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La simulazione ama nascondersi. La realtà virtuale tra Jean Baudrillard e David Chalmers

Autore


Valerio Specchio

Università degli Studi Napoli Federico II

Indice


  1. Anticamera della simulazione
  2. In orbita del virtuale
  3. Oscillazioni tra iperrealtà e reality+
  4. Riannodare i circuiti

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S&F_n. 29_2023

Abstract


Simulation loves to hide. Virtual reality between Jean Baudrillard and David Chalmers

This essay faces the question of simulation from two different perspectives. The first one is linked to the concept of Hyper-reality conceived by Jean Baudrillard, the second one is elaborated through the concept of Reality+ proposed by David Chalmers. This two concepts can be used to investigate the existenzial phase shift generated by Virtual Reality. The latter, as a risult of the ontological refondation between anthropos and the world, echoes the fondative issue of Western civilitation, materialized in the seamless circuit between artificium and reality. Nowadays, this circuit repeats the ancestral question of anthropos in a new way: how can Homo Sapiens reshapes its narrations within the Virtual Reality?

Gli occhiali potrebbero diventare un giorno, in particolare nella sfera della realtà virtuale, una protesi definitiva della specie.

J. Baudrillard, Patafisica e arte del vedere

 

Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell'uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione.

David Cronenberg, Videodrome

 

  1. Anticamera della simulazione

Aderendo alla nozione deleuziana secondo cui «la filosofia è l’arte di formare, di inventare, di fabbricare concetti»[1], il presente articolo esaminerà la problematica della simulazione a partire da due fabbricazioni concettuali.

La prima, quale possibile coagulo teorico della pensée radical di Jean Baudrillard, risulta circuitata nel concetto di Hyper-realité. La seconda, assemblata dal filosofo australiano David Chalmers, trova forma nel concetto di Reality+.

Al fine di ricostruire le suddette fabbricazioni, si partirà da una decostruzione del concetto di realtà così come proposto dai due filosofi.

Difatti, la decostruzione del termine medio fra il concetto di Iperrealtà e Realta+ permetterà di individuare il punto di contatto critico-problematico delle due fabbricazioni: la Realtà Virtuale. Posti tali obiettivi, l’anticamera della questione può esser fissata a partire da una delle mot de passe baudrillardiane[2]:

Nella sua accezione corrente, il virtuale si oppone al reale, ma la sua improvvisa emersione, attraverso le nuove tecnologie, dà la sensazione che sia il segno dello svenimento, del collasso, della fine del reale. Per quanto mi riguarda, ho già detto che realizzare (faire advenir) un mondo reale significa, di per sé, produrlo, e il reale non è mai stato che una forma di simulazione[3].

 

La simulazione, ponendosi come questione centrale tra i due pensatori[4], rende possibile un confronto tra le sopracitate fabbricazioni rispetto alla medesima questione: la Virtual Reality emersa dallo schermo[5] e dai visori VR[6] segnante la commistione tra mondo offline e mondo online.

Per entrambi gli autori, la continuità schermo-visore risulta campo d’indagine e materia prima per investigare l’aggiornamento ipertrofico del concetto di reale, all’interno di un’inedita condizione d’esistenza antropica innervata nel reticolo digitale della connessione dati.

Secondo quest’ottica, l’espansione della Realtà Virtuale, accessibile a partire dall’immersione in dispostivi informatici, sarebbe dimensione contemporanea e circolare, causa-effetto, di una storica mutazione di Homo Sapiens o, meglio, della sua strutturazione d’interfaccia con il mondo.

Una mutazione esistenziale veicolante e veicolata da una sfasatura esistenziale immanente all’estensione dell’apparato percettivo umano e alla disseminazione del sistema nervoso antropico in una nuova dimensione: la Realtà Virtuale appunto.

Una dimensione che sarebbe, al contempo, ambiente, ovvero condizione di manifestazione e interazione tra enti fisico-reali e fisico-digitali, e laboratorio, spazio di circuitazione e rielaborazione tra questi stessi enti.

In tal senso, le fabbricazioni proposte da Baudrillard e Chalmers si porrebbero come possibili rimodulazioni narrative dell’umano all’interno di un’ennesima sfasatura storico-esistenziale ascrivibile dalla e nella saldatura del circuito triadico logos-anthropos-ente.

Una saldatura fondativa, non solo di un legame inscindibile, ma di una «strutturazione progressiva»[7] dell’umano nel suo costitutivo rapporto con il reale, ovvero, con una temporanea storico-situazionale rappresentazione e, nella fattispecie, simulazione del mondo quale alterità.

Non a caso, Chalmers e Baudrillard fabbricano i loro concetti di Reality+ e Iperrealtà innestando al concetto di realtà una figurazione aritmetica, quale operazione addizionale (plus), e un prefisso di superamento (iper).

In tal senso, risulta possibile interpretare le fabbricazioni dei due filosofi (attraverso lo smarginare del plus e dell’iper) come concettualizzazioni dell’onlife[8], in una sorta di riverbero-continuità del paradigma fondativo dell’uomo occidentale e, al contempo, scrostamento dalla finitezza del corpo biologico, in un’insondabile apertura del rapporto tra la mente[9] e la Realtà Virtuale nel: «ricostruire un universo omogeneo e continuo, un continuum questa volta artificiale»[10].

Attraverso questa impostazione, la problematica della simulazione, circuitata nell’annosa questione della Realtà Virtuale, se collocata in continuità con lo sviluppo storico del circuito triadico logos-anthropos-ente, potrebbe esser interpretata come rimodulazione dell’enigmatico aforismo eracliteo physis kryptesthai philei, tradotto da Giorgio Colli con «nascimento ama nascondersi»[11].

La proposta di questo saggio, pertanto, consisterà nell’inquadrare i concetti di Realtà+ e Iperrealtà quali strumenti interpretativi per investigare un inedito nascimento, una rimodulazione del nascondimento originario: «il nascondimento può essere un rifiuto o semplicemente una simulazione. Noi non abbiamo mai la certezza assoluta se si tratta dell’uno o dell’altro. Il nascondimento nasconde e simula se stesso»[12].

Ciò per dire che la simulazione, sottraendosi all’immediata comprensione, veicolerebbe la medesima questione investigata da Chalmers e Baudrillard: interrogare una condizione esistenziale antropica in cui «non si possono più utilizzare le categorie del reale»[13].

 

  1. In orbita del Virtuale

Posto che per Baudrillard «ciò di cui manchiamo maggiormente è un pensiero della compiutezza della realtà»[14], il concetto di Iperrealtà può esser ricostruito a partire dal modo in cui il filosofo francese decostruisce «the commonplace neo-liberal perspective which contrasts ‘the real world’ with the ‘virtual worlds’ of new tecnlogies and the information superhighway»[15].

Baudrillard disinnesca tale prospettiva dicotomica affermando che il Virtuale, quale Realtà Integrale, risulterebbe compimento e dissoluzione della simulazione, ovvero, del terzo ordine di simulacro: «virtuality is not an order of simulacra as such, but the ‘final solution’ to the problem of simulacra»[16].

Volendo perimetrare l’ampiezza semantica e teoretica del concetto di simulacro baudrillardiano è possibile riprendere le considerazioni di Dario Altobelli secondo cui il simulacro «[in Baudrillard] appare essere ogni tipo di prodotto umano, dal più semplice utensile alla grande tecnologia e fino a includere le forme dell’attività economica, politica, ideologica, inteso come segno capace di rimandare a una specifica configurazione storico-sociale quale suo significato profondo»[17].

Il simulacro, pertanto, risulterebbe essere la macro immagine-segno, tautologica e regolativa, di un determinato principio di realtà storico-situazionale, o meglio, di una specifica strutturazione di senso e valorazione sociale: «la cultura non è mai stata qualcosa di diverso: comunanza collettiva dei simulacri»[18].

In tal senso, la simulazione baudrillardiana indicherebbe una specifica strutturazione di senso semiotico-sociale, rinvenibile nelle società post-industriali, entro cui la simulazione sarebbe «ciò che governa le relazioni di scambio, produzione e consumo»[19] attraverso la centralità dell’oggetto:

La società industriale conosce soltanto il prodotto, e non ancora l’oggetto. L’oggetto non incomincia veramente a esistere che con la sua liberazione formale come funzione/segno, e questa liberazione non avviene che con la mutazione di questa società in senso stretto industriale in quella che si potrebbe chiamare la nostra tecnocultura, con il passaggio da una società metallurgica a una società semiurgica: cioè quando comincia a porsi, al di là dello statuto del prodotto e della merce (al di là del mondo di produzione, di circolazione e di scambio economico), il problema della finalità di senso dell’oggetto, del suo statuto di messaggio e di segno (del suo modo di significazione, di comunicazione e di scambio/segno)[20].

 

Ciò per dire che Baudrillard, a partire da una sorta di genealogia semiotica delle società moderne, interpreta la simulazione come specifico schema di superamento dello scambio segno (rappresentativo) in vista di una dissoluzione del referente, ovvero, del consumo del segno stesso, nella realizzazione definitiva del simulacro:

Così è la simulazione, in quanto contrapposta alla rappresentazione. Quest’ultima parte dal principio di equivalenza del segno e del reale (anche se è un’equivalenza utopistica, resta comunque un assioma fondamentale). La simulazione parte, al contrario, dall’utopia del principio di equivalenza, parte dalla negazione radicale del segno come valore, parte dal segno come reversione e messa a morte di ogni referente. Mentre la rappresentazione tenta di assorbire la simulazione interpretandola come falsa rappresentazione, la simulazione avvolge tutto l’edificio della rappresentazione stessa come simulacro[21].

 

All’interno dell’architettonica olografica del pensatore francese, quindi, la simulazione risulterebbe, al contempo, strumento critico-semiotico mirante a una decostruzione delle vie di significazione e strutturazione sociale occidentale moderna (non a caso a partire da un orizzonte di critica dell’economia politica del segno[22]), ed espressione/rinvenimento del compimento definitivo della strutturazione sociale, ovvero, del reale modernamente inteso: «il mondo reale incomincia a esistere in epoca moderna»[23].

Da qui, la scivolosità del concetto di simulacro che, in quanto realtà senza origine, coinciderebbe con la stessa produzione baudrillardiana in un rimando indefinito e inarrestabile: «il simulacro non è mai ciò che nasconde la verità - è la verità che nasconde il fatto che non ce n’è nessuna. Il simulacro è vero»[24]. Pertanto, la simulazione, quale compimento ultimo del principio di realtà, nell’ipertrofia ontologica dell’oggetto conosciuto e consumato, manifesterebbe la reversione di quest’ultimo e del mondo, quale totalità degli enti, nel simulacro definitivo: la simulazione, ovvero, la definitiva riduzione e risoluzione del referito nel referente, del contenuto nella forma, del significato nel significante.

Il significante totalitario delle società simulate, che secondo Baudrillard circuiterebbero sé stesse all’interno di un codice autoriferito e infondato, poiché in continua fondazione, sarebbe il codice informatico, ovvero, un significante che virtualmente può assorbire e veicolare qualsiasi significato: «la digitalità è il suo principio metafisico (il Dio di Leibniz) e il DNA il suo profeta»[25].

La metaphysique du code[26], quale strutturazione della simulazione, ovvero dell’interscambiabilità definitiva tra gli oggetti-segno, realizzerebbe, quindi, l’astrazione universale degli enti o, meglio, la decodificazione ab-soluta della relazione tra fenomeni in bit:

il segno diventa “a dead unit of information”. Il codice può assimilare ogni significato, idea, emozione o gesto critico riproducendolo come segno astratto o “code position” all’interno di un campo, in continua espansione, di opzioni e possibilità. Tutti i segni sono, al livello fondamentale del medium, equivalenti o commutabili; i segni astratti abilitano una “equivalenza universale” attraverso la “de-sign-azione” di tutto come un termine del codice[27].

 

Secondo questa impostazione, nella simulazione, quale schema ordinativo concretizzatosi nelle società digitali, si sarebbe materializzata il prosciugamento di ogni significazione e sostanza nella prevalenza e precedenza del modello di significazione, il codice informatico, quale garante di un inedito statuto ontologico, costitutivamente indeterminato e, quindi, totalmente commutabile o modificabile: «la simulazione non è più quella di un territorio, di un essere referenziale, di una sostanza. È la generazione da parte di modelli di un reale senza origine ne realtà: Iperreale»[28].

L’Iperrealtà, secondo Baudrillard, quindi, realizzerebbe e si sarebbe realizzata a partire da un principio di equivalenza universale degli oggetti-segno, nel compimento del principio metafisico astrattivo e dissolutivo del digitale quale manomissione riproduttiva del reale:

La definizione stessa del reale è: ciò di cui è possibile fare una riproduzione equivalente. Essa è contemporanea della scienza, che postula che un processo possa essere riprodotto esattamente nelle condizioni date, e della razionalità industriale, che postula un sistema universale di equivalenze (la rappresentazione classica non è equivalenza, è trascrizione, interpretazione, commentario). Al termine di questo processo di riproduttibilità, il reale è non soltanto ciò che può essere riprodotto, ma ciò che è sempre già riprodotto: iperreale[29].

 

Secondo il filosofo francese, l’Iperrealtà, quale configurazione operativa del reale (e quindi di ogni essere), verrebbe raggiunta in una progressiva neutralizzazione della rappresentazione simbolica:

Il Virtuale, la Realtà Virtuale, inaugura il crepuscolo del segno e della rappresentazione. Ciò riguarda tutto l’universo digitale, dove la binarietà dello 0/1 non lascia spazio che a un universo operazionale della cifra...Calcolo integrale, circuiti integrati. La distanza scompare. Quella esterna, dal mondo reale e quella, interna, propria del segno[30].

 

Questo versante del pensiero baudrillardiano, suggerendo l’influenza della lezione nietzscheana contenuta in Su verità e menzogna in senso extra-morale[31], riaffermerebbe il codice digitale quale compimento ultimo, e mai ultimato, della metafisica occidentale, di un’aggiunta mendace[32], quale annichilimento della cosa[33].

In tal senso, è possibile affermare che Baudrillard sostenga la tesi heideggeriana secondo cui a partire dall’evo moderno: «il reale diviene così perseguibile e calcolabile. Il reale viene assicurato nella sua oggettità»[34].

Tuttavia, secondo il filosofo francese, il mondo reale, quale motore immobile della modernità, sembrerebbe essersi dissolto proprio nel suo compimento, la Realtà Virtuale:

La realtà, il mondo reale, sarà dunque durato solamente per un po’ di tempo, il tempo che la nostra specie lo faccia passare per il filtro dell’astrazione materiale del codice e del calcolo. Reale da un po’ di tempo, il mondo non era destinato a restarlo a lungo. Esso avrà attraversato l’orbita del reale in pochi secoli, e si sarà perduto molto velocemente al di là[35].

 

Questo passaggio racchiude l’intera questione baudrillardiana del simulacro come verità senza origine nell’azzeramento della distanza tra physis-logos-mythos:

Abbiamo divorato non solo la distanza geografica che separava ogni parte del mondo – non solo la distanza temporale che separava il passato dal futuro, in favore di quella sorte di collisione istantanea del tempo chiamata tempo reale, ma anche la distanza mentale che ci separava dalla nostra propria immagine, e perfino la distanza metafisica che ci separava dalla verità e dalla realtà - Abbiamo divorato la nostra stessa immagine, la nostra stessa verità e la nostra realtà. Avendola divorata, ci troviamo in una situazione di realtà integrata, realtà integrale, senza distanza e senza trascendenza, in una completa promiscuità con noi stessi[36].

 

Secondo il filosofo francese, quindi, il Virtuale, realizzandosi come Realtà Integrale, non si porrebbe affatto in contrasto con il reale, bensì, lo porterebbe a pieno compimento, cauterizzando ogni possibilità di trascendenza e divenire dal nuovo dato originario: la Realtà Virtuale.

A questo punto, risulta possibile chiarire l’affermazione baudrillardiana secondo cui «il reale non è mai stato che una forma di simulazione»[37] attraverso le parole di Serge Latouche:

Siamo stati nel reale. C’è stato un tempo in cui il reale esisteva veramente. Si poteva anche rappresentarlo, imitarlo. Poi il simulacro a poco a poco ha preso il posto del reale, fino a eliminarlo. Ma se questo processo è stato possibile, ci suggerisce Baudrillard, vuol dire che il reale era già un simulacro. Non esisteva. Forse non è mai esistito[38].

 

Ed ecco che il Virtuale, a partire dal simulacro digitale, si porrebbe, al contempo, come definitiva e originaria[39] astrazione circolare degli enti nella loro decodificazione informatica. Quest’ultima, seppur ultima, mai ultimata, garanzia di provvisorio statuto ontologico, comporterebbe un abbandono definitivo di qualsiasi ontologia deterministica.

La Realtà Virtuale, difatti, si porrebbe come dimensione ultima di manifestazione degli enti e, contemporaneamente, loro definitiva evanescenza: «il virtuale è ciò che sostituisce il reale, ne è la soluzione finale nella misura in cui, allo stesso tempo, realizza il mondo nella sua realtà definitiva e ne segna la dissoluzione»[40].

In tal senso, Baudrillard interpreta il Virtuale come canale di scomparsa, o meglio, consumo ontologico del reale: «The virtual, for Baudrillard, is a mode of disappearence»[41]: «la scomparsa del reale nel virtuale, la scomparsa dell’evento nell’informazione, la scomparsa del pensiero nell’intelligenza artificiale, la scomparsa dei valori e delle ideologie nella mondializzazione degli scambi»[42].

Secondo il filoso francese, quindi, il fulcro ideologico della modernità, il reale, non sarebbe stato altro che un transitorio modello interpretativo, un simulacro di corrispondenza ontologica che, in quanto tale, non potendo corrispondersi eternamente, avrebbe preparato da sé il proprio superamento[43]:

Nell’era dei media, del virtuale e delle reti, si è parlato molto dell’assassinio della realtà - senza starsi troppo a domandare quando il reale abbia incominciato a esistere. Ora, se osserviamo bene, vedremo che il mondo reale comincia a esistere, in epoca moderna, con la decisione di trasformarlo, cosa che avviene attraverso la scienza, la conoscenza analitica del mondo e la messa in opera della tecnologia – ossia, secondo Hannah Arendt, con l’invenzione di un punto d’Archimede esterno al mondo (a partire dall’invenzione del telescopio di Galileo, e la scoperta del calcolo matematico)[44].

 

Attraverso questo passaggio Baudrillard, perimetrando la nascita del concetto di reale all’interno modernità, esporrebbe l’arco temporale entro cui sarebbe avvenuto il periodo di gestazione della Realtà Virtuale.

Quest’ultima, difatti, risulterebbe figlia della progressiva sovrapposizione, corrispondenza e reversione tra l’utilizzo dell’artificium tecnico moderno (che trova nel cannocchiale galileiano il proprio archetipo) e il principale codice di trascrizione ontologica del reale (il linguaggio matematico): «Niente più padre, niente più madre: una matrice»[45].

Non a caso, il filoso francese, citando Hannah Arendt, permette di ricollocare la questione del Virtuale, e del suo originario ma commutabile, se non falsificabile, attestato di nascita (il reale), all’interno del processo di alienazione dell’umano dal mondo terrestre[46].

Riprendendo le riflessioni della Arendt circa la realizzazione di un punto di Archimede esterno al mondo, manifestatosi nel lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik (il «primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigionia terrestre»[47]), Baudrillard suggerirebbe che il Virtuale si ponga come slatentizzazione dell’intimo desiderio dell’uomo moderno, ovvero, abbandonare la finitudine del proprio soma quale abitazione terrestre:

Tutto si satellizza; si potrebbe dire addirittura che il nostro cervello non è più in noi, ma ci fluttua attorno nelle innumerevoli ramificazioni hertziane delle onde e dei circuiti. […] Tutto dell’essere umano, il suo corpo biologico, mentale, muscolare, cerebrale, fluttua attorno a lui sotto forma di protesi meccaniche o informatiche[48].

 

Questo passaggio, richiamando le riflessioni di uno degli autori che più ha influenzato Baudrillard, ovvero Marshall McLuhan, suggerisce la sottile trama che legherebbe la questione del corpo biologico con quella della simulazione, raffigurando la deframmentazione dell’individuo nei cavi di trasmissione della Realtà Virtuale: «Archimede disse una volta: “Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo”. Oggi ci avrebbe indicato i nostri media elettrici dicendo: “M’appoggerò ai vostri occhi, ai vostri orecchi ai vostri nervi e al vostro cervello, e il mondo si sposterà al ritmo e nella direzione che sceglierà io”»[49].

In tal senso, riprendendo la tesi del sociologo canadese[50], è possibile interpretare il Virtuale come rete estensiva del sistema nervoso umano, ciò che Baudrillard definisce la diaspora mentale delle reti[51]:

inserendo con i media elettrici i nostri corpi fisici nei nostri sistemi nervosi estesi, istituiamo una dinamica mediante la quale tutte le tecnologie precedenti, che sono soltanto estensioni delle mani, dei piedi, dei denti e dei controlli termici del corpo – tutte queste estensioni, comprese le città – saranno tradotte in sistemi d’informazione. La tecnologia elettromagnetica richiede dall’uomo una docilità profonda e la quiete della meditazione, come s’addice a un organismo che ha ora il cervello fuori del cranio e i nervi fuori della pelle[52].

 

Per Baudrillard, tale disseminazione ontico-informatica, farebbe parte del crime parfait du réel, ovvero, «la realizzazione incondizionata del mondo attraverso l’attualizzazione di tutti i dati, mediante la trasformazione di tutti i nostri atti e di tutti gli eventi in pura informazione»[53].

 

  1. Oscillazioni tra Iperrealtà e Reality+

E proprio a partire dalla diaspora mentale delle reti concepita da Baudrillard risulta possibile, quasi obbligato[54], accedere alla decostruzione del secondo concetto protagonista dell’articolo, ovvero quello di Reality+.

Tale fabbricazione concettuale viene impiegata da Chalmers per supportare la tesi secondo cui la Realtà Virtuale sarebbe una «genuine reality»[55].

Questo punto, seppur all’interno di differenti prospettive speculative, risulta in piena continuità con il disinnesco teoretico proposto da Baudrillard circa «the commonplace neo-liberal perspective which contrasts ‘the real world’ with the ‘virtual worlds’»[56].

Difatti, lo stesso Chalmers, nell’introdurre la propria fabbricazione, afferma che: «I know that what i’m saying is counterintuitve to many people. Perhaps you think that VR is Reality-, or Reality Minus. Virtual worlds are fake realities, not genuine realities […] I’ll try to convince you that Reality+ is closer to the truth»[57]. Ma cosa intende il filosofo australiano con Reality+? E perché quest’ultima sarebbe più vicina alla verità?

Secondo Chalmers, gli attuali sistemi di accesso alla realtà virtuale e alla realtà aumentata (smartphones, computers, visori VR…), sarebbero lo stadio primitivo di un prossimo virtual environment in cui le realtà virtuali saranno indistinguibili dalla realtà non-virtuale[58].

Ed ecco che la strutturazione del concetto di Reality+ viene presentata, non solo a partire dall’attuale possibilità di proiezione in mondi virtuali (realtà aumentata, social, videogames…), ma dalle possibilità teorico-esistenziali che tali mondi suggeriscono: «Each virtual world is a new reality: Reality+. Augmented reality inolves additions to reality: Reality+. Some virtual worlds are as good or as better than ordinary reality: Reality+. If we’re in a simulation, there is more to reality than we thought: Reality+. There will be a smorgasbord of multiple realities: Reality+»[59].

Nella prospettiva di Chalmers, quindi, non vi sarebbe discontinuità ontologica tra mondo reale e mondo virtuale. La Realtà Virtuale, quale macroinsieme dei mondi esplorabili dall’umano, fisico-reali e fisico-digitali, ingloberebbe tutto ciò che esiste, superando i limiti del corpo umano come primo artificio d’interfaccia: «the cosmos (eveything that exists) contains many worlds (physical and virtual spaces), and the objects in those worlds are real»[60].

Il filosofo australiano, volendo dimostrare la genuinità del Virtuale in piena continuità con il manifestarsi del mondo fisico, propone cinque criteri/attributi del proprio concetto di reale: «existence, casual powers, mind-independence, non-illusioriness, and genuiness»[61].

Secondo questa impostazione, un oggetto sarebbe reale nel caso in cui risulti «perceivable and measurable»[62], «if it can affect things or be affected by things»[63], «if something exists in a way that’s independent of anyone’s mind»[64], «things are real when they’re roughly as we believe them to be»[65].

Ed è su questo punto che è possibile adoperare il concetto di Reality+ proposto da Chalmers che, risolvendo ogni presunta distinzione ontologica tra mondo reale-fisico e mondo virtuale-informatico, permette di inquadrare la simulation hypothesis in continuità con la teoria fisica dell’it-from-bit teorizzata da John Arcibald Wheeler, secondo cui: «il significato è qualcosa di simile a “Tutto è informazione”»[66], «il datismo sostiene che l’universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all’elaborazione dei dati»[67]. Non a caso, la riformulazione del concetto di reale proposta da Chalmers si concentra nel plus, ovvero, nell’aggiunta della Virtual Reality and Augmented Reality systems[68] all’insieme del reale.

Ed è proprio all’interno, o forse sarebbe meglio dire dall’interno, di tale aggiunta che il filosofo australiano discute la simulation hypothesis come variazione della it-from-bit hypothesis[69], sostenendo la totale equivalenza tra realtà fisica e realtà digitale: «physical objects are real and they are digital»[70]: «virtual entities are digital entities, made of computational and informational process. More succintly, they’re made of bits. They’re perfectly real objects that are grounded in a pattern of bits in a computer»[71].

Questo passaggio permette di accostare la Reality+ di Chalmers con il simulacro baudrillardiano poiché, all’interno dell’ipotetico intervallo tra Reality e plus, in una sorta di salto teorizzabile ma indimostrabile, o meglio, non confutabile, viene a collocarsi l’ipotesi di simulazione: «the hypothesis that we’re living in a computer simulation-that is, that we are and always have been receiving our inputs from and sending our outputs to an artificially-designed computer simulation of a world»[72].

Il problema specifico di Chalmers, la Reality+, quindi, al pari della questione del simulacro baudrillardiano, non può che ricadere in un movimento circolare, in un rimando tautologico, traducente una mutuale riformulazione tra strumento-plus e mondo-realtà che, seppur in corrispondenza di contingenti rappresentazioni scientifiche, apre margini di ipotesi inconfutabili all’interno delle stesse narrazioni umane.

Tutto ciò andrebbe a conferma del fatto che: «Homo sapiens è una specie post-verità, il cui potere dipende dal creare narrazioni e dal credervi»[73].

Non a caso, nel capitolo siamo caduti dal Giardino dell’Eden?[74], Chalmers restituisce la chiusura circolare della propria fabbricazione nel rapporto tra l’immagine manifesta del mondo e l’immagine scientifica della realtà attraverso il centro di diramazione della problematica, la coscienza:

Eden is a kind of hypothetical ideal. We can think of ita s Reality 0.0. Ordinary physical reality, after the fall, is Reality 1.0, at least assuming we’re not in a simulation. Virtual Reality is Reality 2.0. In both ordinary reality and virtual reality, Eden has been stripped down to its structural core, with consciousness at its center[75].

 

Il filosofo australiano suggerisce che ogni fase storica, dal momento in cui la mela della conoscenza fu colta, ha dovuto rapportarsi a tale relazione: come interfacciare l’immagine immediata e comunemente riconosciuta del mondo, con l’episteme scientifica che smantellerebbe le certezze della percezione diretta?

All’interno di questo dilemma, che riavvolge l’arco teorico tra la reality e il plus, tra la physis e l’artificium, tra il mondo fisico-reale e il mondo fisico-digitale, il filosofo australiano afferma di porre in primo piano l’aspetto ricostruttivo[76], ovvero, il ricostruire l’immagine manifesta del mondo compatibilmente all’immagine scientifica.

Pertanto, il concetto di Reality+ verrebbe impiegato dal filosofo australiano nel tentativo di riformulare l’immagine manifesta del mondo (Reality) a partire da un’ipotesi di simulazione (+), potendo switchare i due poli della questione trovando in essi piena continuità, investigando il rimando costitutivo tra mondo reale e mondo virtuale, con l’obiettivo di colmare l’anacronismo narrativo tra gli users e la Reality+.

 

  1. Riannodare i circuiti

Portando a chiusura il confronto tra le due fabbricazioni concettuali proposte da Baudrillard e Chalmers il punto di contatto risulta innervato nella seguente problematica: la condizione esistenziale umana, attualmente teletrasmessa nella Realtà Virtuale, scandirebbe un anacronismo, una sfasatura percepita da Homo Sapiens nella sempre più prossima commistione tra mondo reale e mondi virtuali, in un circuito «proiettato verso un futuro prossimo nel quale la coniugazione con la realtà esterna si farà più intensa e ampia sotto la spinta di nuove forme di ibridazione con l’alterità animale, tecnologica e con l’ausilio di sostanze sintetiche rivoluzionarie»[77].

Una sfasatura esistenziale quindi che, da un lato, risulterebbe in piena continuità con l’ancestrale e cronica indigenza antropologica riflessa nel «bisogno di esistere costantemente in un mondo totale e organizzato, in un Cosmo»[78], dall’altro, si manifesterebbe come sintomo del costante aggiornamento, del riannodarsi continuo di un inedito nascimento che, difatti, sembrerebbe poter assumere uno sviluppo pienamente autonomo[79], ponendosi come «configurazione operativa»[80].

Tutto ciò veicolerebbe una continuità problematica con la questione fondativa della physis, così come lucidamente espresso da Roberto Donadio relativamente ai margini di autonomia delle neo-tecnologie che costringono a «pensare in modo nuovo la sintesi physis-techne come luogo primo dell’ethos, dell’abitare umano (e, direi tra parentesi, se fino a ora la polis è sta l’espressione più articolata di questa sintesi, adesso la dimensione del politico non appare più sufficiente)»[81].

In chiusura, l’ipotesi conclusiva, in quanto inconcludente, di questo saggio emerge dai buchi neri teorico-problematici a fondamento delle prospettive fornite da Baudrillard e Chalmers, riconducibili alla non confutabilità della simulation hypothesis e alla Realtà Virtuale come sparizione del simulacro:

La Grande Sparizione, quindi, non è più semplicemente quella della trasmutazione virtuale delle cose, in cui la realtà rimanda a se stessa all’infinito, ma quella della divisione all’infinito del soggetto, di una polverizzazione a catena della coscienza in tutti gli interstizi della realtà. Al limite, la coscienza (la volontà, la libertà) è ovunque, si confonde con il corso delle cose e, a partire da lì, diventa superflua[82]

 

Questo versante, coincidente alla diaspora mentale delle reti proposta da Baudrillard[83], viene reindirizzato da Chalmers, quale filosofo analitico, nell’ipotizzabile tentativo di risolvere la questione della coscienza nella sempre più prossima compatibilità tra mondo fisico-reale e mondo informatico-virtuale o, meglio, nell’esplicazione dei processi cognitivi in modelli computazionali.

Nel paragrafo Can Machines be conscious?, difatti, il filosofo australiano espone l’ipotesi dell’uploading affermando che: «Someone might argue that simulating a brain is impossibile. Here I’m assuming that the brain is a physical system and therefore obeys laws that can be computationally simulated. Certainly, current evidence favors both of those assumptions. If they’re true, then a computer simulation of a brain should be possible»[84].

L’ipotetica risoluzione del fenomeno della coscienza in sistemi di simulazione, «it’s natural to conclude that simulated brains in general can be conscious, at least when the brain they are simulating is conscious»[85], sembrerebbe far parte di uno dei contraccolpi a ciò che Chalmers definisce la caduta dal giardino dell’Eden, ovvero, all’abbandono di un’interpretazione assoluta e intrinseca della qualità degli oggetti-fenomeni[86].

Secondo il filosofo australiano, pertanto, gli enti sarebbero reali esclusivamente in funzione di una rete, di una struttura di relazioni e non avrebbero un’unita qualitativo-ontologico che li precederebbe, un originario a cui corrispondere, come nell’idealismo platonico[87].

In definitiva, il filosofo australiano ritiene che il problema della coscienza, e della sua trascrizione in modelli computazionali, vada a toccare o, meglio, rifluisca, nell’aperta questione della mente estesa[88]: «the extented-mind hypothesis says that tools in our environment can literraly become parts of mind»[89].

Tuttavia, l’attuale inconcludenza della comprensione della mente, echeggerebbe l’esistenza di una realtà altra, di cui la coscienza si riconoscerebbe appendice:

The standard methods of neuroscience and cognitive science are directed at explaing behaviors, so they don’t give us much of a grip where the hard problem of consciousness is concerned. At best, they give us correlations between brain process and consciousness. Neuroscientists are gradually making process toward what they call the “neuronal correlates of consciousness”. But correlation is not explaination. So far, we have no explanation of why and how these processes give rise to consciousness itself[90].

 

E sembrerebbe proprio questo il problema ultimo interfacciato da Baudrillard e Chalmers nella loro indagine circa la simulazione e la Realtà Virtuale, ovvero, che posto assegnare all’alterità del mondo[91] quale inafferrabile originarsi della coscienza e della realtà: «alla fine, è l’estraneità del mondo a essere fondamentale, a resistere allo statuto di realtà oggettiva»[92]:

It’s an open question how much we can know about reality. There are objective facts about the distant past that we may never know. If we live in a perfect simulation, there will be facts about the world beyond simulation that we can never know. We don’t know how much reality is accessible and how much is anaccessible[93].

 

Pertanto, si potrebbe affermare che l’intersecata questione tra simulazione e Realtà Virtuale, si ponga come eco e rimodulazione della medesima questione investigata dai filosofi ionici, «quelli che dovevano trovare il sentiero che dal mito conduce alla legge di natura, dall’immagine al concetto, dalla religione alla scienza»[94].

I fisiocratici, difatti, interrogandosi «innanzitutto sul modo in cui le cose vengono al mondo e vi trascorrono, mutando e scomparendo»[95] riformularono l’enigma racchiuso nel mythos: «c’è un mondo nascosto, il mondo di cui il nostro è la parvenza, questa è l’intuizione greca: là vivono gli dei»[96].

Ed è su questo punto che la simulazione, come inedito «nascimento ama nascondersi»[97], riannoderebbe la Realtà Virtuale, quale ultima, e mai ultimata, ritrascrizione ontologica dell’avventura ominide nell’intersecazione tra physis-logos-techne.

Baudrillard e Chalmers, difatti, rinvenendo un’inedita sfasatura narrativo-esistenziale umana, tenterebbero di circuitare un anacronismo storico attraverso le fabbricazioni concettuali di Iperrealtà e Reality+ che, in ultima battuta, non possono porre conclusioni e definizioni ultime circa il loro oggetto d’indagine. In tal senso, la Realtà Virtuale, costituirebbe il fondamento primo e ultimo, circolarmente infondato (poiché in continua fondazione), della continuità tra l’antiquato mondo reale, ormai anacronistico nelle proprie categorie critico-comprensive, e un’inedita physis tecno-informatica quale continuo originarsi e divenire: «in quest’era elettrica ci vediamo tradotti sempre più nella forma dell’informazione e avanziamo verso l’estensione tecnologica della conoscenza. In questo senso diciamo che ogni giorno ne sappiamo di più sull’uomo. Vogliamo dire che siamo in grado di tradurci sempre più in altre forme espressive che sono al di là di noi»[98].

Forme espressive che, attualmente, sembrerebbero esser concentrate nello sviluppo-evoluzione delle AI, ovvero, di enti capaci, nella loro rielaborazione dati, di porsi come viventi autonomi, ad esempio attraverso codici di programmazione automodificanti, smarginando definitivamente dal concetto di vivente biologico-organico.

In qualche modo, se i fisiocratici misero in dubbio, o comunque indagarono altre vie, per riformulare la narrazione circa l’origine del cosmo, nel passaggio dalla cosmogonia alla cosmologia, le scienze coeve, ascrivibili alla Quarta Rivoluzione[99], starebbero mettendo in discussione l’ultimo mythos contemporaneo da cui scrostarsi: il soma organico che, in ultima battuta, sembrerebbe l’ultimo ostacolo da deframmentare per il superamento del principio d’individuazione.

In tal senso, la Realtà Virtuale si porrebbe come ambiente/laboratorio di un inedito nascimento, in cui l’umano, così come concepito fino a oggi, sembrerebbe scomparire, disseminando le proprie tracce in una sorta di deframmentazione originaria: «sogniamo dunque di vedere i computer accedere a un’autoprogrammazione intelligente […] Non solo l’Intelligenza Artificiale, ma anche tutta l’alta tecnicità illustra il fatto che, dietro i suoi doppi e le sue protesi, i suoi cloni biologici e le sue immagini virtuali, l’essere umano ne approfitta per scomparire»[100].

La simulazione, pertanto, risulterebbe riproposizione storica di un dilemma sostanzialmente immutabile poiché infondato, ovvero, in continua fondazione.

Un dilemma che si confermerebbe esclusivamente nel divenire della physis, quale continuo principiare da cui e verso cui anthropos, attraverso la propria sfasatura, riconoscerebbe il proprio salvifico anacronismo.

Un anacronismo generosamente tramesso e ritrasmesso dalle e nelle stesse protesi di interfaccia antropiche, in un circuito senza soluzione di continuità, circolarmente riproposto nell’interazione tra physis, logos e techne:

La realtà è un processo in via di completamento, per assorbimento, nell’informazione e nel virtuale, fatale a ogni dimensione, tramite l’omicidio che è alla base della pacificazione della vita e della consumazione entusiasta di questa banalità allucinogena. Ritorno al limbo, a quella zona crepuscolare dove tutto si conclude tramite la sua stessa realizzazione[101].


[1] G. Deleuze F. Guattari, Che cos’è la filosofia? (1991), tr. it. Einaudi, Torino 2002, p. VIII.

[2] Ovvero da una delle quindici passwords o parole chiave fornite da Jean Baudrillard per attraversare il suo pensiero in J. Baudrillard, Mot de passe, Pauvert, Paris 2000: «le parole trascorrono, trapassano, si trasformano, trafficano idee secondo percorsi imprevedibili», p. 10 (trad. e corsivo miei).

[3] Ibid., p. 45 (trad. e corsivo miei).

[4] Seppur a partire da diverse angolazioni speculative e campi di ricerca. Ad esempio, in Baudrillard, il concetto di simulazione pervade e retroagisce sull’intera produzione del filosofo francese, in particolar modo da Les trois ordres de simulacres contenuto in Id., L’échange symbolique et la mort, Gallimard, Paris 1976, p. 77 (trad. mia), e dal raffinamento teoretico rinvenibile in Id., Simulacres et simulation, Galilée, Paris 1980. Tuttavia, non è possibile indicare un riferimento puntiforme del concetto di simulazione all’interno della produzione baudrillardiana visto che quest’ultima risulta essa stessa un esercizio di simulazione: «Je ne vois donc pas d’autre façon d’en parler qu’en termes de simulation» (Id., Le mots de passe, cit., p. 7). Per quanto riguarda invece la posizione di David Chalmers è possibile far riferimento al paragrafo What is the simulation hyposthesis?, contenuto in D. Chalmers, Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, Penguin Random House, London 2022, attraverso cui il filosofo australiano discute uno dei versanti teoretici di cui è composto il concetto di Reality+. Come si vedrà i due filosofi interpretano il concetto di reale attraverso due prospettive differenti: Chalmers si concentra sul concetto di reale dal punto di vista fisico-epistemologico; Baudrillard, invece, impiegando analisi socio-semiotiche, critica il concetto di reale inquadrandolo a partire da una peculiare prospettiva metafisica.

[5] Concetto che in Baudrillard assume un’ampiezza semantica notevole: «con ciò intendo certamente anche le reti, i circuiti, i nastri perforati, i nastri magnetici, i modelli di simulazione, tutti i dispositivi di registrazione e di controllo, tutte le superfici d’iscrizione», in J. Baudrillard, Le strategie fatali (1983), tr. it. Feltrinelli, Milano 2007, p. 94.

[6] D. Chalmers, Do virtual reality headsets create reality?, in Id., Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, cit., p. 185.

[7] G. Giannini, Del mutante polimorfo sulla ripa fluviale, in C. Incoronato, Homo artificialis: dall’umanesimo della purezza ai neoumanesimi dell’ibridazione, Giannini Editore, Napoli 2016, p. 12.

[8] L. Floridi, The Onlife Manifesto. Being a Human in a Hyperconnected Era, Springer, Berlino 2014.

[9] D. Chalmers, Does augmented reality extend the mind?, in Id., Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, cit., p. 294. Come si vedrà in seguito la questione della mente estesa risulterà punto critico-problematico di contatto tra i due autori.

[10] J. Baudrillard, Lo scambio impossibile (1999), tr. it. Asterios, Trieste 2000, p. 39.

[11] G. Colli, La sapienza greca III. Eraclito, Adelphi, Milano 1980, p. 91.

[12] M. Heidegger, Sentieri interrotti (1950), tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 39.

[13] J. Baudrillard, Cyberfilosofia, Mimesis, Milano 2010, p. 42.

[14] Id., Delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? (1994), tr. it Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 70.

[15] W. Pawlett, Virtual, contenuto in R. G. Smith, Baudrillard Dictionary, Edinburgh University Press, Edinburgh 2010, p. 237.

[16] Id., Object, in G. Smith, Baudrillard Dictionary, p. 143

[17] D. Altobelli, Jean Baudrillard. Il male, l’utopia, il simulacro, Mimesis, Milano, 2020, p. 82 (corsivo mio).

[18] J. Baudrillard, Le strategie fatali (1983), tr. it. Feltrinelli, Milano 2010, p. 57.

[19] R. Donadio, Simulazione e virtualità, in E. De Concilis (a cura di), Jean Baudrillard, o la dissimulazione del reale, Mimesis, Milano 2009, p. 70.

[20] J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno (1972), tr. it. Mimesis, Milano 2010, p. 181.

[21] Id., Simulacres et simulation, cit., p. 1 (trad. mia).

[22] Id., Per una critica dell’economia politica del segno (1972), tr. it. Mimesis, Milano 2010.

[23] Id., Pouquoi tout n’a-t-il pas déjà disparu?, L’Herne, Paris 2020, p. 10 (trad. mia).

[24] Id., Simulacres et simulation, cit., p. 9 (trad. mia).

[25] Id., L’échange symbolique et la mort, cit., p. 89. (trad. mia)

[26] Ibid., p. 89.

[27] W. Pawlett, Code, in R. J. Smith, The Baudrillard Dictionary, cit., p. 34. (traduzione e corsivo mio)

[28] J. Baudrillard, Simulacres et simulation, cit., p. 10. (trad. mia).

[29] Id., L’échange symbolique et la mort, cit., p. 114 (trad. mia).

[30] Id., Le pacte de lucidité ou l’intelligence du Mal, Galilée, Paris 2004, p. 59 (trad. mia).

[31] «Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete», in F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale (1896), tr. it. Adelphi, Milano 2015, p. 20.

[32] Id., Il crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa con il martello (1889), tr. it. Adelphi, Milano 1983, p. 41.

[33] All’interno della questione riguardo al nesso ontologico contenuta in N. Russo, La cosa e l’ente. Verso l’ipotesi ontologica, Cronopio, Napoli 2012, viene affermato che Nietzsche «è il primo a riconoscere in maniera compiuta la logica intimamente nichilistica della metafisica, il nichilismo che sin dall’inizio è» (p. 12), circa «l’alienazione della cosa nell’ente, la differenza così istituita nello stesso, ci porta infine a vedere il nesso tra ente e nientificazione» (p. 63).

[34] M. Heidegger, Saggi e discorsi (1957), tr. it. Mursia, Milano 1991, p. 35.

[35] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., p. 51.

[36] Id., L’agonia del potere, Mimesis, Milano-Udine 2008, p. 46 (corsivo mio).

[37] Id., Mot de passe, cit., p. 45 (trad. mia). Tale citazione, in un certo senso, racchiude l’intera intelaiatura teoretica del pensiero baudrillardiano. Un’intelaiatura che, riproducendosi in una continua metamorfosi, non potrà esser esaminata e conclusa nella sua complessità. Pur tuttavia, cercando di individuare alcuni dei passaggi decisivi delle riflessioni del filosofo francese, non negando una necessaria approssimazione, si tenterà di perimetrare una delle possibili declinazioni del concetto di iperrealtà.

[38] S. Latouche, Quel che resta di Baudrillard. Un’eredità senza eredi (2019), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2021, p. 139.

[39] Come si vedrà, tale passaggio trova il proprio corrispettivo teorico-problematico nella simulation hypothesis affrontata da David Chalmers, seppur declinata a partire da una prospettiva fisico-epistemologica che, non a caso, porterà Chalmers a sostenere una posizione ibrida tra naturalismo e creazionismo.

[40] J. Baudrillard, Mots de passe, cit., p. 46 (trad. mia).

[41] Ibid., p. 239.

[42] Id., Lo scambio impossibile, cit., p. 126.

[43] In un certo qual modo l’aufhebung hegeliano-marxiano occupa un ruolo dirimente nel pensiero baudrillardiano.

[44] Id., Pouquoi tout n’a-t-il pas déjà disparu?, cit., pp. 10-11 (trad. e corsivo miei).

[45] J. Baudrillard, La trasparenza del Male (1990), tr. it. Sugarco, Milano 2018, pp. 127-128.

[46] H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana (1958), tr. it. Bompiani, Milano 1988.

[47] Ibid., p. 39.

[48] J. Baudrillard, La trasparenza del Male. Saggio sui fenomeni estremi, cit., p. 37.

[49] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015, p. 81.

[50] Per un adeguato confronto tra le riflessioni di McLuhan e Baudrillard si consiglia G. Genosko, McLuhan and Baudrillard. The masters of implosion, Taylor&Francis, London 1999.

[51] J. Baudrillard, Le pacte de lucidité ou l’intelligence du Mal, Galilée, Paris 2004, p. 63 (trad. mia).

[52] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, cit., p. 72 (corsivo mio).

[53] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., pp. 31-32 (corsivo mio).

[54] Essendo Chalmers uno dei filosofi più affermati nell’ambito della filosofia analitica contemporanea, in particolar modo nell’area della philosophy of mind, e avendo co-teorizzato l’ipotesi dell’extended mind secondo cui la mente, esercitando e delegando parte dei propri processi cognitivi attraverso oggetti appartenenti all’ambiente esterno, potrebbe non necessariamente risiedere esclusivamente nel corpo biologico/cervello, bensì, estendersi, teoricamente, all’intero mondo fisico. Tale tesi è stata presentata per la prima volta nell’ottica di un active externalism in A. Clark D. Chalmers, The Extended Mind, in «Analysis», 58, 1, 1998, pp. 7-19.

[55] D. Chalmers, Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, cit., p. XVII.

[56] W. Pawlett, Virtual, in R. G. Smith, Baudrillard Dictionary, cit., p. 237.

[57] D. Chalmers, Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, cit., p. XVIII (corsivo mio).

[58] Ibid., p. XIV.

[59] Ibid., p. XVIII.

[60] Ibid., p. 108.

[61] Ibid., p. 115.

[62] Ibid., p. 110.

[63] Ibid.

[64] Ibid., p. 112.

[65] Ibid., p. 113.

[66] C. Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, Raffaello Cortina, Milano 2014, p. 214.

[67] Y. N. Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro (2015), tr. it Bompiani, Milano, 2018, p. 449.

[68] D. Chalmers, Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, cit., p. XIII.

[69] Ibid., p. XIX.

[70] Ibid.

[71] Ibid., p. 14.

[72] Ibid., p. 469.

[73] Y.N. Harari, 21 Lezioni per il XXI secolo (2018), tr. it. Bompiani, Milano 2019, p. 340.

[74] D. Chalmers, Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, cit., p. 423.

[75] Ibid., p. 439.

[76] Ibid., p. 427.

[77] C. Incoronato, Homo Artificialis: dall’umanesimo della purezza ai neoumanesimi dell’ibridazione, Giannini, Napoli 2016, p. 51.

[78] M. Eliade, Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 2013, p. 33.

[79] Ipotizzabile nell’automiglioramento ricorsivo dell’intelligenza artificiale indicato da Nick Bostrom in N. Bostrom. Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie, Bollati Boringhieri, Torino 2018: «Un seme di IA efficace sarebbe in grado di perfezionare sé stesso in maniera iterattiva: una prima versione dell’IA potrebbe progettare una versione migliore di se stessa e la versione migliore – essendo più capace dell’originale – potrebbe riuscire a progettare una versione di se stessa ancora migliore e così via. In certe condizioni, questo processo di automiglioramento ricorsivo potrebbe continuare abbastanza a lungo da produrre un’esplosione d’intelligenza […]. Le intelligenze artificiali potrebbero essere – anzi, è probabile che per la maggior parte saranno – estremamente aliene» (p. 59).

[80] Ibid. (trad. mia).

[81] R. Donadio, Simulazione e virtualità, cit., p. 63.

[82] J. Baudrillard, Perché non è già tutto scomparso (2007), tr. it. Castelvecchi, Roma 2013, p. 19-20.

[83] Ovvero uno dei fronti critico-problematici della contemporanea sfasatura esistenziale dell’umano nella Realtà Virtuale.

[84] D. Chalmers, Reality+. Virtual Worlds and the Problems of Philosohy, cit., p. 288.

[85] Ibid., p. 291.

[86] Non a caso, lo stesso svuotamento sostanziale rinvenuto da Baudrillard nella simulazione quale equivalenza definitiva degli oggetti-segno nella trascrizione del codice binario. In tal senso, la physis della Realtà Virtuale, il nascimento che ama nascondersi nella simulazione, si celerebbe nel codice di programmazione che occupa le riflessioni di Chalmers nel capitolo “Is God a hacker in the next universe up?” contenuto in ibid., p. 124.

[87] Ibid., p. 438. La stessa costruzione teorica di Chalmers, tuttavia, potrebbe esser letta, seppur proposta sotto le spoglie del naturalismo, come una sorta di metafisica rovesciata, ovvero, riproposizione di un idealismo costrittivo del Dover Esser della realtà. Difatti, questo punto manifesterebbe il disallineamento tra le prospettive di Baudrillard e Chalmers in quanto, per Baudrillard, la rete e il medium risulterebbero configurazioni operative dell’essere degli enti, secondo la lezione mcluhaniana de “il medium è il messaggio”.

[88] Ibid., p. 294.

[89] Ibid., p. 301.

[90] Ibid., p. 281.

[91] Approssimando si potrebbe dire che, in Chalmers, la questione ontologica, nel nesso tra logos e ta onta, rifluirebbe nell’epistemologia. In tal senso, il problema della verità, quale corrispondenza tra rappresentazioni ed enti, riguarderebbe le condizioni di conoscenza dettate dall’oggettività del reale. In Baudrillard, a sua volta, vi sarebbe sempre una precedenza dell’oggetto sul soggetto conoscente, «l’oggetto non è mai innocente, esiste e si vendica»[91], in J. Baudrillard, Le strategie fatali, cit., p. 103, tuttavia tale vendetta confermerebbe l’illusione a fondamento del mondo, che confermerebbe l’oggettività di un’alterità inoggettivabile: “fortunatamente, gli oggetti che ci appaiono sono già da sempre scomparsi. Fortunatamente, nulla ci appare in tempo reale, come le stelle nel cielo notturno. Se la velocità della luce fosse infinita, tutte le stelle si presenterebbero simultaneamente e la volta del cielo sarebbe di un’incandescenza insopportabile. Fortunatamente, nulla accade in tempo reale, altrimenti saremmo sottomessi, nell’informazione, alla luce di tutti gli eventi e il presente sarebbe di un’incandescenza insopportabile. Fortunatamente, viviamo in base a un’illusione vitale, a un’assenza, a un’irrealtà, a una non immediatezza delle cose. Fortunatamente, nulla è presente né identico a sé stesso. Fortunatamente, la realtà non ha luogo” in Id., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., p. 11. Per certi versi, quindi, i due filosofi sembrerebbero trarre le medesime conclusioni ma in prospettive-finalità diametralmente opposte, se non speculari.

[92] Id., Il patto di lucidità o l’intelligenza del male, cit., p. 17.

[93] Ibid., p. 462

[94] F. Nietzsche, I filosofi preplatonici, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 5.

[95] N. Russo, La cosa e l’ente. Verso l’ipotesi ontologica, Napoli 2012, p. 105.

[96] G. Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano 1982, p. 41.

[97] Id., La sapienza greca III. Eraclito, Adelphi, Milano 1980, p. 91.

[98] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, cit., pp. 71-72 (corsivo mio).

[99] L. Floridi, La Quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano 2017.

[100] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, cit., pp. 45-46

[101] Id., Patafisica e arte del vedere, Giunti, Firenze 2006, pp. 54-55

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