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Luca Grion (a cura di) – La sfida postumanista. Colloqui sul significato della tecnica [il Mulino, Bologna 2013, pp. 320, € 23]


Luca Grion, ricercatore presso il «Centro Interdipartimentale di Ricerca e Servizi per le Decisioni Giuridico Ambientali e la Certificazione Etica di Impresa» (CIGA) di Rovigo, Docente di Filosofia Morale all’Università di Udine e Docente di Etica fondamentale e deontologia professionale all’Università di Padova ha curato questo agile volume nel quale sono poste in primo piano alcune delle tematiche maggiormente discusse nel dibattito filosofico contemporaneo (soprattutto in area anglosassone, ma con un trend crescente in Paesi come l’Italia, la Spagna e la Francia): lo human enhancement e il post-umanesimo (in modo particolare nella sua declinazione transumanistica). Non che la filosofia (cosiddetta) continentale abbia declinato dall’interrogarsi sistematicamente intorno ai rapporti tra l’uomo e la tecnica (basti pensare all’antropologia filosofica novecentesca, ai testi di Ernst Jünger e Martin Heidegger, a Hans Jonas, etc.), ma il focus attuale sembra aggiungere qualcosa di inedito e peculiare (caratterizzante) al dibattito. «I progressi congiunti della genetica, delle nanotecnologie, della robotica, sembrano prefigurare la possibilità […] di una trasformazione radicale dell’essere umano» e il postumanesimo, in tale scenario, viene ad assumere le vesti di una «filosofia che scommette sulla realtà di questo progetto e che individua nel potenziamento (alias enhancement) delle capacità fisico-cognitive e nella vittoria sulla morte mete concrete a cui guardare con fiducia» (p. 9). Il volume è suddiviso in tre parti, la prima propone una riflessione corale sul postumano «che intreccia la messa in chiaro delle potenzialità offerte dalle più recenti promesse tecnoscientifiche con la preoccupazione di pensare a una governance responsabile della così detta GNR Revolution» (ibid.).La seconda parte offre una selezione di testi prodotti da ricercatori e filosofi di area anglofona (Ruud Ter Meulen, Allen Buchanan, Christopher Coenen) le cui riflessioni sono spesso poste ai margini di una trattazione più o meno sistematica all’interno del dibattito nostrano.L’ultima sezione presenta, invece, una ipotetica tavola rotonda virtuale a cui prendono parte pensatori, in alcuni casi, diametralmente opposti quanto a posizioni teoriche (Pietro Barcellona e Aubrey De Grey, Massimo Reichlin e Anders Sandberg, Sergio Belardinelli e Alessandro Giuliani).La struttura del volume consente di abbracciare le molteplici anime entro cui si snoda la discussione e può, per certi versi, come sottolinea Grion, fungere da vera e propria introduzione generale (p. 39) alle questioni del transumanesimo (postumanesimo) e dell’enhancement (evitando di offrire prese di posizione univoche sulle stesse).Nel primo saggio di Andrea Vaccaro (pp. 19-38) la prospettiva, transumanistica, della necessità (e inevitabilità a un tempo) di superare la deficitaria condizione organica dell’uomo attraverso il mezzo tecnologico (superamento che prelude a un cambio di passo radicale dell’uomo, il quale da ente soggetto alle forze della selezione naturale, diventerebbe l’artefice di una evoluzione autodiretta nella quale sarebbe completamente smarcato dalla selezione naturale stessa) appare credibile per due motivi di fondo. Innanzitutto coloro che se ne fanno portavoce sono esponenti di spicco del mondo scientifico (Aubrey de Grey, Ruy Kurtzweil, James Hughes, Nick Bostrom, Julian Savulescu, Eric Drexler, etc), in secondo luogo la tecnologia procede a ritmi impressionanti (basti pensare alla legge dei ritorni accelerati di Kurtzweil e alla legge di Moore sul tasso di crescita tecnologico). In effetti se il superamento delle malattie è da sempre un ideale a cui l’uomo aspira e la morte può essere riguardata alla stregua di una malattia (perché è di malattia, a ben vedere, che in natura si muore) e se l’ipotetica sfida a dio (l’ubristica vocazione dell’uomo al predominio sulle cose che risuona nelle pagine di Fukuyama, Kass, Annas, Sandel, etc) risulta, in definitiva, da derubricare a questione non pertinente (sarebbe paradossale se il Dio della vita facesse il tifo per la morte dei propri figli) tutta l’impalcatura delle argomentazioni critiche verso il transumanesimo si sfalda dalla base.Nel saggio di Fabio Girgenti (pp. 39-57) si mette in luce la necessità di superare la contrapposizione dicotomica tra bioconservatori e bioliberali che incalza l’attuale dibattito.In realtà questi due paradigmi interpretativi della “natura umana” rimontano alla tradizione filosofica greca: il primo fa capo a Protagora, il secondo a Democrito.«Se è vero che la condizione dell’uomo è quella di un essere plasmabile […] è altrettanto chiaro che i limiti di tale plasmabilità si mostrano piuttosto rigidi e determinati […]. Le prestazioni fisiche e mentali possono essere migliorate, potenziate, portate all’estremo, ma solo entro l’orizzonte di quanto un uomo può fare» (p. 56). Tale stato delle cose fa sì che volendo guardare alla questione dell’enhancement con un piglio eccessivamente pessimistico, oppure di contro, con uno sguardo ottimistico si dimentica che «le nostre capacità di previsione restano drammaticamente limitate» (p. 57).Luca Grion (pp. 59-82), curatore del volume, propone un approccio al transumanesimo e all’enhancement fortemente critici. Da un lato c’è, infatti, il riconoscimento della fragilità e vulnerabilità umana, dall’altro il tentativo ubristico di oltrepassare tali limiti. Si è come di fronte a un bivio e bisogna scegliere (p. 75). Per Grion l’uomo deve saper convivere con i propri limiti e accettare la vulnerabilità e fragilità che sono parti strutturanti della propria natura, nella consapevolezza che solo così è possibile agguantare la felicità. La felicità si può raggiungere solo mettendo in condivisione, in uno sforzo comune e intersoggettivo, le proprie forze con quelle dei nostri con-specifici.Il saggio di Guglielmo Tamburrini (pp. 83-99) scandaglia un aspetto, per così dire, applicativo del dibattito. L’epistemologo napoletano, esperto di cibernetica, mostra come i cosiddetti sistemi ICC (sistemi di interfaccia cervello-computer) non prefigurino assolutamente gli scenari utopistici prospettati dai transumanisti. La vulgata attraverso la quale i risultati raggiunti dai dispositivi ICC di ultima generazione vengono presentati (sarebbero dispositivi in grado di far interagire a distanza, quasi come fosse un prodigio telepatico, il cervello con gli oggetti circostanti) è del tutto priva di fondamento e supporto empirico.Allora, forse, la chiave di lettura di taluni scenari vagheggiati dalla vulgata transumanista starebbe in un sentimento narcisistico dell’uomo, ferito e depresso dalla sua impotenza strutturale e dai suoi limiti, nel coacervo di desideri infantili proiettati nel futuro (pp. 94-99).L’ultimo saggio della prima sezione (pp. 101-125) è di Angelo Montanari il quale si occupa nello specifico del tema dell’immortalità. Un tratto accomunante gli autori favorevoli alla prospettiva post-umanistica è la fede in uno sviluppo tecnologico che condurrà alla vittoria su quei processi biologici che portano alla morte. Ma tra lo sviluppo tecnologico e l’immortalità c’è un salto logico, secondo Montanari un atto di fede sopravveniente. L’indagine su robotica e bionica, alcune delle scienze di punta contemporanee, può gettare luce su tale questione perché ci consente di rilevare la distanza che intercorre tra lo stato dell’arte della ricerca contemporanea e le aspirazioni degli enhancement-entusiasti. I transumanisti eludono la vera questione sulla vita eterna dell’uomo. Vita eterna è pienezza di vita, mentre la vita immortale è individualismo e assenza di legami intergenerazionali.Con il saggio di Montanari si chiude la prima parte del volume.Nella seconda sezione del volume di particolare rilievo appare il saggio di Allen Buchanan (pp. 175-217) il quale propone l’inserimento dell’etica del potenziamento nel più vasto corredo dell’etica dello sviluppo.Non possiamo rigettare le tecnologie biomediche sulla base di una presa di posizione ingiustificata, in quanto non v’è tutto sommato una dicotomia così netta tra vecchie e nuove tecnologie.L’agricoltura, l’alfabetizzazione, la scrittura e poi i computer, i cellulari, i nuovi mezzi di trasporto hanno condotto a un rimescolamento dei corredi genetici (pensiamo al ruolo dei trasporti veloci per la promozione della mobilità internazionale). Pensare che siano potenziamenti solo quelli biomedici è riduttivo; bisogna inserire i potenziamenti biomedici nel quadro complessivo dell’evoluzione umana.Inoltre, questa la tesi di Buchanan, con il potenziamento aumenta la produttività e il ben-essere e si creano effetti network (ricadute sulla società). In questo modo il filosofo della Duke University del North Carolina cerca di sganciare lo human enhancement topic da una logica di stampo individualista e autocentrico. Anche per quanto riguarda il ruolo dello stato Buchanan ritiene non sia poi così scontato sottrarre completamente le pratiche enhancing al controllo statale. Lo stato, infatti, potrebbe incentivare e promuovere talune di queste pratiche, così come promuove o incentiva l’educazione tradizionale e smarcarsi, in questa maniera, da una posizione eccessivamente passivista. Prosegue l’analisi con alcune argomentazioni critiche contro il principio precauzione (qualora venga usato come se fosse una ragione ultima per avversare l’enhancement).Il saggio di Christofer Coenen (pp. 149-174) è una storia ragionata del tranumanesimo dalla quale si stagliano le figure di Bernal e Haldane, Drexler, Reade, e nella quale si mettono a fuoco alcune delle tematiche che hanno fatto da cornice all’incedere del movimento transumanista.Ruud Ter Meulen (pp. 129-148) sottolinea la scarsa presa argomentativa delle posizioni bioconservatrici, analizzando alcune delle linee direttive della questione enhancement: la distinzione tra enhancement e terapia, l’argomento dell’autenticità, l’argomento della natura umana da difendere.La conclusione dell’analisi di Meulen è che sebbene possano esserci dei rischi connessi all’uso delle biotecnologie da parte della ragione strumentale, tale ragione può e anzi deve essere inserita in un più ampio contesto di razionalità valoriale (p. 147).Nella terza parte una virtuale tavola rotonda porta a un serrato confronto tra Pietro Barcellona (pp. 221-224), il quale denuncia come i post-umanisti sarebbero alla ricerca di un’origine che non è però a disposizione dell’uomo stesso (l’uomo non può essere origine di se stesso). Belardinelli richiama, invece, la problematicità dell’enhancement e la necessità di ispirarsi al principio cautela (pp. 224-226). De Grey, in modo provocatorio per certi versi, scrive che «gli esseri umani possono diventare, di princioio, post-umani, ma non potranno accorgersi di esserlo diventati» (p. 229). Giuliani taccia di fantascientificità le costruzioni transumaniste, mentre Reichlin e Sandberg sostengono, il primo che siamo già di fatto in una condizione post-umana, il secondo che l’enhancement non può che declinarsi in termini positivi e non fa altro che assecondare la naturale predisposizione umana al superamento dei limiti (p. 237).In definitiva il volume curato da Luca Grion si inserisce a pieno titolo quale lavoro di introduzione e, almeno in parte, scandaglio critico di una delle principali tematiche filosofiche contemporanee e può essere visto come uno dei primi tentativi strutturali di portare all’attenzione del pubblico italiano un ventaglio di temi che sono, insieme ad altri certamente, il centro nodale dell’attuale dibattito filosofico internazionale.

Luca Lo Sapio

12_2013

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