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La critica all’antropologia razziale di Stephen Jay Gould

Autore


Giovanni Altadonna

ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Catania

Indice


  1. Osservazioni di uno scienziato sulla dismisura umana
  2. Un precedente importante: Ontogenesi e filogenesi
  3. Intelligenza e pregiudizio: contesto storico-epistemologico
  4. Gould contro Morton: pregiudizio?

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S&F_n. 27_2022

Abstract


The critique of ratial anthropology in Stephen Jay Gould

In this article I aim to draw a summary of Stephen Jay Gould’s critique of racial anthropology, part of the more general contestation of biological determinism and the ideological use of biology. It is highlighted how this theme has represented a constant commitment, both intellectual and civil, for the American paleontologist, with particolar reference to Ontogeny and phylogeny and to The Mismeasure of Man. Finally, it is briefly described the controversy surrounding Gould’s critique of Samuel G. Morton, which shows the long range of Gould’s work and the importance of the epistemological problem of the relationship between data and expectation.

  1. Osservazioni di uno scienziato sulla dismisura umana

«Alla memoria di mia nonna e di mio nonno, che qui vennero, lottarono e prosperarono, nonostante Goddard»[1]. È introdotto da questa epigrafe Intelligenza e pregiudizio – titolo originale The Mismeasure of Man – fondamentale saggio di Stephen Jay Gould, una delle figure più importanti della storia della scienza del XX secolo[2]. Egli, paleontologo di professione, era convinto che la storia della scienza avesse molto da insegnare agli stessi scienziati circa la natura della loro impresa. In particolare, Gould non perse mai occasione per criticare le teorie deterministiche e riduzioniste in biologia; accompagnando sempre alle precise ragioni epistemologiche della contestazione il monito verso le implicazioni sociali e politiche della scienza. Non senza ragioni personali e biografiche.

Infatti, Stephen Jay Gould era nipote di immigrati yiddish, ebrei ungheresi, negli Stati Uniti. Egli non fa mistero del fatto che una delle ragioni della stesura di Intelligenza e pregiudizio fosse proprio il ricordo dei propri nonni e di quanti, come loro, affrontarono l’emigrazione verso gli Stati Uniti in un periodo storico (i primi decenni del Novecento) in cui la società civile e la politica rinunciarono de facto ai principi di uguaglianza e libertà che de jure fondano la nazione americana. Ciò avvenne nel nome di supposte verità scientifiche, le quali miravano a preservare la “razza” e lo stile di vita wasp contro tutte le categorie giudicate “inferiori”: dai neri alle donne, dagli immigrati dell’Europa mediterranea e orientale ai (presunti) malati di mente[3].

La critica all’antropologia razziale che Gould conduce in Intelligenza e pregiudizio rappresenta solo il momento culminante di una riflessione che attraversa il suo intero itinerario intellettuale: la critica al determinismo biologico e al rapporto fra scienza e ideologia. Questo articolo intende ripercorrere brevemente soltanto alcuni aspetti di questo complesso argomento. Saranno esposte: le prime istanze contro il determinismo biologico in Ontogenesi e filogenesi; le implicazioni epistemologiche del tema in Intelligenza e pregiudizio; la controversia circa la critica di Gould a Samuel G. Morton.

 

  1. Un precedente importante: Ontogenesi e filogenesi

La prima opera importante in cui Gould valuta le implicazioni ideologiche della biologia è Ontogenesi e filogenesi, il suo primo trattato specialistico. Esso è dedicato allo studio storico e teorico della teoria della ricapitolazione (o teoria biogenetica) di Ernst Haeckel, secondo cui l’ontogenesi (ovvero lo sviluppo embrionale) ripercorre pedissequamente le tappe della filogenesi (cioè della storia evolutiva), e di conseguenza i tratti giovanili di una certa specie corrisponderebbero a quelli adulti di un progenitore. In estrema sintesi, la tesi di Gould è che, pur ammettendo la confutazione della teoria di Haeckel, di essa sia opportuno conservare e sviluppare due nozioni fondamentali per le scienze biologiche: l’eterocronia – «le mutazioni nei tempi relativi di apparizione e nel ritmo dello sviluppo dei caratteri già presenti nei progenitori»[4] – e la pedomorfosi, ovvero la conservazioni di tratti fenotipici infantili nell’adulto, per ritardo (neotenia) o accelerazione (progenesi) dello sviluppo somatico.

Ontogenesi e filogenesi contiene un intero capitolo (il quinto) espressamente dedicato agli usi della teoria della ricapitolazione come supporto “scientifico” alla dottrina del determinismo biologico. Esso mira infatti a evidenziare «che le arcane ricerche degli accademici di clausura possono essere pregne di rilevanza sociale, e che il distacco scientifico e l’oggettività assoluta sono solo un mito»[5]. Il titolo, Influenza dilagante, è più che appropriato per definire la pervasività della teoria di Haeckel in campi diversi da quello della biologia evoluzionistica: «sospetto che la sua influenza, in quanto esportata dalla teoria evolutiva ad altri campi, fu inferiore soltanto a quella della selezione naturale nel diciannovesimo secolo»[6]. Gould estrapola degli esempi da cinque ambiti in cui la teoria della ricapitolazione ebbe un peso determinante: l’antropologia criminale, il razzismo, lo sviluppo infantile, l’educazione primaria e la psicoanalisi. Ai fini della nostra analisi è interessante ripercorrere brevemente i primi due.

L’antropologia criminale della scuola di Lombroso fondò l’origine ereditaria e innata della criminalità in certi individui proprio sulla teoria della ricapitolazione. Il delinquente è, secondo questa dottrina, l’esponente di un passato evolutivo distante e violento, che si manifesta in un mondo civile e progredito a partire da certe caratteristiche tipiche: gli atavismi. In conformità alla teoria di Haeckel, il criminale non è però soltanto un primitivo in una società di uomini moderni (filogenesi), ma possiede anche, in maniera permanente, la violenza tipica dello stadio infantile che gli individui normali superano durante lo sviluppo (ontogenesi)[7].

Gli esempi più significativi dell’applicazione ideologica della teoria della ricapitolazione sono però relativi, secondo Gould, al razzismo scientifico: «Pochi legami sono più intimi e pervasivi di quelli tra il razzismo e le affermazioni degli scienziati (non le chiamerei affermazioni scientifiche) sulla diversità umana prima della Seconda Guerra Mondiale. Di conseguenza, non c’è da stupirsi del fatto che il primo argomento per la ricapitolazione in morfologia fu formulato secondo un’impronta razzista»[8]. La teoria della ricapitolazione fornisce, nelle sue conseguenze politiche, una giustificazione razionale del colonialismo e delle discriminazioni razziali in generale:

Per chiunque voglia affermare l’ineguaglianza innata delle razze, pochi argomenti biologici possono essere più attraenti della ricapitolazione, con la sua insistenza sul fatto che i bambini delle razze superiori (invariabilmente i propri) passano attraverso e oltre le condizioni permanenti degli adulti nelle razze inferiori. Se gli adulti delle razze inferiori sono come i bambini bianchi, allora devono essere trattati come tali – sottomessi, disciplinati, guidati (oppure, nella tradizione paternalistica, educati ma ugualmente sottomessi). L’argomento del “primitivo-bambino” fu uno dei più importanti nell’arsenale degli argomenti razzisti forniti dalla scienza per giustificare la schiavitù e l’imperialismo[9].

Gould non manca di sottolineare come l’imporsi delle pretese scientifiche del razzismo mostri quanto sia frequente, nell’affermazione ideologica di una teoria scientifica, il ricorso all’argomento positivistico dell’oggettività del metodo induttivo come garanzia di ottenere una teoria libera-da-valori. Sennonché l’ironia tragica di questa illusione è che gli stessi dati che avrebbero dovuto mostrare una gerarchia di facoltà mentali innate fra le popolazioni umane sono privi di valore[10].

Dopo aver esposto una carrellata di esempi relativi a questo tema, Gould precisa: «non sto selezionando le affermazioni pazzesche di un periodo passato. Sto citando le opere principali di leader riconosciuti. L’influsso del determinismo sociale, la mancanza di sensibilità nei confronti dell’influenza dell’ambiente, e il desiderio manifesto di incoronare il proprio gruppo come biologicamente superiore sono caratteristiche del tempo – e ancora oggi non sono estinte»[11]. La conformità della prassi politica agli assunti razziali tratti dalla teoria della ricapitolazione, specifica Gould, non fu accidentale: ciò «è testimoniato da due tipi di evidenze. Innanzitutto, molti scienziati trassero esplicitamente conclusioni politiche nei loro libri di amplia diffusione. […] In secondo luogo, molti politici e uomini di stato utilizzarono l’argomento del primitivo-bambino facendo un inchino esplicito alla scienza e alla ricapitolazione»[12].

Al fine di evidenziare ulteriormente il peso decisivo dei pregiudizi razziali nei primi decenni del Novecento, e più in generale l’inconsistenza del paradigma empirista, Gould evidenzia come la diffusione dell’idea di pedomorfosi in luogo della ricapitolazione avrebbe dovuto condurre gli scienziati a conclusioni diametralmente opposte circa la supremazia biologica dei bianchi nei confronti delle altre “razze”. Se, in accordo alla pedomorfosi, gli individui evolutivamente più “progrediti” sono quelli che da adulti mantengono caratteristiche somatiche infantili, bisognava concludere che gli adulti neri, assomigliando ai bambini bianchi, dovevano essere superiori agli adulti caucasici. Osserva Gould:

Inutile a dirsi, non accadde niente del genere. Ho presentato questa proposta di ciò che sarebbe potuto accadere non come un’ipotesi plausibile, ma semplicemente per illustrare con un po’ di retorica l’assurdità di ogni affermazione secondo cui gli scienziati agiscono “oggettivamente” su questioni così vitali per gli interessi dei loro padroni (e per la loro stessa posizione privilegiata). Infatti, i fondatori della pedomorfosi dimenticarono tranquillamente tutti i vecchi dati sugli “adulti neri simili ai bambini bianchi” e cominciarono a cercare delle informazioni opposte che avrebbero riaffermato il razzismo sulla base dell’opposto modello pedomorfico[13].

Alla fine del capitolo, Gould osserva che la teoria della ricapitolazione implica il determinismo biologico in tutti i contesti in cui è stata applicata. Inoltre, esso può essere declinato ideologicamente sia in senso “liberale” (nel caso della psicologia dello sviluppo e della pedagogia) che in senso “conservatore” (da parte dell’antropologia criminale e razziale):

Il tema comune è il determinismo biologico. Tutti i sostenitori della ricapitolazione l’hanno usato per fare affermazioni biologiche sulla natura umana e per difendere la nozione di inevitabilità per alcuni aspetti del comportamento e dello status sociale. […] Considerare l’innato equivalente all’inevitabile conduce quasi sempre a giustificare lo status quo – poiché questo non sarebbe sorto se fosse stato in opposizione con la nostra natura.[14]

È interessante osservare che il capitolo IV di Intelligenza e pregiudizio, La misurazione dei corpi. Due casi della natura scimmiesca degli indesiderabili[15] è dedicato proprio alla teoria della ricapitolazione e all’antropologia criminale di Lombroso quali teorie quantitative di ispirazione evoluzionistica volte a discriminare su base biologica i popoli “inferiori”, le donne, i poveri, i criminali. Ciò mostra chiaramente la portata di Ontogenesi e filogenesi per il successivo itinerario intellettuale di Gould, non solo per quanto pertiene al tema generale del determinismo biologico, ma anche riguardo all’impiego di particolari argomenti e concetti. Infatti, anche l’importanza della neotenia quale fattore fondamentale dell’evoluzione biologica e culturale umana sarà oggetto di particolare attenzione nel capitolo conclusivo di Intelligenza e pregiudizio (Una conclusione positiva)[16] dove Gould scrive: «Non conserviamo soltanto lo stampo anatomico dell’infanzia, ma pure la sua flessibilità mentale. L’idea che la selezione naturale dovrebbe aver lavorato per la flessibilità nell’evoluzione animale non è un concetto ad hoc nato per la speranza ma un’implicazione della neotenia come processo fondamentale della nostra evoluzione. Gli uomini sono animali che apprendono»[17]. Quanto al determinismo biologico come dottrina volta a consolidare lo status quo, la quale condiziona le possibilità di realizzazione individuale di molte persone, sempre in Intelligenza e pregiudizio Gould afferma: «Il determinismo biologico è, nella sua essenza, una teoria dei limiti. Essa considera lo stato corrente di gruppi come una misura di dove essi dovrebbero e devono stare (anche se permette ad alcuni rari individui di elevarsi in conseguenza della loro fortunata biologia)»[18].

Gould conclude il capitolo quinto di Ontogenesi e filogenesi, che come abbiamo cercato di mostrare può essere a buon diritto considerato un illustre precedente di Intelligenza e pregiudizio, con una partecipata e decisa presa di posizione contro il determinismo biologico, dal tono quasi autobiografico:

Sappiamo oggi che tutti gli argomenti citati in questo capitolo sui vincoli basati sulla ricapitolazione sono sostanzialmente errati. Eppure essi ebbero grande importanza all’epoca, perché la scienza si esprimeva in loro favore e l’asserzione liberale di una potenzialità non vincolata puzzava di sentimentalismo. Gli antideterministi hanno sempre questa croce da portare, ma il collasso degli argomenti ricapitolazionisti sulle potenzialità umane suggerisce che la storia potrebbe essere dalla loro parte[19].

 

 

  1. Intelligenza e pregiudizio: contesto storico-epistemologico

Intelligenza e pregiudizio può essere considerato il culmine dell’attenzione di Gould verso i rapporti complessi fra l’obiettività in cui si impegna la scienza e le sue componenti extra-scientifiche. In questo libro il vasto tema del determinismo biologico, ovvero la dottrina per cui «le norme comportamentali comuni e le differenze sociali ed economiche tra i gruppi umani – in primo luogo razze, classi e sessi – derivano da distinzioni innate ereditate, e che la società, in questo senso, è un esatto riflesso della biologia»[20], è circoscritto attraverso “tre cornici teoriche” a un’indagine sulla giustificazione delle differenze mentali tra i gruppi umani operata dagli scienziati nel corso dell’Ottocento e ancora nel Novecento[21]. Il libro non affronta in generale il tema vastissimo del rapporto fra scienza e pregiudizi sociali, bensì «tratta una forma particolare di rivendicazione quantificata sulla classificazione dei gruppi umani: la tesi secondo cui l’intelligenza può essere correttamente rappresentata da un solo numero, in grado di classificare gli uomini secondo la scala lineare di un valore mentale connaturato e inalterabile»[22].

Gould ritiene che la critica al determinismo biologico sia «senza tempo e insieme legata al momento»[23]. Essa ha validità universale in quanto gli argomenti deterministi si fondano su fallacie epistemologiche quali:

il riduzionismo, ovvero il desiderio di spiegare vasti fenomeni irriducibilmente complessi e in parte casuali con il comportamento deterministico delle singole e più piccole parti costituenti […]; la materializzazione, ovvero la propensione a convertire un concetto astratto (come l’intelligenza) in un’entità concreta […]; la tendenza a ragionare per dicotomie, ossia la nostra inclinazione ad analizzare la realtà complessa e ininterrotta attraverso coppie di opposti […]; e la gerarchia, ossia la nostra inclinazione a ordinare gli elementi classificandoli secondi una scala lineare di valore crescente […][24].

Ma essa è anche congiunturale nella misura in cui tali motivi riaffiorano in corrispondenza di certe condizioni sociopolitiche che li favoriscono[25]. La scelta di approntare una edizione riveduta del libro è legata proprio a una ragione occasionale: la pubblicazione, nel 1994, di The Bell Curve di Herrnstein e Murray, la più rilevante difesa del determinismo biologico dell’intelligenza apparsa in tempi recenti.

Un aspetto della questione che Gould tiene a sottolineare in quanto più volte frainteso riguarda il dualismo natura-cultura. Egli sostiene: «Di tutte le false e fuorvianti dicotomie che ostacolano la nostra comprensione della complessità del mondo, “natura contro cultura” deve classificarsi fra le prime due o tre (ma è un’opposizione fasulla, enfatizzata solo dall’eufonia dei sostantivi)»[26]. Ebbene, una strategia retorica usata sovente dai deterministi per difendersi dalle accuse è precisare la percentuale di componente innata (biologica) e componente appresa (culturale) dell’intelligenza. Gould osserva in proposito che trincerarsi dietro tale argomento significa non cogliere il nucleo della questione:

I problemi davvero rilevanti sono la flessibilità e la malleabilità, non le fallaci ripartizioni in percentuali. Un tratto può essere per il 90 per cento ereditario, eppure del tutto malleabile. Un paio di occhiali da venti dollari acquistato nella farmacia locale può correggere completamente un difetto della vista ereditario al 100 per cento. Un biodeterminista “al 60 per cento” non è un moderato interazionista, ma un determinista di quelli “piuttosto innocui”[27].

Nel primo capitolo[28], Gould afferma chiaramente che, piuttosto che postulare un’illusoria dicotomia fra cattivi deterministi e scienziati obbiettivi, Intelligenza e pregiudizio ha come scopo la critica contro «il mito che la scienza stessa sia un’impresa oggettiva, fatta correttamente solo quando gli scienziati possono uscire dal guscio della loro cultura e osservare il mondo com’è realmente»[29]. Questo perché «la scienza, dal momento che viene praticata dall’uomo, è un’attività socialmente inserita»[30] e pertanto il rilevamento di pregiudizi inconsci nell’attività dei deterministi biologici deve essere intesa come particolare aspetto dell’assunto più generale per cui «la scienza debba essere compresa come un fenomeno sociale, come una coraggiosa impresa umana, non come il lavoro di automi programmati per raccogliere informazione pura»[31]. Tale convinzione, precisa Gould, non equivale ad abbracciare una visione relativistica della scienza: «ritengo che una realtà fattuale esista e che la scienza, sebbene in maniera spesso ottusa ed errata, possa imparare da essa»[32]. Eppure, quando la scienza si concentra su temi di particolare rilevanza sociale e politica, essa è quasi inevitabilmente influenzata dal contesto culturale e da assunzioni concettuali errate ma persistenti nella tradizione filosofica occidentale, quali la reificazione della coscienza e la classificazione gerarchica. Entrambe queste nozioni compongono un terzo errore epistemologico, ovvero l’idea che l’intelligenza sia un’entità misurabile, secondo i metodi della craniometria nel XIX secolo e mediante l’uso dei test mentali nel XX secolo.

Questo libro riguarda, quindi, l’astrazione dell’intelligenza come entità singola, la sua collocazione dentro il cervello, la sua quantificazione in un numero per ogni individuo e l’uso di questi numeri per classificare le persone in una singola serie di valore, per trovare invariabilmente che i gruppi oppressi e svantaggiati – razze, classi o sessi – sono innatamente inferiori e meritano il loro stato. In breve, questo libro riguarda l’erronea misurazione dell’uomo, così come è stata condotta fino ad oggi[33].

Gould precisa poi il suo metodo di lavoro interdisciplinare: l’analisi dei calcoli degli illustri scienziati dei secoli scorsi per denunciare la falsa pretesa di oggettività dei dati numerici. «Se – come credo di aver dimostrato – i dati quantitativi sono soggetti alla costrizione culturale come ogni altro aspetto della scienza, allora non devono avere nessuna speciale pretesa sulla verità finale»[34].

Fra i vari capitoli che compongono Intelligenza e pregiudizio, in questa sede ci occupiamo in particolare del secondo: La poligenesi e la craniometria in America prima di Darwin. Neri e indiani considerati come specie separate e inferiori[35]. Esso ha per oggetto l’antropologia razziale fra Settecento e Ottocento, caratterizzata dal dibattito fra monogenismo e poligenismo: teorie che sostengono, rispettivamente, un’origine comune o separata dei gruppi umani. La poligenesi postulava l’esistenza delle razze umane come il risultato di atti di creazione separati: essa era la tesi “dura” del razzismo pre-darwiniano. Sebbene meno diffusa rispetto alla teoria monogenista (in quanto implicava un’interpretazione non letterale della Genesi), la poligenesi riscosse sostenitori di spicco: nel XVIII secolo, David Hume e Charles White nell’ambiente anglosassone, e soprattutto Louis Agassiz e Samuel George Morton, a metà Ottocento, in quello americano.

Proprio il medico di Philadelphia Samuel G. Morton era ben noto ai suoi contemporanei per aver radunato un’imponente collezione di crani umani allo scopo di misurare la capacità cerebrale delle razze, con l’assunto di verificare la gerarchia dell’intelligenza fra quelle che egli riteneva specie umane separate. «Morton iniziò la sua collezione di crani umani negli anni venti; ne aveva più di mille quando morì nel 1851. Amici (e nemici) si riferivano al suo grande ossario come al “Golgota americano”»[36]. Il suo metodo, che dava per implicita un’equivalenza fra dimensioni del cervello e intelligenza individuale, si basava sul riempimento della cavità cranica con semi di senape e, in seguito, con pallini di piombo (che restituivano risultati meno incerti). Le sue conclusioni, riassunte in tabelle indicanti la capacità cranica media per ogni razza, sono esposte in tre volumi: Crania Americana (1839) sugli indiani d’America, Crania Aegyptiaca (1844) sui crani delle tombe egizie, e infine la tabulazione complessiva dei dati tratti dalla sua collezione (1849). Queste tavole

rappresentano il maggior contributo della poligenesi americana ai dibattiti sull’ordinamento razziale. Esse sono sopravvissute alla teoria delle creazioni separate e sono state ristampate ripetutamente nel corso del XIX secolo come dati “rigorosi” e irrefutabili sul valore intellettuale delle razze umane. Senza bisogno di dirlo, esse si accordavano con i pregiudizi di ogni buon Yankee: i bianchi in cima, gli indiani nel mezzo e i neri in fondo; e, tra i bianchi, teutoni e anglosassoni in cima, ebrei nel mezzo e indù in fondo[37].

Dal momento che Morton non omise di segnalare le misurazioni “grezze” nei suoi resoconti, Gould ha potuto rianalizzarle, scoprendo una manipolazione dei dati significativa (ed evidentemente involontaria, altrimenti non si spiegherebbe perché Morton non nascose i dati che avrebbero potuto smentirlo). Questa osservazione ci riconduce direttamente alla cifra epistemologica del testo di Gould:

La frode cosciente è probabilmente rara nella scienza. Non è neanche molto interessante, perché essa ci dice poco sulla natura dell’attività scientifica. I mentitori, se scoperti, vengono scomunicati; gli scienziati dichiarano che la loro professione si è vigilata appropriatamente e ritornano al lavoro con la mitologia intatta e obiettivamente vendicata. La prevalenza di mistificazioni inconsce, d’altro canto, suggerisce una conclusione generale sul contesto sociale della scienza. Perché, se gli scienziati possono essere onestamente autoingannati sino al livello di Morton, allora il pregiudizio sottostante può essere trovato ovunque, anche nei fondamenti del misurare ossa e fare somme[38].

Gould esamina dettagliatamente le fallacie e le omissioni contenute nei calcoli di Morton nelle tre opere sopra citate, allo scopo di far emergere non solo gli errori personali di Morton, ma delle essenziali e impreviste fragilità epistemiche, potenzialmente presenti in ogni impresa scientifica[39].

In particolare, Gould evidenzia che la discrepanza fra le misurazioni con i semi di senape e con i pallini di piombo (i quali riducono significativamente il margine di errore), appare prevedibilmente maggiore per i gruppi umani considerati inferiori, mentre è minore per i bianchi:

Scenari plausibili sono facili da costruire. Morton, misurando con i semi, prende un cranio di nero terribilmente grande, lo riempie senza pigiare e lo scuote appena. Prende poi un cranio di bianco penosamente piccolo, lo scuote energicamente e pressa con forza con il pollice nel foramen magnum. È facilmente fatto, senza motivazione cosciente; le aspettative sono una potente guida all’azione[40].

Dopo aver riscontrato analoghe distorsioni dei dati anche nella tabulazione finale del 1849, Gould conclude: «In breve la mia correzione dell’ordinamento convenzionale di Morton non rivela differenze significative tra le razze in base agli stessi dati forniti da Morton»[41]. In definitiva, egli individua quattro categorie di errori inconsapevoli in Samuel G. Morton: 1. «inconsistenze propizie e criteri mutevoli»; 2. «soggettività diretta verso un pregiudizio aprioristico»; 3. «omissioni procedurali apparentemente ovvie»; 4. «calcoli errati e opportune omissioni»[42].

 

  1. Gould contro Morton: pregiudizio?

La critica di Gould all’opera di Morton, sviluppata nel secondo capitolo di Intelligenza e pregiudizio a partire da un articolo dello stesso Gould pubblicato su “Science” nel 1978[43], è stata oggetto di una diatriba iniziata nel 2011 e continuata fino a tempi recentissimi.

Essa è stata innescata da un articolo a firma di un gruppo di antropologi americani coordinati da Jason E. Lewis, intitolato (in evidente parodia rispetto al titolo originale del libro di Gould): The Mismeasure of Science: Stephen Jay Gould versus Samuel George Morton on Skulls and Bias[44]. Tale studio è rivolto a rispondere alla domanda: «did Morton allow his a priori views on human variation to impact the data and analyses he published, as Gould argues?»[45]. La risposta degli autori è negativa: «Our results resolve this historical controversy, demonstrating that Morton did not manipulate data to support his preconceptions, contra Gould. In fact, the Morton case provides an example of how the scientific method can shield results from cultural biases»[46]. Essi asseriscono ciò sulla base di una revisione delle analisi di Gould sulle misurazioni di Morton e, soprattutto, di una nuova misurazione di «almost half of the skulls that Morton had originally measured»[47]. Gli autori concludono che, «Ironically, Gould’s own analysis of Morton is likely the stronger example of a bias influencing results»[48]. Essi considerano la loro analisi in pieno accordo con i presupposti metodologici di Gould, tanto da affermare che, se egli avesse potuto leggerla, l’avrebbe accolta come un appropriato esercizio epistemologico, sebbene contrario alle proprie conclusioni. Lewis e colleghi sostengono che Morton, nonostante Gould, può essere un buon esempio di come, sebbene gli scienziati possano essere soggetti al pregiudizio, i metodi della scienza in quanto tali possono costituire una garanzia contro il rischio di deformazioni dettate dalle aspettative: «The Morton case, rather than illustrating the ubiquity of bias, instead shows the ability of science to escape the bounds and blinders of cultural contexts»[49].

Il paper di Lewis e colleghi ha sollevato diverse reazioni. Il giornalista Nicholas Wade, in un articolo del 2011 per il New York Times, ha posto l’accento sulla nuova misurazione dei crani della collezione di Morton come prova del fatto che lo studio dello scienziato ottocentesco non fosse condizionato dal pregiudizio. Nello stesso articolo sono riportati alcuni giudizi di Lewis e colleghi su Gould. Se il primo autore, l’antropologo di Stanford Jason E. Lewis, non si sbilancia nel giudicare deliberato o meno il (presunto) fraintendimento di Gould su Morton, il collega Ralph L. Hollolay della Columbia University è molto meno accomodante, definendo Gould «a charlatan», viziato dall’ideologia[50]. D’altra parte, come è stato evidenziato da Rickards e Biondi nel 2011, Lewis e colleghi hanno effettuato le misurazioni su solo 308 dei 670 crani studiati da Morton, un campione insufficiente per verificare o smentire alcunché[51].

La prima risposta all’articolo di Lewis e colleghi apparsa in sede accademica risale al 2014 e si deve a Michael Weisberg il quale, pur evidenziando alcune incongruenze nella critica di Gould a Morton, ritiene la sua tesi della distorsione inconsapevole dei dati nell’opera dello scienziato ottocentesco del tutto valida:

[…] Gould’s charge that Morton’s analyses exhibit racial bias seems well‐justified. Gould made some analytical errors which were uncovered by Lewis et al., but his two most important claims – that there is evidence that Morton’s seed‐based measurements exhibit racial bias and that there are no significant differences in mean cranial capacities across races in Morton’s collection – are sound[52].

Un’altra replica a Lewis e colleghi è stata avanzata nel 2015 da Jonathan M. Kaplan, Massimo Pigliucci e Joshua A. Banta[53]. La tesi da loro sostenuta è che, da un lato, Lewis e colleghi siano nel torto nel riabilitare Morton e dunque la critica di Gould a quest’ultimo sia pertinente, ma dall’altro essi non ritengono che questa offra un’alternativa convincente. Sia Lewis e colleghi sia Gould condividerebbero la convinzione che i dati di Morton possano essere interpretati in qualche modo, ora in modo corretto, ora distorti da un pregiudizio inconsapevole. Kaplan e colleghi, piuttosto, ritengono che, quand’anche il campione esaminato da Morton e revisionato da Gould e da Lewis e colleghi sia esaustivo (e non lo è), da un suo riesame non si potrebbe ricavare alcuna informazione utile dal momento che non risulterebbe chiaro in che termini classificare le eventuali variazioni riscontrate (dal momento che i confini fra “popolazioni” umane non sono ben definite e la stessa classificazione che Morton diede ai suoi crani presenta delle ambiguità). Essi scrivono:

[…] while we agree with Lewis et al. That Gould’s statistical analysis of Morton’s data is in many ways no better than Morton’s own, we believe that Lewis et al.’s work is at least equally problematic. Gould was, in ourview, right to recognize that there was something very wrong with Morton’s analysis; but he went wrong himself in trying to find a “better” analysis. Lewis et al. are right that Gould’s analysis isn’t better, but wrong to think that Morton’s is appropriate[54].

Kaplan et al. riscontrano diverse criticità metodologiche nel lavoro di Lewis e colleghi: essi (così come Michael Weisberg e Diane B. Paul)[55] ritengono che la nuova misurazione dei crani di Morton da parte del team di Lewis, sebbene abbia ricevuto ampia visibilità dai media come prova dell’attendibilità delle loro conclusioni (cfr. supra l’articolo di Wade), non costituisca l’aspetto più importante del loro lavoro; anzi, affermano che esso sia del tutto irrilevante rispetto alla critica a Gould. Come ricordano Kaplan e colleghi, infatti, lo stesso Gould aveva ammesso che «le ricalibrature non variavano mai più di un pollice cubo e possiamo accettare il giudizio di Morton secondo cui le misure con i pallini erano obiettive, accurate e ripetibili, mentre le misure precedenti ottenute con i semi erano altamente soggettive e irregolari»[56]. Dunque la tesi che Lewis e colleghi attribuiscono a Gould, per cui Morton avrebbe erroneamente misurato i crani (anche) col metodo dei pallini di piombo, è inconsistente: proprio perché i dati di Morton ricavati col secondo metodo risultano corretti, Gould ha potuto rintracciare la discrasia fra i valori ottenuti con le due misurazioni e, incidentalmente, verificare che il divario maggiore si riscontra nel caso degli africani e ipotizzare così l’inconsapevole sottostima della capacità craniale delle “razze” non-caucasiche[57].

Kaplan e colleghi si soffermano altresì su rappresentazioni distorte e assurdità riportate da Lewis e colleghi a proposito delle tesi di Gould; ad esempio quella per cui egli avrebbe riconosciuto in Morton uno scienziato autore di consapevoli alterazioni dei dati e di misurazioni erronee; tesi, questa, insostenibile, dal momento che lo stesso Gould scrive:

In breve, e per dirla esplicitamente, i suoi compendi [di Morton, scil.] sono un mosaico di fandonie e mistificazioni nel chiaro interesse di verificare convinzioni aprioristiche. Tuttavia – e questo è l’aspetto più affascinante del caso – non ho trovato alcuna prova di frode cosciente; invero, se Morton fosse stato un truffatore, non avrebbe pubblicato i suoi dati così apertamente[58].

Dopodiché, Kaplan e colleghi si concentrano sulla tesi più impegnativa (e, a giudizio di chi scrive, più discutibile) del loro articolo: essi sostengono che vada posta una distinzione fra ciò che intendeva dimostrare Morton (da loro giudicata una questione non chiara) e ciò che secondo Gould egli intendeva mostrare, ovvero la classificazione gerarchica delle razze umane sulla base del criterio dell’intelligenza, di cui la capacità cranica è considerata un riflesso esatto[59]. Essi scrivono: «It is possible that Morton had no particolar purpose in mind»[60]. Mi sembra sia abbastanza chiaro, a partire dalle citazioni di Morton in merito riportate da Gould[61], che non possano sussistere dubbi sul fatto che la collezione di Morton e gli studi relativi avessero come esplicito intento quello di provare, se non esclusivamente, quantomeno anche le tesi dell’antropologia razziale nella versione poligenista[62].

L’ultimo intervento circa tale controversia è quello pubblicato da Paul W. Mitchell nel 2018[63]. Egli, tramite lo studio di fonti archivistiche, e in particolare annotazioni manoscritte inedite da parte di Morton sulle sue opere, è giunto alla conclusione che sebbene la critica di Gould alle misurazioni effettuate da Morton con i semi debba essere considerata errata, resta pienamente valido il monito di Gould circa la pervasività del pregiudizio nella scienza. La tesi di Mitchell è che, sebbene le misurazioni di Morton (comprese, contra Gould, quelle effettuate con il metodo dei semi) possano ritenersi oggettive, non lo sono le teorie che Morton ricava da quei dati. L’autore evidenzia a tal proposito come un contemporaneo di Morton, Friedrich Tiedemann, sostenesse l’uguaglianza delle razze umane e l’abolizione della schiavitù sulla base di metodi analoghi e di dati craniometrici simili a quelli di Morton, negli stessi anni in cui lo scienziato di Philadelphia usava tali dati e tali metodi per affermare la poligenesi delle razze umane, la gerarchia intellettuale delle razze e l’ineluttabilità naturale della schiavitù dei neri. Mitchell a tal proposito sottolinea i limiti epistemici dei dati (tema già evidenziato da Kaplan et al.) e il carattere insidioso del pregiudizio all’interno del contesto psicologico, storico e culturale di elaborazione delle teorie scientifiche.

Va peraltro notato che lo stesso Gould, dedicando a Tiedemann un saggio[64], aveva additato in lui un esempio di come l’aspettativa possa condizionare l’esame dei dati non solo nel caso di scienziati razzisti e deterministi, ma anche nel caso di scienziati con ideologie diametralmente opposte. Sotto questo aspetto, la “questione” Morton rimane decisamente istruttiva: non si tratta di una diatriba fra scienziati “razzisti” viziati dall’ideologia e scienziati “liberali” fedeli all’obbiettività, quanto piuttosto un monito sull’insidiosa pervasività del pregiudizio nella scienza. A tal proposito, ritengo sia opportuno lasciare la parola allo stesso Gould il quale, in Intelligenza e pregiudizio, aveva precisato:

Questo libro cerca di dimostrare le debolezze scientifiche e i contesti politici delle tesi deterministiche. Però, con ciò non intendo contrapporre cattivi deterministi che smarriscono la strada dell’obiettività scientifica e illuminati antideterministi che si accostano ai dati con mente aperta e vedono quindi la verità. Critico, piuttosto, il mito che la scienza stessa sia un’impresa oggettiva, fatta correttamente solo quando gli scienziati possono uscire dal guscio della loro cultura e osservare il mondo com’è realmente[65].

 


[1] S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo (1996), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2016.

[2] Cfr. R. York, B. Clark, The science and humanism of Stephen Jay Gould, Monthly Review Press, New York 2011; A. Ottaviani, Stephen Jay Gould, Ediesse, Roma 2012; F. Civile, B. Danesi, A.M. Rossi (a cura di), Grazie brontosauro! Per Stephen Jay Gould, ETS, Pisa 2012.

[3] Cfr. S.J. Gould, op. cit., pp. 30-34.

[4] Id., Ontogenesi e filogenesi (1977), tr. it. Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 16.

[5] Ibid., p. 19.

[6] Ibid., p. 113.

[7] Cfr. ibid., pp. 117-118.

[8] Ibid., p. 121.

[9] Ibid., p. 122.

[10] Cfr. ibid., p. 123.

[11] Ibid., p. 125.

[12] Ibid., pp. 125-126.

[13] Ibid., p. 128.

[14] Ibid., pp. 153-154.

[15] Cfr. Id., Intelligenza e pregiudizio, cit., pp. 145-179.

[16] Cfr. ibid., pp. 371-384.

[17] Ibid., p. 384.

[18] Ibid., pp. 56-57.

[19] Id., Ontogenesi e filogenesi, cit., p. 154.

[20] Id., Intelligenza e pregiudizio, cit., p. 48.

[21] Cfr. ibid., pp. 13-19.

[22] Ibid., p. 12.

[23] Ibid., p. 19.

[24] Ibid., pp. 19-20.

[25] Cfr. ibid., p. 21.

[26] Ibid., p. 27.

[27] Ibid., p. 28.

[28] Cfr. ibid., pp. 47-58.

[29] Ibid., p. 49.

[30] Ibid., p. 50.

[31] Ibid.

[32] Ibid.

[33] Ibid., p. 53.

[34] Ibid., p. 55.

[35] Cfr. ibid., pp. 59-103.

[36] Ibid., p. 81.

[37] Ibid., p. 84.

[38] Ibid., p. 85.

[39] Cfr. ibid., pp. 87-100.

[40] Ibid., p. 96.

[41] Ibid., p. 98.

[42] Ibid., pp. 98-99.

[43] Cfr. Id., Morton’s ranking of races by cranial capacity: Unconscious manipulation of data may be a scientific norm, in «Science», 200, 1978, pp. 503-509.

[44] Cfr. J.E. Lewis, D. DeGusta, M.R. Meyer, J.M. Monge, A.E. Mann, R.L. Holloway, The Mismeasure of Science: Stephen Jay Gould versus Samuel George Morton on Skulls and Bias, in «PLoSBiol», 9(6), 2011: e1001071.

[45] Ibid., p. 1.

[46] Ibid.

[47] Ibid.

[48] Ibid., p. 5.

[49] Ibid., p. 6.

[50] N. Wade, Scientists Measure the Accuracy of a Racism Claim, in «New York Times», June 14, 2011, section D, p. 4.

[51] Cfr. O. Rickards, G. Biondi, Gould si è sbagliato su Morton?, pubblicato il 07/07/2011 su https://www.scienzainrete.it/articolo/gould-si-%C3%A8-sbagliato-su-morton/olga-rickards-gianfranco-biondi/2011-07-07 (ultimo accesso il 25/02/2021).

[52] M. Weisberg, Remeasuring man, in «Evolution&Development», XVI, 3, 2014, pp. 166-178. Il testo citato si trova a p. 177.

[53] J.M. Kaplan, M. Pigliucci, J.A. Banta, Gould on Morton, Redux: What can the debate reveal about the limits of data?, in «Studies in History and Philosophy of Biological and BiomedicalSciences», 30, 2015, pp. 1-10.

[54] Ibid., p. 1.

[55] Cfr. M. Weisberg, Remeasuring man, cit.; M. Weisberg, D.B. Paul, Morton, Gould, and Bias: A Comment on “The Mismeasure of Science”, in «PLoSBiol» 14(4), 2016: e1002444.

[56] S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, cit., p. 95.

[57] Cfr. ibid., pp. 84-85; cfr. anche M. Weisberg, Remeasuring man, cit.; M. Weisberg, D.B. Paul, Morton, Gould, and Bias…, cit.; P.W. Mitchell, The fault in his seeds: Lost notes to the case of bias in Samuel George Morton’s cranial race science, in «PLoSBiol», 16(10), 2018: e2007008.

[58] S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, cit., pp. 84-85 e cfr. supra, § 3.

[59] Cfr. J.M. Kaplan et al., Gould on Morton, Redux…, cit., p. 5.

[60] Ibid., p. 8.

[61] Cfr. S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, cit., pp. 81-87 (passim).

[62] Cfr. anche M. Weisberg, Remeasuring Man, cit.; P.W. Mitchell, The fault in his seeds…, cit., p. 3.

[63] Cfr. P.W. Mitchell, The fault in his seeds…, cit.

[64] Cfr. S.J. Gould, Il grande fisiologo di Heidelberg, in Id., I Have Landed. Le storie, la Storia (2002), tr. it. Codice, Torino 2009, pp. 403-422.

[65] Id., Intelligenza e pregiudizio, cit., p. 49; cfr. supra, § 3.

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