Il nostro comune futuro: così fu intitolato il rapporto elaborato nel 1987 dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo in occasione della 42ima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Our common future. Report of the world commission on Environment and Development, 1987, in
http://www.nembro.net/agenda21locale/doc/1987%20-%20Rapporto%20Brundtland%20-%20inglese.pdf).
La Commissione, costituita dall’ONU nel 1983 e presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland, era preposta a tracciare un’agenda che mettesse in atto i principi di tutela ambientale esposti durante la Conferenza ONU sull’Ambiente Umano tenutasi a Stoccolma nel 1972 (Dichiarazione sull’ambiente umano, 1972, in
http://www.nembro.net/agenda21locale/doc/1972%20Dichiarazione%20di%20Stoccolma.pdf).
Il rapporto che ebbe origine da tali lavori detiene una particolare rilevanza nella misura in cui esponeva per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile. Con esso l’umanità fu messa di fronte alle proprie responsabilità nei confronti delle generazioni future, seriamente minacciate dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta.
Alla formulazione del concetto di sviluppo sostenibile ha contribuito un folto numero di scienziati. Tra essi un unico italiano: Enzo Tiezzi (E. Tiezzi, Lo sviluppo sostenibile, intervento in occasione della presentazione del Progetto SPIn-Eco, Follonica 2005, in
http://www.comune.follonica.gr.it/forum_cittadini/download/ambiente-tiezzi.pdf).
Personalità eclettica e dai molteplici interessi, Enzo Tiezzi è ricordato per il suo appassionato impegno in difesa dell’ambiente. La sua attività di accademico e politico ha contribuito in maniera decisiva a porre le basi di un’educazione alla sostenibilità nel nostro Paese (F.Morandi et al., Il pianeta Terra, un’arancia blu nel pensiero di Enzo Tiezzi, in
http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/nuocontri_2/morandi_r1.pdf).
Lo scienziato si è sempre mostrato consapevole del fatto che il superamento di una logica di sfruttamento dell’ambiente poteva aver luogo soltanto se veniva introdotta una nuova chiave d’interpretazione della natura, che superasse i limiti della visione deterministica veicolata dalla scienza moderna. Tale introduzione ha costituito l’obiettivo di fondo delle sue numerose pubblicazioni e ha acquisito un carattere centrale nell’opera Fermare il tempo. Un’interpretazione estetico-scientifica della natura. In questa sede l’autore si confronta coi nuovi orientamenti che caratterizzano la ricerca scientifica contemporanea, in particolare con le teorie della complessità, per mostrare a un pubblico di non addetti ai lavori come in essi si possano trovare i presupposti di un diverso approccio alla natura.
Il percorso proposto dall’autore si avvale di due concetti guida, il primo dei quali è l’entropia (p. 10), concetto introdotto dal secondo principio della termodinamica. Esso rivela l’illusorietà della fede in un ordine della natura sempre uguale a se stesso, mostrando la spontanea tendenza al disordine del mondo fisico. Eppure, osserva Tiezzi, «i sistemi biologici sembrerebbero una manifesta violazione del principio» della termodinamica, in quanto «presentano strutture estremamente ordinate che si evolvono nella direzione di un più elevato ordine, di una minore entropia» (p. 15). È chiaro, in questo punto, il riferimento alle domande che hanno ispirato gli studi sulla termodinamica del non-equilibrio di Ilya Prigogine. Anche il premio Nobel per la Chimica, infatti, si chiedeva quale relazione potesse essere rinvenuta tra la crescente complessità della vita e l’evoluzione verso l’equilibrio termodinamico osservabile in natura (I. Prigogine, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1999, p. 135), trovando una risposta nelle strutture da lui stesso definite dissipative, che, mostrando come in condizioni d’instabilità l’intero sistema ha modo di procedere verso un ordine più complesso, hanno portato alla luce «uno stretto legame tra auto-organizzazione e distanza dall’equilibrio» (ibid., p. 146). Le strutture dissipative, tra cui figurano gli stessi esseri viventi, hanno modo di conseguire e mantenere nel tempo un certo grado di complessità in virtù del loro configurarsi come sistemi aperti, capaci, cioè, di scambiare energia e materia con l’ambiente esterno. Esse si distinguono in tal modo dai sistemi chiusi, che possono scambiare energia e non materia con l’esterno, e dai sistemi isolati, che non hanno, invece, alcun rapporto di scambio con l’ambiente circostante (E. Tiezzi, p. 15). Soltanto questi ultimi sono soggetti al secondo principio della termodinamica e vanno incontro a un progressivo disordine (p. 17). Non segue questa sorte la Terra che, configurandosi come un sistema chiuso, è in grado da un lato di catturare energia dal Sole, grazie al processo della fotosintesi, dall’altro di disperdere entropia nello spazio esterno, preservando in tal modo uno stato di lontananza dall’equilibrio, presupposto indispensabile dell’evoluzione biologica (pp. 19-21).
La lontananza dall’equilibrio costituisce, dunque, la conditio sine qua non per il conseguimento, da parte del sistema, di una struttura ordinata. D’altro canto, osserva l’autore, «lo stato ordinato di un sistema biologico decadrebbe, se lasciato a se stesso, verso lo stato il più possibile disordinato: per questa ragione deve continuamente essere fatto del lavoro per ordinare il sistema» (pp. 31-32), lavoro che vede coinvolte le diverse parti del sistema e che presuppone un costante rapporto di scambio con l’ambiente esterno. Si arriva così al secondo concetto chiave cui fa riferimento la riflessione di Tiezzi: la relazione (p. 11), quella che necessariamente intercorre tra le diverse parti del sistema, non più concepibili come realtà isolabili, e quella che intercorre tra il sistema nel suo complesso e l’ambiente esterno. Se la vita, dunque, costituisce l’espressione di un ordine che solo uno stato iniziale di non equilibrio consente di conseguire, tale stato può essere assicurato soltanto da una costante apertura del sistema verso ciò che è fuori da sé.
La centralità che il concetto di relazione assume nel discorso scientifico contemporaneo induce inevitabilmente a cambiare la prospettiva attraverso cui guardare la natura. La rinnovata consapevolezza che tra le diverse parti del nostro ecosistema vi è un rapporto d’influenza reciproca comporta, infatti, il decadere della visione meccanicistica propria delle scienze moderne, che rinviene nella natura un ordine di leggi eterno e universalmente valido, e induce a riconsiderare «da una parte l’importanza delle piccole cose, degli effetti minimi, spesso, a torto, considerati ininfluenti […] e, dall’altra, l’importanza delle relazioni che hanno già avuto luogo, cioè della storia lunga, anzi, lunghissima, dei tempi biologici che ci hanno preceduto e la memoria di queste relazioni in ciò che sta ora avvenendo» (p. 48). La nuova «fisica evolutiva» che in tal modo si viene a delineare riscopre il «tempo come proprietà intrinseca della materia», individuando in esso il punto d’incontro tra l’uomo e la natura. Lungi dal costituire un fenomeno isolato, infatti, l’evoluzione umana si presenta come «parte integrante della storia coevolutiva del nostro Pianeta» (p. 8), e in essa trova il suo senso più proprio.
Se il tempo costituisce la cifra dell’intimo legame che unisce l’uomo alla natura, occorre fare i conti con l’alterazione che esso ha subito nella contemporaneità. Il progresso tecnologico, infatti, superando in velocità l’evoluzione biologica, ha comportato uno sfruttamento aggressivo delle risorse della Terra, causandone l’esaurimento precoce; ormai, afferma l’autore, «i tempi storici non coincidono più con i tempi biologici» (p. 77). Lo scarto che è venuto a crearsi tra i due tempi, è indicativo di una frattura che ha separato l’uomo dalla natura e ha condotto a considerare quest’ultima come avversario da combattere. Ma, come aveva già rilevato Gregory Bateson, l’idea d’intraprendere una lotta per la supremazia sulla natura porta con sé la prospettiva di una catastrofe irreparabile; «la creatura che la spunta contro il suo ambiente distrugge se stessa» (G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, p. 514), ammonisce il filosofo. Di questo stato di cose Tiezzi si mostra pienamente consapevole, quando ricorda che il ricorso sconsiderato a risorse energetiche non rinnovabili ha determinato un incremento vertiginoso della concentrazione atmosferica di anidride carbonica, con il relativo aumento dell’effetto serra, causa principale di un sempre più preoccupante aumento della temperatura terrestre (pp. 81-83).
Lo scienziato vede in questo meccanismo dagli esiti così disastrosi il perpetuarsi di una concezione “spaziale” del tempo, che ha indotto a concepire erroneamente quest’ultimo come reversibile (p. 95). Ma, fa notare il nostro autore, se «lo spazio è reversibile e isotropico, il tempo è irreversibile e anisotropico» (ibid.). Il carattere irreversibile del tempo mette l’uomo di fronte alle proprie responsabilità e alla necessità di guardarsi dal mettere in atto stili di comportamento tali da causare danni ecologici irreparabili. Di qui l’invito provocatorio di Tiezzi a “fermare il tempo”, ad arrestare, cioè, quel cieco movimento di conquista del mondo proiettato verso un futuro sempre più compromesso, per riconciliarsi con la pienezza di senso del momento presente. L’autore chiarisce a tal punto il proprio riferimento alla concezione agostiniana del tempo (p. 149), che giunge al suo senso più proprio nell’istante presente. Non più identificato col movimento, infatti, il tempo può dischiudersi in tutta la sua pienezza soltanto nell’attimo, là dove la memoria del passato e l’attesa del futuro s’intrecciano con la visione del presente (Sant’Agostino, Confessioni, Libro XI, 14.31, Oscar Mondadori, Milano 2010, pp. 326-343). È nell’attimo, dunque, che diventa possibile abbracciare la totalità del tempo e recuperare un rapporto armonioso tra l’uomo e il proprio ambiente circostante.
Nel momento in cui la frattura tra uomo e natura viene sanata, anche la rigida separazione dei saperi non ha più motivo di esistere. Diventa allora possibile adottare un approccio estetico della natura, che poggi su una contaminazione di scienza e arte. Quest’ultima, osserva l’autore, non sminuisce la validità del discorso scientifico, piuttosto contribuisce a conferirne chiarezza e complessità (pp. 115-117). La fede nell’integrazione dei saperi quale presupposto imprescindibile per una comprensione piena della natura si riflette nel peculiare stile espressivo di Tiezzi, che all’oggettività dell’esposizione scientifica accosta la poesia e la narrazione personale. In queste pagine, scienza e arte s’incontrano senza forzature per portare allo scoperto un unico mondo, un mondo che non va più dominato, ma compreso (p. 130), quel mondo in cui noi stessi siamo, quel mondo che noi stessi siamo.
Anna Baldini
S&F_n. 6_2011