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L’esigenza di una prospettiva internazionale-pubblicistica nell’esame delle questioni giuridiche poste dai Big data

Autore


Gabriele Della Morte

Università Cattolica di Milano

insegna Diritto internazionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano

Indice


  1. Introduzione
  2. Le diverse prospettive di analisi giuridica e la carenza di un approfondimento sul versante internazionale-pubblicistico
  3. L’opportunità di contrastare tale tendenza e lo scopo dello studio intrapreso nel volume: Big Data e protezione internazionale dei diritti dell’uomo

 

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S&F_n.  20_2018

Abstract


THE NEED OF AN INTERNATIONAL DIDACTIC PERSPECTIVE ABOUT THE EXAMINATION OF THE LEGAL ISSUES RELATED TO BIG DATA


The rules governing cyberspace structure and content in general, and the so-called big data in particular, are increasingly clashing with the principles set out in law, and in particular with the principles concerning the international protection of human rights. This raises the question of how to solve the contrast between the predictive function of the algorithm and the prescriptive function of law.

  1. Introduzione

Uno dei concetti che si incontrano con maggiore frequenza affrontando la letteratura scientifica concernente il fenomeno del cyberspazio in generale, e dei cd. Big Data in particolare, è quello di una «rivoluzione»[1], di un cambiamento a un «unprecedented level»[2].

Ciò premesso, se è vero che il tema della raccolta, conservazione e trasferimento di enormi quantitativi di dati rappresenta certamente una delle grandi questioni poste all’attenzione della contemporaneità, appare altrettanto vero che il tema si presta a essere esaminato da una pluralità di prospettive, specialmente se si considera l’innumerevole serie di conseguenze che questa “rivoluzione spaziale” comporta[3].

 

  1. Le diverse prospettive di analisi giuridica e la carenza di un approfondimento sul versante internazionale-pubblicistico

Tra le predette prospettive si annoverano anche quelle giuridiche, che si articolano in una serie di species tra le quali innanzitutto emergono – per gli approfondimenti già effettuati – quelle degli specialisti di diritto pubblico, di diritto privato e di diritto penale.

Ciascun esperto appartenente a uno di questi tre settori ha volto il proprio sguardo al fenomeno del cyberspazio attraverso il filtro delle proprie categorie ermeneutiche. Cominciando dai giuspubblicisti – costituzionalisti, specialisti di diritto pubblico e di diritto pubblico comparato – essi eleggono a problema principale la questione del diritto di accesso alla rete come diritto fondamentale allo sviluppo, talora esaltandone il ruolo e propiziandone il riconoscimento nel novero dei diritti fondamentali sanciti dalle odierne Costituzioni, altre volte denunciandone i rischi di abuso nel bilanciamento con altri principî meritevoli di tutela. Diversamente, lo sguardo dei giusprivatisti – civilisti o esperti di diritto privato comparato – è per lo più concentrato su due fronti. Il primo, che presenta un terreno d’indagine in parte condiviso con i giuspubblicisti, attiene al tema della rete come “bene comune” o indisponibile a uno sfruttamento esclusivo: in tale contesto la questione principale è quella dell’equo utilizzo del cyberspazio da parte di tutti gli attori, a fronte dei pericoli rappresentati da posizioni egemoniche sullo sfondo della sempre più rapida obsolescenza delle tecnologie e della conseguente necessità di continui investimenti a fini d’innovazione. Il secondo profilo, invece, concerne più direttamente i problemi di diritto internazionale privato attinenti l’individuazione della giurisdizione e della legge applicabile. I giuspenalisti, infine, indagano il vasto tema delle violazioni che possono essere effettuate attraverso il ricorso esclusivo o concorrente alla rete, oltre ai contestuali, possibili rimedi e sanzioni.

Ne consegue che, al di là degli approfondimenti riconducibili ai settori del diritto internazionale privato e del diritto del commercio internazionale, gli scritti degli esperti di diritto internazionale attinenti al versante pubblico di tale ordinamento sono, ancora oggi, relativamente scarsi[4]. Ciò non deve sorprendere: la prima ratio di una simile carenza risiede nella circostanza per la quale il cyberspazio, Internet e il World Wide Web sono prosperati in un contesto segnato dalla presenza di attori privati prima ancora che pubblici[5].

Questo tratto originario, insieme con la vertiginosa espansione della rete, determinano uno scenario in continua trasformazione nel quale appare temerario azzardare tanto delle ricognizioni, destinate a essere tempestivamente superate dagli eventi, quanto delle previsioni[6]. Sicché, al di là di alcuni specifici regimi materiali intorno ai quali non sono mancati approfondimenti (ci riferiamo, in primis, allo studio della privacy e della protezione dei dati a carattere personale), «l’indigence du “droit international de l’Internet” est manifeste – la matière est d’ailleurs ignorée par tous les manuels de droit international public» [7].

 

  1. L’opportunità di contrastare tale tendenza e lo scopo dello studio intrapreso nel volume: Big Data e protezione internazionale dei diritti dell’uomo

Ciò premesso, lo studio che si è elaborato nel quadro del volume dedicato ai Big Data citato in precedenza[8] intende contrastare questa tendenza, avanzando una prima ipotesi di ricerca su alcune problematiche determinate dalla crescente importanza del cyberspazio dal punto di vista del diritto internazionale pubblico.

Attraverso questa premessa non s’intende anticipare una risposta alla domanda se la crescente incidenza della rete richieda il fondamento di un nuovo regime di regole e/o di categorie interpretative. La questione: «Internet pose-t-il au droit des questions différentes de celles formulées au moment de l’invention du téléphone?»[9] attraversa, in filigrana, tutto il lavoro di ricerca. Ma se tale domanda è proiettata sullo sfondo, sulla scena si agitano interrogativi più concreti relativi alle circostanze in cui le regole che governano il cyberspazio entrano in rotta di collisione con i principî posti dall’ordinamento internazionale a tutela dei diritti umani.

La previsione di simili rotte – “assi di tensione” – è giustificata dalla considerazione per la quale la logica che innerva l’intera filiera della formazione, della conservazione, del trasferimento e dell’eventuale eliminazione dei diversi contenuti (dati) reperibili in rete è una logica di tipo “predittivo”, ispirata, cioè, a un assunto per il quale un problema è calcolabile quando è risolvibile attraverso un algoritmo. Detta logica sta mutando i meccanismi di esercizio del potere, introducendo nuovi processi decisori tanto nell’individuazione delle politiche private quanto in quelle pubbliche, con chiari riflessi anche sul piano delle relazioni internazionali. Ciò appare evidente se si esaminano le numerose problematiche che stanno emergendo su una pluralità di piani: si pensi, ex multis, alle nuove esigenze di tutela dei dati personali nel caso dei cd. dati biomedici, o si consideri la sfida posta dalla cd. cyber warfare alle tradizionali regole di diritto internazionale umanitario: è possibile ricorrere alla raccolta dei dati concernenti la salute dei cittadini nel caso in cui le tecniche cd. di anonimizzazione non garantiscano un anonimato sicuro e definitivo? Oppure, sempre a titolo di esempio: come valutare la categoria dei danni collaterali nell’ipotesi un attacco informatico?

Come osserva opportunamente Vincenzo Zeno-Zencovich in uno studio che indaga le questioni che si pongono sul piano della filosofia del diritto relativamente ai big data: «law is about values, not about numbers»[10]. Alla luce di tali considerazioni, la questione generale che si pone è quella di come conciliare la funzione regolatrice del diritto internazionale – con particolare riferimento ai numerosi sistemi di protezione dei diritti fondamentali, che si estrinsecano spesso in forme di tutela delle minoranze – con la logica che sottende in misura sempre maggiore le politiche fondate sull’accumulo e il conteggio dei data e che esprimono, al contrario, l’indirizzo delle forze prevalenti (specialmente sul mercato). Come conciliare, in altri termini, la funzione predittiva con quella prescrittiva.

Si tratta di un problema complesso, reso ancora più delicato dalla circostanza per la quale non si può affatto escludere un’applicazione dei big data favorevole alla protezione dei diritti umani (come nel caso – per riferirci ai due esempi invocati in precedenza – dei benefici di uno screening di massa in campo epidemiologico o dei minori danni collaterali che la neutralizzazione di un sistema informatico nemico potrebbe produrre rispetto a un bombardamento aereo).

In numerose altre occasioni, tuttavia, le logiche che sottendono il sistema di protezione dei diritti umani, da un lato, e quelle che sono alla base del massiccio ricorso ai dati, si posizionano lungo delle direttrici che possono rappresentare, a determinate condizioni, delle rotte di collisione.

Il volume citato può essere dunque letto come un tentativo di cartografare gli itinerari percorsi da simili tensioni al fine di individuare, principalmente sulla base dei principî desumibili da una giurisprudenza e da una prassi internazionale in via di formazione, alcuni orientamenti per un corretto bilanciamento.


[1] Nella prospettiva adottata ai fini del presente studio tale carattere rivoluzionario è inteso nel senso del concetto, schmittiano, di Raumrevolution (rivoluzione spaziale), cioè uno di quei momenti storici nei quali, grazie «alla liberazione di nuove energie […] mutano anche gli spazi dell’esistenza storica». Così C. Schmitt, Terra e mare (1942), tr. it. Adelphi, Milano 2002, p. 58. L’analisi di questo testo è approfondita nel par. intitolato: “Per un’archeologia degli studi giuridici sul cyberspazio”, del volume da me redatto, e del quale il presente scritto rappresenta la sintesi di una della tesi portanti. Mi riferisco a G. Della Morte, Big Data e protezione internazionale dei diritti dell’uomo. Regole e conflitti, Editoriale Scientifica, Napoli 2018. Anche L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo (2014), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2017, muove da un’interpretazione rivoluzionaria: «so che ogni generazione pensa di essere speciale per il solo fatto di essere la generazione presente [e] concordo con l’esigenza di mantenere le cose nella loro giusta prospettiva. Eppure, qualche volta accade davvero di trovarsi a Boston il 16 dicembre 1773 o a Parigi il 14 luglio 1789», p. X.

[2] B.L. Smith, The Third Industrial Revolution: Law and Policy for the Internet, in «Recueil des cours», 2000, p. 245 (a p. 247 si aggiunge: «The Internet connects individuals, communities and markets in ways that are entirely new»). Secondo il Vice Alto Commissario per i diritti umani, la rivoluzione rappresentata dalla comunicazione digitale ha prodotto «perhaps the greatest liberation movement the world has ever known» (cfr. l’Opening Statement della Discussion on the Right to Privacy in the Digital Age, Human Rights Council, 12 settembre 2014 – consultabile a partire dal sito: www.ohchr.org, ult. accesso: 22 ottobre 2017). Vedi anche le Conclusioni presentate dall’Avvocato generale Jääskinen il 25 giugno 2013 nella causa C131/12 (cd. Google Spain) discussa davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea: «Internet ha rivoluzionato le nostre vite […] Ciò ha dato origine a situazioni senza precedenti, nelle quali occorre trovare un equilibrio tra più diritti fondamentali» (ivi, corsivo aggiunto, par. 2). Infine ai sensi del terzo considerando della Direttiva (EU) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio si prevede che «[t]he scale of the collection and sharing of personal data has increased significantly. Technology allows personal data to be processed on an unprecedented scale in order to pursue activities such as the prevention, investigation, detection or prosecution of criminal offences or the execution of criminal penalties» (corsivo aggiunto). Sempre con riferimento al tema, A. Oddenino osserva: «in the age of Big Data, data collection and analysis have therefore become the basis of the decision-making process […] also at the international level […]. In this vein, Big Data can be compared (and have similar impacts) to inventions such as the telescope for astronomy and the microscope for biology: each of these technologies provides unprecedented levels of fine-grained details which, in turn, enable better estimation and better decisions to occur». Id., Reflections on Big Data and International Law, in «Diritto Del Commercio Internazionale», 2017, p. 781 (corsivo aggiunto).

[3] Vedi nota 1.

[4] Già nel 2001 F.C. Mayer osservava: «it seems that so far the Internet has not been the subject of extensive scholarly public international law research. Although scholars have started thinking extensively even about how cyberspace affects administrative law, corresponding reflections are few and far between in the realm of public international law», Review Essay: The Internet and Public International Law – World Apart?, in «European Journal of International Law», 2001, p. 617. Ci sembra che, almeno in linea generale, tale osservazione sia suffragata dagli sviluppi successivi, pur con la significativa eccezione di taluni studi che affrontano in modo ampio i problemi giuridici posti dal cyberspazio dal punto di vista del diritto internazionale pubblico. In tal senso cfr. innanzitutto, tra i volumi più recenti, K. Kittichaisaree, Public International Law of Cyberspace, Springer, Heidelberg et al. 2017; Société Française pour le Droit International, Internet et le droit international – Colloque de Rouen, Pedone, Paris 2014; N. Tsagourias, R. Buchan (eds.), Research Handbook on International Law and Cyberspace, Elgar, Cheltenham 2015. Per la dottrina italiana, A. Oddenino, La governance di Internet fra regolazione, sovranità statale e diritto internazionale, Giappichelli, Torino 2008; G. Ruotolo, Internet-ional law. Profili di diritto internazionale pubblico della rete, Cacucci, Bari 2012. Diversamente, non manca una copiosa letteratura concentrata su specifici profili, ad es. in tema di governance, di privacy, di diritto all’oblio ecc.

[5] «Il faut peut-être accepter que pour le droit de l’Internet plus qu’ailleurs, c’est au secteur privé de faire une place aux États et non l’inverse», A.T. Norodom, Internet et le droit international : défi ou opportunité ?, in Société Française pour le Droit International, Internet et le droit international, cit., p. 33.

[6] Il discorso concerne, in senso lato, l’intera evoluzione della materia dei media sin dalle sue origini. Come ricordato dal delegato francese nel corso delle discussioni relative alla definizione della libertà di espressione nel quadro dei lavori della Commissione per i diritti umani diretti all’elaborazione di una Draft International Covenant On Human Rights (processo verbale della riunione del 2 maggio 1950, UN Doc. E/CN.4/SR.165): «The members of the Commission must take into account the fact that their work concerned the future and not the past; no one could foresee what information media would be employed in a hundred years’ time». Il passaggio è ricordato in M. Land, Toward an International Law of the Internet, in «Harvard International Law Journal», 2, 2013, p. 393. Il documento originario del processo verbale è consultabile a partire dal sito: http://hr-travaux.law.virginia.edu/dengrove/document/iccpr (ult. accesso: 22 ottobre 2018).

[7] Così F. Latty, La diversité des sources du droit de l’Internet, in Société Française pour le Droit International, Internet et le droit international, cit., p. 52 (corsivo aggiunto).

[8] Ci riferiamo a: G. Della Morte, Big Data e protezione internazionale dei diritti dell’uomo, cit.

[9] Cfr. A.T. Nodorom, Propos Introductifs, in Société Française pour le Droit International, Internet et le droit international, cit., p. 16. La medesima A. aggiunge: «La question est de savoir si Internet en tant qu’objet, relève d’une logique qui lui est propre, distinguable par exemple de celle des autres médias et justifiant la formation d’un ensemble de règles répondant à cette logique spécifique. On peut au contraire considérer Internet dans chacun de ses éléments en les rattachant à des problématiques juridiques particulières mais déjà connues», pp. 17-18.

[10] Così V. Zeno-Zencovich, Ten Legal Perspectives on the “Big Data Revolution, Editoriale Scientifica, Napoli 2017, p. 53.

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