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Ernst Haeckel – Forme in evoluzione. Morfologia del vivente e psicologia cellulare – a cura di Valeria Maggiore [Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2016, pp. 124, € 12]


Ernst Haeckel è una figura molto importante del XIX secolo. Naturalista, biologo, scienziato ma anche artista, a lui si deve la classificazione, descrizione e illustrazione di oltre quattromila specie di radiolari, dei microrganismi marini dallo scheletro siliceo presenti sul pianeta Terra da oltre cinquecento milioni di anni. Haeckel è affascinato da queste minuscole forme di vita monocellulari, la cui elegante complessità e varietà è restituita dai suoi numerosissimi disegni “dal vero”. Nel secolo della ferrovia e dei telegrafi, del darwinismo e del microscopio, Haeckel vede proprio nei radiolari un punto d’accesso per coniugare arte e scienza, rappresentazione estetica e osservazione scientifica, Goethe e Darwin.La morfologia, intesa come disciplina naturalistica, si occupa di studiare quei processi di messa in forma, formazione e trasformazione degli organismi. Nella riflessione haeckeliana, la morfologia rappresenta esattamente quella branca del sapere scientifico che può catturare la dimensione artistica della natura: secondo Haeckel, la sua creatività, progettualità, mutevolezza e varietà sconfinata ritaglia per le forme di vita, dalle più semplici alle più complesse, una visione unitaria che riporta l’arte nell’alveo della natura. Il rapporto, così stretto nel pensiero haeckeliano, tra forma e vita porta a una coincidenza tra Natur e Kunst: l’arroganza antropocentrica che pretenderebbe che, da una parte, la natura esista solo per il puro godimento umano, e dall’altra, che l’arte sia appannaggio solo dell’uomo cede il passo a una visione monistica che riconcilia scienza e arte, superando il tradizionale iato che le separava. Se, infatti, da un lato le “opere d’arte della natura”, come il naturalista tedesco definisce le forme di vita, sono dotate di una bellezza diretta a nessuno, o, per dirla in termini kantiani, possiedono una finalità senza scopo, dall’altro la natura acquista la stessa agency dell’artista umano: progetta le sue opere, le mette in essere, o in forma, le perfeziona, le adatta, le rielabora, le riprogetta ecc. Questi due elementi sono entrambi cifra degli anni in cui Haeckel scrive: la bellezza diretta a nessuno delle forme di vita sembra a Haeckel maggiormente evidente nel caso degli organismi monocellulari, osservabili, nella loro bellezza enigmatica, solo al microscopio, e pertanto invisibili a occhio nudo, indifferenti e “nascosti” al mondo macroscopico che l’umano abita; la concezione della natura come artista poggia sui concetti di adattamento, ereditarietà e selezione mutuati dal pensiero di Darwin, che Haeckel legge entusiasticamente e che passerà tutta la vita a diffondere nell’Europa continentale. Per questa ragione, si può dire che con Haeckel ci troviamo di fronte a una vera e propria estetica della natura, affiancata a una rielaborazione evoluzionista della morfologia: per il naturalista tedesco il darwinismo può garantire la formulazione di leggi in grado di descrivere la formazione e trasformazione del vivente, osservabili per la prima volta come fatti storicamente verificabili. Queste leggi, però, non dovrebbero rigidamente incasellare il vivente in griglie matematiche, ma permettere al naturalista di cogliere la natura in maniera qualitativa, visiva e “naturale”, e di osservare e “fruire” l’organismo studiato nella sua unità, funzionale ed estetica. Per Heackel dunque, Darwin ben si accompagna a Goethe nell’approdare a una poetica della vita conforme alla scienza.Il libro raccoglie le traduzioni di tre saggi di Haeckel, La natura come artista [Die Natur als Künstlerin] pubblicato nel 1913, Sulla divisione del lavoro nella vita naturale e umana [Über Arbeitstheilung in Natur- und Menschenleben] del 1868, Le anime cellulari e le cellule dell’anima [Zellseelen und Seelenzellen] del 1878, che risultano in qualche modo particolarmente rappresentativi del pensiero haeckeliano. Infatti, se il primo saggio rappresenta il vero e proprio manifesto della concezione estetica più matura di Haeckel, cui si è, grosso modo, già accennato, i successivi affrontano il problema delle cellule e del cosiddetto “individuo biologico”. Se, infatti, non si incontrano difficoltà a identificarlo nel caso di organismi monocellulari (conferendo, in particolare, al plasma cellulare un potere architettonico dalle potenzialità infinite) la questione non è così semplice da esautorare nel caso degli organismi complessi, o pluricellulari, che sono il risultato dell’intricata organizzazione morfologica e biologica di tutte le cellule che li compongono. Il problema non è di facile soluzione: tale organizzazione procede dal microscopico al macroscopico, o viceversa? È l’organismo a organizzare le cellule a partire dalle loro funzionalità specifiche, o sono queste ultime a comporre l’organismo in base alla loro disposizione? L’ordine che fa sì che esista una forma organica viene dall’alto o dal basso? Procedendo per analogia, sono gli individui a plasmare la comunità biologica, o è la comunità a forgiarli secondo le proprie necessità?Si vede dunque che la vera questione, per il naturalista tedesco, riguardi il concetto di individuo biologico, o meglio, il tentativo di vagliare quale sia effettivamente il livello di autonomia che investe le singole parti di un organismo complesso. Così come gli atomi sono concepiti, a partire dalla filosofia greca, come le unità minime di materia presente nel cosmo, così anche le cellule possono essere definite come le unità minime della vita; le cellule però sono anche individui (ciò che non è opportuno dividere), poiché, seppure appartenenti a una serie, possiedono una loro specifica peculiarità. Una cellula, secondo Haeckel, custodisce il principio di organizzazione organica, garantisce continuità formale lungo le generazioni poiché replica sempre se stessa, ma anela sempre all’autodeterminazione. Ogni cellula è perciò un individuo, poiché conserva in sé un certo grado di autonomia, vita e forma proprie. Nel saggio sulla divisione del lavoro, Haeckel impiega una semplice ma efficace analogia, riuscendo così a istituire una suddivisione che procede dal microscopico al macroscopico, in individui di I, II e III ordine. Uno Stato si compone di persone individuali; queste, a loro volta, si aggregano in caste o corporazioni, uffici o ministeri. Il corretto funzionamento di ognuna di queste parti determinerebbe lo Stato. Allo stesso modo, le cellule rappresentano gli organismi elementari (I ordine), l’animale, o il germoglio vegetale, sono gli organismi di II ordine, mentre l’insieme di questi ultimi dà vita alla colonia (III ordine). Come nel caso dei sifonofori, creature marine che vivono in simbiosi tra loro, formando un unico organismo che non può funzionare senza l’ausilio di tutte le sue parti (e ogni sua parte ha vita breve se si stacca dalla colonia), così ogni organismo di I e II ordine, oltre a provvedere al suo auto-mantenimento esplica quelle funzioni che permettono all’intera colonia (III ordine) di prosperare. L’uno senza l’altro non sopravvivrebbe, e viceversa.In linea di principio, per Haeckel, capire i meccanismi che regolano le singole cellule presenti nell’organismo formica, per citare un altro esempio dell’autore, sarebbe utile a descrivere sia il comportamento individuale della formica, sia come tale comportamento si riverberi sull’intera colonia. L’intuizione della morfologia, e l’aspetto che la rende, a parere di Haeckel, così affascinante, sarebbe proprio il tentativo di spiegare i meccanismi di formazione degli organismi più complessi a partire dal semplice. O meglio, di fondare una vera e propria teoria naturalistica degli individui, poiché, se le singole cellule possono essere descritte come enti individuali, allora anche l’organismo complesso può essere descritto come un sistema d’individui, o uno “Stato cellulare”, in cui ogni cittadino ritiene un certo grado di autonomia, pur ponendosi compiti e scopi più alti, che esulano il mero mantenimento individuale.La morfologia è la disciplina che meglio riesce a cogliere il sistema organico nella sua complessità individuale, secondo Haeckel. Innanzitutto perché è una scienza naturale, e come tale, è in grado di indagare il bios a partire da quegli elementi che mettano in risalto le caratteristiche di perfezionamento, differenziazione e divisione del lavoro proprie degli organismi; in questo senso, anche l’anima può essere indagata con strumenti scientifici. La psicologia ottocentesca e prefreudiana, in effetti, studia quei meccanismi di stimolo e reazione che intercorrono a influenzare il comportamento. Il sistema nervoso, e la sua sede centrale di elaborazione degli stimoli, il cervello, costituiscono l’oggetto principale della psicologia di quegli anni, votata a cogliere le interazioni tra il sistema nervoso e gli stimoli esterni, al fine di cogliere, su base scientifica, la sede, il funzionamento e l’esistenza di un “apparato psichico”. Anche Haeckel si inserisce in questa tradizione: gli preme mostrare innanzitutto che l’anima non si possa ascrivere a non meglio descritti processi sovrannaturali, che non si possa perciò considerare un enigma biologico trascendente, ma che possa essere studiata con gli strumenti delle scienze naturali al pari di qualunque altro fenomeno. In secondo luogo, Haeckel non si limita ad affermare la corrispondenza di determinate funzioni dell’anima a un sostrato organico, ma ritiene addirittura che tutta la natura sia animata, persino le semplici cellule.Nel terzo saggio qui proposto, Haeckel pone dunque il problema dell’anima cellulare: se è vero che l’anima può essere individuata scientificamente attraverso lo studio del cervello e del sistema nervoso, in mancanza di questi ultimi, si può parlare di anima cellulare? Si può parlare di una funzione senza organo, di un’anima senza nervi? Una concezione in qualche modo “meccanica” dell’anima rende possibile, per il naturalista tedesco, ridurre la questione alle “facoltà sensoriali” degli organismi. Infatti, con le dovute differenze, tutti gli organismi condividono quanto meno il senso di piacere e dispiacere, attrazione e repulsione verso gli stimoli esterni. Questa generalizzata “forma della sensazione” trasforma, per Haeckel, ogni senso in un più elaborato derivato del senso del tatto e ogni organo sensoriale in un organo dell’anima. I nostri sensi, e le ramificazioni del sistema nervoso, sarebbero solo una successiva evoluzione di un più basilare senso del tatto, presente in ogni organismo, dai radiolari all’uomo, inteso come una sorta di senso “primigenio” e totipotente. Sarebbe quindi la superficie cutanea a mettere in moto qualunque reazione allo stimolo: un vero e proprio “senso della pelle” che rende quest’ultima il vero apparato psichico dell’intero mondo organico. Nel caso specifico delle cellule, dunque, la sede dell’anima e l’apparato psichico delle cellule si identificherebbero con la membrana cellulare, la sua “pelle”, lo strato più esterno, in grado di “sentire” ogni stimolo, e indurre la cellula a respingere o cercare. In questo senso, l’anima non sarebbe dunque appannaggio esclusivo dell’uomo, e neppure dei soli organismi complessi; non esisterebbe solo l’anima animale, ma anche un’anima cellulare.L’intera natura è animata: lungi dall’essere inerte, fissa, o creata per il puro godimento estetico dell’uomo, la Natura haeckeliana è qualcosa di vivo e dinamico, creativo e autonomo, turbolento e meraviglioso. Coglierla significa, per Haeckel, osservarne le “infinite forme meravigliose” con gli occhi del naturalista e dell’artista insieme. Questa tensione tra scienza e arte, ordine e bellezza, classificazione e rappresentazione artistica è per Haeckel l’impegno di un’intera vita, e l’unica via possibile per svelare i segreti del mondo naturale e godere, allo stesso tempo, della sua multiforme bellezza.

Serena Palumbo

S&F_n. 17_2017

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