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Berenice Cavarra e Vallori Rasini (a cura di) – Passaggi. Pianta, animale, uomo [Mimesis, Milano 2012, pp. 257, € 18]


Passaggi: nel senso del passare da un posto all’altro, dell’attraversare un luogo, del cambiare sede, del trovare e/o crearsi un varco, un passaggio appunto. Ma anche nel senso del passare come fa il tempo che passando trascorre inesorabile verso l’ignoto o del passare da una “stato” all’altro, del trasformarsi. O ancora del passare un qualcosa a qualcuno porgendoglielo. Un qualcuno che può trovarsi accanto a noi, davanti a noi o alle nostre spalle. Lo spettro semantico del termine “passaggi” risulta, dunque, molto ampio, ma i saggi presenti in questo testo curato da Berenice Cavarra e Vallori Rasini riescono ad abbracciarlo quasi del tutto. Centro focale dei vari interventi è il rapporto tra la pianta, l’uomo e l’animale, una relazione complessa che informa di sé tutta la storia della filosofia dai presocratici ai postumanisti e transumanisti. Da questo punto di vista, la prima sezione di questo volume collettaneo, intitolata Genesi e trasformazione, è davvero ricca di spunti. A partire dal saggio d’apertura di Luciana Repici, che spiega le modalità in cui nell’antichità greca, da Empedocle agli Stoici, si è proceduto alla concettualizzazione della scomoda relazione a tre pianta-animale-uomo e alla collocazione temporale della loro comparsa sulla Terra. O da quello di Paola Carusi, che con estrema dovizia di particolari rende conto della ricezione araba di alcuni testi aristotelici, in particolare del De generatione animalium. Sino ad arrivare all’accurata analisi della Cavarra, che consente di cogliere l’interessante problematica concernente la situazione apparentemente paradossale dell’asceta medievale, che, nel tentativo di depurare la propria coscienza, si abbassa a uno stato ferino, animalesco, imita, cioè, quegli stessi animali che per l’uomo dell’epoca simboleggiavano vari e gravissimi peccati. Un posto a parte va assegnato alla mirabile ricostruzione tecnico-cosmologica della Villa e del Parco di Pratolino (Firenze, 1569-1585) offerta da Silke Kurth, che sottolinea gli elementi teoricamente notevoli che hanno funto da linea guida nella realizzazione di un complesso architettonico di grande rilievo, soffermandosi, in particolar modo, su un aspetto interessante quale il rapporto natura-artificio, non sempre visto, già in età rinascimentale, in termini antitetici.

Anche nella seconda sezione, denominata Derivazione e sviluppo, si possono individuare una serie di saggi di grande spessore, questa volta curvati sul tema dell’animalità dell’uomo, o, se si vuole, dell’umanità dell’animale. Un tema che è affrontato variegatamente: sia attraverso il confronto con momenti particolari della filosofia moderna, da Campanella all’Illuminismo arrivando all’antropologia filosofica di Plessner – nei saggi di Roberto Bondì, Paolo Quintili e Vallori Rasini – sia tramite la disamina di questioni sempre più attuali, attinenti all’etologia contemporanea e alla zoo-antropologia. Da un lato, quindi, si hanno ricostruzioni storico-filosofiche di pregevole fattura, nelle quali si cerca, certamente con successo, di sottolineare come si sia configurato nel tempo il complesso legame tra l’uomo e l’animale – legame che spesso si è declinato nei termini pericolosi di un vero e proprio dualismo. Del resto, come ha acutamente mostrato Derrida nel suo L’animale che dunque sono, a partire da Cartesio fino ad arrivare a Lévinas la filosofia ha definito l’uomo ponendo l’accento sulla sua (presunta) non-animalità, sulla sua differenza dall’animale, fino a vedere in quest’ultimo un qualcosa di assolutamente lontano dalle principali prerogative dell’homo sapiens.

Dall’altro lato va segnalato il saggio di Antonello La Vergata, che, dopo aver passato in rassegna le contraddizioni presenti in alcuni atteggiamenti come il vegetarianismo e il veganismo oltre che nella nozione etico-giuridica di “diritti animali”, arriva a enunciare, a mo’ di temporanea conclusione del suo discorso, una serie di principi etico-ontologici, coi quali tende a far emergere l’assoluta irragionevolezza della presunta oggettività o naturalità del primato dell’uomo sulle altre creature. Un primato che la scienza può contribuire, se non a distruggere, quanto meno a mettere radicalmente in discussione, sottolineando come nel tempo l’uomo si sia costantemente “ibridato” con l’animale, che ha partecipato, a sua volta, in un modo certamente decisivo all’evoluzione dell’essere umano e che per questo motivo non può essere, sic et simpliciter, emarginato. Insomma, in perfetta sintonia, per certi aspetti, con le acquisizioni di certo pensiero zoo antropologico e di certe tendenze post-human, La Vergata mette in risalto l’impossibilità di definire l’uomo come essere, per così dire, “puro”, e la necessità di un ripensamento, sul piano teorico e giuridico, della relazione uomo-animale.

 

Ciro Incoronato

S&F_n. 7_2012

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