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Jean Baudrillard – All’ombra delle maggioranze silenziose. Ovvero la fine del sociale [a cura di Dario Altobelli Mimesis, Milano 2019]

La maggioranza silenziosa e la fine del sociale. Mass(age) is message

Perché un libro caduto nell’oblio diventa oggi fondamentale? Perché ciò che anticipava accade ora.

All’ombra delle maggioranze silenziose. Ovvero la fine del sociale, è un libro pubblicato per la prima volta nel 1978, dall’indisciplinato sociologo Jean Baudrillard.

Viene riproposto nel gennaio 2019 da Mimesis, casa editrice che con molto coraggio ripubblica opere che hanno modificato i paradigmi delle scienze sociali: lavori caduti nell’oblio per far spazio a tristi epigoni di un pensiero di second’ordine.

Come ci ricorda il curatore della traduzione italiana, Dario Altobelli il termine maggioranza silenziosa è «già presente nel linguaggio politico anglosassone almeno dall’ottocento, l’espressione silent majority è stata resa successivamente popolare dall’impiego che ne fece Nixon in un discorso del 1969» (p. 10). Nixon rese celebre questo appellativo, quando sostenne che la maggioranza silenziosa degli americani era a favore della guerra nel Vietnam.

Quest’espressione entra, ben presto, nell’immaginario collettivo, come parola condivisa, forse abusata. Durante il maggio francese il termine si utilizzava per sottolineare come la maggior parte del popolo fosse favorevole all’ordine, alla sicurezza e alla proprietà privata: tre questioni messe in discussione dal movimento studentesco e da quello operaio. In Italia “maggioranza silenziosa” rappresentò un effimero movimento a partire dal 7 marzo 1971 a Torino, con una manifestazione in piazza Castello. I promotori decisero di indire una marcia per difendere la presenza dell’Italia che lavora, produce, paga e vuole ordine nella libertà e nel progresso sociale.

Baudrillard reinterpreta in altro modo il termine, per definire il comportamento della massa silente nella società contemporanea. Secondo il sociologo francese, le masse «non sono buone conduttrici del politico, né buone conduttrici del sociale, né buone conduttrici del senso in generale» (p. 25). Rappresentano, al contrario, la potenza dell’inerzia e del neutro. Si comportano in modo implosivo e non esplosivo. Sono un buco nero che assorbe senza restituire. La potenza delle masse è nel desiderio del “qui e ora”. Ma è un desiderio che si esplicita nel “silenzio”, in opposizione al bombardamento assordante dei mass-media.

Il loro comportamento sfugge a qualsiasi analisi sociologica, rappresenta la morte del sociale. Ancor più provocatoriamente: voler dare delle definizioni al comportamento della massa è un controsenso, perché significa dotare di senso l’insensato: «Né isteria né potenziale fascismo, ma simulazione per precipitazione di tutti i referenti perduti. (…) Scatola nera di tutti i significati non catturati. La massa è ciò che resta quando il sociale è stato dimenticato» (p. 29).

La massa non è specchio del sociale, ma muro contro il quale qualsiasi forma di rappresentazione speculare si infrange. Non è un referente politico, perché non si declina in classi o sistemi di appartenenza condivisi che accettano il discorso dialettico razionale che costruisce un senso sociale, qualsiasi esso sia. Informare meglio, socializzare meglio, elevare il livello culturale? Sciocchezze. Le masse resistono scandalosamente a questo imperativo della comunicazione razionale. Gli si offre il senso, ma loro vogliono lo spettacolo. L’esistenza della massa non è sociale, ma statistica. Mentre in epoca moderna il popolo si esprimeva attraverso stratificazioni sociali coese, gruppi di appartenenza che affidavano ai sistemi di rappresentanza le loro istanze, la massa è costituita da una “folla solitaria”, come sosteneva già nel 1950 David Riesmann, altro sociologo dimenticato.

Sondaggi, test, referendum, non “rappresentano”, ma “simulano” la realtà: la differenza è abissale: «Il referendum (e i media sono un referendum perpetuo di domande e risposte orientate) si è sostituito al referente politico» (p. 46).

La contemporaneità è questa. Presagita da Baudrillard e da pochi altri prima di lui.

La massa contemporanea non sa che farsene dei corpi intermedi: gioca passando da un polo all’altro del discorso, senza seguirne il filo logico. Appoggia idee a ondate; quando le appoggia. Nella maggior parte del tempo rimane in silenzio. Un silenzio che non è né conservatore, né progressista. Un silenzio che disattiva qualsiasi forma di linguaggio politico. Un silenzio che vieta che si parli in suo nome: questa è la sua arma micidiale, assoluta perché sciolta da ogni forma di dipendenza. Nessuno può affermare di rappresentare con certezza la maggioranza silenziosa. Questa è la vendetta dell’ambiente sul sistema direbbe Luhmann: la rivendicazione dell’insensato sulla costruzione sociale – sempre precaria, relativa, contingente – del senso.

Da questo punto di vista ogni discorso politico che si occupi di solidaristico, di collettivo pecca di ingenuità. «La notte dell’estradizione di Klaus Croissant, la televisione trasmetteva una partita di calcio in cui la Francia giocava per la qualificazione ai campionati del mondo» (p. 35).

Poche centinaia di persone manifestavano davanti a La Santé, mentre venti milioni di persone passavano la loro serata a vedere la partita. Succede anche oggi. Una minoranza di ingenui illuministi – che spesso ritengono di essere i migliori a torto, esercitando mera vanità – si indignano di fronte all’indifferenza della massa, la quale non risponde. Mortifica con il silenzio dell’indifferenza.

Ogni giorno i mass media pretendono di far parlare le masse, in realtà ribadiscono solo la propria autoreferenzialità. «Invece di trasformare la massa in energia, l’informazione produce sempre più massa» (p. 50). Quando si produce troppo senso viene il rigetto e si crea il buco nero, la massa inerziale. A questo punto i sistemi di comunicazione cosa fanno? Invece di comprendere la necessità di produrne in minore quantità, aumentano ulteriormente la mole, determinando la svalutazione di qualsiasi forma di informazione, non solo dal punto di visto economico, ma anche psicologico, sociale, culturale. Assistiamo a due forme complementari dello stesso nulla: l’implosione del senso da parte della massa, l’esplosione del senso da parte dei mass media.

Se Mcluhan confidava nel fatto che Medium is message, Baudrillard dimostra che «mass(age) is message» (p. 67). La nostra società ha compiuto il delitto perfetto – parola chiave che verrà riutilizzata da Baudrillard nel 1996 come titolo di una delle sue opere più note – uccidendo la realtà che produce differenziazioni in base allo scambio dialettico; e sostituendola con un’iper-realtà basata sulla simulazione di un modello di realtà data in pasto a una massa che non sa che farsene, perché non ragiona in termini di atti di distinzione dotati di senso.

Fake news e post-verità? Niente di nuovo sotto il sole. Ne parlava già lo storico Marc Bloch (altro celebre dimenticato) nel 1921 nell’opera La guerra e le false notizie, ma utilizzando termini differenti. Le notizie alterate o simulate (perché iper-rappresentate) sono la norma fin dall’introduzione dei primi mezzi di informazione di massa. I media hanno bisogno di enfatizzare tutto, distorcendo la reale percezione della realtà, sia in senso positivo che negativo.

I media sono figure retoriche di connessione: iperboliche o litotiche, secondo le necessità. Esagerano certi fatti che considerano più desiderabili per il loro pubblico, minimizzano ciò che non corrisponde agli stereotipi già consolidati. La massa, allora, reagisce a suo modo, assorbendo senza restituire. Gestisce ogni idea come scarto da buttare nel bidone dell’indifferenziato. Si lascia sedurre, senza farsi convincere. Il fascino procura un piacere che dura poco e costituisce una disaffezione al senso. Non è un caso che oggi anche sul piano politico ci si innamora di guru solo per un quinquennio. Poi ogni leader perde consensi, come una maglietta che non va più di moda. Politica e media si illudono di poter incidere sulla massa. Credono che essa sia permeabile al discorso. Ma la massa si gode solo lo spettacolo televisivo delle elezioni, non la tribuna elettorale delle conversazioni. La massa è una forma di resistenza al sociale, al lavoro, alla medicina, alla scuola, all’informazione. È resistente a tutte le forme di pedagogia. La massa è il medium più forte di tutti i medium, in questo senso va letta l’affermazione di Baudrillard mass(age) is message.

La massa chiede sicurezza sociale, diritti, welfare. Chiede di essere assistita e di fruire di tali servizi a dismisura, considerando anche i servizi di assistenza come merce da consumare senza limiti.     

La massa, in alcuni momenti, può avere punti di contatto con l’azione terroristica nel senso che, da un istante all’altro, può trasfigurarsi nel suo opposto, dando vita a forme catastrofiche: per anni vive nell’anonimato e nella normalità; poi, di colpo, insegue una parola chiave in modo impulsivo, scatenando effetti a catena che producono forme di guerriglia urbana, destinate a sgonfiarsi nel giro di poco, facendo posto al ritorno della normalità silenziosa.

Massa, media e terrorismo sembrano triangolarsi, in un processo che fa percepire un movimento esplosivo illusorio. Se le società primitive furono devastate dalle esplosioni sociali, noi saremo distrutti dalle implosioni a-sociali? In superficie si producono più dinamiche sociali, in profondità si neutralizzano le relazioni sociali e il senso stesso del sociale.

Alla fine del saggio, come in una performance patafisica, Baudrillard rovescia nuovamente il suo discorso, ponendo due questioni: o il sociale non è mai esistito, ma è sempre esistita una simulazione del sociale gestita a seconda delle epoche da media differenti; oppure il sociale è davvero sempre esistito ed è destinato a esistere sempre di più.

In questo secondo caso l’autore afferma che la “socializzazione perfetta” della contemporaneità coincide con l’assistenzialismo che porta, comunque, all’annientamento del sociale che diventa parte residuale di un sistema economico.

«Quando nel 1544 aprì il primo grande istituto dei poveri: vagabondi, dementi, malati, tutti coloro che il gruppo non ha integrato vengono presi in carico sotto il segno nascente del sociale. Il sociale diventa assistenza, non più relazione. Questo si espanderà alle dimensioni dell’assistenza pubblica nel secolo XIX e poi nella sicurezza sociale nel XX secolo» (p. 94).

Con il welfare universale si declina l’intento di rendere l’intera collettività un residuo da proteggere e assistere, perché «il sociale è là per vegliare sul consumo inutile del resto affinché gli individui siano assegnati alla gestione utile della loro vita» (p. 99).

L’assistenza muta in un patto tacito tra chi ha e chi non ha. Serve a mantenere buoni coloro che non hanno e a farli aumentare di numero, in modo che diventino docili consumatori. Ma sarà questo consumo ipertrofico e insensato l’arma micidiale di massa. Perché farà fallire il sistema.

Baudrillard anticipa di quarant’anni il sociale attuale, nel quale gli individui-massa sono terminali di informazione, spazio di connessione – Parag Khanna scriverà Connectography solamente nel 2016 – e che reagiscono con l’unica forma di potere rimasta nelle loro mani: il silenzio indifferente e divertito. Ma di questo ce ne siamo realmente accorti? Quando Baricco parla di élite, ha contezza di questa trasformazione antropologica? Quando Travaglio parla di giornalismo guardiano della democrazia e al servizio dell’interesse generale, è cosciente della massa-buco nero che guarda tutto come spettacolo da tifare o boicottare?

L’iper-reale ha vinto sul reale, perché ha abolito il reale, sostituendolo con una simulazione.

In tal modo il reale appare più reale di quanto in realtà sia. Tutti i media hanno il compito di produrre questo reale sovrabbondante. C’è troppo di tutto: è pornografia del senso.

Baudrillard, alla fine del libro, propone una metafora proprio con le inquadrature dei film porno.

Nessuno di noi farebbe l’amore (che è parte della realtà) guardando a distanza troppo ravvicinata tutto ciò che accade quando si fa sesso. Perché ciò non consentirebbe di perdersi nella relazione profonda e consistente. Al contrario il film porno propone zoom, avvicinandosi troppo al reale e determinando qualcosa di iper-reale che, nei fatti, nega la realtà perché, a distanze troppo ravvicinate, la realtà dotata di senso scompare: rimane solo l’esagerazione e l’intrattenimento.

Simone D’Alessandro

S&F_n. 21_2019

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