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Helmuth Plessner – Sul rapporto di mondo e ambiente nell’essere umano [a cura di Vallori Rasini, ETS Edizioni, Pisa 2020]

«Nel 1950, nell’ambito del Terzo Congresso Tedesco di Filosofia, si tenne a Brema un importante simposio sul tema dell’ambiente. Erano presenti alcuni dei maggiori studiosi del tempo e, accanto a noti filosofi come Arnold Metzger, Erich Rothacker, Arnold Gehlen, parteciparono ai lavori diversi stimati biologi, fisiologi, zoologi. A coordinare la discussione, tutta incentrata non su un concetto generale di “ambiente”, ma sulla teoria “rivoluzionaria” proposta alcuni decenni prima dall’affermato biologo di origine estone Jacob von Uexküll, venne chiamato Helmuth Plessner, emerito esponente della corrente contemporanea dell’antropologia filosofica (p. 5)».

Sta qui l’origine di questo breve e densissimo saggio, edito da Ets nella collana bifronti (testo tedesco a fronte) e corredato dalla bella introduzione della curatrice Vallori Rasini, che ci conduce per mano dentro al peculiare contesto di discussione e riflessione sul fenomeno della vita agli esordi del Novecento, per soffermarsi poi sul punto di vista di Helmuth Plessner, che di quella temperie culturale e di quella riflessione, fu tra i protagonisti principali.

Helmuth Plessner, tra i maggiori esponenti dell’antropologia filosofica tedesca del Novecento, esprime in questa sede alcune considerazioni sul concetto di ambiente sviluppato alcuni decenni prima da von Uexküll; ne riconosce l’assoluta importanza dal punto di vista metodologico, la sua innovatività, consistente nell’evitare di interpretare il comportamento delle soggettività animali attraverso una serie di antropomorfismi. Von Uexküll infatti avrebbe ricondotto «la biologia allo studio delle reciproche relazioni tra l’organismo e il suo specifico milieu (p. 23)». Tuttavia secondo l’autore de I gradi dell’organico questa categoria seppur pregnante fa sorgere alcune difficoltà: come delimitare l’ambiente di comportamento e dunque di “significazione” di ciascun organismo, rispetto all’ambito circostante che è espandibile in tutte le direzioni? Inoltre, e qui arriviamo alla questione eminentemente antropologica, è ancora definibile come ambiente quell’ambito potenzialmente illimitato nel quale l’uomo opera e a partire dal quale costruisce anche una scienza biologica degli altri animali? «Che significato ha il richiamo di apertura al mondo, evidente per l’uomo, se poi la biologia, la sociologia, l’etnologia e la storia della cultura possono mostrargli una parzialità, per non dire un imprigionamento […] all’interno di ambienti caratteristici di tipo vitale e spirituale? (p. 27)».

Sebbene von Uexküll abbia subìto la malìa del vitalismo e individuato nel vivente la teleologia di un piano di costruzione, per Plessner non è possibile ignorare il rilievo che la categoria di ambiente ha avuto nel mostrare che «il vivente non è una semplice cosa ma un centro, benché senza possibilità di vissuto paragonabili a quelle dell’uomo (p. 31)».

Appare a Plessner schematico e semplicistico polarizzare le dimensioni di senso del vivente attraverso gli accostamenti binari di animale-ambiente/uomo-mondo, per cui o si aderisce a un integrale biologismo «con una degradazione dell’uomo al piano della vita vincolata all’ambiente (p. 33)», oppure si respinge tout court ogni pretesa biologista e si rivendica per l’uomo un’apertura al mondo che significa affrancamento totale dalle maglie necessitanti dell’ambiente, come nel caso di Scheler o Gehlen.

È a questo punto che si fa strada il peculiare punto di vista di Plessner: nell’ente eccentrico le due dimensioni di ambiente e mondo collidono e si intrecciano; l’umano è contemporaneamente e tragicamente legato alla necessità di un ambiente e aperto al mondo, in un intreccio inestricabile che «non si può mai ricondurre a un equilibrio (p. 35)», data la sua natura ibrida di animale e non-animale.

L’ambiente di comportamento circonda l’organismo come una sorta di campana sancendo le sue possibilità di percezione e azione. Di esso vengono selezionati unicamente gli aspetti rilevanti dal punto di vista vitale. È qui che si staglia netta la differenza uomo-animale: un profluvio di stimoli assolutamente irrilevanti ai fini dell’esistenza biologica dell’organismo è impensabile nella condizione animale, laddove questa “ridondanza”, questo eccesso di perturbazioni non legate strettamente ai circuiti funzionali, pare essere la condizione ontologica dell’uomo. Nell’animale «mondo percettivo e mondo effettuale sono reciprocamente in accordo (p. 37)».

Al contrario l’ente eccentrico è al contempo e in maniera ossimorica alla costante ricerca di un luogo, pur essendo a casa dovunque. Costruisce la propria dimora attraverso mezzi artificiali, adattandosi a qualunque luogo. Citando Herder, Plessner descrive la manchevolezza originaria dell’umano, la sua carenza iniziale, come lo svantaggio che ne determina il primato. Tuttavia la ricollocazione dell’umano nel contesto naturale cui appartiene pare non possa impedire di collocarlo in un ambiente, di ammetterne cioè i vincoli biologici che ne determinano una certa chiusura, una ricorsività, sebbene più ariosa, meno asfittica, rispetto agli altri organismi. Nell’uomo in effetti, quella naturalità, così facile da descrivere nell’animale, si situa «su di uno specifico piano spirituale: il paesaggio natio, la lingua madre, la famiglia e le usanze […] la casa, la stanza, gli oggetti, l’intero complesso esistenziale (p.47)», che sono binari che solcano il cammino, quadri di protezione, sono l’immutabilità di uno scenario che consente al vivente eccentrico di trovare una stabilità che si staglia sull’abisso di quell’imperscrutabile che da sempre è mondo.

Tuttavia, conclude Plessner, «la chiusura verso l’esterno e l’apertura verso l’interno, questa familiarità e ovvietà di uno spazio di vita spirituale […] non dà diritto a definirlo come un ambiente né al singolare né al plurale (p. 49)», poiché tale struttura per quanto conservativa o ricorsiva o chiusa, resta sempre tesa alla costruzione di ponti verso l’esterno, verso altre strutture spirituali che sollevano l’umano dai legami anche ambientali, di carattere puramente vitale.

Fabiana Gambardella

S&F_n. 25_2021

 

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