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Ricollocare la morte. Alcuni approcci psicoanalitici

Autore


Alfonso Lombardi

Ha conseguito la Laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Università della Calabria

Indice


1. Dalla pulsione di morte al desiderio d’incesto

2. Tra l’annichilimento e il determinismo della Legge

3. Come la morte può dare senso alla vita

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S&F_n. 26_2021

Abstract


Restoring Death. Some Psychoanalytical Approaches

This short essay opens with the Freudian theoretical speculation about the death drive and the further contributions made by Jacques Lacan. After examining the reading of Hamlet by Ettore Perrella, it will be discussed how these authors have tried to restore the importance it deserves to death. Specifically we will come to consider Lacan’s thoughts on being-for-the-death, Perrella’s rejection of the Lacanian tragical ethics and Freud’s remarks on caducity.

 

Non sarebbe preferibile restituire alla morte, nella realtà e nel nostro pensiero, il posto che le compete, dando un rilievo un po' maggiore a quel nostro atteggiamento inconscio di fronte alla morte che ci siamo fino ad ora sforzati di reprimere con cura?[1]

 

1. Dalla pulsione di morte al desiderio d’incesto

All’incirca un secolo fa, per dare una spiegazione al fenomeno della coazione a ripetere, il fondatore della psicanalisi si lasciava andare a speculazioni teoriche che lo portarono a ipotizzare che gli esseri viventi, provenendo dalla materia inorganica, siano spinti a far ritorno a quell’antica condizione di partenza e che quindi, in definitiva, la morte possa essere considerata «la meta di tutto ciò che è vivo»[2]. Stando così le cose «sembrerebbe proprio che il principio di piacere si ponga al servizio delle pulsioni di morte»[3], e considerare queste ultime coerenti al principio di piacere implica che persino le pulsioni di autoconservazione collaborano al mantenimento di un equilibrio fin quando non arriva il momento di cedere il passo, perché, lo sappiamo, la vita non è che un intermezzo della morte. Così Freud:

Vista alla luce di questo presupposto, l’importanza teoretica delle pulsioni di autoconservazione, di potenza e di autoaffermazione diventa molto minore. Sono pulsioni parziali, che hanno la funzione, di garantire che l’organismo possa dirigersi verso la morte per la propria via tenendo lontane altre possibilità di ritorno all’inorganico che non siano quelle immanenti allo stesso organismo. Non dobbiamo più contare sulla misteriosa tendenza dell'organismo (così difficile da inserire in qualsiasi contesto) ad affermarsi contro tutto e contro tutti. Essa si riduce al fatto che l’organismo vuole morire solo alla propria maniera. Anche questi custodi della vita sono stati in origine guardie del corpo della morte[4].

Ne risulta, dunque, che la pulsione di morte si ritrova proprio nella radicalità del nostro desiderio, o come dirà Jacques Lacan: il soggetto, grazie alla libido, fa della propria morte «l’oggetto del desiderio dell’Altro»[5].

Già Freud accompagnava con un mito platonico[6] l’ipotesi scientifica dell’origine di una pulsione a partire «dal bisogno di ripristinare uno stato precedente»[7]. Lacan ne presenta una variazione che come «complemento introvabile» non prevede la cosiddetta anima gemella bensì un oggetto perduto sin dalla nascita rappresentabile verosimilmente dalla placenta o ancora miticamente da una lamella, «quella parte del vivente che si perde nel prodursi attraverso le vie del sesso» e di cui solo un «soggetto parlante» può rivelarne il «senso mortifero», «questo perché il significante come tale, sbarrando il soggetto per prima intenzione, ha fatto entrare in lui il senso della morte»[8].

L’«intervento chirurgico» di Zeus, dunque, comporta allo stesso tempo l’originarsi del desiderio del soggetto e l’impossibilità di soddisfarlo, se non a prezzo della morte[9]. Per fare un esempio eloquente prendiamo in considerazione quell’oggetto di desiderio che per ragioni vitali si pone nell’esperienza di ognuno fin dalla primissima infanzia, ossia il seno materno. Anche se in seguito allo svezzamento questo desiderio viene sublimato, esso continua ad avere un ruolo psichico importante per il soggetto, e quindi nella società. La tendenza psichica verso la morte, nella forma del regresso al seno materno, può essere riscontrata in alcune pratiche di sepoltura, nelle connessioni stabilite dalle tecniche di magia o dalle antiche concezioni teologiche tra la madre e la morte, in esperienze psicoanalitiche abbastanza spinte o ancora, in forma più astratta, nel desiderio di

un’assimilazione perfetta della totalità dell’essere. Sotto questa formula di aspetto un po' filosofico si riconosceranno alcune nostalgie dell’umanità: il miraggio metafisico dell’armonia universale, l’abisso mistico della fusione affettiva, l’utopia sociale di una tutela totalitaria, nostalgie scaturite tutte dall’idea fissa di un paradiso perduto prima della nascita e dalla più oscura aspirazione alla morte[10]

 

2. Tra l’annichilimento e il determinismo della Legge

Nel suo settimo seminario, seguendo Freud e appoggiandosi agli studi antropologici di Claude Lévi-Strauss, Lacan sostiene che l’incesto sia il «desiderio essenziale», il «più fondamentale», e sarebbe proprio la legge dell’interdizione dell’incesto a far sì che possa esistere la cultura:

Il desiderio per la madre non può essere soddisfatto perché sarebbe la fine, il termine, l’abolizione di tutto l’universo della domanda, che è quello che struttura più profondamente l’inconscio nell’uomo. Proprio in quanto la funzione del principio di piacere è di far sì che l’uomo cerchi sempre ciò che deve ritrovare, ma che non può tuttavia raggiungere, l’essenziale sta proprio qui, in questo impulso, in questo rapporto che si chiama legge dell’interdizione dell’incesto[11].

Dunque, è da tale legge che si dirama la concatenazione di significazioni di cui sono strutturate le relazioni umane che danno forma alla cultura, infatti per Lacan «è evidente che le cose del mondo umano sono cose di un universo strutturato in forma di parola, e che il linguaggio, i processi simbolici dominano, governano tutto»[12]. In quest’ottica, allora, se da una parte il significante fondamentale evita l’annichilimento del soggetto, dall’altra lo determina per tutta la vita. È così che ci troviamo di fronte a quello che in fin dei conti è il problema di Amleto, infatti se per Lacan il personaggio shakespeariano è «l’immagine di quel livello del soggetto in cui il suo destino si articola […] in termini di significanti puri – dal momento che il soggetto in qualche modo non è altro che il rovescio di un messaggio che non è nemmeno il suo»[13], nella lettura di Ettore Perrella la questione verte su come districarsi da questo reticolo simbolico[14] nel quale tutti siamo immersi.

Nell’omonima tragedia, Amleto si ritrova incaricato di un malaugurato compito, dato che «il tempo è fuori squadra» e deve essere lui a rimetterlo in sesto[15]. Quest’alterazione cosmica riguarda l’ordine simbolico del vivere quotidiano[16]; essa è dovuta alla manchevolezza del lutto per la morte del re, ovvero il padre di Amleto, e al matrimonio affrettato di sua moglie con Claudio, fratello nonché assassino del re. Eppure, Claudio e Gertrude sostengono che il lutto, seppur breve, ci sia stato. Amleto pensa piuttosto che si sia trattato solo di una messa in scena:

non è solo il color d’inchiostro del mio mantello, né sono gli abiti di solenne nero rituale, le folate di sospiri e i singhiozzi forzati, e neanche il fiume copioso degli occhi, e neanche l’atteggiarsi afflitto del viso, insieme a tutte le forme, gli umori, le dimostrazioni di cordoglio – non sono quelli che possono descrivere la mia verità. Quelli davvero ‘sembrano’, perché sono azioni che si possono recitare. Ma io ho dentro ciò che supera ogni posa – fuori, del dolore ci sono solo addobbi e travestimenti[17].

Quindi la verità di Amleto non è riducibile alla semplice parvenza e il non rispetto del lutto è «un segnale dimostrativo della vuotezza delle abitudini umane, in quanto esse sono il risultato di significazioni sganciate dalla verità»[18]; lo stesso vale per il rapido passaggio della regina da un amore assoluto per suo marito al lussurioso amore per Claudio. Nel comportamento di sua madre e di suo zio, Amleto «individua una legge generale dell’esistenza. La colpa di entrambi, insomma, è il caso estremo e più rappresentativo di una colpa generale, alla quale Amleto stesso tenta di sottrarsi»[19]. Ma se da un lato si tira indietro di fronte all’idea di sottomettersi a quel reticolo simbolico in cui è invischiata la corte, dall’altro la prospettiva aperta dalla rivelazione dello spettro paterno lo rigetta nello stesso problema, dato che la vendetta lo porterebbe a compiere lo stesso delitto di Claudio. Accettando temerariamente l’incarico affidatogli dal fantasma del padre, Amleto non ha paura di rinunciare a qualsivoglia rapporto oggettuale scaturente dai propri desideri fantasmatici; su ciò non esita affatto. A bloccarlo è piuttosto la consapevolezza del fatto di non poter riuscire a ristabilire l’armonia nel mondo «se non negando il tempo di se stesso, se non rinunciando a se stesso e all’assolutezza del proprio desiderio, cioè di quel desiderio più vero di ogni altro desiderio patologico, che è lo stesso grazie al quale egli non esita ad accogliere la richiesta dello spettro». Dunque Amleto «si trova dinanzi una scelta senza scelta», se non agisce «è perché sia agendo sia non agendo, si troverebbe a divenire chi non vuole essere»[20]. Insomma, ciò che sta a cuore ad Amleto è l’assolutezza della soggettività e la vendetta come il suicidio o anche la rinuncia a ogni azione la rinnegherebbero. Ma il desiderio di essere un soggetto assoluto potrebbe essere ricondotto a quello di chiunque altro, a quel desiderio che viene definito d’incesto e che consiste nel sottrarsi alla Legge. Eppure intercorre una differenza sostanziale tra i due: una volta prese le distanze dal fantasma a cui tende il desiderio patologico, l’azione viene guidata da un desiderio incondizionato e desoggettivante che in quanto tale non determina il soggetto dell’azione se non come soggetto etico[21].

3. Come la morte può dare senso alla vita

La revisione etica di Lacan, basata sulla sovversione freudiana della legge morale, la quale mostrerebbe che «non c’è Sommo Bene – che il Sommo Bene, che è das Ding, che è la madre, l’oggetto dell’incesto, è un bene interdetto, e che non c’è altro bene»[22], vorrebbe che il soggetto agisse sempre in conformità con il desiderio che lo abita[23]. Un esempio di questo agire è offerto da Antigone[24], la quale «porta fino al limite il compimento di ciò che si può chiamare il desiderio puro, il puro e semplice desiderio di morte come tale. Questo desiderio, ella lo incarna»[25]. Ebbene sì, «il rapporto dell’azione con il desiderio che la abita si esercita nella dimensione tragica nel senso di un trionfo della morte», o meglio del «trionfo dell’essere-per-la-morte»[26]. Ma bisogna fare distinzione fra due generi di morte: una è quella che colpisce i più e implica una vita trascorsa unicamente a soddisfare i bisogni materiali e a rincorrere beni immaginari; l’altra è una morte accettata e non rifuggita, anzi ricercata quando l’alternativa è di cedere sul proprio desiderio. È questa la morte che trovano Antigone e suo padre, la cui volontà è μή φῦναι, «piuttosto, non essere!»:

È questa la preferenza su cui deve terminare un’esistenza umana, quella di Edipo, così perfettamente compiuta che non è della morte di tutti che egli muore, ossia di una morte accidentale, ma della vera morte, in cui lui stesso radia il proprio essere. È una maledizione accettata, di quella vera sussistenza che è propria dell’essere umano, sussistenza della sottrazione di se stesso all’ordine del mondo[27].

L’accesso alla «vera morte» non è possibile se non seguendo fino in fondo il proprio desiderio, questo perché «il ruscello in cui si situa il desiderio non è soltanto la modulazione della catena significante, ma quel che corre sotto, per la precisione quel che siamo, e anche quel che non siamo, il nostro essere e il nostro non-essere»[28].

Anche per Perrella «essere chi siamo» è il «vero compito»[29] ma, al contrario di Lacan, pensa che «la soluzione tragica del problema dei rapporti fra un soggetto e la sua verità non è la più alta, perché il dramma richiede non solo una colpa da cui purificarsi, ma anche una catastrofe che possa esemplarmente produrre una catarsi». Ma ecco la questione: «la psicanalisi è in grado di dare un contributo alla saggezza, oppure la sua soluzione è solo quella tragica: che tutti muoiano, purché il desiderio sopravviva?». Ovvero, «la psicanalisi può – e, se sì, in che modo – garantire che l’esperienza in cui consiste produca dei soggetti che continuino a porsi in modo radicale il problema della propria verità?»[30]. La continuità richiesta da Perrella si riferisce insieme a due punti cruciali per la psicanalisi: la formazione e la trasmissione, due modi complementari di dare senso alla vita, senza che per questo venga accantonata la prospettiva della morte.

Ovviamente un passo fondamentale dell’analisi consiste nella sua conclusione, la quale può avvenire in seguito all’elaborazione di un vero e proprio lutto. Una volta presa consapevolezza dell’impossibilità di appagare il proprio desiderio, l’immagine ideale che l’analizzante aveva di se stesso viene meno. Si tratta, in effetti, di «una sorta di morte soggettiva e di cancellazione» che viene superata grazie a una «riaffermazione narcisistica» basata sull’accettazione della propria storia e del proprio destino che «non può essere di puro compiacimento di sé»[31]. Tutto ciò richiama una certa somiglianza con quei rituali iniziatici che hanno come funzione essenziale il superamento del modo naturale di esistere, quello del fanciullo, per accedere a un modo culturale fatto di valori spirituali che determina la completa integrazione alla condizione di vita umana[32]. Per questo durante un’iniziazione la morte simbolica è sempre seguita da una rinascita, «essa dimostra che, per vivere, bisogna aver attraversato la propria morte […]. È come se l’iniziazione dicesse: in te abita un dio, se hai imparato cosa significa morire»[33].

Anche la trasmissione della psicoanalisi ha a che vedere con le pratiche iniziatiche, dato il loro meccanismo di filiazione. In particolare, Perrella fa riferimento alla rielaborazione dei riti iniziatici avvenuta in età classica per cui dalla sottomissione del soggetto all’ordine del significante si passa alla sua introduzione in un ordine di senso. Si tratta delle origini di quella pratica formativa incentrata sull’amore che è la pederastia e nella quale è implicita la sua continuazione. Infatti l’erómenos diverrà a sua volta l’erastés di un altro fanciullo, in modo da ricambiare, senza alcun obbligo di farlo, l’amore ricevuto; come si vede, si tratta della struttura del dono[34]. È questa in effetti che garantisce il proseguimento di un’esperienza comune al di là dell’esistenza dei singoli individui.

Freud modificava così un vecchio adagio: «Si vis vitam, para mortem. Se vuoi poter sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte»[35]. Qualche consiglio su come riuscirci ci viene ancora offerto da Freud, ossia rifiutare che la transitorietà della nostra vita implichi un suo svilimento, «al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio»[36]. Ma non è tutto; può venirci in aiuto anche il fatto che dopo la nostra morte la vita continuerà ugualmente: «Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione dell’inverno, nell’anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno»[37]. Anche se da tempo ormai i dubbi su di una permanenza duratura dell’essere umano nel mondo continuano ad aumentare, la speranza è che di generazione in generazione alla distruzione dell’inverno possa far seguito un nuovo fiorire della cultura, non solo psicanalitica ma di più ampio respiro.


[1] S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte (1915), in Id., Opere di Sigmund Freud, VIII: 1915-1917. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti, tr. it. Boringhieri, Torino 1976, p. 147.

[2] Cfr. Id., Al di là del principio di piacere (1920), in Id., Opere di Sigmund Freud, IX: 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1977, p. 224.

[3] Ibid., p. 248.

[4] Ibid., p. 225.

[5] J. Lacan, Posizione dell’inconscio (1960), in Id., Scritti (1966), II, tr. it. Einaudi, Torino 2002, p. 852. Sulla tematica del desiderio nel pensiero di Lacan cfr. S. Lippi, La decisione del desiderio. Etica dell’inconscio in Jacques Lacan (2013), tr. it. Mimesis, Milano-Udine 2016, in particolare pp. 57-69 e 145-161 per la relazione tra desiderio e pulsione di morte.

[6] Cfr. Platone, Simposio, 189d-191b, in Id., Tutti gli scritti, tr. it. Bompiani, Milano 2001, pp. 481-534 e pp. 499-501. Sulla ricezione del discorso di Aristofane da parte di Freud e Lacan cfr. B. Moroncini, Sull’amore. Jacques Lacan e il Simposio di Platone, Cronopio, Napoli 20102, pp. 97-109.

[7] Cfr. S. Freud, Al di là del principio di piacere, cit., pp. 242-243.

[8] Cfr. J. Lacan, Posizione dell’inconscio, op.cit., pp. 848-852; cfr. anche Id., Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. 1964 (1973), tr. it. Einaudi, Torino 1979, pp. 199-201.

[9] Sull’origine del desiderio cfr. S. Lippi, op. cit., pp. 39-55.

[10] Cfr. J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo. Saggio di analisi di una funzione in psicologia (1938), tr. it. Einaudi, Torino 2005, pp. 19-20.

[11] Cfr. Id., Il seminario. Libro VII. L'etica della psicoanalisi. 1959-1960 (1986), tr. it. Einaudi, Torino 2008, pp. 78-80. Sul “nodo” che lega desiderio e legge e la loro relazione con il taglio del soggetto cfr. F. Ciaramelli, Il dilemma di Antigone, Giappichelli, Torino 2017, pp. 165-214.

[12] J. Lacan, L'etica della psicoanalisi, cit., p. 53.

[13] Cfr. Id., Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione. 1958-1959 (2013), tr. it. Einaudi, Torino 2016, p. 338.

[14] Cfr. Id., Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud. 1953-1954 (1975), tr. it. Einaudi, Torino 1978, p. 323: «Il linguaggio non è concepibile altrimenti che come un reticolo, una rete sull’insieme delle cose, sulla totalità del reale. Esso inscrive sul piano del reale quell’altro piano, che qui chiamiamo il piano del simbolico».

[15] Cfr. W. Shakespeare, Amleto, in Id., Tutte le opere, I: Le tragedie, tr. it. Bompiani, Milano 2014, p. 801.

[16] Cfr. E. Perrella, La ragione freudiana, II: La formazione degli analisti e il compito della psicanalisi, Aracne, Ariccia 2015, p. 30.

[17] W. Shakespeare, Amleto, op. cit., p. 755.

[18] E. Perrella, op. cit., p. 45.

[19] Ibid., p. 46.

[20] Cfr. ibid., p. 53.

[21] Cfr. ibid., p. 150.

[22] J. Lacan, L'etica della psicoanalisi, cit., p. 82.

[23] Cfr. ibid., p. 364.

[24] Per una più ampia discussione sulla lettura lacaniana della tragedia sofoclea cfr. oltre a F. Ciaramelli, op. cit., pp. 165-214 anche A. Luchetti, L’Antigone di Lacan: il limite del desiderio, in P. Montani (a cura di), Antigone e la filosofia. Hegel, Kierkegaard, Hölderlin, Heidegger, Bultmann, Donzelli, Firenze 20172, pp. 269-286 e B. Moroncini, R. Petrillo, L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan, Cronopio, Napoli 20212, pp. 207-235.

[25] J. Lacan, L'etica della psicoanalisi, cit., p. 329.

[26] Cfr. ibid., p. 363.

[27] Ibid., pp. 354-355.

[28] Ibid., p. 373.

[29] Cfr. E. Perrella, op. cit., p. 94.

[30] Cfr. ibid., p. 96.

[31] Cfr. ibid., pp. 144 e 148.

[32] Cfr. M. Eliade, La nascita mistica. Riti e simboli d'iniziazione (1967), tr. it. Morcelliana, Brescia 1974, p. 19.

[33] Cfr. E. Perrella, op. cit., p. 236.

[34] Cfr. ibid., pp. 223-225.

[35] S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, cit., p. 148.

[36] Id., Caducità (1915), in Id., Opere, VIII, cit., p. 174.

[37] Ibid.

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