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Riccardo De Biase – La storia aritmica. Saggio sull’epistemologia di Gaston Bachelard – Presentazione di Fabrizio Lomonaco [Giannini Editore, Napoli 2010, pp. 104, € 10]


Storia e scienza, o forse sarebbe più appropriato parlare di storie e scienze: è su questi piani che si muove l’eretico Bachelard a partire dagli esordi del suo lavoro e con una costanza sistematica che si dipana pur nella eterogeneità dei suoi interessi e dei moduli  di volta in volta approntati.

Si tratta tuttavia di una storia aritmica, come sottolinea l’autore del saggio, poiché la scienza non procede per cauti e graduali passi in avanti, tesi, come vuole una certa tradizione di matrice neopositivista, a un sempre più completo ed esaustivo completamento della conoscenza, a un’eliminazione costante e lineare delle lacune intrinseche al nostro modo di avvicinarci al reale; le scienze al contrario, incedono a balzi, in maniera discontinua, così come il tempo, attraverso ostacoli che ne deviano il corso, lo rallentano, allo stesso tempo arricchendolo e complessificandolo. «La scienza, se è autenticamente approssimazione razionale sempre crescente, deve essere intesa come dinamismo, come interrelazione tra il passato e il presente» (p. 28). Ricorre in Bachelard la metafora del movimento, una certa “dinamofilia”, movimento tuttavia, che lungi dall’estrinsecarsi attraverso la tradizionale dialettica sintetica, si caratterizza per opposizioni che rimangono tali e che dunque non conducono a una semplificazione nell’ambito della conoscenza razionale, bensì a una costante complessificazione del dato. Per Bachelard «la conoscenza è movimento e, così, una maniera di creazione continua; l’antico spiega il nuovo e l’assimila; viceversa, il nuovo afferma l’antico e lo riorganizza» (p. 28).

Il testo di De Biase ripercorre l’itinerario speculativo di Bachelard partendo dal presupposto ermeneutico secondo cui l’epistemologia di Bachelard «è un’epistemologia radicalmente storica, storico è l’impianto generale del suo pensiero e l’orizzonte culturale da cui egli trae spunto per la sua meditazione filosofico-scientifica, è un orizzonte che pone la storia come punto determinante per la comprensione dell’impresa scientifica» (p. 18). Secondo l’autore tale epistemologia storica non è meramente una fase del pensiero bachelardiano, essa costituisce al contrario la struttura pregnante del suo filosofare.

Il testo si snoda attraverso tre tappe corrispondenti a tre fasi del lavoro di Bachelard: nella prima l’autore scandaglia il Bachelard della fine degli anni ’20, periodo in cui lo studioso francese si occupa degli sviluppi delle scienze a lui coeve, in particolare dei progressi nell’ambito della fisica, convinto che «fisica e matematica hanno da cooperare ed anzi debbono identificarsi per fornire alla filosofia delle basi veramente razionali e non metafisiche su cui discutere» (p. 25). Le due discipline non devono procedere isolate: la Fisica-matematica unisce l’idealismo della matematica al realismo del dato bruto della fisica, superando la tradizionale cesura realismo-idealismo, «prospettando una scienza che non è un vedere ma un fare». De Biase sottolinea che lo svilupparsi della scienza «non è che sviluppo storico, una forza inglobante, che, attraverso l’ordine progressivo dei pensieri feconda l’ordine naturale» (p.33). Tale ordine si acquisisce per “complicazione”, giammai per semplificazione.

Sebbene Bachelard tenda a sottolineare che molte scoperte, pensiamo alla relatività, rappresentino una vera e propria frattura epistemologica, un taglio netto col passato, una vera e propria abolizione del “così fu” e delle sue inderogabili istanze, De Biase sostiene che «se da un lato è evidente il riconoscimento del carattere discontinuo del processo storico delle scienze, ovvero l’intrinseco viaggiare “a balzi” della ragione, questo non può escludere di pensare, in termini generali, al sapere razionale come intessuto di una sua evoluzione storica» (p. 36).

Il tempo, la storia entrano in scena nella seconda parte del testo nella quale compare anche un termine tutt’altro che innocente: dialettica, intesa come anima motrice del progresso scientifico; naturalmente l’eretico Bachelard si appropria del termine per “snaturarlo” conferendogli un senso affatto diverso rispetto a quello hegeliano. Come sostenuto da De Biase, per Bachelard, la dialettica è «l’accompagnamento necessario ed inevitabile di ogni iniziazione educativa alla complessità, di ogni approccio effettivamente “positivo”, diretto alla costruzione della conoscenza» (p. 48). L’epistemologia della discontinuità del pensatore francese interpreta dunque l’impresa scientifica come «una costante, irriducibile azione del porre- e- contrapporre, un’opposizione tra materiali eterogenei che, proprio in virtù della loro differenza, è sostanzialmente un’opposizione che non si risolve e non si acquieta» (p. 50). Ogni movimento del procedere scientifico conduce a una soluzione che è sempre una “non soluzione”: si tratta perciò di una “dialettica del non”, caratterizzata da una dinamica di «continuo e di discontinuo, di razionalità che si crede onnicomprensiva e razionalità che si vuole approssimata» (p. 51). Certo, si potrebbe, come alcuni esegeti fanno, accostare il concetto di ostacolo epistemologico a quello della negatività hegeliana, intesa come ostacolo creativo del procedimento scientifico. Tuttavia il movimento dialettico hegeliano sembra essere movimento apparente «un muoversi che mostra un carattere finzionale, conducendo soltanto al riposo assoluto dello spirito in se stesso» (p. 60), laddove una dialettica autenticamente scientifica si presenta come un provare il movimento camminando. È qui dunque che viene a configurarsi la storia aritmica, definizione felice utilizzata dall’autore per delineare il percorso della filosofia della scienza che «non può fare in alcun modo a meno della dimensione storica, dell’autoanalisi del suo procedere, o del suo regredire, della “storia”, delle sue interruzioni, dei suoi salti, delle sue smagliature e dei suoi progressi» (p. 68). Tale dialettica discontinua è fortemente creatrice, non produce sintesi ma novità. Nella terza parte del testo De Biase chiarisce che l’epistemologia storica di Bachelard è strettamente legata alla nozione di “ostacolo epistemologico”, che contiene in sé le dimensioni temporali e dunque storiche di avanzamento, arretramento e rettifica. Bisogna perciò pervenire a un’epistemologia «che rifiuti ab origine, ogni forma di universalizzazione dogmatica del sapere», poiché «non vi è, né può esservi, un risultato finale nel progresso scientifico, e ad ostacoli plurimi corrispondono punti d’approdo dettagliati, particolari e mai universali» (p.85). 

Fabiana Gambardella

02_2010

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