S&F_scienzaefilosofia.it

Riconfigurazione di una metafora. L’antro platonico come sistema immersivo di realtà virtuale

Autore


Claudia Faita

Università di Pisa

laureata in Discipline Filosofiche all’Università di Pisa

Indice


  1. Che cos’è un CAVE?
  2. La caverna tra cura e menzogna
  3. La verità della caverna come disvelamento e passaggio
  4. Trasformazione ultima: la forma dell’immaginario

 

↓ download pdf

S&F_n. 07_2012


  1. Che cos’è un CAVE?

La metafora della caverna nel corso dei secoli ha subito svariate e molteplici assimilazioni, ultima delle quali il sistema di realtà virtuale denominato CAVE. Il primo modello fu presentato nel 1992 a Chicago presso il Siggraph, la più importante vetrina commerciale nel campo delle nuove tecnologie, da alcuni ricercatori dell’università dell’Illinois.

Figura 1: CAVE a quattro schermi

Nel paper introduttivo, stilato in occasione dell’evento, furono descritte sia le funzioni tecniche che i paradigmi teorici alla base del prototipo[1]. Concretamente possiamo definire il CAVE una stanza cubica intelaiata da pannelli in acrilico su cui vengono proiettate immagini stereoscopiche. Mediante l’utilizzo di particolari strumenti di visualizzazione (generalmente trattasi di shutter glasses, occhiali che garantiscono l’effetto della tridimensionalità, e un mouse di tracciamento, utile a individuare la posizione del visualizzatore nella stanza e in base ad essa garantire una corretta fruizione delle immagini), l’utente esperisce un ambiente tridimensionale immersivo e coinvolgente.

Le similitudini architettoniche con la caverna mitica, dissimulano un’analogia concettuale che non tiene fede alle intenzioni platoniche; tuttavia un escamotage interpretativo, giocato sulle aporie irrisolte del mito, ha consentito la ricontestualizzazione e il conseguente valore propedeutico ed epistemologico dell’esperienza.

 

  1. La caverna tra cura e menzogna

Se è verosimile paragonare le immagini proiettate sulle pareti del CAVE alle ombre dentro la caverna, diventa conseguente equiparare l’utente allo schiavo incatenato, poiché entrambi cadono ammaliati dalle visioni loro proposte. Tuttavia queste similitudini mimetizzano un’antinomia dei valori, che trova riscontro nella dissonanza tra il pensiero platonico e la teorica sistemica di realtà virtuale. Nel CAVE l’utente possiede la capacità di “sospendere l’incredulità”, ignorare il meccanismo con cui viene generata l’illusione della tridimensionalità, e in tal modo muoversi e agire coerentemente al proprio modo di essere nella vita reale[2]. Per amplificare ulteriormente il senso di immersione è stato implementato un sistema di “viewer centered perspective”, una rivisitazione della prospettiva rinascimentale in cui il primato della frontalità viene sostituito da una visione circolare calcolata sulla base della posizione dell’osservatore, che in tal modo può muoversi liberamente nella stanza[3]. Dentro la caverna platonica d’altro canto accade esattamente l’opposto: lo schiavo, incatenato in quel luogo fin da fanciullo, è immobilizzato e completamente incosciente di essere in una sorta di prigione, e ciò che vede sono proiezioni piane sulla parete che ha di fronte. Per risolvere le asimmetrie e le conseguenti contraddizioni insite nell’analogia può essere necessario esaminare la caverna da un altro punto di vista; l’ospitalità e il conforto che offre in quanto luogo chiuso, dotato di una sola entrata e dunque di una facile sorveglianza. Non è un caso che Aristotele nella prima rielaborazione della metafora, abbia trasformato la dimora sotterranea in una lussuosa reggia, un ambiente fornito delle comodità necessarie a rendere felici i suoi abitanti:

Immaginiamo che degli esseri siano sempre vissuti sotto la superficie terrestre in accoglienti e lussuose dimore ornate di statue e di dipinti e fornite di tutti quegli agi che si pensa rendano l’uomo felice[4].

Figura 2‐ Cornelis van Haarlem, Antrum Platonicum, incisione su rame 1604

Il pragmatismo dello Stagirita rende merito di una ricontestualizzazione più realista del valore antropico della caverna. Da un punto di vista antropologico infatti, le grotte furono i primi luoghi in cui l’uomo trovò rifugio e in cui ebbe la possibilità di riposare e riprodursi, protetto da ciò che accadeva all’esterno. In questo modo nel corso dei secoli, sviluppò abilità e tecnica, e fondò il mondo come cultura elaborando antidoti contro l’ancestrale sensazione di impotenza verso le manifestazioni dell’impero devastatore della natura. Ma se la sicurezza acquisita nella caverna fu il detonatore per un’attrazione sublime, l’uomo, che per natura è un essere eretto, dotato di visibilità e soggetto alla pericolosità del mondo, sublimò quella condizione edificando palafitte, adobe, case, in altri termini dimore chiuse in cui sentirsi a proprio agio. Da questo punto di vista la storia può essere letta come una continua “ri-occupazione”[5].

Tralasciando questo tipo di lettura, molte delle interpretazioni incentrano il problema sulla schiavitù intellettuale dell’uomo, senza fornire risposte soddisfacenti sulle responsabilità e il grado di consapevolezza dei prigionieri. Nel film “Il Conformista” il regista Bernardo Bertolucci paragona la condizione degli uomini nella caverna alla situazione dell’Italia durante il ventennio fascista, e alla fine di una sequenza che rende merito alla bellezza dell’originale ne fa emergere il senso nello scambio fra i due interlocutori:

Professore: Non poteva portarmi da Roma un regalo migliore di questi ricordi Clerici. I prigionieri incatenati di Platone.

Clerici: E come ci somigliano ... Che cosa vedono?

Professore: Lei che viene dall’Italia dovrebbe saperlo per esperienza.

Clerici: Vedono solo le ombre che il fuoco proietta sul fondo della caverna che è davanti a loro.

Professore: Ombre, i riflessi delle cose come accade a voialtri oggi in Italia.

 

La messa in scena del mito ovviamente risponde a esigenze estetiche ed è inappropriato pretendere una compiuta esegesi, tuttavia lasciarsi persuadere da un parallelismo apparentemente aproblematico induce un approccio ideologico alla questione, tuttora riscontrabile nella percezione storica propria del popolo italiano, incapace di una memoria spuria da chiavi ideologiche e predisposto a trasformare l’antifascismo in mero oggetto di disputa dottrinale.

Per cogliere al meglio le contraddizioni è opportuno prendere ad esempio un’altra rievocazione filmica antitetica alla precedente: il lungometraggio “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti” del regista thailandese Apichatpong Weerasethakul. Esso narra la storia di un uomo malato terminale che decide di andare a trascorrere l’ultimo periodo della sua vita in una casa di campagna in compagnia di alcuni familiari. L’intreccio è una narrazione che rievoca ricordi sotto forme oniriche e allucinatorie. L’immagine della caverna prende forma alla fine del film e rappresenta simbolicamente il luogo del ricongiungimento con l’intimità più profonda dell’esistenza, l’ultima meta nella vita individuale di un uomo. Un insolito escamotage interpretativo, lontano da un sentire tipicamente occidentale deforma il senso originale del mito, individuando nella caverna un adeguata dimora per una definitiva riconciliazione. L’italietta fascista guarda nello specchio Boonmee con la stessa estraneità con cui Vitangelo Moscarda di Pirandello vede la stortura del proprio naso, ed è esattamente in questo gioco di alienazione e riconoscimento che si concretizza l’ambiguità della caverna, definita da Socrate come «dimora-sotterranea»[6]. Il triste giardino della menzogna, dal quale è necessario fuggire, e il regno della cura, dove è opportuno albergare, sono facce opposte di una medesima medaglia. La metamorfosi dipende dalla consapevolezza umana: soltanto uno sguardo rivolto verso l’uscita traduce l’inganno in illusione cosciente[7].

 

  1. La verità della caverna come disvelamento e passaggio

La libertà interpretativa offerta dal mito è frutto delle ambiguità presenti nel testo platonico; la questione deve essere focalizzata sulla relazionalità che intercorre tra il mondo delle idee e il regno delle ombre. Se analizzata da questo punto di vista la metafora non può essere letta come raffigurazione statica di un luogo sotterraneo, e l’elemento che ne determina il significato è espresso nel cammino del prigioniero liberato, che da una condizione di ingannevole prigionia raggiunge l’universo archetipo per poi tornare nuovamente nella caverna. A tal proposito è illuminante uno scritto di Martin Heidegger riguardante la dottrina della verità in Platone. Nel porre l’attenzione sul problema del “passaggio”, l’autore rileva l’incoerenza dialettica sensibile-disvelamento-archetipo, poiché se la verità è un processo di disvelamento, l’apparenza sensibile non può che essere l’unica forma per riconoscerla. Non si comprende allora, come sia possibile conciliare l’inganno delle ombre con la loro funzione gnoseologica; l’incipit al cammino verso la conoscenza del mondo ideale. L’aporia appare insolubile sul piano metafisico, tuttavia la forza rappresentativa del mito risiede nell’esplicazione dei passaggi, nel processo umano a oltrepassare il bagliore artificiale, raggiungere la luce del sole per poi ridiscendere consapevolmente nell’oscurità; in altri termini il nucleo rappresentativo è da ricercare «nell’apparire di ciò che appare e da quello che rende possibile la sua visibilità»[8].

Questa chiave di lettura trasferisce l’argomento su un piano epistemologico. La conoscenza diviene ricontestualizzazione del già-acquisito a seguito di un percorso attraverso un oscuro ignoto. Le ombre acquisiscono un valore di verità soltanto se percepite per ciò che sono, ovvero conseguenza di una dialettica circolare in cui la sintesi è la capacità di ritorno al noto e al familiare con un acquisita consapevolezza. In quest’ottica la vita nella caverna diventa l’unica possibilità per un suo superamento, uno slancio vitale che sarebbe insopportabile in assenza di una preliminare condizione di sicurezza. Avendo sempre presente la porta di uscita l’uomo ha la sensazione che la vita non si esaurisca nella vicenda che esso segue con avidità, ed è a questo punto che si svincola dalla fascinazione ipnotica, rompe l’attenzione passiva e intraprende lo sterrato sentiero del possibile.

Attualmente non è più lecito pensare simbolicamente al mondo come luogo in cui sentirsi a casa, entro il focolaio di un’intima familiarità. La nuova scienza informatica ha introdotto codici di geocodifica sempre più complessi, ha inoltre esteso in modo infinitesimale le coordinate spazio-temporali, rendendo l’individuo intercettabile e riconoscibile da ogni punto dell’universo[9]. L’invisibile flusso di byte che ci circonda supera qualsiasi tipo di recinzione e impedisce ogni forma di nascondimento; per usare una similitudine baumiana, l’era dello spazio protetto da mura è stato sostituito da un nuovo paradigma[10]: viviamo in un “mondo pieno” in cui « […] non esiste più nessun luogo esterno, nessuna via di fuga o posto dove riparare nessuno spazio alternativo dove isolarsi e nascondersi»[11]. Non essendo più titolata a esser dimora, la territorialità è diventata specchio non-sense dell’esistenza, e l’uomo preda di una spersonalizzazione imperante, è incapace a riconoscersi nella gigantografia dell’immateriale. Si spiega in questo modo il proliferare di mondi virtuali, facili vie di fuga all’interno di dimensioni governabili, “a portata di mouse”, che rendono merito di una socievolezza apparentemente più appagante. Il rischio è una restaurazione capovolta del valore archetipico della caverna platonica, in cui il regno delle ombre diventa modello per una qualità di vita di gran lunga migliore. Sono numerosi i casi di persone dipendenti dai giochi on-line che hanno perduto il senso della realtà al punto tale da non riconoscere la delimitazione tra i due universi di significato. Castronova nel testo Universi sintetici ne cita alcuni significativi, tra i quali: casi di furti concreti per acquistare oggetti virtuali; relazioni sociali nate, coltivate o trasportate nella dimensione simulata[12].

È importante tornare a riflettere sulla funzione della verità nei termini di passaggio e disvelamento, per non incorrere nell’errore platonico e riconquistare la vita nella sua profondità. A tal fine è utile analizzare la similitudine CAVE-caverna, sulla base dei paradigmi fondanti del prototipo tecnologico.

 

  1. Trasformazione ultima: la forma dell’immaginario

Secondo la teoria heideggeriana del legame disvelamento-passaggio la verità, svincolata da un valore assoluto, mostra la sua evidenza nel processo di ri-comprensione dell’apparente ovvietà del mondo. È fondamentale sottolineare che l’esperimento del prigioniero liberato non si conclude con un inutile rientro nella caverna e con il fallimento della sua opera di persuasione, al contrario il “nuovo uomo” torna ancora a rivolgere lo sguardo verso l’uscita, decretando con ciò che la conoscenza sia un eterno fluire fra il bagliore della luce solare e la penombra recinta dell’ambiente sotterraneo. Ne è una dimostrazione la spiegazione che fornisce Platone dopo aver illustrato l’immagine della caverna. Tra un alternarsi di affermazioni e contraddizioni, la centralità dell’argomento è riconducibile all’idea che il ritornato debba assolvere a una funzione educativa, ossia redimere i prigionieri dalla loro ignoranza. Sarebbe inverosimile minimizzare sulla polemica platonica verso le determinazioni sensibili del reale, ciò nonostante è opportuno sottolineare la sua propensione a intendere la verità come apertura e passaggio. È questa la sfumatura che rivela il senso più profondo del mito e che introduce l’assonanza caverna-CAVE.

L’utente che entra fisicamente nella dimensione simulata non è soltanto consapevole della finzione (cosa che accade per ogni sistema di realtà virtuale), ma ampiamente preparato dai progettatori a supportarla, scegliendo in qualsiasi momento, se essa si presentasse inadeguata, di terminarla. La “suspension of disbelief”, concetto coniato da Coleridge e decretato a paradigma del sistema, implica la coscienza della sua reversibilità. È Coleridge stesso a tematizzare in termini di “Fede Parziale”, nel senso di «contributo attivo e volontario di uno spettatore consapevole che in ogni momento ha la possibilità di considerare la cosa come essa realmente è»[13]. Lo straniamento vissuto all’inizio e alla fine dell’esperienza, proporzionale al grado di illusione della stanza, determina il confine di senso tra il virtuale e il reale, traducendo in valore propedeutico la metafora del passaggio.

Alfred Schutz, trattando di “province finite di significato”, ritiene che nella vita quotidiana l’uomo attraversi continuamente confini di senso, e tale passaggio, è descritto dall’autore come «un transito reso possibile da un esperienza strana vissuta dal soggetto come shock»[14]. Le province finite di significato sono particolari contesti operativi, dotati di un adeguato stile cognitivo, entro cui il soggetto esperienziale manifesta la propria credenza[15]. Schutz incorre nell’errore di porre confini netti tra un contesto e l’altro, definendo l’“epoché” (sospensione del dubbio), come una sorta di trauma del passaggio. È lecito sostenere che quando entriamo a teatro, al cinema o in un sistema di realtà virtuale, noi siamo coscienti dell’illusione, e deliberatamente scegliamo di abbandonarci a essa. Tuttavia le esperienze citate sono particolari forme di attraversamento, poiché il consueto modus vivendi umano si realizza nella pratica di un continuo transito, e come sostiene Iacono «noi viviamo in mondi intermedi cioè in mondi dove le province finite di senso […] si attraversano l’un l’altra»[16]. Ne è espressione l’attuale “cultura della convergenza”[17], qualificata da una transmedialità che rende sempre più difficile tentativi di decodifica di uno specifico ambito operativo. L’amalgama caotico tra i diversi media ha introdotto una dispersione della funzione originale dell’apparato, con una conseguente fruizione ideologica da parte del soggetto. Perciò le esperienze in cui il passaggio viene percepito in maniera forte diventano estremamente importanti.

In questi termini si comprende la funzione simbolica del CAVE; entrare ed uscire significa imparare a vivere l’illusione indotta da un sistema tecnologico basato sulla simulazione; ci insegna inoltre a sorvolare coscientemente nei cieli dell’immaginario valicando oltremodo gli orizzonti del possibile.

 


[1] C. Cruz-Neira, D. J. Sandin, T. A. DeFanti, R. V. Kenyon, J. C. Hart, The CAVE. Audio visual experience automatic environment, in «SigGraPh'92 Showcase», Communications of the ACM, 35, 1992.

[2] Cfr. M. Slater, M. V. Sanchez-Vives, From presence to consciousness through virtual reality, in «Nature Reviews Neuroscience», 6, 2005, pp. 332-333.

[3] C. Cruz-Neira, D. J. Sandin, T. A. DeFanti, Surround Screen Projection-Based Virtual Reality: The design and implementation of the CAVE, Electronic Visualization Laboratory (EVL), The University of Illinois at Chicago, in «proc.20th Annual.Conf. Computer. Graph. Interact», Tech. 135-142 (ACM), Addison-Wesley, Massachusetts, USA 1993, p.65.

[4] J. Bernays, Die Dialoge des Aristoteles in ihrem Verhaltnis zu seinen ubrigen Werken, Berlin 1863, tr. del testo, Cicerone, De natura deorum, II, 95, in H. Blumenberg, Uscite dalla caverna (1989), tr. it. Medusa, Milano 2009, pp. 156-157.

[5] Cfr. H. Blumenberg, op. cit., pp. 141-230.

[6] Platone, La repubblica, tr.it. Laterza, Roma-Bari 1997, 514 c, p. 452.

[7] Cfr. A. M. Iacono, L’illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2010, pp. 29-31.

[8] M. Heidegger, La dottrina di Platone sulla verità (1954), in La dottrina di Platone sulla verità. Lettera sull’umanismo, a cura di A. Bixio e G. Vattimo, tr. it. Società editrice internazionale, Torino 1978, p. 56.

[9] M. Castells, Galassia internet (2001), tr.it. Feltrinelli, Milano 2002, pp. 195-224.

[10] Z. Bauman, La città sotto assedio (2002), tr.it. Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 87-89.

[11] Ibid., p. XIX.

[12] E. Castronova, Universi sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società e l’economia (2005), tr. it. Mondadori, Milano 2007, pp. 316-317.

[13] S. T. Coleridge, L’illusione drammatica. Lezione su Shakespeare e altri testi, a cura di G. De Luca, Ets, Pisa 2010, p. 61.

[14] A. Schutz, Saggi sociologici (1971), a cura di A. Izzo, tr. it. Utet, Torino 1979, p. 202.

[15] Ibid., p. 203.

[16] A.M. Iacono, Gli universi di significati e i mondi intermedi, in A. M. Iacono - A.G. Gargani, Mondi intermedi e complessità, Ets, Pisa 2005, p. 23.

[17] Cfr. H. Jenkins, Cultura convergente (2006), tr.it. Apogeo, Milano 2007, “Introduzione”, pp. XXIII-XLVII.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *