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Il cervello dal di dentro

Autore


Umberto di Porzio

Consiglio Nazionale delle Ricerche di Napoli

Dirigente di ricerca dell’Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Napoli

Indice


  1. Il cervello: questo sconosciuto
  2. Il cervello visto da dentro
  3. Il connettoma: ovvero il cervello mappato
  4. Questioni etiche

 

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S&F_n. 05_2011

Abstract


The functional magnetic resonance imaging (fMRI) techniques are a potent probe able to visualize brain functions, by analyzing modification of blood oxygenation, and see the action in specific brain areas in response to activity or thoughts.

fMRI thus promise to be a formidable tool not only to draw a new cartography of brain functional areas, but also a new tool to understand some aspects of brain function’s evolution, as well to get insights and to breach the wall into cognition, morality and consciousness.

Nevertheless fMRI is not deprived of pitfalls such as limitation in spatial accuracy, reliable reproducibility of brain scan amongst different individuals or in the same person at different stages of life ( age or health versus disease), the different time scale of fMRI measurements (seconds) and neuron’s action potentials (milliseconds). Thus often caution is required in the appreciation of fMRI results and conclusions, that could  lead to incorrect interpretation of brain signals and induce to draw spurious conclusions.

New applications combining fMRI and real time visualization of one's own brain activity in healthy volunteers or patients promise to enable individuals to modify brain response and thus therapeutically or with other goals intervene in modifying individual behaviors.

Specially this last aspect, as well as the concern about the confidentiality and storage of sensible information or forensic uses of such approaches, raises the problem of mind privacy and new ethical questions.


The mind is an enchanting thing

is an enchanted thing

like the glaze on a katydid-wing

subdivided by sun

till the nettings are legion.

Like Gieseking playing Scarlatti;

like the apteryx-awl

as a beak, or the kiwi's rain-shawl

of haired feathers, the mind

feeling its way as though blind,

walks with its eyes on the ground*.

* Marianne Moore (1887-1972): La mente è una cosa incantevole, è una cosa incantata, /come lo smalto sopra/ un’ala di locusta, /suddiviso dal sole /finché le trame sono una legione. /Come Gieseking che suona Scarlatti; /come il punteruolo che l’apteryx/ ha per becco, oppure come /lo scialle da pioggia del kivi, /fatto di piume filiformi, la mente/ avverte la sua strada come fosse cieca/ e cammina tenendo gli occhi a terra.

 

  1. Il cervello: questo sconosciuto

Le prime osservazioni cliniche che mostrarono che il cervello può controllare aspetti importanti del comportamento umano vennero dallo studio del paziente Phineas Gage nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Phineas Gage era un manovale statunitense cui una sbarra di ferro, entrata nella mascella e uscita dal cranio, aveva distrutto la parte anteriore sinistra del cervello. In seguito all’incidente la sua personalità cambiò radicalmente ed egli perse la morigeratezza e quell’etica del lavoro che lo avevano sempre caratterizzato, trasformandosi in una persona priva di freni inibitori[1]. Fu quello il primo caso in cui si pensò che si potesse stabilire una relazione tra personalità e una zona del cervello, il lobo frontale. In realtà questa correlazione è alquanto semplicistica. Ovviamente è difficile stabilire una correlazione diretta tra i cambiamenti cui andò incontro Gage e quella parte del cervello, tra l’altro abbastanza estesa. In un individuo così provato, cambiamenti gravi dell’umore e del comportamento possono dipendere piuttosto da un complesso di cause e reazioni che da una sola zona cerebrale.

In effetti per secoli la gente, gli studiosi, i filosofi hanno aspirato a comprendere le funzioni del pensiero, della mente, della coscienza, senza riuscire nemmeno a localizzarle. Per esempio potremmo provare a porre con Edelman la questione della complessità del cervello:

Nella biologia dello sviluppo principi cellulari e processi primari molto simili si applicano per la realizzazione di un rene e la realizzazione di un cervello. Tuttavia, per descrivere come si ottiene la filtrazione glomerulare e il riassorbimento tubulare possiamo fare affidamento soprattutto su fatti empirici, non abbiamo bisogno di una teoria davvero molto profonda, solo un po’ di chimica fisica. Ma c'è una grande differenza qualitativa negli effetti di questi organi, il rene e il cervello: i reni debbono solo fare la pipì, ma il cervello deve poter fare finanche l’epistemologia! Pensare che si può arrivare a capire le origini e le sottigliezze della logica, del linguaggio, l’epistemologia senza una teoria è avere una fiducia eccessiva nel potere del puro empirismo[2].

 

Ed è importante sapere che per conoscere come possano avvenire queste funzioni complesse bisogna conoscere i correlati neurobiologici. Occorre sapere come il cervello venga messo insieme durante il suo sviluppo, e quali siano le sue funzioni fondamentali, quali la memoria, le basi della percezione. Infine occorre chiedersi se la conoscenza delle funzioni nervose possa veramente dar conto della coscienza.

Immaginiamo che oggi un filosofo volesse individuare dove risiede nel cervello umano “la legge morale che è dentro di me”[3], o le zone della corteccia per l’elaborazione della tesi e quelle per antitesi e/o sintesi descritte da Hegel e riprese dal materialismo dialettico. Ipotizziamo che un politico volesse poter individuare i circuiti nervosi di una dottrina politica a lui avversa per, semmai, isolare i potenziali avversari politici, un poliziotto conoscere preventivamente attraverso una scansione cerebrale i futuri criminali, un giudice potrebbe voler conoscere i circuiti che sottendono alla frode, ad altre malefatte o agli assassinii e così aver le prove della pericolosità di un determinato individuo per la società e isolarlo preventivamente, un religioso potrebbe desiderare di conoscere i centri dell’estasi per poter riconoscere i santi, e così via. Un primo approccio per affrontare alcuni di questi quesiti potrebbe venire osservando dal di dentro il cervello in funzione, mentre compie atti o elabora pensieri. Ma se per guardare dentro una mela la si può tagliare, o se per guardare dentro una macchina si potrebbe smontarla, tagliare o smontare il cervello di un essere umano vivente non è possibile. Oggi tuttavia è in parte possibile guardare dentro il cervello senza smontarlo grazie all’uso di strumenti basati sulla risonanza magnetica o NMR. Una metodica che si è sviluppata negli ultimi venti anni in base al lavoro di ricerca che ha nell’insieme ottenuto cinque premi Nobel (sette negli ultimi cinquant’anni)[4], e ha reso possibile guardare dentro le persone, e dentro il loro cervello, in maniera non invasiva, senza toccarle, senza radiazioni o uso di qualsiasi altro effettore che potrebbe provocare danni “collaterali”.

 

  1. Il cervello visto da dentro

Fisici, statistici, neurobiologi e neurologi lavorano nei centri e nei laboratori di NMR funzionale o fMRI (functional magnetic resonanace imaging) e come dei nuovi Lombroso o Penfield[5] analizzano il cervello “guardandolo dall’interno”. Essi possono cioè localizzare aree cerebrali e le loro funzioni, e individuare così quelle zone e/o attività cerebrali implicate nel dolore, nel linguaggio, nello sviluppo di decisioni, alla base del gioco d’azzardo, o dell’afflato morale o religioso, ecc. Osservare il cervello mentre pensa, sente, agisce. È interessante notare che fMRI ha rivelato che il cervello può rispondere al cosiddetto placebo allo stesso modo con cui risponde all'attività di un trattamento terapeutico. Il placebo consiste in un intervento medico simulato, in base al quale in un gruppo di pazienti, ignari, alcuni sono sottoposti a un determinato trattamento (farmacologico o altro) e altri no. In un certo numero di casi tra coloro che hanno avuto un trattamento finto o placebo si osservano risposte analoghe a quelle dei pazienti che hanno ricevuto il trattamento. In un certo numero di casi tra coloro che hanno avuto un trattamento finto o placebo si osservano risposte analoghe a quelle dei pazienti che hanno ricevuto il trattamento. Un classico esempio viene del dolore e dall’analgesia. Un primo studio pubblicato sulla rivista «Science», seguito da diversi altri, ha dimostrato che il dolore, che viene anche dalla aspettativa del dolore stesso, può recedere con trattamenti che non hanno effetti analgesici intrinseci, ma con l'aspettativa della remissione. Mediante fMRI si è visto che tale analgesia era collegata a diminuita attività cerebrale nelle regioni del cervello sensibili al dolore (insula talamo e corteccia cingolata anteriore)[6].

L’fMRI dunque rappresenta una delle principali tecniche di visualizzazione cerebrale, spesso indicate con il termine inglese di brain imaging, che forniscono una rappresentazione istantanea dell’attività cerebrale. Tali tecniche possono essere utilizzate per localizzare le aree responsabili di un determinato comportamento o di funzioni cognitive. La prima macchina fMRI venne costruita agli inizi degli anni novanta, tale realizzazione viene accreditata a Seiji Ogawa[7] nei laboratori Bell mentre Ken Kwong[8], un radiologo, aveva sviluppato il metodo di misurazione che utilizzando il flusso sanguigno e il metabolismo dell’ossigeno poteva dedurre l’attività cerebrale. Gli strumenti dell’NMR e fMRI sono dei tubi che captano le proprietà magnetiche dei nuclei degli atomi costituenti la materia e il nostro corpo. I segnali di risonanza delle molecole magnetizzabili vengono misurati mediante l’aiuto di campi magnetici e onde radio. Per gli studi di neurobiologia e di malattie neurologiche, la testa del soggetto da esaminare viene posizionata in una bobina a radiofrequenza. Durante le misurazioni il tessuto cerebrale è esposto a un campo magnetico e a brevi sequenze di onde radio. Il campo magnetico e le onde radio non vengono percepiti dal paziente. Le onde radio fanno oscillare le molecole nei tessuti. Queste molecole, oscillando, emettono dei segnali, cioè risuonano e i segnali emessi vengono rilevati e successivamente analizzati da un computer. La potenza dell’apparecchio e quindi la sua capacità di risoluzione, cioè di captare distintamente segnali nel tempo e nello spazio, sono definiti dalla potenza dei campi magnetici (oggi si può giungere fino a 3 Tesla, l’unità di misura del campo magnetico[9]) e dal numero di sensori capaci di captare variazioni di segnali magnetici (gli scanners di ultima generazione hanno fino a 200 antenne di rilevazione). Quando eseguiamo un compito (ad esempio un movimento della mano, la lettura di una parola, la percezione di una figura) alcune aree cerebrali specifiche vengono reclutate per lo svolgimento del compito. Le aree che vengono reclutate nel compito sono anche quelle che richiedono più ossigeno. fMRI misura il flusso ematico nel cervello a partire dalle variazioni delle proprietà magnetiche dovute all’ossigenazione del sangue (il segnale BOLD, blood oxygen level dependent), misurando il diverso magnetismo dell’emoglobina quando è ossigenata o meno[10]. L'emoglobina infatti è diamagnetica quando ossigenata (ossiemoglobina), e quindi respinta dal campo magnetico, ma paramagnetica quando deossigenata (deossiemoglobina), cioè attratta. Uno dei problemi che si incontra negli studi con l’fMRI è che esso fornisce informazioni qualitative sulle funzioni cerebrali, ma non quantitative, per cui molti studiosi cercano attivamente di sviluppare nuovi metodi per la misurazione del metabolismo dell'ossigeno. Come il FMRIB center della Università di Oxfrod, UK[11]. In aggiunta nuove strategie per aumentare la risoluzione delle immagini acquisite sono oggetto di intensi studi[12].

Fu Angelo Mosso, un italiano, alla fine dell’ottocento, ad avere per primo l’intuizione che si potesse desumere l'attività cerebrale misurando i cambiamenti del flusso sanguigno. In seguito, verso la fine del diciannovesimo secolo, Charles S. Roy e Charles S. Sherrington fornirono la prima prova a sostegno di un accoppiamento tra metabolismo energetico e flusso sanguigno nel cervello. Anche se solo nel 1948 in un esperimento fondamentale, Seymour Kety e Carl Schmidt dimostrarono che il flusso di sangue nel cervello è regolato dal cervello stesso. Essi hanno messo in luce che quando i neuroni utilizzano più ossigeno, segnali chimici causano la dilatazione dei vasi sanguigni vicini. Da allora stuoli di fisici e neuroscienziati hanno sviluppato la strumentazione necessaria a comprendere la connettività del cervello con integrazione tra funzioni e anatomia. Scopo di queste ricerche è certamente comprendere le basi del funzionamento di questo complesso organo e delle sue peculiarità nelle diverse specie, per giungere prima o poi alla comprensione del cervello degli esseri umani, delle sue peculiarità e delle sue malattie. Per esempio è stata individuata una regione del cervello umano sensibile alle voci e vocalizzi umani, e ci si era chiesto se essa fosse associata con l'elaborazione linguistica e fosse unica per l'uomo. Per rispondere a questa domanda un gruppo di ricercatori ha sottoposto macachi (primati del Vecchio Mondo, Macaca mulatta) a fMRI e scoperto una regione ad alto livello uditivo che risponde a vocalizzazioni specie-specifiche rispetto ad altre vocalizzazioni e altri suoni, dimostrando sensibilità verso la “voce” della specie, e capacità di identificare la voce di individui con-specifici. Questi risultati stabiliscono relazioni funzionali tra la regione voce umana e quella del macaco e sostengono l'idea che le regioni temporali anteriori del cervello dei primati sono capaci di riconoscere i segnali di comunicazione da conspecifici[13]. Questo potente mezzo d’indagine quindi, pur nelle sue ancora persistenti limitazioni, può risolvere importanti quesiti sia riguardo complesse funzioni cerebrali, sia riguardo la loro evoluzione.

Il problema relativo alla interpretazione delle informazioni acquisite mediante fMRI non risiede unicamente nella bassa risoluzione spaziale e quindi alla possibile confusione delle aree implicate in risposta a un determinato stimolo. Un principale problema irrisolto è come tradurre nei tempi lenti di ossigenazione del sangue, 3-6 secondi, i rapidi tempi in millisecondi necessari a un neurone per generare il potenziale d’azione, cioè attività. Nikos Logothetis in un recente articolo sulla rivista «Nature», si chiede se l'attivazione di un territorio della corteccia cerebrale significhi che esso sia veramente coinvolto nel compito sottoposto. In altri termini resta ancora poco chiaro se l'attività neurale in una data area dimostri inequivocabilmente la sua partecipazione nel comportamento studiato. Per rispondere a questa domanda non basta una nuova “cartografia” sofisticata ottenuta con le tecniche di fMRI, ma occorre comprendere dapprima come funziona il flusso di informazioni alla corteccia che sia alla base di processi cognitivi da un lato e di comportamenti complessi dall’altro. Se cioè le strutture cerebrali possono essere viste come entità di elaborazione delle informazioni, con un ingresso, una capacità di elaborazione locale, e un output; è necessario pertanto conoscere le proprietà delle reti eccitazione-inibizione sottostanti[14].

Inoltre un ulteriore elemento di perplessità sull'interpretazione di risultati da fMRI viene dall'incertezza sulla loro riproducibilità e affidabilità. Infatti i cervelli di individui diversi sono anatomicamente diversi, e il cervello di uno stesso individuo cambia con l’età o con la malattia. Esperimenti di ripetizione di uno stesso fMRI nello stesso individuo per un determinato compito non sempre “accendono” le stesse aree cerebrali[15].

 

  1. Il connettoma: ovvero il cervello mappato

Uno degli obiettivi più all'avanguardia nelle recenti ricerche che utilizzano le tecniche di fMRI è stabilire il “connettoma”, o mappa completa delle connessioni neurali, nel cervello. In altri termini, come descritto da Sporns e collaboratori, che per primi usarono il termine connettoma

per capire il funzionamento di una rete, bisogna conoscere i suoi elementi e le loro interconnessioni. Il nostro scopo è una descrizione strutturale completa della rete di elementi e connessioni che formano il cervello umano. Noi proponiamo di chiamare questo insieme di dati “connettoma” umano, e sosteniamo che è di fondamentale importanza nelle neuroscienze cognitive e neuropsicologia. Questi studi aumenteranno la nostra comprensione di come gli stati funzionali del cervello emergono dal loro substrato strutturale di base, e forniranno indicazioni meccanicistiche sul come le funzioni del cervello sono alterate se questo substrato strutturale è interrotto o alterato[16].

 

L’uso dell’fMRI sarà determinante per tentare di stabilire localizzazioni funzionali nel cervello. Il passo avanti che si sta cercando di compiere nei progetti che riguardano il connettoma, in particolare il Progetto Connettoma Umano, dei National Institutes of Health statunitensi è quello di tracciare una mappa delle connessioni tra le aree cerebrali nel cervello umano sano, per capire come vengono processate le informazioni. Tra gli altri obiettivi dichiarati anche quelli di mettere a punto nuovi farmaci per le malattie neurodegenerative e per il dolore. Inoltre il tentativo è quello di mettere insieme le informazioni di anatomia funzionale con gli strumenti della biologia molecolare e della genomica per capire quali gruppo di geni esprima un determinato neurone in una determinata localizzazione e in risposta a determinati stimoli. Per esempio, mettendo insieme informazioni su espressione genica di una determinata area del cervello si è visto che sezioni (o fette di cervello) diverse della corteccia sono definite da insiemi completamente diversi di geni. Questi approcci da un lato mostrano che il cervello non opera come una macchina di Turing, non funziona cioè come un supercomputer sulla base di calcolo ed elaborazione di informazioni, ma seleziona gruppi di neuroni, il cui aspetto molecolare e funzionale può modificarsi, come teorizzato da G. Edelman nel suo Darwinismo neuronale[17]. Dall'altro lato questi approcci mostrano anche che alcune definizioni di aree anatomiche, finora del tutto accettate e condivise, non rappresentano che vecchie mappe non solo obsolete ma addirittura fuorvianti. Un esempio per tutti è quello dell’ippocampo, una piccola area del cervello a forma di cavalluccio marino o di mezzaluna, centro della memoria a lungo termine, fino a poco tempo fa divisa in quattro aree distinte. I dati attuali indicano che anche una singola area dell'ippocampo può essere suddivisa in almeno nove regioni distinte, ognuna con una sua caratteristica espressione genica. Allo Allen Institute for Brain Science, in Seattle, WA, hanno costruito un atlante, in progressiva definizione, del cervello umano e del repertorio genico espresso in differenti aree. In aggiunta è possibile associare anche altre informazioni ottenute sul funzionamento dei neuroni con ulteriori tecniche, come misurare l’attività elettrica di singoli neuroni. Mettere insieme trasversalmente queste informazioni potrà permettere di comprendere il funzionamento del cervello sano e di quello malato. Poiché la variabilità genetica individuale tra esseri umani sani è altissima, solo informazioni acquisite su molti campioni e validate statisticamente potranno essere prese in considerazione.

 

  1. Questioni etiche

Sebbene quindi l'fMRI sia una tecnologia all'avanguardia, in grado di individuare le zone del cervello che rispondono a un determinato stimolo, movimento, azione, e forse pensiero, la metodica non è priva di limitazioni da un lato e non è scevra da possibili problemi etici. Tali problemi etici vengono via via alla luce man mano che gli studi tramite fMRI di modelli neuronali associati a complicati processi come quello decisionale o di recupero della memoria, e a tratti di personalità, come l'empatia ed estroversione, si moltiplicano[18]. Solo negli ultimi dieci anni gli studi di fMRI in pubmed (il database bibliografico che registra tutte le pubblicazioni scientifiche su riviste con valutazioni anonime o peer review), sono circa duecentomila di cui quasi la metà riguardano studi e pubblicazioni di fMRI e cervello.

L’aspirazione di molti di correlare i diversi stati e processi mentali con l'attività neuronale in alcune aree del cervello, potrebbe giungere un giorno all’uso di scansioni commerciali per testare la personalità di individui o, come nei casi ipotizzati all’inizio di questo breve articolo, le loro intenzioni. Sono casi questi ancora in gran parte ipotetici. Del resto in un futuro forse nemmeno lontano, l’uso di fMRI potrebbe interessare compagnie assicurative, datori di lavoro, assicuratori, scuole, per individuare le tendenze di carattere e le capacità degli individui o dei candidati. Per esempio, Barry Steinhardt, direttore della American Civil Liberties Union’s Technology e il Liberty Project, sentenzia: «Stanno per leggere i pensieri della gente ... (e) poca attenzione è stata dedicata al potenziale cattivo uso di fMRI e al devastante impatto che potrebbe avere sulle nostre libertà civili».

La risonanza magnetica funzionale, cioè, potrebbe essere utilizzata per raccogliere informazioni che di solito sono legalmente proibite. Del resto non poche perplessità suscita il problema della riservatezza delle informazioni personali raccolte con questi metodi di indagine e della loro conservazione. Problemi questi, come quelli degli studi sul genoma umano, che ricadono nel più grande problema delle regole etiche e delle garanzie legali e sociali, nell’etica professionale e nelle garanzie democratiche circa le libertà individuali e il controllo della privacy. E in questo caso si tratta anche dell’intimità dei propri pensieri.

Maggiori inquietudini, ma anche maggiori perplessità sulla reale attuabilità, nascono da recenti esperimenti che suggeriscono che, mediante fMRI, gli individui possono imparare a realizzare e visualizzare le risposte del proprio cervello e controllarne l'attivazione. Ciò può portare a cambiamenti nel comportamento e nei processi cognitivi in soggetti sani e potenzialmente in pazienti. In altre parole, fMRI potrebbe diventare uno strumento clinico con la possibilità di misurare e controllare l'attivazione del cervello. Una forma di riabilitazione cerebrale basata sulla plasticità uso-dipendente, con cambiamenti potenzialmente duraturi sia nello stato di malattia che in quello normale. Un uso che potrebbe essere anche modificato da farmaci o droghe, per mutare, in una visione fantascientifica, la memoria, le risposte, il carattere a volontà.

Esistono già tecniche, chiamate fMRI in tempo reale o rtfMRI, che dimostrano che gli esseri umani possono regolare a volontà i segnali emodinamici di regioni circoscritte del cervello, modificando risposte comportamentali dipendenti da aree specifiche, una specie di feedback neuronale (neurofeedback) come ad esempio quello osservato in pazienti con dolore cronico: si tratterebbe cioè di una autoregolazione legata all'esperienza.

Di più: metodi per determinare meglio la natura della dinamica delle interazioni funzionali tra le differenti regioni del cervello e plasticità grazie alla formazione di autoregolazione sono ancora in sviluppo. Quindi sarebbe possibile ottenere una riorganizzazione cerebrale durante l'apprendimento del controllo dell'attività cerebrale locale. Non è chiaro come l'apprendimento e la visione in tempo reale dell'attivazione di specifiche aree cerebrali nel proprio cervello possa consentire all'individuo di poter modificare le risposte di queste aree. Queste tecniche per ora sono limitate, in particolare agli studi condotti sul dolore cronico o sui rumori auricolari. Basandosi su queste tecniche di visualizzazione in tempo reale delle risposte del cervello, alcune industrie stanno mettendo a punto delle macchine della verità mediante fMRI. Queste ultime, molto controverse, si basano sulla possibilità di distinguere, in un individuo, patterns di attivazione cerebrale che corrispondono al deliberato tentativo di trarre in inganno da patterns che corrispondono a verità. Tali variazioni consisterebbero in una maggiore attivazione di una zona della corteccia prefrontale (ventrolaterale) in individui che mentono rispetto a individui che dicono la verità. Si comprende perché i tentativi di applicare queste tecniche a casi giudiziari suscitino non poche controversie.

Ciò non toglie che la possibilità di monitorare le funzioni del cervello e di modificarne le risposte può prevedere nuovi percorsi per la diagnosi, per guidare gli interventi terapeutici, per valutare il meccanismo e l'efficacia di trattamenti, ma non è scevra da fantascientifici incubi di manipolazioni del cervello, della memoria, della volontà individuale. L’fMRI non è più agli inizi, piuttosto gli studi condotti con questi approcci e i metodi di analisi utilizzati sono fortemente migliorati in questi ultimi venti anni. Ma occorre tenere in mente le limitazioni esistenti e non lasciarsi prendere, come molti media e molto pubblico, da facili entusiasmi. Bisogna sapere che vi sono problemi di riproducibilità dei dati, intriseci a variazioni individuali e di stato (normale o patologico, giovane o anziano) dei singoli cervelli, che la ripetibilità delle osservazioni deve essere elevata e i risultati valutati con stringenti metodi statistici.

E occorre una vigilanza legale e democratica sull’uso di queste strumentazioni e sulle applicazioni. L’uso di brain imaging per scopi polizieschi o forensi, come mediante le cosiddette macchine della verità o l’uso di scansioni cerebrali nei processi, in difesa o accusa delle persone incriminate, vanno prese in considerazione solo con molta cautela. Come sostengono vari autori, troppo ottimismo circonda gli studi sul cervello e circa i risultati ottenuti mediante le tecniche di visualizzazione cerebrale. Si potrebbe addirittura immaginare uno scenario in cui a qualcuno vengano letti i suoi pensieri privati contro la sua volontà, o che il contenuto dei suoi pensieri, l'attività della sua mente possa essere utilizzate in modi che egli non approva.

Una lezione di cautela deve venire per esempio dalla storia della lobotomia, dell’elettroshock o di alcuni farmaci psicotropi[19]. L'uso sconsiderato di queste tecniche nella metà del secolo scorso portò ad applicarle per neutralizzare comportamenti ritenuti abnormi o devianti in un determinato contesto sociale, piuttosto che quali strumenti terapeutici come venivano contrabbandati. Tant'è vero che, caso quasi unico, da più parti viene chiesta ancor oggi la revoca del premio Nobel (mai concessa dall'accademia svedese) assegnato all'inventore della lobotomia, Egas Moniz, nel 1949. Moniz, e il suo epigono statunitense Walter Freemann, fecero migliaia di vittime tra i malati di mente, gli omosessuali, le donne “in crisi di nervi”, i bambini disadattati.

In sostanza, accanto a grandi potenzialità d’indagine, l’fMRI promette anche di mettere gli individui in grado di modificare le risposte della propria mente e potrebbe, un giorno, essere utile per interventi di tipo terapeutico o altro, tesi a modificare il comportamento di un individuo. Questo aspetto e il problema di conservare informazioni sensibili sollevano il problema della privacy della mente e del pensiero e nuove questioni etiche da risolvere[20]

 


[1] J.M. Harlow, Passage of an Iron Rod Through the Head, in «Boston Med. Surg. J.», XXXIX, 1948; M. Macmillian, An Odd Kind of Fame. Stories of Phineas Gage, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, 2000.

[2] Interview with G. Edelman, in «BioEssays», XXVI, 3, 2004.

[3] Per un tragico destino, il filosofo del razionalismo e del criticismo, Immanuel Kant, presumibilmente alla sua morte era malato di Alzheimer, cfr. F. Sgarbi, R. Fellin, S. Caracciolo, L'altro Kant, La malattia, l'uomo, il filosofo, Piccin, Padova, 2009.

[4] Felix Bloch, E. M. Purcell Premi Nobel per la fisica nel 1952; Allan M. Cormack, Godfrey N. Hounsfield furono insigniti del premio Nobel in Medicina nel 1979; Richard R. Ernst ricevette il premio Nobel per la Chimica nel 1991; Paul C. Lauterbur, Sir Peter Mansfield furono insigniti del premio Nobel in Medicina nel 2003.

[5] Cesare Lombroso fu un medico, antropologo e criminologo del XIX secolo, fondatore della antropologia criminale, una disciplina basata sulla fisiognomonica, che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico.

Wilder Penfield, neurologo e neuroscienziato statunitense che ha lavorato in Canada, ha notevolmente contribuito nella metà del XX secolo alla localizzazione di funzioni in aree cerebrali e alla rappresentazione sulla corteccia motoria primaria e sulla corteccia sensoriale primaria delle diverse parti del corpo (omunculus motorio e sensoriale): cfr. The Mystery of the Mind, Princeton University Press, 1975.

[6] T.D. Wager, J.K. Rilling, E.E. Smit, A. Sokolik, K.L. Casey, R.J. Davidson, S.M. Kosslyn, R.M. Rose, J.D. Cohen, Placebo-induced changes in FMRI in the anticipation and experience of pain, in «Science», XXX, 2004.

[7] S.G. Kim, S. Ogawa, Insights into new techniques for high resolution functional MRI, in «Curr. Opin. Neurobiol.», XII, 2002.

[8] R.B. Rosen, J.W. Belliveau, B.R. Buchbinder, R.C. McKinstry, L.M. Porkka, D.N. Kennedy, Contrast agents and cerebral hemodynamics, in «Magn. Reson. Med.», XIX, 1991.

[9] Il tesla (T) corrisponde al campo magnetico che si origina al centro di una circonferenza formata da un filo elettrico al cui interno scorre una corrente di un milione di ampère, cioè la corrente necessaria a illuminare circa 200 mila lampadine da 100 watt.

[10] K.K. Kwong, J.W. Belliveau, D.A. Chesler, I.E. Goldberg, R.M. Weisskoff, B.P. Poncelet, B.R. Rosen, Dynamic magnetic resonance imaging of human brain activity during primary sensory stimulation, in «Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A.», LXXXIX, 1992.

[11] http://www.fmrib.ox.ac.uk/physics/research.

[12] La risoluzione spaziale attuale è di circa 3 mm, molto più grande di alcune strutture cerebrali presenti anche in un cervello grande come quello umano. Di certo nessun fMRI può focalizzare su un singolo neurone o una singola catena di neuroni che formino un circuito funzionale.

[13] C.I. Petkov, C. Kayser, T. Steudel, K. Whittingstall, M. Augath, N.K. Logothetis, A voice region in the monkey brain, in «Nat. Neurosci.», XI, 2008.

[14] N.K. Logothetis, What we can do and what we cannot do with fMRI, in «Nature», CDLIII, 2008.

[15] C.M. Bennett, M.B. Miller, How reliable are the results from functional magnetic resonance imaging?, in «Ann. N. Y. Acad. Sci.», MCXCI, 2010.

[16] O. Sporns, G. Tononi, R. Kötter, The human connectome: A structural description of the human brain, in «PLoS Comput. Biol.», I, 2005; O. Sporns, Networks of the Brain, Mit Press, Cambridge, 2010.

[17] G.M. Edelman, Darwinismo neuronale (1987), tr. it. Einaudi, Torino, 1995.

[18] A. Garnett, L. Whiteley, H. Piwowar, E. Rasmussen, J. Illes, Neuroethics and fMRI: Mapping a Fledgling Relationship, in «PLoS One», VI, 2011.

[19] L. Colucci D’Amato, U. di Porzio, Introduzione alla Neurobiologia, cap. 1, Springer Verlag, Milano 2011.

[20] Questo lavoro è stato finanziato con fondi FIRB RBIN062YH4, MERIT RBNE08LN4P_002.

 

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