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Victor Egger e Henri Bergson – Alle origini del flusso di coscienza. Con due lettere inedite di William James e di Henri Bergson a Egger [Edizioni ETS, Pisa 2016, pp. 130, € 13]

Secondo il curatore Riccardo Roni «vediamo dunque come Egger, partendo dall’analisi del linguaggio interiore, inauguri un’epistemologia sotterranea che anticipa chiaramente sia il tempo soggettivo di Bergson sia la concezione jamesiana della corrente continua del pensiero, dando voce ed espressione, nello stesso tempo, a una nuova dimensione della psiche: l’inconscio» (p. 23). Si tratta di lavorare con Roni intorno a una pagina di storiografia filosofica molto particolare, perché tesa non soltanto a dimostrare l’influenza che lo psicologo Egger avrebbe avuto sullo sviluppo iniziale della riflessione di Bergson (soprattutto quello del Saggio e di Materia e memoria), ma anche a lavorare su un certo clima epocale che non ha potuto non produrre riflessioni intorno alla costituzione della persona e della personalità a partire da un’interiorità pensata in maniera del tutto originale. Il testo si compone di una serie di parti e la ricostruzione è sempre molto approfondita: il quadro viene ricostruito in maniera molto particolareggiata all’interno della lunga introduzione che rappresenta il filo rosso da seguire per muoversi all’interno di un complesso rapporto che si gioca a partire da un duplice movimento, quello di Bergson lettore di Egger e quello di Egger lettore (e critico) di Bergson. Sullo sfondo resta la figura di James, il quale pure sembra avere avuto rapporti con Victor Egger, rapporti proficui e di interesse reciproco. Il testo si compone inoltre di tutti i materiali che è stato possibile trovare e che testimonierebbero queste complesse relazioni; la prima parte presenta, innanzitutto, le note di Egger del 1902 Sulla tesi di Bergson, di cui troviamo la trascrizione e la traduzione, oltreché un commento particolareggiato all’interno dell’introduzione; sono presentati, inoltre, Altri appunti di Egger sulla tesi di Bergson (1892-1893 e 1902), riflessioni rapsodiche e piccoli accenni che raccontano, però, di un confronto serrato. Proseguendo, la seconda parte del volume si compone di altri materiali inediti in Italia: una selezione di passi dell’opera principale di Egger, La parole intérieure. Essai de psychologie descriptive, a partire dalla tesi secondo la quale Bergson avrebbe avuto presente proprio questo lavoro, quando era impegnato nella stesura della sua prima opera importante, il Saggio, e la traduzione in italiano dell’articolo di Egger del 1885, Intelligenza e coscienza. La mente è irriducibile all’anima. L’Appendice, infine, presenta due lettere: una di James a Egger del 1883, nella quale il filosofo americano parla delle opere dello psicologo in termini molto positivi, e una di Bergson a Egger, questa volta del 1901, su alcuni saggi di quest’ultimo sul tema del “sogno”. A completare il volume, le scansioni delle lettere e degli appunti presentati.

Si tratta, allora, di giungere alle origini del flusso di coscienza e di lavorare intorno alla famosa querelle sui predecessori: l’epistemologia storica francese, soprattutto nella figura di Georges Canguilhem (tra l’altro, lettore raffinato e innovativo di Henri Bergson), ha sempre avvertito l’esigenza di mostrare come la ricerca degli “anticipatori” crei una sorta di discrasia tra passato e storia; in parole semplici, esistono dei regimi discorsivi (come si esprimerebbe, ad esempio, Michel Foucault, allievo eterodosso dell’epistemologia storica francese) che dominano e regolano le positività pensabili in una determinata epoca. Quello che intendiamo dire è che il lavoro di Roni si muove in una duplice direzione: da un lato, mostrare come Henri Bergson possa aver preso ampio “spunto” dalle tesi di Egger – dunque si potrebbe pensare che ci troviamo dinanzi alla più classica impostazione che ricerca “predecessori” o “anticipatori”, dall’altro, quando propone, invece, le critiche di Egger a Bergson e apre alle indagini di James, articolare una riflessione complessiva su una determinata epoca del pensiero (non soltanto “filosofica” in senso stretto), in maniera tale da cogliere le costanti e le variabili di una riflessione che ha rivoluzionato il modo di intendere la persona e la personalità.

L’analisi muove dalla tesi fondamentale di Egger, secondo la quale «l’anima, in ogni istante, parla interiormente il suo pensiero come in una melodia continua» (p. 17); questa sorta di “monologo interiore” rappresenta una porzione fondamentale – e a tratti misconosciuta – della vita psicologica. La parola interiore si rivela come un “semplice” stato dell’Io ed è assolutamente indipendente da qualsiasi altro suono proveniente dal mondo esteriore; la sua espressività è assolutamente differente da quella della parola udibile, che, come rivela Roni, ha la medesima funzione che ha in Bergson, quella di uno strumento per la vita sociale. Il nucleo fondamentale della psicologia di Egger – a partire dalla riflessione sulla parola interiore – è quello che descrive la “duplicità” dell’Io: da un lato, si trova un Io “implicito”, la cui caratteristica fondamentale è l’inestensione e l’essere sprofondato costantemente nel flusso della durata, dall’altro un Io “esplicito”, la cui caratteristica è l’estensione e l’essere “localizzabile” all’interno di uno spazio. Un ulteriore elemento, che viene sottolineato e che aiuta a comprendere questi incroci, si ritrova analizzando l’articolo di Egger Intelligenza e coscienza, laddove lo psicologo «spiega come in occasione del desiderio, di una passione o di uno sforzo, l’io diventi il rappel collectif, il “richiamo collettivo” di tutti gli stati di coscienza passati a soccorso del momento presente in una corrente temporale continua» (p. 25). Inutile, probabilmente, sottolineare l’assonanza con la tesi fondamentale espressa da Bergson in Materia e memoria. Semplificando al massimo e rimandando a una più attenta lettura dell’introduzione, è possibile affermare che, quando pubblica la sua opera principale (ci troviamo nel 1881) e l’articolo del 1885, Egger avesse già identificato alcune caratteristiche che saranno proprie della riflessione di James, il quale proprio in quegli anni lavorava ai sui Principles of Psychology, e di Bergson, di cui si sottolinea come sia stato proprio il biennio 1881-1883 il momento in cui si è avuta una svolta radicale nella riflessione del filosofo francese, con l’abbandono delle suggestioni positiviste.

Insomma, Bergson sarebbe stato un lettore “silente” di Egger – questa la tesi fondamentale di Riccardo Roni: silente, perché, all’interno delle sue prime opere, i riferimenti sono a tal punto rari e poco approfonditi, che, secondo il curatore, «un esplicito richiamo […] avrebbe senz’altro compromesso la fortuna del Saggio e dell’intera riflessione successiva di Bergson, contribuendo inevitabilmente a ridimensionare l’originalità delle sue tesi principali» (pp. 32-33). Si tratta, indubbiamente, di una presa di posizione piuttosto netta da parte del curatore, anche se poi risulta essere stemperata quando, con molta acutezza, si delineano le differenze tra Egger e Bergson, tali che lo psicologo si troverà a dover criticare il filosofo in maniera piuttosto decisa. «Se Egger resta fermo sulle proprie tesi» afferma il curatore «Bergson, dopo essersene avvalso, le rimaneggia a tal punto da renderle persino oggetto di critica da parte di Egger» (p. 43). Lo psicologo francese, come viene acutamente sottolineato, legge Bergson con il tipico atteggiamento del docente universitario, volto a considerare soprattutto la mancanza di chiarezza di alcuni passaggi o le contraddizioni irrisolte; in realtà, il punto teorico “forte” sul quale Egger non può essere d’accordo con Bergson viene così sintetizzato: «è impossibile parlare dei fatti della psiche senza poter considerare i suoi stati come distinti» (p. 44). Certo, si potrebbe anche dire che il senso “complessivo” dell’intera esperienza di pensiero di Henri Bergson, quello che lo ha portato dalla “psicologia” del Saggio all’ontologia “selvaggia” dell’Evoluzione creatrice, consista proprio in quel punto oscuro che riscontra anche Egger: in questo senso, si può affermare che, probabilmente, Bergson ha subito la suggestione di Egger nella sua prima fase, ma che il bergsonismo (come lo chiama, ad esempio, Deleuze) si caratterizza proprio attraverso il distacco nei confronti di una psicologia che si sente e si percepisce necessariamente come “descrittiva”.

In questo senso, possono leggersi le due conclusioni (e diciamo anche: i due stimoli) che Roni lascia al lettore di questo importante libro: la prima è che «Bergson deve molto alla psicologia pura di Egger, poiché ne assimila e ne rielabora le tesi più originali, giocando poi le sue carte con molta autonomia» fermo restando che «Egger per Bergson è rimasto un punto di riferimento preciso ma nel contempo ben occultato»; la seconda, più interna ai dispositivi teorici, rivela «l’importanza che Bergson, grazie a Egger, può attribuire alla dimensione “intensiva” del linguaggio, a quella voce interiore che si sottrae per natura ai bisogni pratici» (p. 45).

Insomma, è probabile che, a monte di ogni rapporto e relazione produttiva, più o meno nascosta, tra pensatori coevi, vi sia proprio un terreno comune, un insieme di pensieri pensabili e di parole dicibili che costituiscono il senso di un passaggio o di un momento: al di là delle influenze, che pure vi possono essere state, è chiaro che il flusso di coscienza da un lato e la rappresentazione della vita della coscienza come durata, all’interno della quale qualcuno potrebbe leggere le prime rappresentazioni altre e precedenti della rivoluzione dell’epistemologia freudiana, rappresentavano un’esigenza che si rivela come problematizzazione proprio tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Le ragioni dell’emergenza di questa problematizzazione, ovviamente, vanno al di là delle intenzioni di questo testo, ma sicuramente rappresentano uno degli stimoli maggiori che la lettura ha prodotto.

Delio Salottolo

S&F_n. 16_2016

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