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De-complessificazione della vita e “costruzione” del metodo tra condizioni fisico-chimiche e manifestazioni vitali. Alcune note sulla fisiologia di Claude Bernard

Autore


Delio Salottolo

Università degli Studi di Napoli - L'Orientale

Indice


  1. Introduzione. Claude Bernard e la de-complessificazione della vita
  2. Primo momento: “meccanicismo” vs “vitalismo”. Uso strategico e creazione della tradizione
  3. Secondo momento: ereditarietà e variazioni come operatori fondamentali, ma “in negativo”
  4. Terzo momento: la definizione di “vita latente” come determinante per la nozione di “vita”
  5. Quarto momento: fisiologia e obliterazione della riflessione morfologica
  6. Note conclusive: la costruzione del quadro epistemologico – è vera dialettica quella tra scienza e metafisica?

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S&F_n. 12_2014

Abstract



In this paper we intend to analyze the devices and conceptual strategies fielded by Claude Bernard, trying to figure out what was the contribution of the physiologist to the life sciences and vitalistic metaphysics of our time. The basic idea is that the originality and importance of his work consists not so much in the experimental method applied to living organisms, but rather in having inserted old and new concepts within an epistemological framework expertly re-determined. The analysis will focus on a few key points – the re-positioning of the dichotomy vitalism/mechanism, the question of heredity and individual variation, the analysis of the level of “latent life” and the relationship between physiology and morphology – and the horizon within which will be included will be that of the dialectic between conditions and expressions.

         


L’homme métaphysique est mort, tout notre terrain se transforme avec l’homme physiologique

E. Zola

 

- Chi era, di’ un po’, Charles Bernard?

- Charles Bernard?

- No, non Charles, aspetta, ho sbagliato: Claude Bernard. Che roba è? 

F. M. Dostoevskij

  1. Introduzione. Claude Bernard e la de-complessificazione della vita

L’epistemologo e filosofo Canguilhem, nella sua “battaglia” costante volta a restituire dignità filosofica al cosiddetto “vitalismo”, spende parole molto importanti, se non addirittura appassionate, sulla riflessione biologica e fisiologica di Claude Bernard. In poche parole, il medico e fisiologo francese, attraverso la teoria del milieu intérieur, non avrebbe rivoluzionato soltanto l’epistemologia biologica ma la biologia tout court, la dimensione concettuale di pensabilità dell’originalità del vivente in seno alla realtà[1]. Canguilhem è piuttosto netto nel suo giudizio: Claude Bernard sostituisce alla rappresentazione geometrica dell’organismo, una rappresentazione topologica, in quanto, mediante il milieu intérieur, si assicura una visione complessiva dell’organismo vivente, e soprattutto si afferma che l’organismo produce da sé, all’interno di sé, le proprie possibilità “normative” di esistenza. La lettura di Canguilhem è chiaramente “di parte”, intende infatti recuperare al vitalismo il fisiologo e medico che, per eccellenza, ha posto le basi della nostra clinica contemporanea. Del resto, nell’ambito della malattia e della medicina, Claude Bernard ha sostenuto che non esiste differenza di natura tra la fisiologia e la patologia, ma soltanto di grado, intendendo con questo definire i limiti di applicazione della “nuova” scienza fisiologica[2]. Lo stesso Canguilhem, nella sua opera maggiore, Le normal et le pathologique, ha sottolineato come la contraddizione principale di Claude Bernard non consista tanto nella sua appartenenza al (sempre mal definito) ambito del meccanicismo o del vitalismo, bensì nel fatto che, all’interno delle sue definizioni di “stato fisiologico” e di “stato patologico”, a indicazioni di carattere quantitativo e metrico (esigenza positivistica), si sovrappongono indicazioni di carattere qualitativo, quasi morale. Ciò che si intende sottolineare è che, secondo Canguilhem, la de-complessificazione della vita e la costruzione del metodo in Claude Bernard possono essere letti in una chiave che, lungi dal rendere il vivente una macchina determinata, ne prospetta invece la specificità in maniera ancora più “radicale”: «che la scienza della vita consideri i fenomeni cosiddetti normali e i fenomeni cosiddetti patologici come oggetti di pari importanza teorica e in grado di chiarirsi a vicenda, al fine di adeguarsi alla totalità delle vicissitudini della vita, alla varietà dei suoi andamenti, è urgente più ancora che legittimo»[3]. Del resto, la statura di un autore rivoluzionario come Claude Bernard consiste anche e soprattutto negli effetti che le sue riflessioni e le sue pratiche hanno prodotto e se la scienza medica ha raggiunto la sua maggiore età anche grazie all’apporto del fisiologo francese, può sempre essere lecito leggerlo come un momento fondante una nuova possibilità di “vitalismo” nell’età della seconda modernità. E questa è la lettura di Georges Canguilhem.

Noi, però, in queste brevi note, seguiremo un percorso differente nei presupposti e nelle conclusioni e, attraverso l’analisi dei dispositivi e delle strategie concettuali messe in campo da Claude Bernard, cercheremo di capire quale sia stato l’apporto del fisiologo alle scienze della vita e alla pensabilità del nostro tempo, facendo nostra l’idea foucaultiana che la modernità ritrova nella nozione di “vita” uno degli elementi decisivi per la determinazione del proprio statuto. In questo senso leggeremo la de-complessificazione della vita e la costruzione del metodo in Claude Bernard attraverso la modalità mediante la quale egli stesso ha ripensato e ridefinito alcuni concetti della storia del pensiero naturale (rideterminandone, a volte, il senso a venire). L’idea di fondo è che l’originalità e l’importanza della sua opera consistono non tanto nell’aver applicato il metodo sperimentale agli organismi viventi, quanto piuttosto nell’aver inserito, all’interno di un quadro epistemologico sapientemente ri-determinato, vecchi e nuovi concetti. La grandezza di Claude Bernard non consiste allora in un atto di “creazione”, bensì nel fatto che, all’interno della sua opera e della sua pratica, mediante la costituzione di un quadro epistemologico mutato ma coerente, tutte le esperienze più innovative che si erano susseguite in Franca e Germania acquisiscono una coerenza e una “cornice” di riferimento[4]. Si inizierà allora con l’uso strategico (nonché “produttivo”) che Claude Bernard fa della dicotomia meccanicismo/vitalismo, si passerà poi alla questione centrale dell’ereditarietà e della variazione individuale, si attraverserà la definizione del piano della “vita latente” come quello fondamentale per la determinazione della nozione di vita, si chiuderà sul rapporto tra fisiologia e morfologia sulla base della teoria cellulare.

Sullo sfondo resta quella che può essere considerata la dialettica fondamentale della riflessione bernardiana, quella che riguarda la relazione complessa tra la dimensione delle condizioni e quella delle manifestazioni.

  1. Primo momento: “meccanicismo” vs “vitalismo”. Uso strategico e creazione della tradizione

Non si tratta di analizzare il dibattito sul presunto meccanicismo o vitalismo di Claude Bernard, né di entrare nella querelle storiografica sull’appartenenza del fisiologo all’una o all’altra tradizione, bensì intendiamo in queste brevi note accennare all’uso che Claude Bernard fa di questi termini e di questi concetti[5].

In via preliminare, possiamo sottolineare come Claude Bernard prediliga un’impostazione tipologica, cioè intenda “vitalismo” e “meccanicismo” come due “posizioni” che attraversano la storia del pensiero umano e che si contendono lo scettro dell’impostazione più efficace nella lettura della realtà vivente[6]. In questa ricostruzione[7] possiamo, nella tradizione vitalista, saltare da Pitagora a Stahl passando per Paracelso e Van Helmont, in maniera piuttosto lineare e senza troppi problemi. La prima considerazione che intendiamo fare è che la maniera attraverso la quale Claude Bernard costruisce la contrapposizione tra meccanicisti e vitalisti produce una tale semplificazione nelle posizioni, che, paradossalmente, sarebbe difficile indicare un solo scienziato del XIX secolo che potesse del tutto rispecchiarsi soltanto in una determinazione, essere, in poche parole, soltanto meccanicista o soltanto vitalista. Prendiamo ad esempio la presentazione che Claude Bernard fa delle due posizioni in uno scritto del 1856, La leçon d’ouverture au Collège de France:

I fenomeni della vita hanno sempre avuto, in effetti, il singolare privilegio di apparire ai fisiologi e ai medici sotto una duplice faccia: gli uni, chiamati vitalisti, volendo vedervi soltanto azioni speciali che non hanno alcun rapporto con le leggi fisiche o chimiche ordinarie e che si compiono esclusivamente sotto l’influenza di una forza particolare chiamata vita, forza vitale, etc.; gli altri, chiamati materialisti, iatro-meccanicisti, chimici, etc., non vedendo nelle manifestazioni della vita null’altra cosa che fenomeni di ordine fisico e chimico sottomessi alle leggi ordinarie che determinano quegli stessi fenomeni al di fuori dell’organismo[8].

Come nota giustamente Andrault[9], si tratta di una semplificazione piuttosto netta e che non rende conto della complessità delle posizioni. In primo luogo, è possibile, infatti, affermare che Claude Bernard faccia rientrare all’interno della categoria allo stesso tempo “storiografica” ed “epistemologica” di vitalismo sia coloro che parlano di un principio vitale differente dall’anima immortale, sia gli “animisti” che, invece, sovrappongono completamente anima e principio vitale – il non entrare in profondità nel dibattito (dibattito che Claude Bernard conosceva benissimo) potrebbe avere avuto una funzione strategica di ridefinizione della tradizione in vista della costruzione del metodo specifico della fisiologia. In secondo luogo, sempre per quanto riguarda la costellazione vitalista, in altri passi[10] Claude Bernard identifica Xavier Bichat come l’ultima e più grande manifestazione del vitalismo, dal momento che egli avrebbe opposto le leggi fisico-chimiche che regolano il mondo fisico alle leggi specifiche che regolano i fenomeni vitali – anche in questo caso si tratta di una semplificazione estremizzante: Bichat ritiene che la fisiologia non può attingere alla medesima precisione delle scienze fisiche e chimiche e che le leggi che regolano queste ultime non sono altrettanto rigorose all’interno di un organismo vivente, in parole povere non ritiene in maniera così tranchant che i fenomeni vitali siano retti esclusivamente da tutt’altre leggi. In terzo luogo, per quanto riguarda la costellazione meccanicista, Claude Bernard sostiene che tale approccio non vede nella vita altro che l’applicazione di leggi fisiche e chimiche – e ancora una volta si tratta di una semplificazione: se prendiamo Magendie, sicuramente un fisiologo che la tradizione identifica come “meccanicista”, ebbene possiamo trovare nella sua teoria l’idea che alcuni fenomeni vitali, come l’alimentazione e la nutrizione (che saranno fondamentali anche per Bernard stesso) sono del tutto irriducibili a fenomeni fisici e chimici, perlomeno nello stato attuale dello sviluppo delle scienze[11].

Per concludere su questo primo aspetto, possiamo sottolineare come Claude Bernard operi, attraverso l’identificazione di un conflitto (a)storico tra meccanicisti e vitalisti, una vera e propria semplificazione volta a una de-complessificazione della nozione di vita e alla costruzione di una tradizione “tipologica” di questi due atteggiamenti. Riteniamo, allora, che non si tratti certo di una mancanza di profondità nell’affrontare le questioni, quanto piuttosto di una scelta strategica, per smarcare la propria opera da entrambe le “tradizioni” e costruire un qualcosa che si ponga come assolutamente “nuovo”. È questo il motivo per cui, per Henri Bergson e Georges Canguilhem, Claude Bernard può essere visto come un vitalista, mentre per Dostoevskij e, in generale per i filosofi della sua epoca come Paul Janet, Elme-Marie Caro e Felix Ravaisson, può essere visto come un meccanicista.

Resta comunque una contraddizione fondamentale in Claude Bernard: la vita è allo stesso tempo sia una materia specifica (pensiamo alla particolare recezione, da parte del fisiologo francese, della teoria cellulare), sia una manifestazione secondaria dovuta alle condizioni fisico-chimiche che ne permettono l’espressione. È forse nella dialettica manifestazione/condizioni che si gioca la complessità nella definizione della vita in Claude Bernard. Ed è forse sempre in questa contraddizione che ancor’oggi la scienza della vita si dibatte.

  1. Secondo momento: ereditarietà e variazioni come operatori fondamentali, ma “in negativo”

Una delle domande ricorrenti tra coloro che si trovano a studiare la storia della biologia del XIX secolo riguarda il mancato incontro/confronto tra quelli che, secondo la tradizione, vengono considerati i due grandi padri fondatori dell’approccio moderno alle scienze della vita: Charles Darwin e Claude Bernard. Il nucleo del dibattito mancato riguarderebbe proprio la nozione di “ereditarietà” e quella di “variazione individuale”.

Una prima risposta è anche la più semplice: per Claude Bernard la scienza della vita per essere tale deve essere sperimentale, soltanto attraverso l’applicazione del metodo sperimentale si può scendere fin nei recessi della materia organica per scoprirne verità e funzioni, per determinare fisiologia e patologia. La teoria dell’evoluzione di Darwin non è “sperimentale” in questo senso, dunque appartiene a un ambito extrascientifico, che può sicuramente interessare, ma che non può essere oggetto di scienza. L’evoluzione della specie di Darwin sarebbe metafisica, sicuramente una prospettiva “lecita” e suggestiva, ma comunque metafisica. In più non è operativa e non ci dice nulla sul funzionamento di questo organo o di questo determinato processo organico.

L’incontro tra Bernard e Darwin, però, potrebbe essere avvenuto su un altro terreno – anche se non in maniera diretta – quello della determinazione della questione della variazione o, per meglio dire, della centralità della variazione, sia che la si intenda “in positivo” come in Darwin, sia che la si intenda “in negativo” come in Claude Bernard.

Semplificando al massimo per necessità di spazio, possiamo dire che la nozione di ereditarietà in Claude Bernard è strettamente connessa a quella di nutrizione. Nel trattato De la physiologie générale del 1872 il fisiologo spiega chiaramente come l’ereditarietà (o “tradizione organica”, come spesso preferisce chiamarla) rappresenti il principio di continuità tra gli stati precedenti che hanno attraversato l’organismo, e come le modificazioni che avvengono a partire dalla nutrizione si imprimano negli organismi in maniera durevole e si trasmettano per ereditarietà ai discendenti[12]. È chiaro che su questo terreno, Claude Bernard rappresenti più un ponte verso il neolamarkismo (che caratterizzò la riflessione biologica francese nei decenni successivi alla sua scomparsa) che non un’apertura al darwinismo. Ed è forse possibile leggere questo passaggio sulla connessione tra ereditarietà e nutrizione come un elemento di medicina “morale” tipico del clima culturale del Positivismo, ed è forse da questi passaggi più che da altri che un Zola può aver tratto ispirazione per la rappresentazione della sua “commedia umana” dei Rougon-Macquart, dove le predisposizioni (morali e non) sono ereditarie e l’effetto di uno stile di vita “malsano”. Ma la connessione tra nutrizione ed ereditarietà ci porta alla questione della “variazione individuale”, il fatto che ogni organismo sia essenzialmente una variazione su un “tema” o, per usare un linguaggio più bernardiano, una variazione su un “tipo”. È nell’ambito dell’ereditarietà/nutrizione che si produce l’infinita varietà della realtà biologica. La nozione di variazione individuale è, però e per eccellenza, ciò che il programma bernardiano di costruzione di un metodo per una fisiologia scientifica, sperimentale e non empirica deve contenere, immunizzare, superare. Ma è anche ciò che ha permesso a Claude Bernard di costruire il suo metodo. È decisiva “in negativo”.

In poche parole, per fondare una fisiologia scientifica generale è necessario che tutte le variazioni individuali, infinite e “selvagge”, possano essere ricondotte a leggi quantitativamente misurabili, ovvero a quelle leggi che si trovano a essere la base stessa della possibilità infinita di variazione. Qualora ciò non fosse possibile, allora la costruzione della fisiologia come scienza sperimentale fallirebbe miseramente. Come abbiamo accennato, la grande rivoluzione nell’ambito della medicina che Claude Bernard ha portato è quella di aver definito lo “stato patologico” come una “variazione” dello “stato normale”. Centrale, dunque, nella medicina bernardiana è proprio la nozione di “variazione”, anzi si potrebbe dire, eccedendo un po’ le intenzioni dell’autore, che a essere vera sia soltanto la “variazione” e che la medicina è uno sforzo umano (troppo umano) per tentare di dominare questa infinita varietà del mondo organico. Possiamo, insomma, dire che la variazione è fondamentale per Claude Bernard nel momento stesso in cui deve essere superata, essa è dal punto di vista “fenomenico” il fondamento e ciò che precede, dal punto di vista “analitico” l’ostacolo e ciò che va sempre superato per la fondazione di leggi generali.

Ed è in questo senso, allora, che per Claude Bernard l’ereditarietà non può che essere una nozione metafisica, e, ancora di più, è possibile affermare come sia proprio attraverso la nozione di variazione individuale che la metafisica, cacciata via dalla porta d’ingresso delle scienze biologiche, vi faccia il suo rientro da una finestra laterale. Ma il fisiologo è comunque molto attento e, nel momento in cui parla in più occasioni di due forze che esprimono la complessità dell’organismo biologico, una di ordine metafisico che fa in modo che vi sia una trasmissione organica, e una di ordine fisico-chimico che fa in modo che determinate condizioni si sviluppino e giungano alla propria manifestazione, non teme di sottolineare come la causalità tra le due sia tutta a favore delle condizioni fisico-chimiche:

Si può dire, in una parola, che vi sono negli organismi due forze: la forza legislatrice, metafisica; la forza esecutiva, fisico-chimica. Ora, noi possiamo cogliere nei nostri studi soltanto le forze esecutive fisiche, dal momento che le altre sono puramente soggettive, al di fuori della nostra portata e senza effetto retroattivo. Si può affermare come conseguenza della proposizione precedente: la fisica agisce sulla metafisica, ma mai la metafisica agisce sulla fisica[13].

Per concludere su una possibile vicinanza tra le impostazioni (lontanissime) di Darwin e Bernard, è possibile affermare che, in entrambi, l’operatore fondamentale sia l’infinita variazione dell’individuo, nel primo in quanto permette la costruzione di una “narrazione” nella storia naturale e la costruzione della più importante ipotesi biologica della modernità, l’evoluzione della specie, nel secondo in quanto permette la costruzione di un metodo fisiologico sul quale si fonda ancor’oggi la pratica clinica e medica. Si tratta di un medesimo terreno di partenza: l’humus è l’individuo, non più la specie.

  1. Terzo momento: la definizione di “vita latente” come determinante per la nozione di “vita”

All’interno della seconda lezione del corso Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux, Claude Bernard ha parlato delle tre manifestazioni della vita, la quale «risulta da un conflitto, da una relazione stretta e armonica tra le condizioni esteriori e la costituzione prestabilita dell’organismo»[14], tra ambiente esteriore e ambiente interiore (milieu intérieur). Le tre manifestazioni sono: la vita latente che è la vita che non si manifesta, la vita oscillante che è la vita soggetta a manifestazioni variabili e comunque strettamente dipendente dall’ambiente esterno, la vita costante che è la vita caratterizzata da manifestazioni libere e indipendenti dall’ambiente esterno.

È un dato di fatto che Bernard si sofferma sulla prima manifestazione, quella latente, in misura maggiore rispetto alle altre (anche semplicemente contando il numero di pagine che vi dedica), il che indica un percorso chiaro da seguire in vista della de-complessificazione della vita e della costruzione del metodo. Le tre manifestazioni della vita possono essere lette come in progresso: la prima, la vita latente, è quella maggiormente assoggettata all’ambiente esterno, l’ultima, la vita costante, è quella maggiormente indipendente. Si tratta di un cammino che conduce a manifestazioni più libere e a una maggiore indipendenza dell’organismo dall’ambiente esterno. All’interno di questo percorso, più logico che cronologico, la vita latente assume una funzione determinante per le stesse definizioni della nozione di vita che il fisiologo francese ha lasciato.

Sono note queste definizioni: la vita è morte e la vita è creazione, entrambe connesse ai fenomeni della nutrizione. Queste importanti definizioni, secondo le quali un organismo è caratterizzato da forme di dispendio organico (distruzione/morte) e di sintesi organica (produzione/creazione), risultano particolarmente evidenti all’interno degli organismi (tra i quali rientrano anche le piante – Claude Bernard è un’antidualista) caratterizzati da vita latente. L’idea, insomma, è che, per giungere alla definizione di cos’è la vita, occorra andare alle “origini” stesse della vita, nel senso di andare a cercare negli organismi più semplici, le ragioni della complessità. L’esempio utilizzato da Claude Bernard è molto noto: quando un infusore viene essiccato, i primi fenomeni a scomparire sono quelli di distruzione organica che, facendo scomparire le proprietà fisiche e chimiche dei tessuti, impediscono la possibilità della creazione organica (il riferimento è alle teorie di Chevreul); quando poi viene restituita l’umidità, le prime manifestazioni che si avvertono sono di distruzione organica delle riserve, poi ricomincia il percorso di sintesi e creazione[15].

La vita latente, allora, permette a Claude Bernard di delimitare alcune questioni fondamentali della sua ricerca fisiologica. In primo luogo permette di determinare le caratteristiche fondamentali della vita ma soprattutto di assoggettare le manifestazioni alle condizioni: la vita può essere anche un presupposto metafisico, ma per manifestarsi e proseguire nel suo “disegno” non può che essere assoggettata alle determinazioni fisico-chimiche del proprio ambiente (esteriore o interiore che sia). In secondo luogo – e strettamente connessa alla prima conclusione – la vita latente permette di determinare quella che è la relazione fondamentale per Claude Bernard, l’“armonia prestabilita” tra condizioni e costituzione dell’organismo.

Se, insomma, l’osservazione della vita latente, in connessione con la teoria cellulare, permette a Bernard di scendere nel laboratorio microscopico della vita, questa stessa osservazione conduce il fisiologo verso la necessità di pensare un’armonia prestabilita o un “parallelismo” che ricorda da vicino alcune ipotesi metafisiche della prima modernità. Per Claude Bernard, nel suo cammino di costruzione di una scienza fisiologica fondata su un metodo sperimentale, il percorso deve essere quello della de-complessificazione della vita: la vita latente è il punto d’appoggio per mostrare come un organismo sia determinato da alcuni processi vitali di creazione e distruzione organica e che questi processi non possono che essere determinati dalle condizioni fisico-chimiche. Per raggiungere le manifestazioni libere della vita organica sviluppata (la vita costante), occorre sottolineare come le condizioni fisico-chimiche siano temporalmente precedenti e fondamentali. Si tratta insomma di un circolo “vizioso” (o, perché no?, virtuoso): le condizioni fisico-chimiche determinano le manifestazioni vitali, le manifestazioni vitali in questo senso “messe in moto” possono variare all’infinito (la questione della “variazione individuale”), l’infinità delle variazioni può sempre essere ricondotta alle determinazioni fisico-chimiche di partenza come variazione sul “tema”.

  1. Quarto momento: fisiologia e obliterazione della riflessione morfologica

Un ultimo punto sul quale conviene soffermarsi è quello che riguarda il problema dell’assenza di una riflessione morfologica all’interno della costruzione del metodo della fisiologia generale di Claude Bernard. L’ipotesi è che questa assenza sia connessa con gli elementi fondamentali della sua fisiologia: la teoria cellulare e la sintesi organica. La morfologia, il problema della forma, è un problema secondario, o, per meglio dire, un problema che attiene alle manifestazioni e non alle condizioni. La questione è sempre la medesima: la de-complessificazione della vita e la costruzione del metodo impongono la centralità delle condizioni, le uniche a poter essere in senso stretto un “oggetto scientifico”, perché le manifestazioni, per quanto importanti possano sembrare, appartengono a un campo estraneo ed esterno alla scienza, si tratta dunque di metafisica, e non concorrono al progresso del sapere fisiologico.

Il problema del rapporto tra materia e forma è strettamente connesso allo studio della teoria cellulare. Su questo punto, Claude Bernard mostra una duplicità (o contraddizione) che va segnalata: da un lato la cellula va studiata nella sua composizione e le singole cellule possono essere analiticamente isolate per studiarne le proprietà, dall’altro le cellule entrano sempre e comunque, negli organismi superiori, all’interno di sistemi organici complessi che mostrano attitudini e proprietà funzionali specifiche. La questione è: come la materia delle cellule si compone in determinate forme? E ancor di più: è questa una domanda lecita per la fisiologia generale?

La risposta di Claude Bernard è diretta:

La fisiologia segnala l’esistenza di leggi morfologiche, ma essa non le studia. Queste leggi morfologiche derivano da cause che sono al di fuori della nostra portata; la fisiologia conserva nel suo dominio soltanto ciò che è alla nostra portata, cioè le condizioni fenomeniche e le proprietà materiali mediante le quali si può giungere alle manifestazione della vita. Lo studio delle leggi morfologiche costituisce il dominio della zoologia e della fitologia. Aristotele considerava che, nell’essere vivente, ciò che vi è di più essenziale, è proprio quella forma che gli è così profondamente impressa da una sorta di eredità ancestrale. La zoologia era dunque per lui lo studio della vita stessa. Oggi noi separiamo la fisiologia dalla zoologia, perché noi separiamo la fenomenologia vitale dalla morfologia vitale[16].

Ma come avviene allora la creazione organica? Abbiamo visto come una delle definizioni di vita che Claude Bernard “costruisce” è quella riguardante la capacità che avrebbe di “creare”, la cosiddetta sintesi organica. Ma cosa crea la vita? Il problema riguarda proprio il fatto che la vita crea la forma attraverso un disegno vitale[17]. Ancora una volta si tratta del ritorno del rimosso, cioè del vitalismo? Forse, no. Ancora una volta, si tratta del fatto che Claude Bernard per costruire il metodo della fisiologia generale ha bisogno di postulare un qualcosa che non può essere colto “scientificamente” e che questa determinazione opera in maniera sorda e viene delimitata dalle sue forme di manifestazione connesse a determinate condizioni. La questione è che la morfologia è un dato di fatto, le cellule si aggregano e si funzionalizzano necessariamente costruendo una forma specifica che attiene a funzioni specifiche. Il perché questo avvenga è al di fuori della fisiologia, il fatto stesso che avvenga, però, è determinante per il sapere fisiologico, nella misura in cui permette la possibilità di analisi delle condizioni attraverso cui avvengono queste manifestazioni.

Il sistema bernardiano è duplice non tanto perché mescola il piano meccanicista e determinista e il piano vitalista e finalista: è duplice nella misura in cui occorre postulare l’esistenza di una specificità della vita per poterla ricondurre alle sue condizioni essenziali, sulla base delle quali, tra l’altro, è possibile costruire l’intervento medico e clinico. Si tratta del medesimo dispositivo che abbiamo visto agire all’interno della questione della variazione individuale: i fenomeni vitali variano all’infinito, ed è proprio la variazione a permettere la nascita della teoria secondo la quale stato fisiologico e stato patologico rappresentano soltanto varianti e non stati differenti per natura. Ancora una volta, ciò che è necessario rimuovere rappresenta ciò da cui è necessario partire.

L’aspetto più interessante – e su questo chiudiamo – è che si avverte in Claude Bernard come l’esigenza di distinguere la fenomenologia vitale dalla morfologia vitale sia un atto teorico e non pretenda di attingere alla verità assoluta della vita. Quando si trova a discutere della forma delle conchiglie e della loro materia e soprattutto dei fenomeni che regolano la loro composizione fisico-chimica in relazione con altre forme di “creazione” naturale, Claude Bernard fa riferimento a due “tempi”, che differiscono per natura, della creazione vitale:

Queste comparazioni tra le forme minerali e le forme viventi costituiscono soltanto delle analogie del tutto lontane, e sarebbe imprudente esagerarle. Basta segnalarle. Esse devono semplicemente farci comprendere meglio la separazione teorica tra questi due tempi della creazione vitale: la creazione o sintesi chimica, la creazione o sintesi morfologica, che, nei fatti, sono confuse per la loro simultaneità, ma che non ne sono meno essenzialmente distinte nella loro natura[18].

  1. Note conclusive: la costruzione del quadro epistemologico – è vera dialettica quella tra scienza e metafisica?

Centrale, dunque, nella riflessione di Claude Bernard, della quale si è cercato di rendere conto delle “costruzioni concettuali” e delle contraddizioni produttive, è l’esigenza di costruire un quadro epistemologico, all’interno del quale tutte le esperienze possano trovare una cornice di riferimento. Claude Bernard tenta di sfuggire in ogni modo ai limiti di un approccio meramente empirico, nonostante le osservazioni dei suoi predecessori siano state per lui fondamentali. Il compito che si affida Claude Bernard – e in questo probabilmente si trova la sua grandezza – è quello di slegare la fisiologia dalle altre scienze naturali (soprattutto anatomia comparata, zoologia e botanica), portarla al rango di scienza autonoma e generale, dare nuovi impulsi alla connessione tra una medicina di laboratorio e una medicina “clinica”.

Si tratta di un progetto che si è rivelato decisivo: la medicina moderna funziona con i medesimi dispositivi epistemologici che Claude Bernard ha contribuito a costruire.

In questo senso e partendo da questa prospettiva abbiamo deciso di lavorare intorno ad alcuni dispositivi che sarebbero stati messi in campo dal fisiologo francese al fine di compiere questa operazione.

In primo luogo, Claude Bernard cerca di svincolare la fisiologia generale dalle polemiche e dai confronti tra meccanicisti e vitalisti. La sua strategia è semplice: semplificare ed estremizzare le posizioni degli uni e degli altri per mostrane le deficienze e per aprire un nuovo territorio, al di là e al di fuori di questa querelle, che possa fungere da base teorica per la fondazione della fisiologia generale – essa trova la sua realizzazione nella dialettica condizioni/manifestazioni, laddove le condizioni appartengono all’ambito fisico-chimico e possono essere oggetto di scienza, le manifestazioni, nella loro infinita complessità, appartengono all’ambito vitale e possono essere oggetto di congetture metafisiche. La questione è quella riguardante il circolo vizioso/virtuoso di cui abbiamo discusso: senza le manifestazioni variabili non si potrebbero determinare le condizioni, senza le condizioni non si potrebbero determinare le manifestazioni. Insomma, servono entrambe le determinazioni per la costruzione della scienza fisiologica. La moderna metafisica della vita serve per la costruzione della moderna scienza della vita. O, forse, come direbbe Foucault, entrambe sorgono sul medesimo terreno epistemologico e sono espressione del medesimo archivio[19].

Dunque, si ritorna a parlare di metafisica della vita. In effetti, la funzione che ha all’interno del quadro epistemologico bernardiano è, allo stesso tempo, di punto di partenza e di ostacolo. Punto di partenza nella misura in cui, soprattutto in medicina, ma in realtà anche nella realtà naturale stessa, noi abbiamo a che fare sempre con una “variante” individuale, l’una differente dall’altra; ostacolo perché ogni variante deve essere ricondotta necessariamente a una misurazione quantitativa, anzi non “deve”, ma “può”. E lo stesso discorso può essere fatto intorno alla “vita latente” o intorno al problema della morfologia.

La domanda a cui difficilmente potrà essere data risposta è se questo quadro epistemologico che si fonda su una difficile convivenza tra metafisica della vita e scienza della vita sia una sorta di punto di approdo definitivo, il modo più conveniente di trattare la questione, o se sia possibile pensare altrimenti. Ma questo è tutt’altro discorso.


[1] Cfr. G. Canguilhem, L'évolution du concept de méthode de Claude Bernard à Gaston Bachelard, in Études d’histoire et de philosophie des sciences (1968), Vrin, Paris 1975, pp. 163-171.

[2] Secondo la nostra prospettiva – che la grandezza di Bernard consiste nell’aver ripensato e ristrutturato all’interno di un quadro epistemologico coerente tutte le più importanti innovazioni del suo secolo – può giovare ricordare che fu proprio grazie alla “scoperta” della teoria cellulare a opera di Schleiden e Schwann prima e di Virchow poi (tutti allievi di Müller), che è stato possibile pensare la “patologia” come “vita”, certo una vita sotto condizioni fortemente mutate, ma pur sempre “vita”. Per una ricostruzione della situazione complessa e confusa della medicina ai tempi di Bernard cfr. L. Premuda, Claude Bernard e gli indirizzi della fisiologia e della medicina nel secolo XIX, in Claude Bernard. Scienza, filosofia, letteratura (a cura di M. Di Giandomenico), Bertani, Verona 1982, pp. 153-166. 

[3] Id., Il normale e il patologico (1966), tr. it. Einaudi, Torino 1998, p. 61.

[4] Del resto, lo stesso Claude Bernard era convinto di questo: «Questo è il motivo per cui, pur riconoscendo la superiorità dei grandi uomini, nondimeno penso che, nell’influenza particolare o generale che questi hanno sulle scienze, sono sempre e necessariamente più o meno funzione del loro tempo». (Cfr. C. Bernard, Il progresso nelle scienze fisiologiche, in C. Bernard, Un determinismo armoniosamente subordinato, a cura di D. Salottolo, Mimesis, Milano 2014, p. 68).

[5] Sulla questione del vitalismo/meccanicismo di Claude Bernard e il fatto che il fisiologo possa essere ascritto, con non troppe storture interpretative, a entrambe le “tradizioni”, ci permettiamo di rinviare a D. Salottolo, Claude Bernard e lo strano caso del suo “determinismo armoniosamente subordinato”, in C. Bernard, Un determinismo armoniosamente subordinato, cit., pp. 7-41.  

[6] Curiosamente, lo stesso Canguilhem, nel rivendicare Claude Bernard alla tradizione vitalista, lo segue in questa impostazione tipologica. Cfr. G. Canguilhem, Aspetti del vitalismo, in Id., La conoscenza della vita (1952), tr. it. Il Mulino, Bologna 1976, pp. 125-147.

[7] Cfr. C. Bernard, Definizione della vita. Le teorie antiche e la scienza moderna, in Id. Un determinismo armoniosamente subordinato, cit., p. 91.

[8] Id., Fr. Magendie. Leçon d’ouverture au Course de Médecine du Collège de France, J.-B. Baillière, Paris 1856. Le traduzioni di questo passaggio e degli altri a venire, dove non sia esplicitata una traduzione italiana, sono da considerarsi nostre.

[9] Cfr. R. Andrault, Définir le vitalisme. Les lectures de Claude Bernard, in Claude Bernard et la méthode de la physiologie (sous la direction de F. Duchesneau, J.-J. Kupiec et M. Morange), Éditions Rue d’Ulm, Paris 2013, pp. 133-152.

[10] Cfr. C. Bernard, Definizione della vita, cit., pp. 94-103.

[11] Cfr. F. Magendie, Précis élémentaire de physiologie, Paris 1817, t. 1, pp. 19-20.

[12] Cfr. C. Bernard, De la physiologie générale, Hachette, Paris 1872, p. 309.

[13] Id., Leçons de la physiologie opératoire, J.-B. Baillière, Paris 1879, p. XV.

[14] Id., Leçons sur les phénomènes de la vie, communs aux animaux et aux végétaux , J.-B. Baillière, Paris 1878, p. 67.

[15] Cfr. ibid., pp. 96-103.

[16] Ibid., pp. 341-342.

[17] Cfr. ad esempio quanto scrive Bernard nel saggio già citato Definizione della vita: «C’è come un disegno vitale che traccia il piano di ogni essere e di ogni organo, in modo che, se, considerato isolatamente, ogni fenomeno dell’organismo è tributario delle forze generali della natura, ma se presi nella loro successione e nel loro insieme, essi sembrano rivelare un nesso specifico; essi sembrano, da qualche condizione invisibile guidati nel cammino che seguono, nell’ordine che li collega», C. Bernard, Un determinismo armoniosamente subordinato, cit., p. 114.

[18] C. Bernard, Leçons sur les phénomènes de la vie, cit., p. 296.

[19] Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose (1966), tr. it. BUR, Milano 2004.

    1. [14] M.C. Escher, cfr. la litografia Il giorno e la notte, 1938, o la xilografia Metamorfosi II, 1939.

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