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Selezione dei materiali e bio-ispirazione

Autore


Carlo Santulli

Università La Sapienza di Roma

svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica, Materiali e Ambiente dell’Università La Sapienza di Roma

Indice


  1. Livelli di bio-ispirazione e ruolo dei materiali
  2. Uso e selezione dei materiali per il design bio-ispirato
  3. Approccio alla selezione dei materiali
  4. Prospettive future nell’educazione ai materiali per il design

 

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S&F_n. 06_2011


  1. Livelli di bio-ispirazione e ruolo dei materiali

L’uso dei materiali è un aspetto essenziale delle strategie messe in opera dalla natura e quindi dell’azione di design bio-ispirato. Nei materiali biologici ci sono vari aspetti, multifunzionalità, gerarchizzazione e nano-strutturazione, che si fondono in una sintesi originale. In questo modo, il quadro delle esigenze rilevate, cui il design vuole rispondere in modo ottimale, e la bio-ispirazione vengono in effetti a intersecarsi in un percorso di maggiore “resilienza” del design, cioè di migliore resistenza ai mutamenti ambientali in senso lato, percorso di cui in effetti la natura è la massima esperta.

La bio-ispirazione può essere intesa a vari livelli, che sono collegati in modo diverso con l’utilizzo dei materiali. Al livello più elementare, ci può essere una bio-ispirazione puramente formale, vale a dire imitativa: questo accade per esempio nel caso della progettazione di una seduta ispirata alle geometrie delle ragnatele del ragno, laddove non si tenga conto di considerazioni ergonomiche che portano a una migliore funzionalità dell’oggetto[1]. Il livello superiore è quello di una bio-ispirazione concettuale, che sfrutta un metodo utilizzato in natura per trasferirlo in un concetto simile, ma in un ambito progettuale e non più naturale. Per esempio, alla giunzione gancio-asola, largamente utilizzata già in settori come il tessile, attraverso l’ispirazione dai semi della bardana maggiore, si è aggiunta la ripetitività della struttura e la sua microstrutturazione, giungendo alla produzione del Velcro[2]. Qui la struttura naturale è ancora visibile, pur se ovviamente portata in un altro contesto, ma il senso ne viene trasfigurato dallo sviluppo concettuale. Un livello ancora più alto è quello di una bio-ispirazione definibile come subliminale, come si riscontra per esempio nello studio della disposizione dei pesci per una miglior portanza nel nuoto, applicato alla progettazione di pompe biomimetiche attraverso la disposizione di attuatori bimorfi[3]. Qui la struttura biologica (nel caso specifico le pinne caudali) è sparita, e l’ispirazione rivive sotto forma di concetto.

È chiaro che col crescere del livello di bio-ispirazione, normalmente anche l’efficacia della realizzazione dell’oggetto di design dalla metodologia ibrida aumenta. Occorre tuttavia osservare che è opportuno che tutte e tre le forme di ispirazione siano presenti e visibili nell’oggetto di design, nel senso che la formalità serve come richiamo di conclusioni concettuali più evidenti e di altre più nascoste  e ottenute da riflessioni sulla funzionalità dell’oggetto. Per esempio, una recente esperienza di utilizzo delle vibrazioni da traffico per diversi scopi funzionali, espressivi e comunicativi ha permesso di fondere i tre livelli di approccio alla bio-ispirazione[4].

 

  1. Uso e selezione dei materiali per il design bio-ispirato

Nel design bio-ispirato è importante arrivare a una selezione del materiale che tenga conto della “personalità” dell’oggetto da realizzare, integrando naturalmente il materiale nel processo senza forzarne le proprietà, per esempio per presunte finalità estetiche svincolate dalla funzionalità e dall’espressività, in quanto questo può portare a ciò che viene definito come “errore di design”. Un errore di design è ciò che produce nell’uso dell’oggetto, come in generale nelle attività umane «un sistematico o frequente disadattamento (misfit)»[5]. Il problema dell’errore di design è quello di avere solitamente una non semplice eziologia, tale che un unico evento indesiderato possa essere prodotto da un gran numero di cause non correlate tra loro. Per spiegarlo con un esempio banale, in un sistema di distribuzione automatica di bevande, l’evidenza del versamento di caffè sul pavimento può essere dovuta a motivi legati alla sensoristica, alla meccanica od alla fluidodinamica del sistema. Tuttavia, per quanto strano possa sembrare, ci sono campi del design in cui, per effetto dell’indisponibilità di materiali adatti dal punto di vista ingegneristico, l’errore costituiva ( e in certi casi costituisce ancora) parte integrante della progettazione. Questo è il caso per esempio del piegamento (folding) razionale di un oggetto, come una carta geografica, che condusse agli studi di ottimizzazione degli origami, noti come Miura-ori[6]. La natura, proprio per la sua possibilità di progettazione integrata e di continuo miglioramento di una struttura, anche in corso dello sviluppo e della crescita (a ciò servono le simmetrie elicoidali che sono tipicamente adottate dai tessuti vegetali e animali), non conosce queste impossibilità. Si può parlare addirittura di una “progettazione attraverso i difetti”, che permette di tener conto delle variazioni locali delle condizioni ambientali e di sollecitazione applicata sul manufatto[7]. Il recente sviluppo presso l’Hybrid Design Lab di una “lunch box”, ispirata alle modalità di piegamento della falena[8], rappresenta proprio un aspetto di sfida a questi problemi tuttora irrisolti: qui la scelta dei materiali polimerici più versatili è chiamata proprio a non vanificare questo sforzo.

Più in generale, la selezione dei materiali fa parte di una complessa triangolazione con l’aspetto delle decisioni funzionali  e operative sull’oggetto di design e il suo scenario produttivo, di servizio e di fine vita.

La correttezza della decisione richiede di considerare il rapporto tra i costi e i benefici, che evidenzia quale possa essere il target di mercato e di pubblico per l’oggetto di design, di valutare la possibilità di una produzione locale o globalizzata e di evidenziare le difficoltà operative per la produzione stessa. D’altro canto, un’adeguata gestione dello scenario di fine vita richiede che il design sia inteso come inscindibile con il riciclo del materiale e per questo è necessario che si faccia particolare attenzione al disassemblaggio del sistema  e all’adeguata scelta dei metodi di giunzione utilizzati[9].

La natura compie questo processo in modo spontaneo proprio attraverso un uso calibrato dei materiali  e un loro graduale sviluppo nel corso dell’evoluzione per le finalità di sopravvivenza che la specie animale o vegetale si pone. Per il designer che si volge alla bio-ispirazione, il processo richiede una riflessione su ognuno dei singoli aspetti di cui sopra.

 

  1. Approccio alla selezione dei materiali

Quanto sopra richiede un nuovo approccio alla selezione dei materiali. Tale approccio deve innanzitutto riuscire a mettere insieme il quadro completo delle caratteristiche da inserire nella valutazione, a cominciare dalle proprietà fisiche (ad esempio, meccaniche, termiche, elettriche) o altrimenti misurabili (ad esempio, il costo, o l’impatto ambientale che viene misurato attraverso la LCA od altri indicatori), fino a caratteristiche espressive e sensoriali, come per esempio la texture.

Per le proprietà misurabili hanno senz’altro utilità i diagrammi di Ashby[10] che permettono di selezionare le proprietà macroscopiche desiderate, correlandole col costo dei vari materiali candidati e proponendo di fabbricare degli ibridi tra vari materiali, nel caso in cui nessuno di essi possa offrire un intervallo di valori di una determinata variabile (p.es. resistenza a trazione, conducibilità elettrica, ecc.) che sia in accordo con le necessità di progetto.

Tuttavia, occorre superare quest’approccio, proponendo nei corsi che si occupano di materiali per il design un modello educativo memore dell’esperienza del Bauhaus berlinese, quindi non basato sul puro e semplice apprendimento di regole per l’uso, ma piuttosto su una filosofia volta a mostrare come la forma (nel senso più lato) consegua alla funzione, e non la preceda[11]. Quest’ultimo è forse il maggior insegnamento che ci venga dalla natura riguardo all’uso dei materiali.

Va significativamente notato a questo proposito come l’uso espressivo dei materiali include esperienze intangibili, che non permettono una facile comparazione tra diverse esperienze e tanto meno la misurazione di variabili o di livelli di soddisfazione[12]. L’approccio alla selezione dei materiali nel caso del design bio-ispirato, messo in pratica nell’insegnamento dei corsi di Design della Seconda Università di Napoli, riconoscendo che il design in natura a volte prescinde dal mantenimento delle variabili, siano esse materiche o espressive, all’interno di certi intervalli di valori. In altre parole, se il rispetto dell’intervallo di temperatura o di quello di profondità marina appare essenziale per la sopravvivenza delle specie di pesci, in altri casi, in cui il design richiederebbe informazioni precise su ciò che è accettabile rispetto a ciò che non lo è, per poterlo applicare alla realizzazione del concept, tali indicazioni non sono disponibili (e neanche peraltro esprimibili razionalmente). 

In particolare, è significativo osservare come la gerarchizzazione dei materiali impedisce di esprimere valutazioni sulla natura di determinate loro caratteristiche. Per esempio, nel caso della superficie della zampa adesiva del geco, i concetti tra loro opposti di “liscio” e “ruvido” non possono essere definiti, dato che non esistono a livello nanometrico, ma invece le varie possibili strutture devono essere valutate con un concetto evoluzionistico e in certo senso darwiniano, del “più adatto per l’uso”, che la natura applica sistematicamente e con un approccio “caso per caso”. In questo modo l’approccio basato sui diagrammi di Ashby alla selezione dei materiali è inserito in una visione più globale, che parte dal problema da risolvere, piuttosto che cercare di enucleare fin dall’inizio le caratteristiche strutturali e materiche dell’oggetto di design desiderato.

 

 

  1. Prospettive future nell’educazione ai materiali per il design

L’applicazione consapevole dei materiali al design richiede una precisa riformulazione del relativo curriculum di studi volto alla loro selezione. In pratica va evidenziato nel corso della trattazione di tali argomenti che gli aspetti richiesti ai materiali per determinate applicazioni e che volta per volta vanno precisati (per esempio leggerezza, resistenza all’ambiente, impenetrabilità, modularità, multifunzionalità) hanno avuto (o stanno avendo) delle risposte ingegneristiche dalla tecnologia e delle risposte naturali dall’evoluzione. E’ un utile processo critico il confrontare le une con le altre, e rendersi conto di perché queste siano diverse (non necessariamente pensando che la risposta naturale sia “migliore” in assoluto, ma introducendo questo dualismo, che è parte integrante dello sviluppo del processo di design bio-ispirato). Perché questo accada, i materiali naturali e quelli ingegnerizzati  e i relativi metodi di fabbricazione evolutivo o tecnologico vanno presentati di pari passo e con frequenti riferimenti gli uni agli altri.

In questo modo, si ha la possibilità di acquisire una consapevolezza delle problematiche di design, cui l’ispirazione dalla natura può offrire, cercando di sviluppare un’adatta analogia tra il sistema naturale studiato e l’esigenza di design, comprendendo la “ragione biologica” della soluzione adottata. Tale approccio critico offrirà la possibilità di scegliere in modo ragionato tra diverse alternative in termini di geometrie, distribuzione di masse e selezioni dei materiali, con piena consapevolezza dei compromessi (o “trade off”) tra esigenze contrastanti.

 


[1] Cfr. http://konstantin-grcic.com/project/chair-one/ (consultato il 7 novembre 2011).

[2] Separable fastening device SA Velcro - US Patent 3,387,345, 1968.

[3] S. L. Vatanabe, A. Choi, C. R. de Lima, E. C. Nelli Silva, Design and characterization of a biomimetic piezoelectric pump inspired on group fish swimming effect, in «Journal of Intelligent Material Systems and Structures», 21, 2010, pp. 133-147.

[4] Il progetto Re–vibes13 consiste in un dispositivo che, mediante strategie morfologiche ispirate a sistemi biologici e attraverso l’uso di tecnologie avanzate, è in grado di “parassitare” le vibrazioni derivanti dal traffico urbano per convertirle in energia elettrica. Il progetto è stato sviluppato nell’ambito di una tesi di laurea sviluppata da Tiziana Carusone, con relatore Carla Langella e correlatore Carlo Santulli.

[5] J. Rasmussen, Human errors. A taxonomy for describing human malfunction in industrial installations, in «Journal of Occupational Accidents», 4, 1982, pp. 311-333.

[6] K. Miura, A note on intrinsic geometry of origami, in «Research on Pattern Formation», KTK Scientific Publishers, 1993, pp. 91-102.

[7] G. Jeronimidis, Biodynamics (Natural dynamic systems, material behaviour and adaptation in architecture and engineering), in «Architectural Design», 169, 2004, pp. 90–95.

[8] “F-box”. Lunch box per bambini orientata a promuovere modelli alimentari sani. Progetto sviluppato nell’ambito della tesi di laurea di Serena Fedele con relatore Carla Langella, correlatore Carlo Santulli.

[9] K. Z. Chen, Development of integrated design for disassembly and recycling in concurrent engineering, in «Integrated Manufacturing Systems», 12, 2001, pp. 67-79.

[10] M. F. Ashby, Materials selection in mechanical design, Butterworth & Heinemann, Oxford 2005.

[11] I. Holm, Ideas and beliefs in architecture and industrial design: How attitudes, orientations, and underlying assumptions shape the built environment, Oslo School of Architecture and Design, PhD thesis, 2006, p. 239.

[12] V. Rognoli e M. Levi, Materiali per il design: Espressività e sensorialità, Polipress, Milano 2004.

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