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Scomparire nell’alterità. L’intelligenza artificiale attraverso Jean Baudrillard

Autore


Valerio Specchio

Università Federico II di Napoli

VALERIO SPECCHIO ha conseguito la Laurea Magistrale presso l’Università Federico II di Napoli

Indice


  1. Tra enigma e artificio
  2. Iperrealtà, trasparenza e scrittura automatica del mondo. In proiezione dell’uno
  3. Dispersione nello schermo. Pensiero e alterità

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S&F_n. 27_2022

Abstract


Disappearing into otherness. Artificial intelligence through Jean Baudrillard

This essay face the question of artificial intelligence starting from key concepts of Baudrillard’s thought. The first section will be focused on delimitating the research field on which investigate AI. In the second section, the concept of hyper-reality will be used as passe-partout to access reflections of the French philosopher. Lastly, in the final section, the relationship between intelligence and thought will emerge as nuclear question in the ontological short-circuit caused by digital revolution.

  1. Tra enigma e artificio

Il problema del conosci te stesso, in quanto problema fondativo della civiltà occidentale, è rimasto immutato. O meglio, ha assunto una declinazione apparentemente de-soggettivizzata in nome di un'asettica neutralità ideologica della tecnica. Difatti, l'intelligenza artificiale risponderebbe a due funzionalità: da un lato, capacità di calcolo nella risoluzione di problemi preimpostati, o meglio, autonomia di decisione inerente task delimitati (funzione ausiliare); dall'altro, apertura a possibilità inedite circa la “conoscenza” del cervello umano, fino alla conquista di possibilità meta-esistenziali inedite per homo sapiens (funzione ri-trasfigurante). Riprendendo le parole di Margaret Boden: «L’IA ha due obiettivi principali. Un obiettivo è tecnologico: usare i computer per fare cose utili (qualche volta impiegando metodi molto diversi da quelli usati dalle nostre menti). L’altro obiettivo è scientifico: usare i concetti e i modelli dell’IA per contribuire a rispondere a interrogativi che riguardo gli esseri umani e altri esseri viventi»[1].

Computazione, Big Data, machine learning, Internet of Things, algoritmi, decentralizzazione dell’identità, con la “rivoluzione digitale” è l’ambiente, la cosiddetta infosfera, a diventare protagonista. Gli users della neo-esistenza proiettata e datizzata hanno come unico fondamento ontologico la ri-produzione e consegna di dati/informazioni, o meglio, il divenir corpo trasmettitore dell’informazione. Ed è qui che si gioca il Tutto. Nel ripensare il soggetto occidentale, con le piattaforme metafisiche che lo ancoravano, in quanto data subject.

La distinzione tra identità assoluta e alterità assoluta, nella cornice della digitalizzazione, sembrerebbe incominciare a sfumare. Su tale versante, l’IA risulta volto, al contempo manifesto e celato, sussurrante una quanto mai feconda domanda sul nostro tempo. Rivoluzione, quindi, nel senso etimologico, re-volvere: ri-tornare, ri-volgersi al punto di partenza dopo aver compiuto un giro completo. Ma di quale compimento e ritorno stiamo parlando?

Da che mondo è mondo, secondo il principio di identità e non contraddizione, l’interfaccia orienta l’esperienza. A partire dal corpo, ovvero il più antico modello di interfaccia, anthropos non ha mai prodotto nulla se non le narrazioni per interpretare sé stesso, come a dire che ogni identità non ha potuto che ramificare a partire dall’alterità originaria.

Il digitale, in quanto matrice fondativa di sviluppo dell’IA, risulta imperitura ri-ontologizzazione d’identità nell’infosfera. Eterodirezione inaudita degli enti sulla scia di un progresso apparentemente consegnato al necessario, così come vuole l’ideologia capitalistica di sovrapposizione tra sviluppo tecnologico e natura, nell’estrapolazione dell’infinito a partire dal finito.

Ciò a dire che la questione dell’intelligenza artificiale non può che esser “appendice organica”, ovvero consequenziale prosecuzione, di una specifica direzione intrapresa da anthropos nella propria piattaforma di astrazione logico-ontologica degli enti, tra cui evidentemente se stesso.

La codificazione digitale è la nuova porta d’accesso per la neo-realtà, ovvero, la manomissione del design bio-infomatico dell’algoritmo “Umano”. L’idealismo costitutivo della civiltà digitale suggerirebbe che la posta in gioco più alta della trascendenza dell’Umano nel Dio monoteistico dell’unità algoritmica dell’IA abbia una destinazione ben precisa: la scomparsa.

Conclusione dell’avventura ominide o tras-figurazione totale nell’ignoto e indistinto amorfo bagliore dello screen?

Su questo punto le riflessioni di un pensatore come Jean Baudrillard possono aprire scenari interpretativi quanto mai utili per scandagliare la neo-esistenza schermata di homo sapiens.

Pertanto, ipotizzando che il limite e fine ultimo del soggetto occidentale, in quanto volontà di potenza meta-individuale storicamente determinantesi, non consista nient’altro che nella commistione con il tanto agognato oggetto che, di volta in volta, non è altro che riflesso sfasato del soggetto conoscente, attraverso l’IA sembrerebbe possibile arrivare all'istantaneità dell’intelligenza con sé stessa.

Ovvero, così come affermato da Nick Bostrom, avvicinarsi alla singolarità in quanto «possibilità di un’esplosione di intelligenza, in particolare una superintelligenza delle macchine […] [in una tale ottica] le intelligenze artificiali potrebbero essere – anzi, è probabile che per la maggior parte saranno – estremamente aliene»[2].

Ecco trovate delle prime coordinate di indagine: che posto assegnare alla “singolarità”? È possibile che anthropos, impiegato nello sviluppo del proprio apparato tecno-mediatico, stia per attraversare una soglia di non ritorno nella sua originaria e fondante domanda circa il “conoscere se stessi”? È possibile che la de-codificazione della totalità degli enti possa far emergere una rete informatica in quanto alterità assoluta?

Così come lucidamente espresso da Giuseppe Lissa in riferimento al concetto di singolarità descritto da Raymond Kurzweil nel suo testo “La singolarità è vicina”: «il divenire ha un senso: promuovere l’intelligenza. E quando l’intelligenza giungerà al punto dal quale potrà controllare e orientare il processo dell’evoluzione, allora una decisione di imporrà. È quello che accadrà nel momento in cui irromperà la Singolarità: “quel che direi è che l’intelligenza è più potente della cosmologia. Cioè, una volta che la materia evolve in materia intelligente (materia completamente satura di processi intelligenti) può manipolare altra materia e altra energia perché faccia ciò che vuole”, realizzi, cioè, “l’universo che vuole”. Alla fine del processo che vedrà una vera e propria esplosione di intelligenza, “l’universo sarà saturato dalla nostra intelligenza”»[3].

A questo punto è possibile individuare i quattro fronti investigativi che, nel loro intrecciarsi, restituiscono la questione dell’IA nella sua “rivoluzione”: intelligenza, controllo, energia, universalità. La novella cristiana, in quanto impalcatura fondativa della metafisica latente nello sviluppo scientifico, vorrebbe un ricongiungimento tra Creatore-Figlio e creatura. Ri-percorrendo questo piano, è indubbio che anthropos, così com'è conosciuto fino a oggi, non potrà che esser crocifisso per una resurrezione in: «un'iperrealtà esatta e inumana, in cui possiamo finalmente godere della nostra assenza e della vertigine del disincarnarsi»[4].

A che tipo di scomparsa sembrerebbe consegnarsi il neo-Umano? Che la telemorfosi digitale comporti un cortocircuito ontologico tra identità e alterità? Che postura assume il pensiero nell’attraversare la cantilena solipsistica del computazionale?

 

  1. Iperrealtà, trasparenza e scrittura automatica del mondo. In proiezione dell’Uno.

Per Jean Baudrillard, «tutta l’intelligenza artificiale, la telesensorialità»[5] va ricondotta al concetto di “scrittura automatica del mondo”, ovvero, la «realizzazione incondizionata del mondo attraverso l’attualizzazione di tutti i dati, mediante la trasformazione di tutti i nostri atti e di tutti gli eventi in pura informazione»[6].

L’iperrealtà del mondo digitale trova il proprio fondamento nell’identità bio-informatica di ogni ente con sé stesso: analisi e computazione, di-scioglimento absolutus del reale nel superamento dell’era della rappresentazione simbolica, ovvero, frattura definitiva tra significante e significato: «non c’è una scena e non c’è ne distanza ne sguardo critico o estetico: è l’immersione totale, e le innumerevoli immagini che ci vengono da questa sfera mediatica non appartengono all’ordine della rappresentazione ma a quello della codificazione e del consumo visivo»[7].

L’infosfera risulta ri-produzione equivalente del dato fisico attraverso medium scardinanti il concetto stesso di reale/originario/vero/autentico nella proiezione digitale che trova nel numerico il proprio tastare/manipolare ontologico. Energia e controllo, ecco ritrovati i due fronti problematici da investigare nella conversione della materia in informazione.

Riprendendo le lucide parole di Yuval Noah Harari in merito alla “religione dei dati”, per la quale il valore supremo è il flusso di informazioni, «possiamo interpretare l’intera specie umana come un unico sistema di elaborazione dati, con gli individui che assolvono la funzione di chip»[8].

In una tale sovrapposizione tra scansione biologica del vivente secondo il pacchetto informativo del DNA e sviluppo tecnologico di elaborazione dati, la “soluzione finale” secondo l’ottica baudrillardiana, potrebbe coincidere con l’Internet-di-Tutte-le-Cose, o l’avvento della singolarità così come indicato da Nick Bostrom nel suo testo Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie.

E su questo punto, ovvero, su questo «fantasma neghentropico di una informazione totale»[9] in cui tutto acceda alla “coscienza di sé”, che tutto diventi operativo e significante (mai significato), che tutta la materia diventi energia e informazione, è possibile rinvenire la congiuntura teorica di alcuni dei concetti cardine posti da Baudrillard: «da dove ricaviamo l'energia se non dalla smobilitazione del nostro corpo, dalla liquidazione del soggetto e dalla sostanza materiale del mondo? La soluzione finale è trasformare tutta l'energia in pura informazione»[10].

Attraverso la digitalizzazione «la sfera stessa del reale non è più scambiabile con quella del segno […] passa nella simulazione e nella speculazione pura dell’universo virtuale, quello dello schermo totale»[11] in cui «la funzione più alta del segno è quella di far scomparire la realtà e di mascherare nel contempo questa scomparsa»[12].

Prodotto ultimo e mai ultimato di tutto ciò, sembrerebbe essere l’imprevedibile diramarsi dell’IA in ogni anfratto della vita di homo sapiens. L’individuo iperreale, difatti, non è altro che «soggetto d’enunciazione ripiegato sopra un soggetto d’enunciato»[13], ovvero, superfice schermata di proiezione dati, al contempo generatore e trasmettitore/consumatore destinato all’imperituro aggiornamento comportato dalla digitalizzazione.

Anthropos è condotto cavo dell’informazione, ovvero, della neo-impalcatura mediatica ponente fine alla questione del soggetto in quanto tale. Difatti, il passaggio di consegna tra soggetto e oggetto, così come suggerito da Baudrillard, sembrerebbe essersi compiuto nella deposizione di ogni possibile narrativa deterministico-unidirezionale.

Anthropos, abbandonando ogni linearità, non può che con-segnarsi in quanto conduttore del loop: più informazioni ed energia riesce a proiettare più risulta “reale”, o meglio “iperreale”, sancendo un debito ontologico mai saldabile poiché il concetto stesso di origine evapora nella riproduzione indistinta del codice, vero e proprio cortocircuito di inizio e fine.

Manifesto plastico di tutto ciò, agli occhi di Baudrillard, furono le Twin Towers: «il fatto che siano due implica la perdita di qualsiasi riferimento originale […] solo lo sdoppiamento del segno pone veramente fine a ciò che esso designa»[14]. Ecco allora che l’11 settembre, l’evento iperreale per antonomasia, non trovò/trova il proprio compimento nell’impatto materiale degli aerei sugli edifici newyorkesi, bensì, nella proliferazione mediatica, senza soluzione di continuità, dell’immagine dell’evento stesso.

Il terrore e la virulenza delle immagini, stagnandosi nell’immaginario di anthropos, al di fuori della sfera determinstico-temporale, sembrerebbero confermarsi in quanto destino di proiezione verso l’Uno del digitale. Come a dire che l’inconscio richiamo del mondo schermato tradisca una tensione erotica nel collasso identitario. Il processo identificativo, che nella codificazione digitale sembrerebbe raggiungere il proprio apogeo, si rovescia nel proprio opposto.

Anthropos, quindi, una volta proiettato nell’iperrealtà risulta s-facciato, irriconoscibile, nell’ossessiva conferma di esser ancor presente nell’in-definitiva scomparsa del reale. Ciò spiegherebbe l’emergenza di uno scambio impossibile del mondo con sé stesso nella perdita del terreno simbolico in quanto scambio di alterità e rapporto duale, ovvero, impossibilità di un campo di referenza e trascendenza di ogni dato da sé stesso.

Il digitale, quindi, in quanto inizio e fine, causa ed effetto, delle “macchine virtuali di computazione”, non sarebbe altro che polarizzazione identitaria nella perdita dell’altro attraverso la neutralizzazione dell’alterità. Monologo funebre professato dinanzi la carcassa dell’analogia e quindi dell’artificio, in quanto possibilità di “alterazione di forme simboliche”.

Ed è su questo punto che Baudrillard pone il concetto di singolarità in quanto cortocircuito ontologico tra identità e alterità. La riconduzione della materia nel cavo informatico comporta, difatti, secondo una scansione ritmico-esistenziale paragonabile a una «gigantesca impresa di simulazione e parodia del divenire»[15], una frattura ontologica tra l’ente materiale e il suo “doppio” codificato. La questione dell’origine è definitivamente abbandonata. Difatti, attraverso tale «nuclearizzazione dei corpi nei sistemi reticolari»[16] si vorrebbe arrivare all’equivalente definitivo, ciò che Baudrillard chiama “soluzione finale” nella «messa in opera di un artefatto perfetto, virtuale e tecnologico, tale che il mondo si possa scambiare con il suo doppio artificiale»[17].

La simulazione, pertanto, risulterebbe essere materializzazione informatica di un dispositivo di estirpazione del “negativo”, dell’altro, dell’assenza, dell’illusione, del non-essere, e al contempo, dimensione ultima per la loro emersione virtuale, ovvero, più reale del reale. Nella luce causticante della positività del codice si profila un altro concetto dirimente per il filosofo francese, quello della trasparenza, nell’anestesia dello sguardo in quanto punto di contatto con l’alterità.

Nello schermo iperreale vi è una riconciliazione definitiva di soggetto e mondo che trova ne “l’istantaneità totale delle cose”[18] la propria propagazione virale. Ogni ente, riconsegnato alla trasparenza di sé stesso, somministrato a un dover essere che lo precede, incarna un debito arbitrariamente posto. Su questo, ancora una volta, la metafisica occidentale non si sconfessa.

Pertanto, l’individuo simulato nel digitale, disseminato nei vari profili omo-ego, risulta figura ultima de “il medium è il messaggio”[19]: «l'informazione non è altro che la confusione paradossale dell'evento e del medium, la più alta definizione del medium corrisponde alla più bassa definizione del messaggio»[20]. Ciò per dire che, più si va attingendo nella codificazione dell’ente, più quest’ultimo perde “peculiarità” e pertanto risulta ancor più trasmissibile e commutabile fino a risultare mera forma e canale di trasmissione in un indistinto insignificante. Come se l’intera proiezione mediatica non fosse altro che la professione di un mantra, nell’irreperibile vagito emesso nella perdita di ogni dimensione. Come se homo sapiens non abbia altro obiettivo che scomparire nel proprio medium.

Nel mondo digitale, il significante, ingoiando ogni significato, permette la restituzione di ogni ente al proprio profilo schermato, facendo decadere ogni possibile prospettiva deterministica circa il “qui e ora” aprendo le porte dell’indeterminazione a loop. IA, quindi, in quanto volto prodotto/riflesso dall’indeterminazione originaria nella perdita di referenzialità tra fenomeno e sistema di riferimento.

Ed è su questo punto che risiede la violenza esercitata dal medium nei confronti dell’ente ritrascritto poiché tale violazione/violenza abita nel «vuoto dello schermo, grazie al buco che esso apre nell’universo mentale»[21]. Non a caso, Baudrillard paragona la condizione iperreale dell’umano digitalizzato allo “stato di terrore dello schizofrenico” di fronte «la sovraesposizione e la trasparenza al mondo, che lo attraversa senza che egli possa opporre un ostacolo. Il punto è che egli non può più produrre i limiti del suo essere, e non può più riflettersi: non è altro che uno schermo assorbente, una piattaforma girevole e insensibile di tutte le reti d’influenza»[22].

In una tale ottica, la conversione dell’ente fisico in codice/canale informatico onnitrasmissibile, non sarebbe altro che il patologico manifestarsi della civiltà occidentale nel suo delirio identitario in quanto unica contro-prova dell’esser ancor presente di fronte l’impalcatura tecnologica in tensione dell’universalizzazione dell’energia: «Il Bene, un tempo metafora ideale dell’universale, è diventato una realtà inesorabile, quello della totalizzazione del mondo sotto il segno della tecnica»[23].

In altre parole, il desiderio ultimo soggiacente allo sviluppo dell’AI consisterebbe nel sopracitato concetto di singolarità, nell’esplosione di una strong AI capace di proliferare nell’imprevedibile, materializzando nella meta-carne dell’informazione l’alterità assoluta.

Quale strumento-artificio-prodotto potrebbe mai esser più “occidentale” di un’intelligenza artificiale incapace di riconoscere nient’altro che sé stessa e porsi, in tal modo, alterità assoluta rispetto a ogni altra identità? Ancora una volta, le impronte digitali di anthropos si confermano: identità autoinvestita di una pretesa universale nel “ripulire” ogni ente che non corrisponda al codice preimpostato. Ovvero, sterminio e neutralizzazione dell’altro, nella riconduzione dell’ordine secondo un’autoinvestitura garantita da una missione messianica. Ogni passaggio dal Chaos al Kosmos viene scandito dal conflitto e la digitalizzazione suggerisce che il conflitto risulti essere incamerato nell’identità stessa di anthropos nella «coerenza indivisa delle statistiche. [in quanto] Estroversione irrimediabile, come l’incertezza»[24].

Il neo-Umano iperreale, in quanto “dead unit of information[25], ritrova nell’IA quella operatività senza soggetto in quanto riflesso del proprio intimo bramare: «la Grande Sparizione, quindi, non è più semplicemente quella della trasmutazione virtuale delle cose, in cui la realtà rimanda a se stessa all’infinito, ma quella della divisione all’infinito del soggetto, di una polverizzazione a catena della coscienza in tutti gli interstizi della realtà»[26].

Non affrontare l’ustione ontologico identitaria messa in evidenza dalla neo-esistenza digitale renderebbe qualsiasi discorso circa l’intelligenza artificiale sterile, o meglio, tautologico: «l’Intelligenza Artificiale genera forzatamente un’Intellighenzia Artificiale, un corpo di esperti intellettualmente corretti e geneticamente immuni, che si ricostituisce attorno a dati numerici dell’intelligenza e alla padronanza digitale del codice»[27].

 

 

  1. Dispersione nello schermo. Pensiero e alterità

Energia e iperrealtà, controllo e scrittura automatica del mondo, universalità e trasparenza.

Le tre questioni poste come sonde investigative trovano corrispondenza nei concetti forniti da Baudrillard: l’universalità digitale risulta raggiungibile attraverso la deframmentazione definitiva di ogni ente nella proiezione iperreale del codice bio-informatico. Che tutto divenga informazione, che tutto divenga energia teletrasmessa e non più incarnata, che il Tutto si riavvolga su sé stesso, perdendo ogni orientabilità, come fosse un nastro di Möbius.

A questo punto è possibile affrontare il cuore pulsante della questione: il rapporto tra intelligenza e pensiero, o meglio tra identità e alterità nell’esistenza schermata di anthropos dinanzi «una scrittura automatica del mondo nell’assenza del mondo. Equivalenza totale, schermo totale, soluzione finale»[28].

Proseguendo sulla scia della scomparsa del soggetto occidentale, la simulazione iperreale in quanto “reduplicazione minuziosa del reale” risulta sterminazione rituale[29] nell’equivalenza integrale di ogni ente. Tale paradosso ontologico, rinvenibile nella perdita dell’aura già indicata da Walter Benjamin[30], risulta cortocircuito metafisico di inizio e fine: «ritorno al limbo, a quella zona crepuscolare dove tutto si conclude tramite la sua stessa realizzazione»[31].

Anthropos, quindi, nella disseminazione digitale che trova nell’IA il proprio bacino (una sorta di meta-utero in affitto ripagato tramite il consumo/consegna di data) non è altro che un «soggetto frattale ormai votato alla disseminazione nelle reti, a rischio della mortificazione dello sguardo, del corpo, del mondo reale»[32]. Il digitale, in quanto sterminio rituale, tasta e invade i corpi in quanto luogo materiale dell’alterità. Ed è proprio in questo scorticamento ontologico che sembra necessaria l’instaurazione di un’intelligenza senza pensiero: un’operazione computazionale che trovi nella perdita di analogia la polarizzazione del proprio circuito.

Su tale versante la prospettiva manichea di Baudrillard emerge pienamente nell’indistinguibile profilarsi di un’identità assoluta in quanto riflesso di un’alterità assoluta, nella reversibilità del principio del Bene in quello del Male. Nello scambio generalizzato, “nel movimento di convergenza verso l’Unico e l’Universale”, è la forma duale, l’antagonismo, la reversibilità e l’irriconciliabilità a mostrare il proprio volto incodificabile.

È l’impossibilità dello scambio dell’identico con sé stesso che genera il desiderio e l’emersione di un’alterità “intelligente” capace di mostrarsi nell’incomprensibile. Baudrillard, prendendo parte a un pensiero che fa dell’oggetto e del dono il proprio fulcro speculativo, sulla scia di Marcel Mauss e George Bataille, ritiene che al fondamento infondato del cosmo vi sia il niente, ovvero, la singolarità, ciò «di cui lo scambio è impossibile, la parte irriducibile a qualsiasi equivalente»[33].

La singolarità è ciò che «avvolge il soggetto nella sua strategia fatale. È allora il soggetto che scompare all’orizzonte dell’oggetto»[34]. Ecco quindi che, in una sorta di loop di materia oscura, sembrerebbe ripresentarsi la questione della singolarità già ripresa da Nick Bostrom e Ray Kurzwail.

La questione dell’IA, pertanto, sembrerebbe giocarsi sulla “singolarità” in quanto possibilità di azzeramento della distanza tra soggetto e mondo, ovvero, tra identità e alterità attraverso la dispersione degli enti nell’infosfera. Ecco dove starebbe la rivoluzione, quel revolvere e rigirarsi, rivoltarsi, ritornare al punto di inizio nel compimento di un giro completo che renderebbe il “nuovo” un riflesso del già accaduto e del sempre stato, come a dire che forse non vi è nulla di più conservatore della rivoluzione, e che ogni domanda posta circa il futuro dell’AI sia infondo una domanda posta all’immutabile questione posta dall’oracolo di Delfi.

In una tale ottica l’AI, in un possibile sviluppo di singolarità, risulterebbe l’intimo desiderio, l’utopia del rimosso psichico della nostra civiltà, destinata al contempo alla conservazione e alla dissoluzione: «stadio supremo dell’intelligenza: la conoscenza integrale. Questa volta, il rigetto verrà forse da una resistenza delle cose stesse alla loro trasparenza informatica o da un guasto di sistema sotto forma di grande incidente»[35].

Homo sapiens, pur lacerandosi nella conoscenza di sé, arrivando a tastare il suo stesso DNA (sempre in modo indiretto, cercando di non lasciare tracce) sembrerebbe non riuscire a reggere il peso insopportabile dell’enigma “gnothi seauton, meden agan”.

Dopotutto, l’identità non è mai stata altro che alterità acquisita e, così come suggerito da Sigmund Freud[36], ogni cortocircuito patologico individuale, in quanto rimando collettivo, tanto fisico quanto psichico, deriva proprio dall’insostenibile peso dell’identità comportata e comportante un’inscindibile sovrapposizione tra principio di vita e principio di morte. A tal proposito si potrebbe affermare che l’IA, nel proprio dispiegarsi tra codificazione e conservazione, non sfugge alla sublimazione nell’indistinto inorganico in quanto recondito richiamo. In una tale discesa nell’intimo fondamento infondato della realtà, ovvero della meta-realtà dell’artefatto digitale, l’alterità risulta inestirpabile e  anzi, emerge nel pieno della propria tragicità: anthropos nel voler conoscere se stesso, attraverso l’identità, chiede qualcosa di troppo.

Il corpo, in quanto protesi del doppio, ovvero l’artificio più antico[37], filtrandosi nello schermo della codificazione, non può più attraversare alterità ma solamente incamerarla nell’identità assoluta del codice bio-informatico. Nel digitale, anthropos è già alterità rispetto a sé stesso. Rivoluzione definitiva nel riconoscersi straniero, sfacciato e irriconoscibile se non tramite il proprio medium di proiezione. Lo schermo interattivo, in quanto superfice di contatto, è il volto sfigurato dell’IA nell’illusoria riproposizione della dualità (ovvero di una semplice sommatoria di identità).

Ciò che accomuna gli users in quanto data subject è la scomparsa digitale nel filtro computazionale: «tutto si regge qui sulla distinzione fra intelligenza e pensiero […] operare una scissione radicale fra il calcolo e il corpo, e inventarsi su questa base un corpo spettrale e definitivo, un corpo esoterico, libero da ogni incertezza carnale e sessuale, un corpo senza profondità, reinventato a partire dallo schermo come pelle, come pellicola tattile, privo di ogni sensibilità organica. Questa è la prospettiva delle macchine immateriali»[38].

Proiettati e scansionati, i neo-umani digitali, si sforzano di rispondere al proprio sbiascicare esistenziale sognando un’alterità che possa restituirgli quel senso di interdizione e comunanza data esclusivamente dall’ignoto, dall’altro: «l’artificio non ha nulla a che vedere con ciò che genera, ha invece a che fare con tutto ciò che altera la realtà. È la potenza dell’illusione […] Anche le [macchine] più intelligenti non sono altro che ciò che sono, eccetto forse nel caso dell’incidente e del difetto che possiamo sempre attribuire loro come un oscuro desiderio»[39].

L’IA, quindi, risulta strumento reticolare e manifesto della neutralizzazione dell’alterità nell’identità indistinta, e al contempo, catastrofica reversione dell’identico nell’alterato: «lo schermo interattivo trasforma il processo di relazione in un processo di commutazione dello stesso con lo stesso»[40] dando conferma che «questo è il nostro attuale ideale-clone: il soggetto espurgato dell’altro, espurgato della sua divisione e votato alla metastasi di sé stesso, alla pura ripetizione»[41].

Tale proliferazione identitaria, in quanto principio di morte di ogni molteplicità informe, agli occhi di Baudrillard non può che aver di mira il pensiero stesso: «si può temere che l’intelligenza artificiale e i suoi supporti tecnici diventeranno la protesi di una specie da cui sarà scomparso il pensiero»[42] pertanto «per il pensiero è una questione di vita o di morte»[43].

Posto quindi che «l’intelligenza artificiale è incompatibile con il pensiero»[44], attraversando la scomparsa del reale nel digitale, del soggetto nell’oggetto, del pensiero nell’intelligenza artificiale, sembrerebbe profilarsi una possibilità inedita: «liberato da ogni funzionalità, ormai devoluta alle macchine intellettuali, reso alla clandestinità, il pensiero ridiventa libero di non portare da nessuna parte, di essere la realizzazione trionfale del Niente, di resuscitare il principio del Male»[45], ovvero, pensiero in quanto forma di «singolarità [che] è il male. Quello di cui lo scambio è impossibile, la parte irriducibile a qualsiasi equivalente»[46]. Possibilità inedita per il pensiero, in quanto «forma duale»[47], di reincontrarsi in quanto alterità assoluta. Per Baudrillard il pensiero risulta latenza simbolica nell’alterità tra corpo e mondo, canale di reversione e metamorfosi esistenziale, utopia realizzata dalla natura nel proprio non corrispondersi. In altre parole, eco dell’irriducibile singolarità a fondamento del niente quale infondato tessuto ontologico del mondo.

Doppio movimento della scomparsa: da un lato, proiezione digitale in quanto filtro ontologico di superamento della rappresentazione e della referenzialità/distinzione tra significante/significato, loop anacronistico di distruzione-consumo e potlatch digitale; dall’altro, reversione del pensiero in quanto singolarità e apertura all’insensato e indeterminato divenire di una neo-esistenza imprevedibile poiché disancorata dal macigno della coscienza calcolante. Una vera e propria arte della sparizione scandita dalla reversibilità del due.

Il cannibalismo dello schermo, quindi, risulta rito di restituzione e reistituzione del mondo nella propria iperrealtà. La confisca dell’alterità è lo scambio impossibile posto dall’egemonia del digitale nell’inappagabile sete di realizzazione del mondo: «in tale senso tutto l’edificio dell’informatica sarebbe l’appagamento di questo desiderio perverso, che mira a cancellarsi davanti al suo equivalente virtuale come la specie umana progetta di cancellarsi davanti al suo equivalente genetico»[48].

L’iperrealtà non è altro che la realizzazione tecnica della morte in differita. Anthropos risulta proiettore della teletrasparenza di ogni ente a se stesso nel rimando tautologico del niente: energia-controllo-intelligenza-universalità nell’automatismo di modelli codificanti che trovano corrispondenza solo in sé stessi.

Lo scambio simbolico e la morte, ecco il tragico destino dell’Umano per Baudrillard: se non si è capaci di ricambiare il dono, che è fatale[49], non resta che scomparire: «morire non è niente, bisogna saper scomparire. Morire dipende dal caso biologico, e non è un affare. Sparire dipende da una necessità più grande. Non dobbiamo lasciare alla biologia il dominio sulla nostra scomparsa. Scomparire è passare a uno stato enigmatico che non è né la vita né la morte. Lo sanno fare alcuni animali, e i selvaggi, che si sottraggono agli occhi dei loro simili»[50].

Anthropos, cadendo nel tranello della sua stessa psiche, ha voluto realizzare l’enigma[51] a partire da sé stesso, reimbattendosi nell'alterità, ovvero, affidandosi a dei sistemi di computazione informatica come se parlassero secondo un oggettivo e immacolato sapere. Ecco allora che l'oracolo, l’IA, potrà finalmente comunicare l'incomprensibile attraverso reti neurali e deep learning, che, difatti, non spiegano, ma enunciano: black box. Oracolo vero e proprio. Fine di ogni perché nella presunta oggettività di un calcolo programmato da umani, o da macchine programmatrici costruite da umani.

In conclusione, posto quindi che Dio non è mai il significato, ne il referente, ma il significante, la forma, il medium che è messaggio, ecco che la questione tra identità e alterità, in quanto questione nucleare dell’IA, riecheggia nelle parole di Jean-Pierre Vernant in merito al ritorno di Dioniso a Tebe nel paragrafo “rifiuto dell’altro, identità perduta”: «coloro che incarnano l’attaccamento incondizionato all’immutabile, che proclamano l’irrinunciabile difesa dei valori tradizionali di fronte a quanto è altro da loro – che li mette in discussione, che li obbliga a portare su se stessi uno sguardo diverso – proprio loro, detentori dell’identità, cittadini sicuri della propria superiorità, precipitano nell’alterità assoluta, nell’orrore e nel mostruoso»[52].


[1] M. Boden, L’intelligenza Artificiale (2018), tr. it. il Mulino, Bologna 2019, p. 8.

[2] N. Bostrom, Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie (2016), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2018, pp. 23-59.

[3] G. Lissa, Morte e/o trasfigurazione dell’umano, Giannini Editore, Napoli 2019, p. 99 (corsivo mio).

[4] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? (1995), tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 44.

[5] Id., Cool memories. Diari 1980-1990 (1990), tr. it. SugarCo Edizioni, Como 1991, p. 304.

[6] Id., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., p. 31.

[7] Id., Le pacte de luciditè ou l’intelligence du Mal, Galilée, Paris 2004, pp. 64-65 (traduzione e corsivo miei).

[8] Y.N. Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro (2015), tr. it. Bompiani, Firenze-Milano 2018, p. 449. (corsivo mio)

[9] J. Baudrillard, Lo scambio impossibile (1999), tr. it. Asterios Editore, Trieste 2012, p. 105.

[10] Id., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., pp. 42-43.

[11] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 17.

[12] Id., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., p. 6.

[13] G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia (1980), Orthotes, Napoli-Salerno 2017, p. 238.

[14] J. Baudrillard, Power Inferno. Requiem per le Twin Towers. Ipotesi sul terrorismo. La violenza del globale (2002), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 9-10.

[15] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 86.

[16] Id., La trasparenza del Male. Saggio sui fenomeni estremi (1990), tr. it. SugarCo Edizioni, Varese 2018, p. 44.

[17] Id., Lo scambio impossibile, cit., pp. 24-25.

[18] Id., Le strategie fatali (1983), tr. it. Feltrinelli, Milano 2007, p. 77.

[19] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015.

[20] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., p. 36.

[21] Id., La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi, cit., p. 85.

[22] Id., Le strategie fatali, cit., p. 78.

[23] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 100.

[24] Id., Le strategie fatali, cit., pp. 99-100.

[25] R.J. Smith, The Baudrillard Dictionay, Edinburgh University Press, Edinburgh 2010, p. 34.

[26] J. Baudrillard, Perché non è già tutto scomparso? (2007), tr. it. Castelvecchi, Roma 2013, pp. 19-20.

[27] Id., Taccuini (1995), tr. it. Theoria, Ancona-Milano 1999, p. 55.

[28] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 26.

[29] Id., Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 2015, cit., p. 87.

[30] W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), tr. it. Einaudi, Torino 2010, p. 10.

[31] J. Baudrillard, Patafisica e arte del vedere, Giunti, Firenze-Milano 2006, p. 55.

[32] Id., Lo scambio impossibile, cit., pp. 59-60.

[33] Ibid., p. 135.

[34] Id., Le strategie fatali, cit., p. 129.

[35] Id., Le pacte de luciditè ou l’intelligence du Mal, cit., p. 40 (traduzione mia).

[36] S. Freud, Il disagio nella civiltà (1930), tr. it. Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2010.

[37] J. Baudrillard, La trasparenza del Male. Saggio sui fenomeni estremi, cit., pp. 125-127.

[38] Ibid., p. 123 (corsivo mio).

[39] Ibid., pp. 60-61.

[40] Ibid., p. 62.

[41] Id., La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi, cit., p. 134 (corsivo mio).

[42] Ibid., p. 60.

[43] Id., Le pacte de lucidité ou l’intelligence du Mal, cit., p. 62 (traduzione mia).

[44] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 118.

[45] Ibid., p. 125.

[46] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 135.

[47] Id., Mots de passe, Pauvert, Paris 2000, p. 83 (traduzione mia).

[48] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 118.

[49] Id., Taccuini, cit., p. 121.

[50] Id., Cool Memories. Diari 1980-1990, cit., p. 29.

[51] G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975, p. 68.

[52] J.P. Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini, Einaudi, Torino 2014, p. 157.

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