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Come procede e deve procedere l’evoluzione umana? La domanda per la quale un solo esperto non basta

Autore


Ilaria Flisi

Università di Modena e Reggio Emilia

Indice


Reportage del Convegno: Evoluzione umana. Darwin, i geni, la tecnica

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Dipartimento di Studi Linguistici e culturali

26 aprile 2017 -  Aula Magna del Rettorato (Modena)

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S&F_n. 18_2017

Abstract


How is going Human Evolution (and must go)? When one Expert is not enough


The artificial evolution has been added to the natural one, to such an extent that they are more and more intermingled nowadays and this requires us to focus on the implications of the widespread desire of perfection. Far from neglecting those implications, they have however been answered separately, with the biologists and scientists on the one side and the philosophers and anthropologists on the other. The aim of the conference, of which this constitutes a brief report, was to build bridges between those areas in order to work together in facing one of the most actual problems of our society.


Come per un antico greco era la kalokagathia l’ideale di perfezione umana, allo stesso modo si può dire che il binario del miglioramento fisico o genetico e quello della perfettibilità morale continuino tuttora a procedere parallelamente, benché agli scambi tra gli ambiti del sapere storico, filosofico e scientifico non sia sempre accordata la dovuta importanza. A questo vuoto ha cercato di supplire il convegno Evoluzione umana. Darwin, i geni, la tecnica, che si inserisce all’interno di un progetto di ricerca finanziato dai fondi dell’Ateneo di Modena e Reggio Emilia per la ricerca (FAR), dal titolo “Evoluzione e adeguamento. Natura umana e sviluppo tecnologico”, sotto la direzione di Vallori Rasini. Scopo fondamentale del convegno far dialogare studiosi appartenenti a filoni distinti della ricerca intorno a due questioni: quella biologica dell’evoluzione naturale dell’essere umano e quella culturale dell’evoluzione artificiale dell’uomo, in relazione anche ai processi di adeguamento a cui l’ambiente, i viventi in generale e l’uomo in particolare sono sottoposti a causa dello sviluppo tecnologico. In seguito all’esposizione delle rispettive linee di ricerca da parte dei diversi relatori, si è creato lo spazio per una ricca e proficua fase di dibattito che ha allargato ancora maggiormente lo spettro dei contributi offerti dalle varie discipline. D’altronde l’aspetto multidisciplinare del convegno era percepibile anche solamente guardando alla varietà dei partecipanti: docenti e ricercatori, studenti a differenti livelli del loro percorso, esperti di biologia, di genetica, ma anche di antropologia, storia, filosofia, bioetica: come a dire che il tema in questione è fortemente attuale e necessita di un significativo contributo interdisciplinare.

La prima questione sulla quale si è posta l’attenzione è quella relativa all’eugenetica. Generalmente, all’udire la parola “eugenetica”, la nostra mente ci porta immediatamente al programma nazista e ciò ci fa perdere di vista il fatto che in origine il termine aveva un significato filantropico e ambiva al miglioramento della specie umana aumentandone le capacità intellettuali, fisiche e morali attraverso una selezione artificiale. A questo tema era dedicato l’intervento di Antonello La Vergata, docente di Storia della filosofia all’Università di Modena e Reggio Emilia, dal titolo Eugenetica e natura umana, che ha cercato di dimostrare come il programma eugenetico possa essere fatto proprio da molte tipologie di pensatori, dal momento che non vi è mai stato veramente un accordo a proposito di quali siano i caratteri ereditari “migliori”. Il programma eugenetico, nelle sue varie versioni, pervadeva il mondo intellettuale e accademico di fine Ottocento e inizio Novecento, e riceveva il sostegno dalla quasi totalità dei biologi e di altri eminenti studiosi; la sua versione nazista fu solamente quella che, tristemente, divenne più famosa per il suo carattere aberrante. In virtù del carico morale e storico che il termine “eugenetica” porta con sé, oggi nessuno sarebbe lieto di essere ricondotto a tale disciplina, eppure, lungi dal rinunciare definitivamente al tentativo di trascendere i limiti dell’essere umano, l’essenza del programma eugenetico è tuttora presente in medicina, biotecnologia e ingegneria genetica. Ciò apre un’importante questione filosofica, ossia se sia possibile, e in caso affermativo fino a che punto, modificare la natura umana. Anche l’intervento di Giacomo Scarpelli, docente di Storia della Filosofia all’Università di Modena e Reggio Emilia, dal titolo Darwin, Spencer e le varietà umane, ha avuto lo scopo di problematizzare alcuni concetti e tematiche oggi date eccessivamente per scontate. In particolare, ci si è chiesti se è possibile rintracciare all'interno del pensiero evoluzionistico di Darwin e di Spencer la presenza di una qualche forma di ideologia razzista o di prevenzione etnocentrista, con l'intento di verificare e dimostrare che anche i due capofila dell'evoluzionismo non riuscirono a sottrarsi a quei pregiudizi razziali tipici dell’epoca vittoriana sulle varietà della specie umana, varietà spesso considerate più come pioli di una scala piuttosto che come il risultato geograficamente differenziato di un medesimo processo di sviluppo.

All’immagine nietzschiana dello Übermensch e all’intreccio del pensiero di Nietzsche con altri pensatori come Charles Darwin, Raymond Ruyer e Peter Sloterdjik, è stato dedicato l’intervento di Paolo Amodio, docente di Filosofia Morale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Ateneo Federico II di Napoli: L’evoluzione stravagante. “Spettacoli di varietà” tra morfogenesi e sopravvivenze. Lo Übermensch, quell’essere vivente in continuo addestramento che esegue sul proprio corpo degli adattamenti «all’improbabile», è come un funambolo, un animale autopoietico per auto-addestramento, che vive in alto sopra la piattezza e la quotidianità del tempo dell’uomo borghese; egli non vive in un’illusoria sicurezza, ma nel rischio perenne del baratro, attraendo e costringendo lo spettatore a guardare verso l’alto. La vita umana trova la sua dimensione naturale in un “improbabile” sempre crescente, l’esito quasi inevitabile di tutto questo è l’estinzione dell’essere umano.

Altro tema toccato nel corso del convegno e che prepara al passaggio dal discorso prettamente filosofico a quello genetico, è stato quello sull’antropotecnica, trattato da Cristian Fuschetto nell’intervento Darwin e la nascita dell’antropotecnica. Questione centrale di questa “disciplina”, che mira al miglioramento delle qualità fisiche e spirituali dell’uomo mediante l’impiego degli stessi metodi della zoologia, è se sia possibile, analogamente a ciò che avviene all’interno di un laboratorio dove vi è la possibilità di creare nuove specie animali, creare specie diverse di uomini. La domanda sarebbe stata poco sensata per un greco, il quale non sapeva di poter intervenire sul corpo per modificare lo spirito; la questione si pone solo nell’epoca della tecnica, in cui gli uomini hanno sempre più assunto la parte attiva e soggettiva della selezione, pur senza essersi volontariamente fatti carico del ruolo di selettori. Aver acquisito tale consapevolezza apre nuove difficoltà, perché la possibilità di potenziare il nostro corpo rischia di portare con sé inevitabili conseguenze negative. Alla stessa tematica relativa all’intervento attivo dell’uomo sulla selezione, sebbene svolta attraverso un altro punto di vista, si è dedicato Mauro Mandrioli, docente di Genetica e Genetica Applicata presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Modena e Reggio Emilia, nell’intervento dal titolo Genomi umani in evoluzione: il DNA per capire origine, migrazioni e futuro della nostra specie. Mandrioli ha messo in luce quanto il completo sequenziamento del genoma umano abbia rappresentato una svolta epocale in genetica, non solo per l’apporto di conoscenza che ha comportato, ma anche per le conseguenze che ha avuto in termini di innovazioni tecnologiche. Il fatto di sapere come è fatto il nostro genoma ci fornisce la possibilità di scegliere come indirizzare la nostra evoluzione. Se prima era l’ambiente a modificare il nostro DNA, ora abbiamo l’opportunità di essere artefici della nostra evoluzione, che in tal modo perde il suo carattere casuale e si presta a poter essere “on demand”, imponendoci di rivolgere la nostra attenzione alle conseguenze che questa nuova disponibilità di informazioni e tecniche può comportare.

Come premesso, la parte più interattiva e interdisciplinare del convegno è stata la discussione finale, in cui le problematicità derivate dalla possibilità di controllare la nostra evoluzione sono emerse più manifestamente. Ci si è soffermati in particolare sul dato empirico, il quale ci mostra che, nella storia, si è fatto spesso un uso negativo dell’eugenetica e l’eugenetica positiva è stata semmai usata a sostegno della pratica negativa; inoltre si pone il problema delle élites, in quanto frequentemente sono stati i rapporti di potere a stabilire quali siano da considerare pratiche selettive “buone” e quali “cattive”. Il rischio che le nuove tecnologie finiscano nelle mani di individui desiderosi di servirsene per rafforzare le disparità e le disuguaglianze sociali è un rischio molto alto e che non possiamo permetterci di trascurare. È stato però anche sottolineato che, nonostante il problema sia effettivamente reale, è necessario dividere le competenze. Non è compito della scienza, bensì della filosofia e della politica tutelare l’equità tra gli esseri umani; ciò a cui la scienza deve ambire è spiegare e rendere conto del fenomeno della diversità umana. Di certo sarebbe auspicabile che i miglioramenti resi possibili da pratiche eugenetiche fossero a disposizione di tutti, ma ciò non dovrebbe tuttavia condurci a usare le biotecnologie in direzione di una generale omologazione, è necessario piuttosto trovare un modo per rendere l’uso di queste biotecnologie accessibile a chiunque. Le competenze e le difficoltà sono chiaramente differenti.

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