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La costruzione della forma. Percorsi in una filosofia delle forme bio-tecniche

Autore


Marco Tamborini

Technische Universität Darmstadt

Privatdozent e P.I. di un progetto dfg presso Technische Universität Darmstadt

Indice


1. Introduzione

2. Forma e biologia

3. Ernst Kapp: il morfologo della tecnica

4. Eberhard Zschimmer

5. Conclusione

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S&F_n. 30_2023

Abstract


The Construction of Form. Paths in a Philosophy of Bio-Technical Forms

What is the notion of form necessary to ground recent bio-technical work? To answer this question, I focus on one chapter in the philosophy of bio-technical forms: on the definition of form as a construction that emerged from the philosophical debate of the first half of the 20th century. After outlining the main features of the biological debate during the first decades of the 20th century, I will analyze the philosophical theories of Ernst Kapp (1808–1896) and how his ideas on the organic relationship between forms of nature and technology were accepted and modified by philosopher and engineer Eberhard Zschimmer (1873-1940), a leading exponent of the emerging philosophy of technology. The analyses of these reflections will be followed by more general conclusions about the concept of form and its transferability from the organic and technical realms. From various perspectives, the concept of organic form is understood as an organic and harmonious construction. This modularity is inherent in the form itself. Morphology then becomes a theory of composition: a theory of possible constructions of forms in space and not, as in evolutionary biology, a science of changes of forms over time.

  1. Introduzione

Oggi più che mai la produzione architettonica e ingegneristica di forme complesse è influenzata dallo studio delle forme organiche. Con l’aiuto della robotica e delle stampanti 3D, l’industria del XXI secolo si ispira alle forme organiche della natura e scava nei segreti del loro sviluppo e della loro funzione per creare nuovi materiali[1]. Per esempio, tra gli organismi viventi, le piante sono le più efficienti nell’esplorare il suolo. La particolarità del movimento delle piante nel terreno è che questo movimento è generato dall’aggiunta di cellule alla punta della radice. Per questo motivo, le loro radici hanno caratteristiche essenziali che possono essere sfruttate e tradotte nella costruzione di sistemi artificiali. Un gruppo di scienziati ha studiato questo fenomeno di crescita, che permette allo stesso tempo il movimento, e ha cercato di implementare la morfologia delle piante e delle radici per progettare un robot in grado di muoversi nel terreno allo stesso modo delle radici delle piante. Il progetto del robot è stato realizzato sviluppando un cosiddetto robot «morbido»: il PLANTOID. Nella robotica soft, i robot sono quindi progettati per «adattare continuamente la loro morfologia e fisiologia alla variabilità dell’ambiente, mostrando una notevole plasticità, soprattutto nella ricerca di risorse»[2].

In questo come in molti altri casi, la produzione di conoscenza, il design e la fabbricazione dei prodotti hanno il loro punto di partenza in concetti e pratiche morfologiche basate su una lunghissima storia di ricerca sulle forme. Partendo dagli studi sulla forma di Johann Wolfgang von Goethe, tale storia attraversa tutto il XIX e il XX secolo[3].

Nella manifattura additiva (stampa 3D), per citare un altro esempio, le forme architettoniche vengono create attraverso l’unione di materiali, strato dopo strato, a partire da dati digitali. Le forme sono quindi intese e prodotte in senso mereologico e additivo – crescono grazie a questo processo cumulativo. Inoltre, queste forme si manifestano attraverso un processo di armonizzazione interna tipico anche della morfogenesi delle strutture biologiche. Armonizzando le forze che compongono gli strati, la stampa 3D conferisce una forma e una funzione speciali alla struttura fabbricata in loco. Da un lato, le forme diventano il risultato di un processo di crescita additiva; dall’altro, non possono essere considerate come una semplice somma di parti, cioè di strati sovrapposti. Piuttosto, devono essere intese come forme organiche (le loro parti sono coordinate e dipendenti dall’intera costruzione). Questo genera un processo di continuo scambio e circolazione di conoscenze tra la biomimetica e le discipline biologiche. In un continuo scambio di pratiche e conoscenze, infatti, le strutture delle forme esaminate dai biologi vengono adottate dai progettisti per costruire forme architettoniche. La conoscenza acquisita attraverso il processo di costruzione viene poi trasmessa ai biologi che la utilizzano per capire come la natura stessa sia in grado di fabbricare tali forme e materiali. Questo genera un meccanismo di espansione e circolazione della conoscenza e della fabbricazione di forme tra biologia e design[4].

Il concetto di forma è stato definito in innumerevoli modi negli ultimi 150 anni. Le forme organiche e tecniche, ad esempio, sono state definite come una struttura, un insieme di forze o una combinazione di elementi, la Gestalt, o come un’entelechia mistica, cioè come il potere intrinseco dell’organismo che ne permette lo svolgimento e la perfezione[5]. Da un lato, questa molteplicità di definizioni mette in rilievo il carattere enigmatico della forma e dei processi responsabili del suo sviluppo nel tempo (D’Arcy Thompson parlò dell’enigma della forma)[6]. D’altra parte, però, queste definizioni nascondono una dinamica più complessa di produzione del sapere: la conoscenza morfologica si basa su una circolazione diretta e continua di pratiche, oggetti materiali e risultati tra biologi, ingegneri e architetti.

La domanda che guida questo lavoro è quindi: qual è la nozione di forma necessaria per fondare il lavoro bio-tecnico? Questa interrogazione getta le basi per comprendere la recente rinascita delle discipline morfologiche contemporanee e sviluppare una filosofia delle forme bio-tecniche[7].

Nelle pagine di questo articolo mi soffermerò su un capitolo di questa filosofia: sulla definizione della forma come costruzione emersa dal dibattito filosofico della prima metà del XX secolo. Dopo aver delineato le caratteristiche principali del dibattito biologico durante le prime decadi del XX secolo, mi soffermerò sulle teorie filosofiche di Ernst Kapp (1808–1896) e su come le sue idee sul rapporto organico tra forme della natura e della tecnica siano state accettate e modificate dal filosofo e ingegnere Eberhard Zschimmer (1873–1940), esponente di spicco della nascente filosofia della tecnica che culminò nel saggio di Ernst Cassirer Form und Technik[8]. Alle analisi di queste riflessioni seguiranno conclusioni più generali sul concetto di forma e sulla sua trasferibilità dal regno organico e quello tecnico.

 

  1. Forma e biologia

La morfologia, intesa come studio della struttura e dello sviluppo della forma organica, risale a Johann Wolfgang von Goethe (1749–1832). Goethe definì la morfologia come la scienza che è in grado di «riconoscere le formazioni viventi come tali, di cogliere le loro parti esterne visibili e tangibili nella loro coerenza, di prenderle come accenni dell’interno e quindi di padroneggiare, per così dire, il tutto nella vista»[9]. Lo scrittore tedesco ha inteso questa disciplina in modo molto dinamico. Goethe distingueva infatti tra due concetti di forma linguisticamente e concettualmente diversi che esistono in tedesco:

Per indicare il complesso dell’esistenza di un essere reale, il tedesco si serve della parola Gestalt, forma: termine nel quale si astrae da ciò che è mobile, e si ritiene stabilito, concluso e fissato nei suoi caratteri, un tutto unico. Ora, se esaminiamo le forme esistenti, ma in particolare modo le organiche, ci accorgiamo che in esse non vi è mai nulla d’immobile, di fisso, di concluso, ma ogni cosa ondeggia in un continuo moto. Perciò il tedesco si serve opportunamente della parola Bildung, formazione, per indicare sia ciò che è prodotto, sia ciò che sta producendosi.[10]

 

In questo modo, Goethe rifiutava una definizione statica della forma e ne sottolineava piuttosto la dinamicità e il costante cambiamento. Di conseguenza, il poeta tedesco concepisce la morfologia come morfogenesi. Ovvero, come studio delle dinamiche di formazione e cambiamento delle forme nel tempo. La morfologia era, secondo le sue parole, «lo studio della forma, della formazione e della trasformazione dei corpi organici [die Lehre von der Gestalt, Bildung und Umbildung der organischen Körper[11].

Seguendo le idee di Goethe, alla fine del XIX secolo la morfologia era considerata dalla maggior parte dei biologi «la prima scienza evolutiva» per il suo ruolo centrale nell’analisi e nella comprensione del cambiamento evolutivo nel tempo[12]. A causa dell’esclusione della morfologia dalla cosiddetta sintesi moderna della teoria evolutiva, ovvero la fusione della teoria darwiniana con la genetica mendeliana negli anni ‘30 e ‘40, la morfologia evolutiva ha perso gradualmente la sua importanza disciplinare centrale nel corso del XX secolo. Si trasformò in una disciplina che, secondo il biologo Ernst Mayr (1904–2005), uno dei principali rappresentanti della moderna sintesi della teoria evolutiva, non contribuì in alcun modo all’ulteriore sviluppo del pensiero evolutivo[13]. Nonostante la ricostruzione un po’ unilaterale di Mayr della storia della biologia, che segnalava una perdita di potere della morfologia, il bisogno di morfologia ha attraversato trasversalmente tutto il XX secolo. All’interno di questa forte esigenza di studiare le strutture delle forme e i meccanismi dei loro possibili cambiamenti nel tempo, si sono potute individuare almeno quattro diverse e contraddittorie definizioni di forme organiche e le relative metodologie: vitalismo, meccanicismo, organicismo, e approccio architettonico.

I vitalisti cercavano di comprendere i cambiamenti della forma come un fenomeno autonomo e indipendente. La vita, sostenevano, non può essere ridotta a forze chimico-fisiche, né può essere pienamente spiegata dalla teoria darwiniana dell’evoluzione. La selezione naturale e il caso, sostenevano, non hanno il potere di produrre forme perfezionate e ben adattate. Piuttosto, sostenevano l’esistenza di un principio intrinseco nell’organismo responsabile del suo pieno sviluppo. Seguendo Aristotele, il biologo tedesco Hans Driesch (1867–1941) chiamò questo principio «entelechia». Egli sosteneva che gli organismi avessero una componente vitale intrinseca, l’entelechia, che li portava a svilupparsi e a ricostruirsi[14].

Il secondo approccio alla morfologia e all’evoluzione era caratterizzato da un riduzionismo sia metodologico che ontologico tra l’organismo e le caratteristiche della macchina. In effetti, l’organismo veniva paragonato e talvolta identificato come una macchina. Le conoscenze dei principi fisici, termodinamici e di trasformazione chimica della materia sono state identificate come i tratti fondamentali per comprendere la forma, la struttura e il funzionamento di un organismo. Il fisiologo tedesco-americano Jacques Loeb (1859–1924) ha sostenuto la completa identità ontologica tra macchine e organismi. Nel suo libro fondamentale del 1912, La concezione meccanicistica della vita, sosteneva addirittura che «non solo la concezione meccanicistica della vita è compatibile con l’etica, ma sembra l’unica concezione della vita che può portare alla comprensione della fonte dell’etica»[15].

Il terzo approccio fu chiamato organicismo. Si identificava con una forte negazione di alcune componenti estremiste sia del vitalismo che del meccanicismo. In questo modo, i suoi sostenitori si identificavano come sostenitori di una «terza via» che non era né vitalismo né meccanicismo. L’organismo e la forma organica hanno una sorta di autonomia rispetto al mondo inorganico. Questo, però, non significa che il mantenimento della forma sia attribuibile a forze metafisiche. Al contrario, questa autonomia era rilevabile trattando gli organismi. Le caratteristiche del movimento organicista sono state ampiamente analizzate. Seguendo Jan Baedke e altri[16], sono riducibili a tre pilastri fondamentali: 1) né meccanicismo né vitalismo, 2) l’organismo come concetto teorico principale per la biologia e 3) lo studio di un organismo nel suo complesso.

Accanto a questi tre filoni, un quarto impegno attraversa gli interessi e i metodi dei primi tre. Il nocciolo della questione per questi biologi fu definito dal biologo italiano Antonio Pensa come «il problema morfologico»[17]. Pensa intendeva dire che i biologi stavano lottando per comprendere la composizione architettonica interna della forma organica. Questa comprensione avrebbe permesso loro di afferrare le leggi che sostengono la morfogenesi. La logica era quella di identificare e illustrare i principi costruttivi responsabili della produzione e dello sviluppo di forme organiche stabili.

Posto il panorama biologico nel quale la discussione morfologica ha luogo durante gli inizi del XX secolo, analizzerò ora le maggiori teorie filosofiche proposte per comprendere il rapporto tra forma organica e tecnica.

 

  1. Ernst Kapp: Il morfologo della tecnica

Tra la fine del XIX e la metà del XX secolo, l’interazione tra le scienze biologiche e quelle ingegneristiche raggiunse l’apice. Biologi, architetti e filosofi hanno lavorato insieme per concretizzare un tema centrale che aveva preoccupato la storia dell’architettura fin dalla sua nascita: la possibilità di tradurre le forme biologiche in forme architettoniche. Questo tema di ricerca è stato affrontato nel contesto della più ampia questione biologica sulla possibilità di ridurre gli organismi a processi meccanicistici – come accennato nella sezione precedente.

In quegli anni, la discussione teorica sui limiti e sul potere della tecnica ha dovuto confrontarsi non solo con il suo rapido sviluppo, ma anche e soprattutto con la sua fondazione filosofica. Il primo filosofo che ha esaminato l’essenza della tecnologia per fondare una disciplina filosofica indipendente, la filosofia della tecnologia, è stato Ernst Kapp.

Ernst Kapp nacque nel 1808 a Ludwigsstadt, in Germania. Studiò filologia classica e divenne insegnante di grammatica a Hamm. Era un liberale convinto e un avido lettore di filosofia kantiana ed hegeliana – si considerava un hegeliano progressista di sinistra. In seguito al fallimento delle rivoluzioni del 1848, dovette lasciare la Germania insieme ad altri intellettuali di lingua tedesca ed emigrare negli Stati Uniti. Tornato in Germania nel 1865, fonde le sue riflessioni politiche e geografiche e la sua esperienza pratica di uomo politico e di tecnico raccolta in Texas per esaminare filosoficamente il valore e il fondamento della tecnica. Con Kapp, quindi, la riflessione filosofica teorica più ampia si unisce al lavoro concreto e antropologico sulle strutture e le dinamiche della tecnologia – l’unione di filosofia e conoscenza pratica sarà, come vedremo, una caratteristica comune della riflessione sulla tecnologia e sulla natura nei primi decenni del XX secolo.

Nei suoi Grundlinien einer Philosophie der Technik, Kapp sviluppò una tesi filosofica forte e piuttosto controversa: tutta la tecnologia era il risultato di una proiezione organica[18]. Per sostenerla, Kapp avanzò una genealogia storica per scoprire l’origine e l’essenza dei prodotti tecnologici. Questo lo riportò ai primi dispositivi tecnici. I primi strumenti tecnici, come il martello, avevano una forma e una funzione simili a quelle del corpo umano. In particolare, la somiglianza tra il martello e il pugno chiuso è sorprendente. «Tra le estremità», scrive Kapp, «la mano è un organo in senso forte, data la sua triplice determinazione: in primo luogo, è l’utensile innato dell’essere umano; in secondo luogo, funge da immagine prototipale per tutti i suoi strumenti meccanici; in terzo luogo, a causa del suo sostanziale coinvolgimento nella produzione dell’immagine materiale successiva, è, secondo le parole di Aristotele, lo “strumento degli strumenti”»[19].

Per la sua struttura e funzione, quella che Kapp chiama «forma», la nostra mano è adatta a svolgere diversi compiti semplici. Poiché la forma di un organo è fondamentale per lo svolgimento di compiti semplici, quando realizziamo compiti sempre più complessi, abbiamo bisogno di uno strumento adatto che possa massimizzare ed estendere il lavoro di un organo semplice, come, appunto, la mano. È qui che si esprime l’emergere della tecnologia: la tecnologia nasce e si basa sulla standardizzazione e sul completamento di una forma organica. Per dirla con Kapp: «Man mano che l’essere umano fa uso degli oggetti … nelle sue immediate vicinanze, i primi strumenti appaiono come un’estensione, un rafforzamento e un’intensificazione degli organi corporei dell’essere umano»[20]. Kapp ha descritto questo passaggio dalle forme organiche a quelle tecniche come una proiezione, per cui un «martello [...] come tutti gli utensili manuali primitivi è una proiezione d’organo»[21].

L’uomo ha proiettato le forme dei suoi organi negli organi tecnici primitivi. Gli strumenti tecnici sono quindi la «riproduzione meccanica di una forma organica». Con una proiezione, che Kapp definisce «più o meno [come] la proiezione, l’evidenziazione, il trasferimento e la ricollocazione di un interno nell’esterno», si formano nuove forme tecniche corrispondenti. «Di conseguenza», scrive Kapp, «l’avambraccio con la mano stretta a pugno o con il suo rinforzo di una pietra afferrabile è il martello naturale, così la pietra con un manico di legno è la sua più semplice replica artificiale»[22].

Sebbene, e qui si manifesta una prima difficoltà nella filosofia di Kapp, il trasferimento di un interno all’esterno possa essere utile per spiegare manufatti semplici, le forme tecniche più complesse sviluppate successivamente sono più difficili da cogliere come mero processo di proiezione organica.

Kapp risponde a questa obiezione affermando che non esiste una definizione statica delle forme. Le forme sono sempre in movimento. C’è una continua metamorfosi tra le forme prodotte e quelle ancora da proiettare: esiste una linea metamorfica immaginaria tra i prodotti tecnici creati per primi (come il martello) e quelli più complessi (come il martello pneumatico). Questa trasformazione e trasmutazione delle forme garantisce che anche i manufatti tecnici più complessi possano essere ricondotti alle forme più primitive. Conseguentemente, anche gli strumenti più complessi si fondano sul movimento di proiezione organica originario. Come scrive Kapp, è possibile «riconoscere la natura elementare dell’utensile in tutte le successive metamorfosi dell’oggetto»[23].

Le forme tecniche hanno quindi origine dallo stesso materiale delle forme naturali. Poiché entrambe hanno la stessa origine, l’uomo impara a conoscere sé stesso attraverso la creazione di forme tecniche: la forma di uno strumento, modellata sull’esempio organico, serve a sua volta come modello per spiegare e comprendere l’organismo a cui deve la sua origine.

Tuttavia, la maggiore difficoltà nella teoria di Kapp risiede nel fatto che egli sostiene una nozione tipologica di forma. Secondo Kapp, esistono forme organiche di base o tipi di base che rendono possibile la tecnologia. Nel descrivere la transizione da oggetti più semplici come il martello a strumenti più complessi come l’ascia, Kapp scrive esplicitamente che la stessa «forma di base si è trasformata in dispositivi tecnici e manufatti diversi»[24]. E continua: «Questa forma di base del martello, che è cambiata in molti modi diversi a seconda del materiale e dello scopo d’uso, si è conservata inalterata nel martello a mano e nella mazza dei fabbri e nel ‘pugno’ dei minatori, tra gli altri, e può anche essere riconosciuta nel più colossale martello d’acciaio a vapore»[25]. La forma di base svolge lo stesso ruolo nei processi metamorfici: essa si comporta come un’idea platonica che viene istanziata in ogni possibile forma concreta. Tuttavia, rimane poco chiaro, in primo luogo, come nascano le nuove forme di base e, in secondo luogo, se e in che misura possano essere collegate tra loro. Pur riconoscendo la metamorfosi delle forme, Kapp mantiene una relazione completamente statica tra la tecnologia e il mondo organico. La base di questa relazione risiede nella natura statica delle forme organiche. Il morfologo Kapp ci fornisce così una metamorfosi senza morfogenesi[26]. Egli fornisce un concetto di forma come stabile, ma anche come contenitore statico: le forme sono rigide e senza tempo. In questo modo, Kapp si avvicina a posizioni biologiche idealistiche che spiegano il cambiamento di forma sulla base di cambiamenti nei paradigmi tipologici[27]. Kapp sottolinea quindi il proficuo intreccio di questi due livelli. Tuttavia, ciò si basa su un concetto metafisico e mitico di forma, che verrà abbondato in seguito.

 

  1. Eberhard Zschimmer

Dalla prospettiva filosofica aperta da Kapp si irradiano diversi percorsi che uniscono la riflessione filosofica e la pratica tecnica[28]. Tra tutti, ne vorrei sottolineare uno qui che ha il merito di interrogare le condizioni necessarie per produrre artefatti tecnici. Così facendo, il suo sostenitore principale, Eberhard Zschimmer si pose la domanda sull’essenza e la possibilità della tecnica.

Eberhard Zschimmer (1873–1940) era un ingegnere e filosofo tedesco. Era un pensatore vivace con interessi che spaziavano dalle scienze tecniche alla filosofia idealista. Ha pubblicato opere ingegneristiche e tecniche come Fluor-Opal und die Theorie der Trübgläser für die Beleuchtungstechnik e si è interessato di ottica, strumenti di percezione e del legame tra chimica, ottica e strumenti tecnologici. La sua formazione tecnica lo ha portato a diventare direttore delle industrie vetrarie di Jena. Accanto a queste pubblicazioni e attività tecniche, coltivò a fondò i suoi interessi per la filosofia. In particolare, fu un convinto idealista, sostenitore dei sistemi filosofici di Hegel e desideroso di interrogarsi sul ruolo della tecnica nella società riprendendo e ampliando la riflessione kantiana sulla tecnica della natura. Allo stesso tempo, però, egli criticava un idealismo ingenuo, incapace di capire il vero senso della tecnica e soprattutto denigratore del fare umano. Come Zschimmer sostiene nel 1920, «troppo spesso i signori idealisti si dimenticano di quanto dovrebbero essere grati al contadino e all’operaio che operano nel mondo economico, e che permettono loro di essere idealisti di professione. Si dimenticano del fatto che è un dono prezioso della vita economica il cui sereno godimento e la condizione della possibilità di risolversi interamente, come ”puri idealisti“, negli scopi superiori: e cioè non solo di vivere per poter vivere, ma di dedicare la vita che ci è data a interessi ideali»[29].

Nel suo libro Philosophie der Technik del 1914, Zschimmer si interroga proprio sull’essenza della tecnica. La risposta cercata dall’autore doveva essere in grado di cogliere le pratiche tecniche al di là del loro mero essere presente. Le tesi principali del libro furono riprese in una presentazione che Zschimmer tenne nel 1917 a Jena. Durante la guerra, nella città turingia si tennero delle «Serate tecniche» presso l’Istituto per l’educazione e l’istruzione. Lo scopo di questo ciclo di conferenze era discutere con professori affermati, come l’ingegnere e storico tedesco Conrad Matschoss, il pedagogista tedesco Theodor Bäuerle (1882–1956), l’architetto tedesco Peter Behrens (1868–1940) e altri, il crescente potere della tecnologia. Gli organizzatori pubblicizzarono le serate tecniche come un’occasione per far emergere i valori e i compiti finora trascurati della tecnica moderna. Sottolineavano che, sebbene con la Prima guerra mondiale fosse emersa l’importanza della tecnica sia per gli obiettivi militari sia per la società, gli aspetti fondamentali della tecnica erano ancora solo marginalmente toccati.

Zschimmer inizia la sua presentazione in modo provocatorio, affermando che «sebbene la nostra epoca possa essere definita “epoca tecnica”, conosciamo e comprendiamo ben poco della tecnica». Infatti, ha proseguito Zschimmer, oggi assistiamo a una forte «sopravvalutazione del compito culturale della tecnica» e allo stesso tempo a una «profonda denigrazione nel discorso e nel contro-discorso» della sua comprensione filosofica. Una delle ragioni principali di questa situazione è la «mancanza di educazione filosofica» propria sia dei sostenitori che degli oppositori della tecnica[30].

Per ovviare a questo problema, Zschimmer ha proposto di seguire Immanuel Kant nel considerare il mondo come un’enorme costruzione. Al suo interno si potevano individuare due elementi: la natura e la cultura. Queste due realtà facevano entrambe parte dell’intera costruzione e non potevano essere trattate singolarmente. Non esisteva un primato della prima sulla seconda e viceversa. Gli ingegneri, lamentava Zschimmer, sbagliavano a considerare solo la natura e a lasciare fuori la cultura. In realtà, sia nella natura che nella cultura si possono trovare idee diverse che sia gli artisti che i tecnoscienziati utilizzano come intenzioni creative per produrre i loro prodotti basati su queste entità. Sulla base delle loro diverse idee, gli artisti producono di proposito un’immagine, lo storico scrive la storia, l’ingegnere produce una macchina, ecc.

Poiché i prodotti tecnici ed ingegneristici erano rintracciabili in ogni ambito della società umana, Zschimmer si interrogò se la tecnica potesse essere intesa esattamente come le arti e le scienze, cioè come completa realizzazione delle idee e degli scopi dell’essere umano.

Per capire in che misura e come le idee e gli scopi umani fossero incarnati nella tecnica, Zschimmer si concentra sulla storia interna della tecnica per evidenziare ciò che gli ingegneri vogliono quando producono un artefatto tecnico. Questa ricerca della volontà dell’ingegnere non può essere realizzata discutendo semplicemente una singola produzione tecnica, ma dovrebbe cogliere lo scopo e l’attuazione della tecnica nell’intera storia dell’umanità. Questo ha portato Zschimmer a parlare dell’organismo umano come una «macchina meravigliosa con molti strumenti»[31]. Gli organismi umani consentono all’essere umano la libertà fisica di produrre strumenti tecnici, intenzionalmente o meno. Con ciò, Zschimmer si collega direttamente alla teoria della proiezione degli organi di Kapp. A quanto pare, osserva Zschimmer, la teoria di Kapp potrebbe essere utilizzata per cogliere la volontà umana di produrre oggetti tecnici. La tecnica sarebbe l’attività involontaria dell’uomo di proiezione dell’organo. Tuttavia, aggiunge Zschimmer, questa teoria è una pura e mera «speculazione metafisica, che faceva ridere gli ingegneri» e perciò doveva essere in parte respinta[32]. Infatti, secondo Zschimmer, Kapp aveva un profondo merito. Richiamava l’attenzione sul fatto che l’essenza della tecnica non aveva nulla a che fare con la tecnica stessa (Kapp la fondava sulla forma del corpo umano).

Inoltre, Zschimmer criticava Kapp per aver dato importanza alla nozione di imitazione della forma naturale[33]. Al contrario, Zschimmer sottolinea vivacemente che l’essenza della tecnica non è l’imitazione della natura. «L’elica volante non imitava affatto il movimento degli uccelli»[34]. In effetti, il principio generale della tecnica potrebbe essere condensato nella frase: «allontanarsi dall’organismo! [Los vom Organismus!]»[35].

Tuttavia, il rifiuto del principio di imitazione non implicava una forte divisione tra natura e tecnologia. Al contrario, Zschimmer affermava che il compito principale era ora quello di allontanarsi dalla macchina per tornare all’organismo naturale e chiedersi «come è stato possibile che l’essere umano, avendo a disposizione solo gli strumenti del suo corpo, sia stato in grado di produrre complessi artefatti tecnologici?»[36].

Per produrre oggetti tecnologici sempre più complessi, non solo il corpo umano deve essere trattato come una macchina perfetta, ma anche la natura stessa deve essere adatta a essere in qualche modo modellata e messa in forma tecnica. La natura non è caotica, ma in essa ci sono oggetti, forme che l’uomo può utilizzare per plasmare nuove forme tecnologiche unendole al proprio corpo: «Il vento agisce come una sabbiatrice e lavora anche la superficie dei pezzi di roccia grezza che incontra. Così, la natura ci dà blocchi da costruzione magnificamente preparati; deve solo arrivare una volontà che li metta insieme secondo il suo piano spirituale»[37]. Le forme e i materiali naturali sono dati come «oggetti tecnici» pronti all’uso. «La prima casa», aggiunge Zschimmer, «fu costruita senza l’uso di alcuno strumento tecnico», così come la prima stufa «fu data all’uomo dalla natura»[38]. L’uomo ha combinato questi elementi per creare nuovi strumenti.

Sebbene i materiali e le forme tecniche si trovino, almeno all’inizio del processo di progettazione, pronti per l’uso in natura, la loro combinabilità non è caratterizzata solo dall’essenza della tecnica. È infatti determinata dallo scopo, dall’idea e dall’intenzione dell’ingegnere. Come ho accennato, Zschimmer non rivela nessuno scopo intrinseco nella tecnica se non quello dato dall’ingegnere stesso che con le sue idee domina l’uso e la comprensione della natura e della cultura. Da questo punto di vista, lo scopo fondamentale della tecnica non risiede nella creazione di «oggetti morti, ma nell’uso vivo di essi». Infine, Zschimmer chiosa, «non la casa, ma l’abitare nella casa è lo scopo della costruzione della tecnologia»[39]. Affermando ciò, Zschimmer sottolinea che l’essere umano, grazie alla sua libertà di riunire e utilizzare le forme naturali, le traduce[40] in strumenti tecnici.

 

  1. Conclusione

Questo testo ha mostrato che nel dibattito filosofico delle prime decadi del XX secolo si trovano posizioni in cui la tecnica non viene ostracizzata o mitizzata (come, per esempio, accadde nelle posizioni di Arnold Gehlen o Martin Heidegger), ma compresa nel suo rapporto organico con la natura. Sia Kapp che Zschimmer ritengono infatti che non ci sia uno iato tra forme tecniche e biologiche. Questi due filosofi ritengono, da due punti di vista diversi, che non si debba rilevare una supremazia di un elemento (per esempio il biologico o il tecnico) sull’altro – come visto, questa supremazia era sostenuta da alcuni biologi analizzati nella seconda sezione. Al contrario, una profonda continuità era ritracciabile tra paradigma tecnico e biologico – continuità che ha caratterizzato i programmi di ricerca di, per esempio, D’Arcy Thompson e che è alla base della recente rinascita dalla morfologia. Nella contemporaneità, infatti, in un processo di circolazione permanente, la forma, per esempio, di un riccio di mare, viene trasportata in architettura e utilizzata per costruire padiglioni. I moduli che compongono questo padiglione sono simulati e prodotti al computer prima di essere materializzati da una stampante 3D e assemblati da un robot. La struttura e la funzionalità del padiglione vengono poi utilizzate dai biologi per capire come un riccio prende la sua forma e interagisce con l’ambiente. In questo processo a ciclo continuo, il virtuale si fonde con il reale[41]. La morfogenesi naturale diventa virtuale e la tecnologia assume, come già affermò Cassirer sulla scia di Zschimmer, il «carattere di scoperta come svelamento: un fatto che esiste in sé viene così in un certo senso tirato fuori dalla regione del possibile e trapiantato in quella del reale»[42]. Questo «trapianto» è reso possibile da un approccio tecnico ai processi morfogenetici in cui le forme organiche e tecniche si scambiano e si fondono reciprocamente.

Ciò implica che l’analisi filosofica dell’odierna cultura biotecnica, abbandonando le teorie realiste sulla produzione della conoscenza scientifica, consiste nell’analizzare i processi attraverso i quali i dati, o meglio, le forme della natura, possono diventare oggetti tecno-epistemici. In altre parole, le condizioni materiali, sociali ed economiche che consentono il passaggio dalla rappresentazione delle forme della natura alla loro presentazione e produzione tecnica sono il fulcro su cui dovrebbe concentrarsi lo studio filosofico della produzione e della validità della conoscenza.

In secondo luogo, il ruolo della materialità nei processi morfogenetici è di importanza centrale. La materia svolge un ruolo attivo. Attraverso leggi intrinseche a sé stessa, detta ciò che può apparire. Il concetto di vincoli è quindi essenziale per capire come possono evolvere le forme possibili. I vincoli permettono o negano la possibile composizione di nuove forme. Queste sorgono seguendo strutture materiali vincolate da leggi fisiche più generali. Lo stesso concetto si basa sulla cosiddetta architettura autonoma e sulla progettazione computerizzata del XXI secolo. Come osserva l’architetto Achim Menges, uno dei più importanti rappresentanti del design digitale contemporaneo, «la forma, la struttura e lo spazio si evolvono in questo processo attraverso le complesse interazioni tra geometria, materiale, funzione e ambiente in un processo integrativo del divenire della forma», cioè la morfogenesi. La morfogenesi si realizza quindi attraverso la sintesi dei materiali. In breve, e provocatoriamente, «la materia è forma»[43].

In terzo luogo, la nozione di vincoli materiali e la sua possibile componibilità (evidenziata proprio da Zschimmer) implica un ritorno a concetti teleologici che hanno un enorme peso storico-filosofico, in particolare alla nozione di Kant di «finalità senza scopo». Questo è il nucleo metafisico implicito nascosto in questi approcci tecnici alla forma, sia in quelli teorizzati agli inizi del XX secolo sia nelle teorie degli ingegneri e biologi contemporanei.

Questo aspetto essenziale ha portato scienziati e filosofi, all’inizio del XX secolo, ad abbandonare la classica analogia cartesiana tra organismo, cioè forma organica e organizzata, e macchina[44]. Al contrario, è stata proposta una nuova definizione di forma: essa deve essere intesa come una costruzione architettonica. Nel 1922 la definizione era più concisa: «Costruzione significa [...] una giustapposizione di parti coordinate, armonizzate tra loro. Il concetto di armonizzazione è [...] particolarmente importante. È diventato un concetto centrale della biologia»[45].

Da diverse prospettive, quindi, il concetto di forma organica è inteso nella sua interezza come costruzione organica e armoniosa. Ciò non significa altro che le parti di una forma devono osservare alcune regole fondamentali di composizione o costruzione. Questa modularità è intrinseca alla forma stessa. La morfologia diventa allora una teoria della composizione: una teoria delle possibili costruzioni di forme nello spazio e non, come nella biologia evolutiva, una scienza dei cambiamenti delle forme nel tempo.


[1] Un esempio di questa tendenza in fortissima crescita sono i cluster d’eccellenza realizzati in Germania proprio dedicati allo studio di ciò che avviene nel mezzo tra strutture biologiche e tecniche. Tra tutti questi cluster, ricordo il cluster «matter of activity» diretto da Wolfgang Schäffner alla Humboldt Universität di Berlino.

[2] S. Kim et al., Soft robotics: a bioinspired evolution in robotics, in «Trends in biotechnology», 31, 2013, pp. 287–294. Si veda anche B. Mazzolai, Plant-inspired growing robots, in Soft Robotics: Trends, Applications and Challenges, Springer 2017, pp. 57–63; B. Mazzolai, C. Laschi, A vision for future bioinspired and biohybrid robots, in «Science robotics», 5, 2020, pp. eaba6893. In generale sulla biorobotica rimando a E. Datteri, The logic of interactive biorobotics, in «Frontiers in Bioengineering and Biotechnology», 8, 2020, pp. 1-15; E. Datteri, G. Tamburrini, Biorobotic experiments for the discovery of biological mechanisms, in «Philosophy of Science», 74, 2007, pp. 409–430; M. Tamborini, The Material Turn in The Study of Form: From Bio-Inspired Robots to Robotics-Inspired Morphology, in «Perspectives on Science», 29, 2021, pp. 643–665; M. Tamborini, Morphogenesis –“The Riddles of Form” in Twenty-First Century Science, in «Perspectives on Science», 29, 2021, pp. 559–567.

[3] Su questo percorso si veda O. Breidbach, E. Haeckel, Ernst Haeckel: Bildwelten der Natur, Prestel 2006; F. D’Alberto, Arte, scienza e natura in Goethe, a cura di D. von Engelhardt, G. F. Frigo, R. Simili, F. Vercellone, in «Intersezioni», 27, 2007, pp. 345–350; A. Pinotti, S. Tedesco (a cura di), Estetica e scienze della vita. Morfologia, biologia teoretica, evo-devo, Raffaello Cortina, Milano 2013; M. Tamborini, The Architecture of Evolution: The Science of Form in Twentieth-Century Evolutionary Biology, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh 2022; S. Tedesco, Forme viventi. Antropologia ed estetica dell’espressione, Mimesis, Milano 2008; S. Tedesco, Funktionskreis e Gestaltkreis: la metafora del circolo nella biologia teoretica, in «Aisthesis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico», 7, 2014, pp. 177–185; F. Vercellone, Le ragioni della forma, Mimesis, Milano 2019; F. Vercellone, Sistemi dinamici. Morfologia come concetto storico, in «Cosmo», 18, 2021, pp. 45–54; F. Vercellone, S. Tedesco, Glossary of Morphology, Springer, Heidelberg 2020; J.H. Zammito, The gestation of German biology. Philosophy and physiology from Stahl to Schelling, University of Chicago Press, Chicago 2017.

[4] Si veda M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, Meiner, Hamburg 2022; M. Tamborini, The circulation of morphological knowledge: understanding “form” across disciplines in the twentieth and twenty-first centuries, in «Isis», 113, 4, 2022, pp. 747-766.

[5] Rimando a M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, cit.; F. Vercellone, S. Tedesco, Glossary of Morphology, cit.

[6] M. Tamborini, The Architecture of Evolution: The Science of Form in Twentieth-Century Evolutionary Biology, cit.; D.W. Thompson, On Growth and Form, Cambridge University Press, Cambridge 1942.

[7] Sulla filosofia della bio-tecnica rimando a M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, cit.

[8] E. Cassirer, Form und Technik, in B. Recki, a cura di, in Gesammelte Werke. Hamburger Ausgabe. Band 17: Aufsätze und kleine Schriften (1927-1931), Meiner, Hamburg 1930, pp. 139–183; E. Cassirer, Form and technology, in Ernst Cassirer on Form and Technology, Springer 2012, pp. 15–53.

[9] J.W. von Goethe, Bd. 13, Naturwissenschaftliche Schriften I, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1817, p. 55.

[10] J.W. von Goethe, La metamorfosi delle piante, Milano s.d., pp. 43–43.

[11] J.W. von Goethe, Bd. 13, Naturwissenschaftliche Schriften I, cit., p. 124.

[12] P.J. Bowler, Life’s Splendid Drama: Evolutionary Biology and the Reconstruction of Life’s Ancestry, 1860–1940, The University of Chicago Press, Chicago, London 1996.

[13] Si veda A. Love, Evolutionary Morphology and Evo-Devo: Hierarchy and Novelty, in «Theory in Biosciences», 124, 2006, pp. 317–333; A. Pinotti, S. Tedesco (a cura di), Estetica e scienze della vita. Morfologia, biologia teoretica, evo-devo, cit.; M. Tamborini, The Architecture of Evolution: The Science of Form in Twentieth-Century Evolutionary Biology, cit.

[14] H. Driesch, Die Maschine und der Organismus, Barth, Leipzig 1936.

[15] J. Loeb, The mechanistic conception of life: biological essays, University of Chicago Press, Chicago 1912, p. 51.

[16] J. Baedke, O Organism, Where Art Thou? Old and New Challenges for Organism‐Centered Biology, in «Journal of the History of Biology», 52, 2019, pp. 293–324; D.J. Haraway, Crystals, fabrics, and fields: metaphors of organicism in twentieth-century developmental biology, Yale University Press, New Haven 1976; D.J. Nicholson, R. Gawne, Neither logical empiricism nor vitalism, but organicism: what the philosophy of biology was, in «History and philosophy of the life sciences», 37, 2015, pp. 345–381.

[17] A. Pensa, Il problema morfologico, in «Rivista di biologia», 4, 1922, pp. 487–514.

[18] Rimando al testo in M. Tamborini, Technische Form und Konstruktion, in «Deutsche Zeitschrift für Philosophie», 68, 2020, pp. 712–733; M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, cit.

[19] E. Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Technik: Zur Entstehungsgeschichte der Kultur aus neuen Gesichtspunkten, Westermann, Braunschweig 1877, p. 41.

[20] E. Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Technik, cit., p. 42.

[21] Ibid.

[22] E. Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Technik, cit., p. 47.

[23] Ibid.

[24] Ibid.

[25] Ibid.

[26] Si veda anche M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, cit.

[27] Cfr. A. Naef, Idealistische Morphologie und Phylogenetik, Gustav Fischer, Jena 1911.

[28] Si veda a proposto M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, cit.

[29] Citato in T. Maldonado, Tecnica e cultura: il dibattito tedesco fra Bismarck e Weimar, Feltrinelli Editore, Milano 1991, p. 250.

[30] E. Zschimmer, Philosophie der Technik, cit., p. 4.

[31] Ibid., p. 7.

[32] Ibid, p. 10.

[33] Sull’imitazione nelle pratiche della biorobotica del XXI secolo rimando a M. Tamborini, The elephant in the room: The biomimetic principle in bio-robotics and embodied AI, In «Studies in History and Philosophy of Science», 97, 2023, pp. 13-19.

[34] E. Zschimmer, Philosophie der Technik, cit., p. 12.

[35] Ibid.

[36] Ibid., p. 13.

[37] Ibid, p. 14.

[38] Ibid.

[39] Ibid., p. 15.

[40] Sul problema dalla traduzione rimando a M. Tamborini, Philosophie der Biotechnik: Das Komponieren von bio-robotischen Formen, in «Deutsche Zeitschrift für Philosophie», 71, 2023, pp. 30-51.

[41] Si vada A. Menges, HygroScope. Meteorosensitive Morphology, in «ARCH+», 206/207, 2012, p. 7; A. Menges, Morphospaces of robotic fabrication, in Rob| Arch 2012, a cura di S.B. Çokcan, J. Braumann, Springer, Wien-New York 2013, pp. 28–47.

[42] E. Cassirer, Form und Technik, cit., p. 81.

[43] A. Menges, Integration aus Form, Materie und Struktur, in Über Form und Struktur – Geometrie in Gestaltungsprozessen, a cura di C. Leopold, Springer, Wiesbaden 2014, p. 34. Si veda anche M. Friedman, K. Krauthausen, Materials matter: introduction, in Active Materials, a cura di P. Fratzl et al., De Gruyter, Berlin 2021; M. Tamborini, Entgrenzung. Die Biologisierung der Technik und die Technisierung der Biologie, cit.; S. Tedesco, La costruzione del concetto di omologia ei vincoli materiali della forma, in «Rivista di estetica», 62, 2016, pp. 27–39; F. Vercellone, Le ragioni della forma, cit.; F. Vercellone, S. Tedesco, Glossary of Morphology, cit.

[44] K. Liggieri, M. Tamborini (a cura di), Organismus und Technik. Anthologie zu einem produktiven und problematischen Wechselverhältnis, Wbg, Darmstadt 2021; K. Liggieri, M. Tamborini, The Body, The Soul, The Robot: 21st-Century Monism, in «Technology and language», 3, 2022, pp. 29–39; M. Tamborini, The Architecture of Evolution: The Science of Form in Twentieth-Century Evolutionary Biology, cit.

[45] H. Petersen, Skelettprobleme, in «Naturwissenschaften», 10, 1922, pp. 337–344.

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