della posizione o della velocità del corpo che attrae, sarà la posizione o la velocità definita nel momento in cui l'onda gravitazionale parte da questo corpo; quando invece parliamo della posizione o della velocità del corpo attirato, sarà la posizione o la velocità definita nel momento in cui il corpo attirato è stato raggiunto dall'onda gravitazionale emanata dal primo corpo; è chiaro che il primo momento avviene prima del secondo»[2].

Nel 1905 Poicaré le chiamava ondes gravifiques: il suo era un primo tentativo di sistematizzare l’idea che, anche nella gravitazione, la trasmissione dei segnali non avviene con velocità infinita, ma non si tratta di un concetto diverso da quello successivamente sviluppato da Einstein.

È solo nel 1918 che, a partire dalla teoria della relatività generale, Einstein formalizza matematicamente l’esistenza delle onde gravitazionali come perturbazioni della metrica dello spazio-tempo, collegandone le proprietà alle caratteristiche di massa e velocità delle sorgenti.

Nell’articolo Über Gravitationswellen[3], Einstein introduce l’idea che queste perturbazioni siano prodotte da un sistema tipo “manubrio” (l’attrezzo ginnico con un’asta centrale e due masse laterali). In termini astrofisici, stiamo parlando di un sistema binario di masse o, ancora più specificamente, di un sistema accelerato con momento di quadrupolo non nullo.

Quelle della Relatività Generale sono un sistema di equazioni differenziali non lineari risolubili solo in presenza di particolari approssimazioni. Ponendosi in quella che viene detta l’approssimazione di campo debole (cioè lontano dalle sorgenti), che considera la metrica dello spazio-tempo come una metrica piatta con l’aggiunta di una “piccola perturbazione”, le equazioni di Einstein si linearizzano e si riducono alle equazioni delle onde: le onde gravitazionali, appunto. Le caratteristiche delle onde gravitazionali prodotte da una sorgente ben definita possono essere quindi facilmente ricavate a partire dal modello matematico, a patto che valga la suddetta approssimazione. Quanto più ci si avvicina alle sorgenti, tanto più l’approssimazione di campo debole perde di validità, e la risoluzione delle equazioni richiede tecniche di approssimazioni numeriche.

Anche per questo motivo, l’esistenza delle onde gravitazionali è sempre stata oggetto di controversie. Lo stesso Einstein non ne era convinto, e nel 1936 scrisse con Nathan Rosen un articolo che giungeva alla conclusione che le onde gravitazionali non esistessero. L’articolo, dal titolo “Do gravitational waves exist?” (Esistono le onde gravitazionali?) venne però respinto dalla prestigiosa rivista scientifica Physical Review Letters (a ben ragione, oggi possiamo dire!). In gran collera, Einstein ritirò l’articolo.

Negli anni a seguire, le ricerche su questo argomento procedono piuttosto a rilento fino a quando, nel 1976, Russel Hulse e Joseph Taylor scoprono per la prima volta un sistema binario di stelle, denominato PSR 1913+16[4]. La diminuzione di energia dell’orbita che tale sistema mostra negli anni successivi risulta essere compatibile con la previsione di emissione di onde gravitazionali[5]: questa viene letta da molti come la prima prova indiretta delle onde gravitazionali, e incoraggia l’inizio di un intero filone di ricerca dedicato alla loro rivelazione diretta.

 

  1. Le sorgenti di onde gravitazionali …

Come accennato precedentemente, le onde gravitazionali sono prodotte da masse accelerate che hanno momento di quadrupolo diverso da zero. Il momento di quadrupolo di una distribuzione di masse rappresenta un indicatore della “non-sfericità” del sistema: in altre parole, una distribuzione di massa non simmetrica accelerata produce increspature nello spazio-tempo, quindi onde gravitazionali. Questo significa che la produzione di onde gravitazionali avviene anche nel nostro quotidiano: due ballerini che ruotano uno intorno all’altro tenendosi per il braccio producono onde gravitazionali. Anche lo scoppio di un ordigno asimmetrico produce onde gravitazionali. Tuttavia, in questi esempi le masse in gioco sono così piccole che gli effetti prodotti non sono misurabili. È per questo che consideriamo tra le sorgenti di onde gravitazionali rivelabili solo quelle astrofisiche: sistemi binari di stelle che spiraleggiano (in gergo coalescono) per poi fondersi in un unico oggetto astrofisico, come coppie di stelle di neutroni o di buchi neri o un misto delle due, supernove che esplodono, pulsar: qualsiasi sistema soggetto a un’accelerazione la cui distribuzione di massa non sia sfericamente simmetrica.

A differenza di quella elettromagnetica, la radiazione gravitazionale perde pochissima energia nell’interazione con la materia. Per questo motivo, tutte le onde gravitazionali prodotte a partire dall’origine dell’universo fino ai giorni nostri sono ancora presenti e costituiscono un “rumore” di fondo gravitazionale, che viene definito appunto fondo stocastico. Per avere un’immagine del fondo stocastico, immaginiamo di nuotare in una piscina all’aperto e di guardare il riflesso delle increspature dell’acqua proiettate sul fondo della piscina: si tratta di tante piccole onde, prodotte da chissà quale nuotatore nella corsia accanto o magari da noi stessi, che si intersecano l’un l’altra, dando luogo a un fondo imprescindibile di “rumore” sulla superficie dell’acqua. In modo analogo, il fondo stocastico gravitazionale è costituito da tutti i segnali che nella storia dell’universo sono stati prodotti dai più disparati eventi astrofisici.

Qual è l’effetto che le onde gravitazionali producono e come si fa a rivelarle?

  1. … E il loro effetto

Immaginiamo due masse in caduta libera nel campo gravitazionale (vale a dire soggette a nessun’altra forza che a quella gravitazionale) separate da una distanza L. L’effetto dell’onda gravitazionale è quello di “allungare” e “accorciare” lo spazio-tempo nella direzione ortogonale a quella di propagazione (Figura 1)

Figura 1- Effetto prodotto su un insieme di masse disposte in circolo dal passaggio di un'onda gravitazionale che si propaga in direzione ortogonale al piano del foglio. Lo spazio-tempo viene accorciato in una direzione e allungato nell'altra e viceversa.

 

Più precisamente, la distanza L viene deformata di una quantità pari a δL = hL/2  dove h è l’ampiezza dell’onda gravitazionale: detto in termini discorsivi, la possibilità di rivelare l’effetto δL è direttamente legata all’ampiezza dell’onda e alla distanza tra le masse di test.

Per capire quanto ci si aspetta possa essere l’ordine di grandezza dell’ampiezza di un’onda gravitazionale, basti pensare che la coalescenza di due buchi neri, ciascuno con una massa pari a decine di volte quella del sole, posti a circa un miliardo di anni luce dalla terra, dà luogo a un’onda gravitazionale dall’ampiezza dell’ordine di 10-21 .

Pertanto, date due masse in caduta libera separate di due chilometri (L=2x103m), a causa del passaggio dell’onda gravitazionale la loro mutua distanza cambia di

  

Per capire quanto sia piccolo questo numero è utile paragonarlo a qualcosa di cui possiamo avere contezza. Immaginiamo di versare un bicchiere di vino nel mare e di voler misurare quale sia la variazione del livello del mare che ne deriva: tale variazione è dell’ordine di m. Equivalentemente, m è la variazione pari allo spessore di un capello nella distanza tra il Sole e la sua stella più vicina.

Questo è l’effetto che vogliamo essere in grado di rivelare.

  1. I rivelatori di onde gravitazionali

I rivelatori di onde gravitazionali attualmente in operazione sono interferometri di Michelson, ossia strumenti che sfruttano il principio dell’interferenza della radiazione elettromagnetica.

Il fenomeno dell’interferenza è legato alla natura ondulatoria dei campi elettromagnetici, che sono caratterizzati da un’ampiezza e una fase. La somma (o interferenza) di due o più onde elettromagnetiche dipende dal loro reciproco rapporto di fase, e può variare tra quella che viene definita interferenza distruttiva (buio) o costruttiva (luce), a seconda che esse siano, rispettivamente, in controfase o in fase.

L’interferometro di Michelson prende il nome dal fisico americano Albert A. Michelson che insieme a Edward W. Morley mise a punto e utilizzò questo strumento per misurare la velocità della luce, dimostrando per la prima volta che la radiazione elettromagnetica si propaga nel vuoto a una velocità costante e assoluta, e smentendo così l’ipotesi dell’esistenza di un mezzo (l’etere luminifero) che ne permettesse la trasmissione e rispetto al quale misurare la velocità di propagazione.

Un interferometro di Michelson è costituito da un fascio laser sul cui percorso è posto uno specchio semitrasparente (in inglese beam splitter, divisore di fascio), che trasmette metà del fascio e ne riflette l’altra, indirizzando così i due (semi)fasci verso due direzioni (solitamente ortogonali tra loro), che vengono dette “bracci” dell’interferometro. Uno specchio posto alla fine di ciascun braccio riflette i due fasci verso la loro direzione d’origine. I fasci, quindi, si ricombinano al beam splitter, dando luogo a un’interferenza costruttiva o distruttiva, a seconda della mutua differenza di fase.

Immaginiamo che i due specchi posti al termine dei bracci dell’interferometro siano masse in caduta libera nel campo gravitazionale: una qualsiasi variazione della loro mutua distanza (dovuta ad esempio al passaggio dell’onda gravitazionale) si tradurrebbe in una variazione di interferenza all’uscita dello strumento. Vediamolo più nel dettaglio. Abbiamo mostrato che il passaggio di un’onda gravitazionale ha come effetto quello di stirare e allungare lo spazio nella direzione ortogonale a quella in cui si propaga.

Pertanto, immaginiamo che un’onda gravitazionale si stia propagando perpendicolarmente al piano dell’interferometro: il suo effetto sullo strumento sarà quello di “stirare” uno dei bracci “accorciando” l’altro e viceversa (Figura 2).

Figura 2 - A fianco: Schema di un interferometro di Michelson nel suo punto di lavoro (interferenza distruttiva sullo schermo all’uscita del detector) in assenza di perturbazione. In basso: al passaggio dell'onda gravitazionale uno dei due bracci viene stirato e l'altro accorciato, e questo risulta in una variazione della figura d'interferenza all'uscita del detector.

 

Ora proviamo a leggere questo effetto in termini di fase del fascio laser che viaggia in ciascun braccio. In assenza di perturbazioni gravitazionali, i due fasci si ricombinano dando luogo a una definita figura di interferenza. Al passaggio dell’onda gravitazionale, uno dei bracci si allunga e l’altro si accorcia: di conseguenza, i fasci laser che viaggiano al loro interno dovranno percorrere uno spazio rispettivamente più lungo o più corto, e questo risulterà in una loro diversa fase di ricombinazione all’uscita dell’interferometro. Quindi, data una condizione di lavoro iniziale, ad esempio, di interferenza distruttiva, l’onda gravitazionale darà luogo a un’interferenza tra i fasci “non completamente distruttiva”, che si trasformerà in un segnale laser pulsante nel tempo, la cui frequenza dipenderà dalle caratteristiche dell’onda gravitazionale.

Questo è il principio di funzionamento di un rivelatore interferometrico. Purtroppo negli apparati di misura reali le cose non sono così semplici. L’ampiezza del segnale gravitazionale è molto debole e la probabilità che fonti esterne di rumore possano dar luogo a segnali fittizi sono altissime. La sfida dei rivelatori di onde gravitazionali sta nell’accrescere quello che in gergo è definito rapporto Segnale/Rumore, e consiste nell’ alzare il volume del segnale da un lato e, nel contempo, mitigare le fonti di rumore.

Sono diverse le tecniche che permettono di accrescere la sensibilità al segnale dell’apparato sperimentale. Ne descriveremo una, al fine di mostrare perché gli interferometri non siano oggetti “tascabili”.

Nel precedente paragrafo abbiamo visto come l’effetto provocato dal segnale gravitazionale dipenda direttamente dalla distanza tra le masse in caduta libera: più queste sono distanti tra loro, più grande è l’effetto indotto. Questo è il motivo per cui i bracci dei rivelatori interferometrici hanno dimensioni chilometriche. In più, ciascun braccio è fornito di un risonatore ottico, cioè una cavità risonante costituita da due specchi “affacciati” e posti a una distanza ben definita, che fanno percorrere al fascio laser più volte la lunghezza del braccio prima di uscire dall’interferometro, cosa che è equivalente ad avere bracci centinaia di volte più lunghi.

Le fonti di rumore da attenuare sono innumerevoli, e vanno dalle vibrazioni sismiche al rumore acustico o termico, ai rumori tecnici come le fluttuazioni in potenza o in frequenza del fascio laser, al rumore quantistico. L’origine e la natura di ciascuna di queste fonti di rumore richiederebbe una trattazione dettagliata, così come la descrizione delle tecnologie utilizzate per mitigarle. Per dare un’idea di quanto queste fonti di rumore influiscano sulla sensibilità del rivelatore, diamo uno sguardo ravvicinato al caso del rumore sismico.

Quando parliamo di rumore sismico non ci riferiamo necessariamente a fenomeni sismici rilevanti come i terremoti ma, più in generale, a tutte le possibili vibrazioni del suolo, ivi comprese quelle indotte da attività antropiche. L’ampiezza media di tali vibrazioni durante un periodo ordinario è dell’ordine di 10-8m, vale a dire 10 ordini di grandezza in più rispetto all’effetto indotto dalle onde gravitazionali! È chiaro che è necessaria una strategia che permetta di filtrare questo tipo di rumore. La tecnologia utilizzata nel rivelatore Virgo, ad esempio, consiste in una catena di pendoli in cascata dell’altezza totale di circa 7.5 m, alla base della quale è sospeso lo specchio. Questo strumento attenua il rumore sismico di ben 12 ordini di grandezza, ed è chiamato superattenuatore.

Come per il caso del superattenuatore, mitigare ciascuna di queste fonti di rumore richiede avanzatissime tecnologie che spesso sono originali e sviluppate nell’ambito dell’esperimento stesso.

  1. La rete di detector nel mondo

Attualmente, tre sono i rivelatori al mondo la cui sensibilità è sufficiente a rivelare un’onda gravitazionale: i due interferometri di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) locati negli Stati Uniti (Hanford, WA e Livingston, LA), e l’interferometro Virgo, situato nelle campagne di Cascina, poco lontano dalla città che diede i natali a Galileo Galilei. Il progetto Virgo nasce nel 1987 come collaborazione italo-francese costituita inizialmente da poco meno di 30 persone e alla quale si sono successivamente aggregate l’Olanda, l’Ungheria, la Polonia e la Spagna, per un totale di circa 280 tra tecnici e ricercatori.

Sono collaborative più che competitive le motivazioni che portano alla costruzione di una rete di detector. In primis, la possibilità di effettuare una triangolazione e, quindi, individuare la provenienza del segnale gravitazionale. In secondo luogo, avere più rivelatori che operano in contemporanea consente di escludere più facilmente i “falsi positivi”, ossia segnali che potrebbero essere registrati come tali solo da uno degli interferometri, ma non trovare riscontro negli altri detector. Questi i motivi alla base del Memorandum of Understanding tra LIGO e Virgo (2007), che sancisce la collaborazione tra i due esperimenti, unendo così i due progetti in un’unica grande comunità scientifica, la LIGO-Virgo collaboration, che si traduce in un’analisi congiunta dei dati dei rivelatori, oltre che a continui scambi di esperienze e tecnologie al fine di arricchire e migliorare i rivelatori.

Le osservazioni congiunte LIGO-Virgo sono iniziate nel 2007 con quelli che definiamo i detector di prima generazione. Il loro orizzonte osservativo si estendeva fino all’ammasso della Vergine, distante circa 60 milioni di anni luce dalla terra. Da qui trae il nome il nostro esperimento Virgo.

A partire dal 2010 per LIGO e dalla fine del 2011 per Virgo, i rivelatori sono stati sottoposti a un upgrade al fine aumentarne la sensibilità di un fattore 10 e, quindi, ampliarne il volume osservativo di un fattore 103: in questo modo sono nati i detector di seconda generazione Advanced LIGO[6] e Advanced Virgo[7].

  1. La scoperta delle onde gravitazionali

Nel Settembre del 2015 Advanced Virgo è ancora in fase di installazione, mentre Advanced LIGO si prepara a iniziare il suo primo periodo osservativo in qualità di detector di Seconda Generazione, il primo Observing Run (O1). Il run di osservazione scientifica è sempre preceduto da una fase detta “ingegneristica”, in cui il rivelatore viene testato e messo a punto. Il 14 Settembre 2015, i due rivelatori di Advanced LIGO erano ancora in questa fase preliminare, quando sono stati attraversati da un’onda gravitazionale. La presenza di questo segnale nei dati di LIGO ha generato subbuglio e incredulità nell’intera collaborazione. Nella successiva fase di approfondite verifiche durata mesi, ogni possibilità è stata vagliata ai fini di evidenziare eventuali “falsi allarmi”. Alla fine non c’erano dubbi: si trattava davvero di un’onda gravitazionale[8].

Il segnale, denominato GW150914, della durata di meno di mezzo secondo, costituisce la fase finale della coalescenza di due buchi neri di masse pari a 36 e 29 volte quella del sole, ciascuna concentrata in un diametro di poco più di 100 km, che avevano spiraleggiato per miliardi di anni fino ad avvicinarsi a una distanza reciproca di circa 350 km per poi fondersi in un unico grande buco nero della massa finale di 62 masse solari. 62 masse solari, non 65, come suggerirebbe la somma delle masse iniziali. Perché quella che manca all’appello si ritrova nell’energia (energia e massa sono equivalenti, come ci insegna la relatività ristretta) delle onde gravitazionali che continuano a propagarsi nell’universo deformando lo spazio-tempo. Ancora una volta, per provare a capire meglio quanto questo numero sia grande facciamo un paragone. Se la stessa energia fosse stata emessa sotto forma di “luce”, avremmo visto per mezzo secondo un nuovo astro nel cielo di luminosità pari a quella della Luna.

Il primo run osservativo di Advanced LIGO ha rivelato tre segnali gravitazionali certi, tutti prodotti dalla coalescenza di buchi neri.

Il 1 agosto 2017 Advanced Virgo entra in presa dati al fianco dei detector americani, e dopo due settimane (è il 14 di Agosto) Virgo capta insieme ai due gemelli LIGO la sua prima onda gravitazionale, prodotta ancora dalla collisione di due buchi neri[9]. Il contributo di Virgo nella localizzazione dell’evento è subito evidente: la presenza del terzo detector, infatti, ha permesso di ridurre l’indeterminazione sulla provenienza del segnale di più di un ordine di grandezza. Inoltre, il contributo di Virgo ha consentito la verifica di ulteriori aspetti previsti dalla Teoria della Relatività Generale riguardanti la polarizzazione delle onde gravitazionali, cosa su cui i rivelatori LIGO, da soli, non avevano potuto trarre conclusioni.

Quando un’onda gravitazionale è prodotta non da buchi neri, ma da sorgenti astrofisiche di natura differente, associati all’evento è possibile registrare anche segnali di natura elettromagnetica.

Ipotizziamo che gli interferometri rivelino un’onda gravitazionale e la classifichino come prodotta da una coalescenza di stelle di neutroni. Grazie alla triangolazione, i detector possono individuare una regione di universo entro la quale l’evento ha potuto verificarsi e allertare i telescopi, che puntando verso la regione indicata dai rivelatori gravitazionali, possono osservare il prodotto finale della coalescenza (sempre che non si tratti di un buco nero) oppure registrare segnali elettromagnetici prodotti durante la coalescenza. In altre parole, grazie all’indicazione sulla provenienza suggerita dall’onda gravitazionale, i telescopi sono in grado di registrare in diretta la nascita di una nuova stella e seguirne tutta l’evoluzione. Questo è quello che è successo il 17 Agosto del 2017 con il segnale GW170817[10]: a 130 milioni di anni luce, una coalescenza tra due stelle di neutroni di massa compresa tra 1 e 2 masse solari e del raggio di una decina di chilometri, ha prodotto un’onda gravitazionale a seguito della quale oltre 70 telescopi sulla terra e nello spazio hanno registrato emissioni di radiazione in tutta la banda elettromagnetica proveniente dalla galassia nota come NGC 4993, nella costellazione dell’Idra. È la prima volta che la formazione di una nuova stella viene seguita a partire dalla “danza finale dei suoi progenitori”, alla sua nascita e per oltre due settimane successive[11].

Questa scoperta segna l’inizio dell’astronomia multimessaggero, così definita perché caratterizzata, per la prima volta nella storia, da informazioni provenienti da segnali di natura completamente diversa, vale a dire onde gravitazionali ed elettromagnetiche.

  1. L’importanza della rivelazione di onde gravitazionali

L’importanza di queste scoperte è stravolgente, e forse non ce ne sono ancora chiare tutte le sfumature e le potenzialità.

In primo luogo, ma questo è quasi scontato, la rivelazione delle onde gravitazionali rappresenta una conferma aggiuntiva della validità della relatività generale come teoria della gravitazione e una prova diretta della loro esistenza nella stessa forma in cui erano state previste dalla teoria stessa. In più, l’analisi approfondita della forma d’onda nella fase finale della coalescenza (in cui, ricordiamo, non valgono le approssimazioni di campo debole e la risoluzione delle equazioni è basata su approssimazioni numeriche) permetterà di indagare la fisica in condizioni di campi gravitazionali intensi, di cui a oggi non siamo in grado di dare una formulazione matematica esplicita.

Le onde gravitazionali generate dai buchi neri hanno in sé una portata straordinaria: segnali come GW150914 rappresentano la prima rivelazione diretta di una radiazione prodotta da buchi neri. Infatti, i buchi neri devono il nome al fatto che il campo gravitazionale prodotto dalla loro altissima concentrazione di massa non permette neanche alla radiazione elettromagnetica di sfuggire, rendendoli così invisibili ai normali telescopi.

Veniamo poi alla rivelazione GW170817. Com’è facile immaginare, anche questa scoperta è di enorme portata in quanto, grazie all’osservazione congiunta di onde gravitazionali ed elettromagnetiche generate dallo stesso evento, inaugura un nuovo tipo di astronomia che permetterà lo sviluppo di nuove teorie sulla formazione stellare e sulla definizione delle equazioni di stato delle stelle di neutroni, tutt’ora non note. Inoltre, seguire i segnali nello spettro elettromagnetico fin dai primi istanti del fenomeno osservato permette di scoprire che questo tipo di collisioni dà luogo alla formazione di metalli pesanti come l’oro.

Infine, l’osservazione multimessaggero di questo evento costituisce una prova convincente del fatto che le onde gravitazionali viaggiano alla velocità della luce a conferma, ancora una volta, delle previsioni della Relatività Generale.

Anni di sforzi e ricerche per mettere a punto sofisticatissimi strumenti capaci di rivelare effetti di dimensioni inferiori a quelle del nucleo atomico. E finalmente ha inizio l’astronomia gravitazionale, che in meno di due anni ha prodotto scoperte incredibili, riconosciute con il Nobel per la Fisica 2017 assegnato ai tre scienziati membri della collaborazione LIGO/VIRGO Reiner Weiss, Kip Thorne e Barry Barish.

  1. Conclusioni

La teoria della relatività generale fornisce una nuova descrizione dello spazio-tempo come un “tessuto” la cui struttura geometrica si “incurva” a causa della presenza di masse. In questo stesso quadro, sistemi di masse non simmetrici accelerati producono sul tessuto dello spazio-tempo increspature che si propagano alla velocità della luce. Misurare gli effetti prodotti da tali increspature costituisce una sfida tecnologica imponente, poiché a dispetto dell’enormità delle masse delle sorgenti che le producono, la loro ampiezza risulta essere piccolissima.

Ciononostante, dopo decenni di ricerche e sviluppi tecnologici, sono stati realizzati strumenti sensibili al punto da rivelare effetti di dimensioni subatomiche, e grazie agli sforzi volti a migliorare e accrescere la loro sensibilità, nel 2015 abbiamo assistito alla rivelazione della prima onda gravitazionale della storia. È l’inizio dell’astronomia gravitazionale, che permetterà di integrare e completare l’informazione proveniente dagli attuali telescopi al fine di una comprensione sempre più profonda dei segreti dell’universo.

Infine, aver rivelato un evento prodotto dalla coalescenza di stelle di neutroni ha dato il via all’era dell’astronomia multimessaggero, che grazie alle onde gravitazionali ha i mezzi per investigare la struttura interna delle stelle di neutroni. Inoltre, fungendo le onde gravitazionali da campanello di richiamo per i telescopi, si è in grado di seguire l’evoluzione di una stella a partire dalla sua nascita.

Il contributo dei rivelatori di onde gravitazionali nel campo dell’astrofisica era previsto essere enorme. Forse, però, neanche gli addetti ai lavori si sarebbero aspettati di scoprire così tanto in così poco tempo dalla loro entrata in funzione.

Il futuro dell’astronomia gravitazionale è già cominciato.

 

 


[1] A. Einstein, Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Annalen der Physik», 49, 1916, pp. 769-822.

[2] H. Poincaré, Sur la dynamique de l'électron, in «Comptes rendus de l'Académie des Sciences», 140, 1905, pp. 1504-1508.

[3] A. Einstein, Über Gravitationswellen, in «Sitzungsberichte der Königlich Preußischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», 1918, pp. 154-167.

[4] Cfr. R.A. Hulse, J.H. Taylor, Discovery of a pulsar in a binary system, in «Astrophysical Journal», 195, parte 2, 1975, pp. L51-L53.

[5] Cfr. R.V. Wagoner, Test for the existence of gravitational radiation, in «Astrophysical Journal», 196, 1975, pp. L63-L65.

[6] Cfr. B.P. Abbott et al., GW150914: The Advanced LIGO Detectors in the Era of First Discoveries, in «Physical Review Letters», 116(13):131103, 2016.

[7] Cfr. F. Acernese et al., Advanced Virgo: a second-generation interferometric gravitational wave detector, in «Classical and Quantum Gravity», 32(2):024001, 2014.

[8] B.P. Abbott et al., Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger, in «Physical Review Letters», 116(6):061102, 2016.

[9] B.P. Abbott et al., GW170814: A three-detector observation of gravitational waves from a binary black hole coalescence, in «Physical Review Letters», 119(14):141101, 2017.

[10] B. P Abbott et al., GW170817: observation of gravitational waves from a binary neutron star inspiral, in «Physical Review Letters», 119(16): 161101, 2017.

[11] B.P. Abbott et al., Multi-messenger observations of a binary neutron star merger, in «The Astrophysical Journal Letters», 848(2), articolo L12, 2017.

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