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Telmo Pievani – Homo sapiens e altre catastrofi. Per un’archeologia della globalizzazione [Meltemi, Roma 2018]

«La storia di come un mammifero di grossa taglia strettamente imparentato con gli scimpanzé si sia staccato dalla sua famiglia di ominidi e abbia colonizzato l’intero pianeta, spingendosi fino ai confini del sistema solare con le sue sonde, è difficile da raccontare. Le prove documentarie sono ancora allo stato di indizi. Eppure, da tanti indizi un’immagine sfuocata comincia a emergere. Ed è un’immagine molto diversa da quella che avevamo sperato, immaginato e sognato guidati dall’ambizione di essere una specie in qualche modo privilegiata» (p. 22).

L’anno è il duemiladue, un giovane e promettente studioso, fresco di dottorato, dà alle stampe per l’editore romano Meltemi il suo primo saggio scientifico. Sedici anni dopo, Homo sapiens e altre catastrofi torna in libreria con un’edizione completamente rivista e aggiornata. Non è solo un modo per riportare sugli scaffali l’opera giovanile di uno scienziato e filosofo che si è nel frattempo affermato a livello internazionale. È un’operazione figlia di una precisa esigenza scientifica, dettata dalla natura stessa del sapere paleoantropologico. L’immagine del [nostro] passato, ebbe a dire il grande archeologo britannico Colin Renfrew, l’abbiamo costruita noi stessi. Ed è un’immagine che cambia continuamente. Nei sedici anni che separano le due edizioni dell’opera, tante cose sono cambiate, e molte informazioni e prospettive prima oscure si sono rivelate. Quel che è cambiata più di tutto, però, è la consapevolezza, ormai onnipresente nel dibattito pubblico, di dover ripensare con urgenza il rapporto tra gli animali sapienti e il loro ambiente. Telmo Pievani rimette mano alla sua opera prima per fornirci una storia dell’evoluzione umana al passo con le più recenti scoperte scientifiche, ma anche per parlare ai sapiens dell’Antropocene, per accompagnarli per mano, con un linguaggio preciso e tecnico eppur estremamente accattivante, alla scoperta della storia evolutiva di una giovane specie africana che ha lentamente raggiunto tutti gli angoli del pianeta, nella convinzione che esplorare il tempo profondo dell’evoluzione possa strutturarsi come un’operazione sul presente, per intervenirvi e tentare di indirizzarlo. Si tratterà, innanzitutto, di ripensare e decostruire una metafora di successo, un paradigma evoluzionistico capace di dominare la ricerca novecentesca e dai risvolti sempre più problematici, nel ricorso ad altre metafore, altri possibili racconti dell’umano. È un lavoro da epistemologi (p. 23), dichiara l’autore, da studiosi del sapere e delle sue trasformazioni. E lo è senz’altro, ma ci piace pensarla anche in altro modo, come il riprodursi di un’ancestrale pratica di fabulazione: porre domande sull’uomo, raccontare una storia per rispondervi.

«Una gran bella storia, bella come una di quelle canzoni popolari che si cantavano una volta davanti al fuoco» (p. 33). È così, d’altronde, che Telmo Pievani definisce la storia dell’evoluzione umana nelle prime pagine di un’opera nella quale si alternano prosa narrativa e prosa scientifica. Se siamo abituati, in accordo con un certo senso comune, a pensare agli scienziati come figure austere in camice bianco, disincarnati esecutori di esperimenti e calcoli, baconiani compilatori di tavole, non è questo il caso, si premura di sottolineare l’autore. «La scienza, avventura squisitamente umana inventata dai sapiens, si alimenta di miti, abitudini mentali e tenaci speranze» (p. 23). E la scienza paleoantropologica, sapere sintetico della tradizione delle scienze biologiche e quelle antropologiche, si rivela innanzitutto una inesauribile fabbrica di racconti (p. 35), di narrazioni attorno alle quali coagulano tensioni e incertezze, dubbi e assillanti questioni sulla storia, e dunque l’identità, dell’animale che siamo. Charles Darwin, e quel celeberrimo viaggio oceanico a bordo del brigantino Beagle – benedetto da taluni, maledetto da altri – innescò la miccia da cui tutto ebbe inizio. Prende le mosse da qui, il racconto dell’evoluzione umana di Telmo Pievani. Una concisa, densa e fondamentale storia del sapere paleoantropologico apre Homo sapiens e altre catastrofi, per introdurre al dibattito scientifico il lettore e per chiarire la natura degli studi sull’antichità profonda dell’uomo, ma anche per posizionarsi con forza rispetto a un dispositivo narrativo che merita di essere esposto e compreso a fondo, prima di essere rigettato. È infatti convinzione di Pievani che sin dalla «pubblicazione dell’opera di Darwin fosse entrata in azione una modalità influente di vedere il cambiamento come una progressione lineare» (p. 38). È quella che, con un’espressione estremamente efficace, l’autore definisce la gabbia epistemologica del progresso (p. 35). Il modello che la descrive, rafforzatosi nel corso del Novecento in seno a quella grandiosa impresa scientifica che è stata la Sintesi Moderna, campeggia ancora oggi sui libri scolastici meno aggiornati, e abita in pianta stabile il nostro immaginario collettivo. Il grande biologo Stephen J. Gould la definì The March of the Progress. Non è difficile evocarla: è sempre davanti ai nostri occhi la gagliarda processione di ominini, disposti in fila ordinata, un corteo aperto da una scimmiesca creatura che si regge goffamente su due zampe e che in un crescendo qualitativo prepara e celebra la comparsa dell’animale sapiente, il culmine del glorioso cammino, il gioiello di una storia eccezionale, l’autore dell’illustrazione. Questo modello, si premura di dimostrare lungo tutto l’arco narrativo dell’opera Pievani, non regge più, non riesce a rendere ragione delle anomalie che lo affliggono, non riesce a spiegarci troppe cose alle quali cerchiamo risposte. La storia dell’evoluzione umana, oggi lo possiamo dire con forza, non è una vicenda che ha per protagonista una specie ominina per ogni livello temporale, come sosteneva il grande genetista Theodosius Dobzhansky (p. 32), né una marcia a tappe forzate nella quale le «tre direttrici fondamentali della nostra evoluzione – discesa dagli alberi e bipedismo, encefalizzazione e sviluppo tecnologico – sono andate in parallelo, proprio come una marcia trionfale di progresso» (p. 54). Prima di liquidarla però, è importante coglierne la dimensione metaforica, nella convinzione che le matafore adoperate dagli autori possano rivelarsi «messaggere silenziose dei presupposti impliciti che sottendono le teorie scientifiche» (p. 35). Il modello lineare e progressionista non ha infatti solo tentato di spiegare l’evoluzione umana. La marcia del progresso è stata il fondamento di una narrazione imperniata sulla celebrazione di un’epopea di emancipazione, capace di strappare lentamente ma inesorabilmente l’uomo dalla condizione bruta, «dalla sua dimensione naturale, ma indegna di mammifero» (p. 34); una storia da sempre necessariamente orientata verso «il raggiungimento di un sommo vertice evolutivo: la comparsa dell’intelligenza» (p. 42). E questo dispositivo si è rivelato tanto più efficace quanto la sua linearità e progressività poggiano su un collaudato e rassicurante stile di pensiero, la convinzione incrollabile che nella nostra storia evolutiva vi sia stata all’opera una ragione stringente, una necessità evolutiva, un ineluttabile destino (p. 43). La gabbia epistemologica del progresso dunque, ha cullato la convinzione dell’animale autoproclamatosi sapiente di poter fondare la sua pretesa di eccezionalità (così problematica, quando si fa strumento di distruzione planetaria degli ecosistemi) su una storia trionfale e forte, nella quale tutto e tutti erano in movimento per preparare la sua comparsa. Si rende necessaria una rivoluzione storiografica, un’inversione narrativa che sappia da un lato rendere conto in maniera più adeguata dei dati scientifici, e che possa dall’altro costituirsi fondamento di un nuovo modo di pensare la nostra storia, e dunque la nostra identità: questo il proposito che muove Telmo Pievani in Homo sapiens e altre catastrofi. Il paradigma evoluzionistico entro il quale lavora Pievani si articola a partire dall’opera dei suoi grandi maestri, Niles Eldredge e Stephen J. Gould. La teoria degli equilibri punteggiati, pubblicata dai due studiosi statunitensi nel 1971 e capace di innovare la teoria dell’evoluzione per selezione naturale nella critica al modello lineare è, infatti, come avrebbe sottolineato Gould nel titolo del suo celeberrimo The Wonderful life: The Burgess Shale and the Nature of History (1989), innanzitutto una riflessione sulla natura della storia. La storia dell’evoluzione umana, nell’opera di Pievani, non è più un corso omogeneo di eventi in progressione, e le creature nostre antenate, su tutte le affascinanti australopitecine alle quali l’autore dedica pagine preziose, non vengono rappresentate come freneticamente in cammino verso un’umanità altra e più perfetta (p. 87). Al contrario, la nostra è storia di lunghi e duraturi equilibri, di stabilità durate interminabili milioni di anni, interrotte poi da scossoni, da punti attorno ai quali si addensano grandi trasformazioni evolutive. Sempre a Stephen Jay Gould, e alla paleontologa Elizabeth Vrba, dobbiamo un’altra colonna dell’impalcatura teorica di Homo sapiens e altre catastrofi. Ci riferiamo al concetto biologico di exaptation, capace, nell’osservazione della non coindicenza tra l’origine storica e l’utilità attuale delle strutture biologiche (p. 76), di liberare definitivamente la teoria dell’evoluzione per selezione naturale da qualsiasi afflato finalistico e la nostra storia evolutiva da qualsivoglia retrogusto teleologico. Ne emerge un’immagine dell’evoluzione che si fa processo intrinsecamente contingente, il frutto dell’opera di un bricoleur più che di un ingegnere, per usare un’espressione del premio Nobel François Jacob che l’autore fa sua. Il modello che la descrive, dunque, non è più quello scalare classico, così sospettosamente speciale, sottolinea Pievani, rispetto ai modelli che descrivono la storia evolutiva di altri mammiferi (p. 45). È un modello ad “albero cespuglioso”, ricco di ramificazioni, privo di un tronco principale, capace di restituirci l’immagine di una vicenda soprendente di convinvenze tra le umanità molteplici che costituiscono il nostro passato e di cui Homo sapiens rappresenta il più giovane e periferico ramoscello.

Questo racconto dell’evoluzione umana può dunque costituirsi fondamento per accogliere una nuova immagine dell’animale sapiente, la creatura che Telmo Pievani definisce catastrofica e creativa. Homo sapiens, scimmia bambina, neotenica e dunque fortemente exattiva, si rivela innanzitutto figlio delle catastrofi, di un istmo, quello panamense, che si chiude, e getta il pianeta nell’era delle glaciazioni e dell’instabilità climatica, producendo in Africa le condizioni ecologiche per la comparsa del genere Homo. Catastrofico perché figlio dell’età dei ghiacci (p. 107) dunque, ma anche perché, dopo poco più di due milioni di anni dalla comparsa dei primi Homo habilis e Homo rudolphensis, i discendenti sapiens di quelle creature si faranno essi stessi artefici di catastrofi. Le estinzioni della megafauna australiana e americana sono la firma dell’umanità incipiente, le prime pennellate di una creatura intrinsecamente ambigua: creatrice e distruttrice (p. 212). E creativo, Homo sapiens, lo è certamente. Lo è da lunghissimo tempo, ma si è consacrato tale a partire da quella misteriosa transizione che il paleoantrologo Ian Tattersall ha definito The Great Leep Forward, il grande balzo in avanti (p. 261) che, sintetizza Pievani, ci ha fornito il pacchetto della modernità tutto compreso (p. 264). Straordinaria diversificazione culturale, sepolture rituali, una più complessa e larga organizzazione sociale, il fiorire di rappresentazioni simboliche e artistiche sono i frutti di quel momento così cruciale che Pievani osserva nel confronto con il nostro alter ego evoluzionistico per eccellenza, il cugino Homo neanderthalensis, il cui studio, forse più di ogni altro, ci ha permesso di ripensare con forza il modo in cui disponiamo di quegli attributi attraverso i quali definiamo il nostro essere umani (pp. 225-258). In conclusione, Homo sapiens e altre catastrofi è il radicale tentativo di costruire per il lettore una storia dell’evoluzione umana innovativa e volutamente perturbante, che metta in discussione e decostruisca convinzioni radicate, che possa permettere ai sapiens dell’Antropocene di affrontare il proprio tempo – che li chiama a scelte radicali – con una mappa più precisa del proprio passato. Siamo a un punto di svolta, un momento critico nella nostra storia, e il racconto dell’evoluzione umana di Telmo Pievani ci invita, con forza e chiarezza, a gettare uno sguardo diverso al nostro passato, a riscoprirlo storia contingente di animale creativo e catastrofico, una storia che forse, in ultima analisi, può fornirci un appiglio per tenerci aggrappati alla vita, per ripensarci fragili e agire di conseguenza.

 

Ettore Maiorana

S&F_n. 26_2021

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