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Neurobiologia dell’alterità (o del tramonto del modello deterministico)

Autore


Luca Lo Sapio

Università degli Studi di Napoli Federico II

Dottorando di ricerca in Bioetica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Premesse
  2. L’antideterminismo entro le scienze neurologiche
  3. Epigenesi per stabilizzazione selettiva
  4. Darwinismo neuronale e plasticità sinaptica

 

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S&F_n. 03_2010


  1. Premesse

Negli ultimi tre secoli la storia dell’umanità è stata costellata di rivoluzioni scientifiche […]. Ora, stiamo per assistere alla rivoluzione in assoluto più grande: la comprensione del cervello umano[1].

 

Le parole di Ramachandran tradiscono un’aspettativa diffusa nell’animo di intere generazioni di studiosi: la possibilità di decifrare la Stele di Rosetta del cervello umano. Fin da Ippocrate la cultura occidentale ha guardato al cervello come a un organo speciale nell’economia del vivente, assegnando a esso il ruolo di locus animi se non di sostituto effettivo, materiale dell’anima. A partire dalla fine degli anni ’60, sotto l’azione congiunta della biologia molecolare, con i lavori pionieristici di Benzer, Sidman, Stent e Hebb, della psicologia cognitiva (ancorata saldamente alla fisiologia cerebrale), a cui si accompagnarono il rapido sviluppo della psico-fisica, della psicologia dell’infanzia e del comportamento animale, l’idea di poter fornire una coerente teoria che rendesse conto dei fini meccanismi di funzionamento dell’organo cerebrale si è fatta sempre più consistente[2].

L’uomo neuronale, inteso come modello antropologico realizzato entro lo spazio investigativo delle neuroscienze, è comparso in tale contesto assurgendo al rango di sintesi prima di questo nuovo campo disciplinare in cui la biologia molecolare si intreccia con i problemi della coscienza, degli oggetti mentali e della sostanza dello spirito[3]. Una prospettiva che apre a un cambio di paradigma epocale, poiché se i risultati delle neuroscienze cognitive escono da un perimetro puramente descrittivo-topologico per entrare nell’ambito ontico (nel dirci de facto cos’è l’uomo) e ontologico (nel dirci de facto cos’è la realtà a partire dalla comprensione dei meccanismi di costruzione neuro-biologica della stessa), la neurobiologia va a occupare il posto che era stato, a seconda dei casi, dell’etica (costituendosi come neuro-etica), dell’estetica (costituendosi come neuro-estetica), della gnoseologia (costituendosi come neuroscienza cognitiva) e della filosofia nel suo complesso (da cui la cosiddetta neurofilosofia).

E tuttavia tale prospettiva poggia su due assunti, che sia l’indagine neuroscientifica più avveduta, sia la critica filosofica, stanno dimostrando infondati: il riduzionismo e il determinismo, atteso che il riduzionismo è la teoria secondo cui esiste un livello ontologico fondamentale rispetto al quale gli altri sono subordinati e devono infine essere ricondotti (nel nostro caso il livello genetico e neurobiologico), mentre il determinismo si riferisce al fatto che vi è una dipendenza causale assoluta del livello superficiale (quello della soggettività cosciente) rispetto a quello più intimo (il livello micro-processuale).

 

  1. L’antideterminismo entro le scienze neurologiche

Riconoscere il potere dei geni non significa in nessun modo sottomettersi alla loro autorità suprema[4].

 

È con questa espressione che Changeux introduce al problema dei rapporti tra microstruttura genetica e soggettività umana. È risaputo ormai che il ruolo dei geni nei meccanismi morfogenetici, nei processi di embriogenesi e organogenesi e nelle fasi di sviluppo corticogenetico e neurosinaptico, non può essere in alcun modo trascurato. Entro questo quadro si aprono, però, delle crepe. La prima è una vera e propria lacuna epistemica che non ci consente di avere una precisa comprensione dei meccanismi di traduzione genetica. A partire dalla fine degli anni ’50 il dogma centrale della biologia molecolare era che ciascun gene avesse un preciso ruolo trasduzionale tale da metterlo in grado di codificare, in un processo noto come sintesi proteica una determinata gamma di componenti proteico-enzimatiche. Detto dogma centrale non tardò a essere investito da obiezioni. Il refrain del gene che codifica per una proteina venne progressivamente messo in discussione: dagli anni ’90, di fatto, il quadro ha iniziato a prendere una consistenza e una chiarezza ben diversi. La non codificabilità complessiva delle componenti genetiche individuali ha permesso di individuare due punti che risultano essenziali per la genetica contemporanea. In primo luogo il numero totale dei geni che “abitano” un individuo della specie Homo sapiens è assai esiguo rispetto a quanto ci si aspettava e di questo una componente ancora più ridotta è costituita da geni codificanti. In secondo luogo si è iniziato a far luce (in maniera per ora soltanto rapsodica) sulla funzione e sul ruolo della parte di DNA che non è interessato alle progressive fasi trasduzionali[5].

Si intuisce la difficoltà di legare, allo stato dei fatti, la componente genica a un modello esplicativo di carattere determinista, non essendo nemmeno chiaro, nella sua interezza, il ruolo e la funzione di buona parte del materiale genetico. Per quanto concerne il problema della complessità cerebrale a partire dall’esiguità del materiale genetico è da dire che parliamo di circa 24.000 geni in Homo sapiens a fronte di 100 miliardi di neuroni ciascuno dei quali ha una capacità connessionale (numero delle sinapsi per neurone) di circa 100.000 unità. La spiegazione di questo fenomeno risiede nella estrema complessità dell’assetto combinatoriale delle componenti geniche individuali, dove l’economia del numero delle componenti è bilanciata dalla varietà esibita nella fase combinatoriale.

I principi suggeriti da Changeux sono pertanto quello dell’economia e quello della connettivittà. L’organismo ha sviluppato dei meccanismi di risparmio funzionale (principio dell’economia) che consentono di ottenere risultati complessi con un numero di elementi iniziali ridotto, sfruttando le possibilità combinatorie via via sopravvenienti (principio della connettività)[6].

 I geni rappresentano pertanto la precondizione organica dell’organizzazione vitale del soggetto. Tale precondizione appare, però, del tutto aperta all’incidenza di fattori aleatori, e può essere pertanto completata attraverso una posizione epigenetica.

 

  1. Epigenesi per stabilizzazione selettiva

L’epigenesi per stabilizzazione selettiva rappresenta uno dei contributi teorici più rilevanti dati da Changeux alla neurobiologia. Essa dovrebbe essere in grado di superare l’impasse determinata dall’idea di una monarchia del genoma. Certamente i principali assetti dell’organizzazione anatomo-funzionale del sistema nervoso si conservano da un individuo all’altro e da una generazione all’altra e sono soggetti al determinismo di un insieme di geni: a questo proposito Changeux parla di un involucro genetico[7]. Una variabilità fenotipica rilevante, però, si manifesta nell’organizzazione adulta di individui isogenici e la sua importanza aumenta progressivamente fino ad arrivare all’uomo.

Nel corso dello sviluppo, una volta portata a termine l’ultima divisione dei neuroni, le arborizzazioni assonali e dendritiche germogliano e sbocciano in maniera esuberante. A questo stadio critico la connettività della rete diviene ridondante, ma questa ridondanza è transitoria. Intervengono rapidamente fenomeni regressivi. Dei neuroni muoiono. Poi ha luogo una sfrondatura importante dei rami assonali e dendritici. Si ha la sparizione di sinapsi attive; a partire dai primi stadi dell’assemblaggio della rete nervosa, vi circolano impulsi. Dapprima d’origine spontanea, essi sono in seguito evocati nell’interazione del neonato con il suo ambiente[8].

 

Da queste premesse la teoria epigenetica completa i dati appena riportati attraverso la formulazione di tre ipotesi. La prima ci dice che allo stadio cruciale di “ridondanza transitoria”, le sinapsi embrionali (eccitatorie e inibitorie) possono esistere in almeno tre stati: stabile, labile e degenerato e che solo gli stati stabile e labile trasmettono gli impulsi nervosi, e le transizioni accettabili sono da labile a stabile, da stabile a labile e da labile a degenerato. D’altro canto lo stato di stabilità di ciascun contatto sinaptico è governato dall’insieme dei segnali ricevuti dalla cellula bersaglio. È pertanto l’attività della cellula post-sinaptica a determinare attraverso un meccanismo di retroazione la stabilità della sinapsi stessa. Infine lo sviluppo epigenetico delle singolarità neuronali è regolato dall’attività della rete in sviluppo[9]. Questo modello sembra particolarmente efficace per spiegare l’incidenza dei fattori culturali nello sviluppo antropogenetico e consente di delineare una teoria impiegabile anche per la salvaguardia di uno spazio di aleatorietà e irriducibilità soggettiva.

Attraverso l’idea di epigenesi si ha la possibilità di offrire, entro i confini delle scienze biologiche e neurologiche, l’immagine di un uomo che non sia puramente racchiuso su se stesso ma quale essere-nel-mondo che nello spazio delle interazioni si apre a tale mondo nelle modalità dell’incontro e dell’interscambio. In questo senso non possiamo parlare di un uomo neuronale, inteso come modello generale di inquadramento dell’uomo nelle sue caratteristiche fondamentali ma, al più, di uomini neuronali che esprimono nella loro singolarità esistenziale delle unicità irripetibili. È da qui, a partire dalla sua teoria dell’epigenesi per stabilizzazione selettiva, che Changeux disegna un modello complesso coerente per spiegare il meccanismo fondamentale di adattamento del soggetto all’interno del proprio ambiente vitale.

In effetti, negli stadi precoci l’infante opererebbe all’interno della realtà proiettando su di essa delle pre-rappresentazioni[10]. Tali pre-rappresentazioni starebbero alla base dei processi di apprendimento nella primissima infanzia. In prossimità della nascita il cervello del neonato è sede di un’intensa attività spontanea che si manifesta esteriormente attraverso movimenti degli arti, grida e lamenti, sorrisi. Successivamente il bambino cercherà di produrre movimenti sempre più articolati, prima gattonando poi assumendo, con difficoltà, la stazione eretta. Di fatto agendo così il bambino sta proiettando sul mondo esterno delle pre-rappresentazioni che vengono verificate e testate nella loro efficacia operazionale. Si delinea così quello che Changeux definisce un meccanismo di produzione della diversità darwiniano. Per essere più chiari il meccanismo di produzione della diversità esprime la capacità generativa di ipotesi da parte dell’organismo umano, ipotesi che nel loro impatto con la realtà possono essere convalidate o smentite, rafforzate o sbaragliate.

L’importante è che alla prova dei fatti le ipotesi inefficaci vengano subito sostituite da altre ipotesi più funzionali alla creazione di un rapporto equilibrato con l’ambiente. L’epigenesi per stabilizzazione selettiva interviene a questo punto. Infatti le ipotesi testate sull’ambiente devono stabilizzarsi nel caso siano adeguate e concorrere a costituire il bagaglio di conoscenze che l’organismo possiede per interagire proficuamente con la realtà. Il meccanismo per prova ed errore impiegato per la verifica dell’efficacia delle pre-rappresentazioni mantiene, e anzi accresce la sua validità, nel momento in cui l’attività mentale del soggetto diventa maggiormente strutturata .

I tratti fondamentali della teoria changeuxiana sono dunque chiari.

 

  1. Darwinismo neuronale e plasticità sinaptica

È non trascurabile, allo stato, la teoria del darwinismo neuronale prospettata da Gerald Edelman: essa, infatti, pur presentando caratteristiche differenti rispetto a quella di Changeux, esibisce affinità rilevanti.

La teoria di Edelman è organizzata intorno a tre principi: il primo è che lo sviluppo dei circuiti neuronali nel cervello produce un’enorme variazione anatomica microscopica che è la conseguenza di un processo di selezione continua; il secondo è che la selezione si connette anche all’insieme delle esperienze che l’animale produce nel mondo. Questa selezione esperienziale si realizza mediante cambiamenti nella forza delle sinapsi già esistenti nell’anatomia cerebrale, con il rafforzamento di talune sinapsi e l’indebolimento di altre. L’ultimo principio è quello dei processi di rientro con la stabilizzazione e il consolidamento di alcuni percorsi di attivazione neurale consentito dalla connessione di regioni cerebrali (mappe) per mezzo di fibre massicciamente parallele (gli assoni)[11].

Il punto nodale rintracciabile in Changeux ed Edelman è relativo alla plasticità sinaptica. Sia l’epigenesi, sia il meccanismo di selezione darwiniana sono la conseguenza di una intrinseca struttura plastica del sistema nervoso e in particolare della sua organizzazione connessionale. Attraverso questa chiave di lettura si crea un percorso di de-essenzializzazione nell’ambito delle neuroscienze. Parlare di modelli, come se ci fosse un ideal-tipo a cui riguardare per la definizione del tì èsti dell’uomo, non ha più validità proprio a partire da una considerazione della natura plastica dei processi nervosi, per cui diventa più pertinente muoversi attraverso concetti come quelli di schema aperto o modulo aperto. Modello, infatti, richiama a un’autochiusura, che, al contrario, esula del tutto dalla possibilità di ibridazione con l’elemento altro. L’idea che il soggetto sia qualcosa di instabile e completamente esposto alle oscillazioni di ciò che è altro da sé fa delle proposte teoriche di Changeux ed Edelman degli strumenti di auto-superamento del biologico, inteso come ciò che è precisamente determinato e determinabile entro un paradigma autarchico e isolazionista.

La plasticità del sistema nervoso e la sua capacità di modificarsi e adattarsi all’ambiente nelle fasi di interazione col mondo sono elementi decisivi a favore di un’ idea anti-deterministica e anti-riduzionista, già entro i confini delle scienze della vita. Se l’individuo si struttura a partire dalle modalità relazionali che intrattiene con la realtà allocentrica, questo significa che la neurobiologia potrà dirci soltanto a livello recettoriale e biochimico cosa avviene all’organismo quando tale incontro ha luogo. Non potrà dirci nulla circa il senso stesso di quell’evento che l’incontro ha dischiuso. A ogni modo la neurobiologia sarà costretta ad ammettere che l’individuo è l’insieme delle esperienze che esso intrattiene col mondo e che i neuroni e il sistema nervoso non sono che il medium attraverso cui l’evento dell’incontro si appalesa. Qui si ferma la sua giurisdizione. Le neuroscienze nell’affrontare il problema dell’essenza del soggetto, che non si trova meramente nel Seblst-welt ma anche e soprattutto nel Mit-welt e nell’Um-welt, non possono che arrestarsi di fronte a ciò che da esse non può essere tematizzato e che potremmo denominare, non senza qualche concessione retorica, l’Altro da sé del sostrato neuro-biologico.

 


[1] V. Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente (2003), tr. it. Mondadori, Milano 2006, p. 9.

[2] A ciò è da aggiungere l’importanza della neurodiagnostica per immagini che ha consentito una visualizzazione in actu dell’attività cerebrale.

[3] Cfr. J.P. Changeux, Du vrai, du beau, du bien. Une nouvelle rapproche neuronale, Odile Jacob, Paris 2008.

[4] Id., L’uomo neuronale, tr. it. Feltrinelli, Milano 1983, p. 120.

[5] Le evidenze sperimentali che contraddicono l’idea della linearità e semplicità della funzione genica sono rinvenibili in molteplici fattori: ad esempio l’RNA funzionale, costituito da macro-molecole non tradotte in proteine; i cosiddetti geni interrotti e splicing in cui abbiamo la successione di sequenze codificanti, gli esoni, alternate a sequenze non codificanti, gli introni; il junk DNA in cui lunghissime sequenze di DNA non codificano per alcuna proteina.

[6] J.P. Changeux, L’uomo neuronale, cit., pp. 238-239.

[7]Ibid., p. 264.

[8]Ibid., p. 265.

[9]Ibid.

[10] Id., L’uomo di verità (2002), tr. it. Feltrinelli, Milano 2003, pp. 63-65.

[11] G. Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana (2006), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2007, pp. 24-25.

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