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Freud e Conan Doyle. Vite parallele

Autore


Giacomo Scarpelli

Università di Modena e Reggio Emilia

Insegna Storia della filosofia e Storia delle idee all’Università di Modena e Reggio Emilia. È Fellow della Linnean Society of London e della Royal Geographical Society

Indice


  1. In punta di penna e di bisturi
  2. La lezione dei maestri
  3. La lampada rossa
  4. Cattive amicizie ed esperimenti azzardosi
  5. Psicoanalisi e ricerca psichica

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S&F_n. 27_2022

Abstract


Freud and Conan Doyle. Parallel lives

The investigative methods of Freudian psychoanalysis have long been debated, compared with the investigative methods of Sherlock Holmes. Although Freud was an avid reader of Conan Doyle's works, no one has never considered the existential and methodological concordances between the two authors. Both had medical degrees, were steeped in Darwinian science; moreover, they were the favored sons of brilliant mothers who nurtured their creative tendencies, and they had had as teachers clinicians who had become role models (Charcot and Bell). In the early days of the profession the empty days without patients had prompted each of them to imagine new conceptions; furthermore, certain dangerous friendships, accompanied by daring experiments on alkaloids, had been stimuli for knowledge of the human nature and limits. Freud and Doyle touched on each other on two occasions. Between the two, who was a writer masquerading as a doctor and vice versa?

  1. In punta di penna e di bisturi

Molto si è detto e si è scritto sull’analogia tra metodo di indagine caratteristico della psicoanalisi e indagine di tipo poliziesco scientifico. James Hillman ha affermato che le opere di Freud, nel loro essere erette secondo uno schema investigativo preciso, comprendevano un mistero da scoprire (rimozione), attraverso l’individuazione di vicissitudini e delitti (sintomi), il ricorso del protagonista al deus ex machina (transfert sull’analista), sino allo scioglimento finale (dénouement)[1]. Altri autori, tra cui Carlo Ginzburg, hanno evidenziato e messo a confronto il criterio anamnestico freudiano e l’impostazione investigativa peculiare di Sherlock Holmes[2]. Effettivamente, nel tempo libero, Freud si dilettava a leggere le imprese del volpino personaggio creato da Conan Doyle, col quale condivideva la vocazione a cogliere labili tracce e risolvere i misteri intricati.

Va comunque rilevato che non ci si è mai davvero soffermati sulle concomitanze biografiche tra gli stessi Freud e Doyle, i quali ebbero entrambi formazione medica. Ci troviamo pertanto di fronte a una sorta di circolarità esistenziale, scientifica e artistica. Il fondatore della psicoanalisi era un clinico con esperienze di fisiologo e neurologo, che impiegava una metodologia prossima a quella del personaggio uscito dalla penna di un narratore che aveva inventato una tecnica investigativa fondata sull’osservazione più scrupolosa, a sua volta elaborazione – come vedremo – del modello diagnostico della propria prima professione di medico; professione che poi era anche la medesima del sodale holmesiano, il bonario e rotondo dottor John Watson, benché spogliata di sagacia.

Naturalmente, le somiglianze e le affinità non si esauriscono qui. Ne scoveremo altre, ma intanto vale ribadire come Freud e Conan Doyle fossero accomunati tanto dalla matrice scientifica quanto dalla vena creativa. Sia il «romanziere» dell’investigazione mentale sia lo «scienziato» dell’investigazione criminale erano personalità dalle doti molteplici, cui ben si adattano le parole che Doyle stesso adoperò per celebrare le figure di spicco della cultura: «Certi uomini sono più grandi del loro lavoro. Il loro lavoro rappresenta solo un aspetto del loro carattere, invece ce ne potrebbe essere un’altra dozzina, tutti degni di nota, che si riuniscono per formare una creatura complessa e unica»[3].

 

  1. La lezione dei maestri

Sigismund Schlomo (poi abbreviato in Sigmund) Freud era nato in Moravia, suddito dell’imperatore Francesco Giuseppe, il 6 maggio 1856, lo stesso anno del commediografo G.B. Shaw, del pittore John S. Sargent e della scoperta dell’Uomo di Neanderthal. Arthur Conan Doyle era nato a Edimburgo, suddito della regina Vittoria, il 22 maggio 1859, lo stesso anno del filosofo Bergson e dello psicologo Pierre Janet, del capitano Dreyfus, del fuorilegge Billy the Kid e della pubblicazione dell’Origine delle Specie di Charles Darwin.

Il padre di Sigmund, Jacob, era un modesto commerciante di stoffe ebreo che non riuscì mai ad affermarsi. La sua terza moglie, Amalia, spirito vivace e quasi coetanea dei figli di primo letto del consorte, ebbe a sua volta due maschi e cinque femmine: Sigmund fu il prediletto[4]. Arthur Conan apparteneva a una famiglia irlandese trapiantata in Scozia, e percorsa da una vena artistica. Il nonno, John Doyle, era stato ritenuto il principe dei caricaturisti politici (si firmava HB), mentre gli zii Richard e Henry Edward ricoprivano rispettivamente le qualifiche di primo vignettista del popolare «Punch» e di direttore della National Gallery d’Irlanda; il terzo, James, era storico e anche lui illustratore. Il padre Charles, architetto spiantato, era il meno dotato, e il figlio stesso probabilmente lo superava nel disegno[5]. La madre Mary era una ragazzina quando aveva preso marito, e si rivelò uno spirito esuberante e un intelletto brillante. Anche in questo caso, il primo figlio maschio, Arthur, fu il prediletto. Il quale fu affidato ai padri gesuiti a Stonyhurst, e poi a Feldkirch, in Austria, dove prese un’infarinatura di tedesco[6].

Nel ricostruire le esistenze parallele di Freud e di Doyle, non indulgeremo a riferire di come l’uno, a diciannove anni, si fosse recato Oltremanica, affetto da quel che chiamava «mal d’Inghilterra», per recare visita ai fratellastri Emanuel e Philipp, i quali si erano trapiantati a Manchester, avevano messo su famiglia e avevano avviato fiorenti attività commerciali, né indulgeremo a riportare di come fosse rimasto incantato dal mare e dalle spiagge della vicina Blackpool, il suo clima e il cibo. Era la dear old England, assurta a modello culturale e politico, patria di adozione dei due congiunti, tanto più vecchi di lui, al punto che Sigmund bambino li considerava alla stregua di zii[7]. Analogamente, non ci soffermeremo a evidenziare come il piccolo Arthur nutrisse ammirazione per gli zii artisti trasferiti a Londra, ove lo accoglievano volentieri e gli stimolavano entusiasmo per la capitale dell’impero britannico[8]. Non va invece dimenticato che per quanto in seguito assumesse convinzioni laiche, Conan Doyle apparteneva a una famiglia di religione cattolica, in Inghilterra assoluta minoranza, come quella ebraica di Freud in Austria (per quanto anch’egli presto smettesse di praticarla). Né va trascurato che sia Freud sia Doyle scelsero lo studio della medicina in quanto al tempo era ritenuta la più «umanistica» tra le facoltà scientifiche, e perché «è un piacere così grande fare un po’ di bene che» un dottore dovrebbe «pagare per averne il privilegio»[9].

Se Conan Doyle diverrà il narratore universalmente conosciuto, anche il «gemello» viennese, confesserà di essersi dilettato a ideare trame per racconti, alcune ambientate in Oriente[10]. Per quanto si fosse ripromesso di «seppellire la bacchetta magica» della creazione artistica, in tarda età Freud arriverà a considerare la sua carriera scientifica una diversione: «sono diventato medico essendo stato costretto a distogliermi dai miei originari propositi, e il trionfo della mia esistenza consiste nell’aver ritrovato dopo una deviazione tortuosa e lunghissima, l’orientamento dei miei esordi»[11].

In ogni caso, Freud era sempre stato di ferme convinzioni darwiniane[12]. Charles Darwin non solo aveva ipotizzato l’origine delle specie e dell’uomo per selezione naturale, ma aveva anche avuto un ruolo precorritore nell’occuparsi dell’espressione delle emozioni. In ciò si era avvalso degli studi di Duchenne, neurologo alquanto singolare, nonché di Charles Bell, illustre anatomista[13].

Conan Doyle aveva avuto a sua volta la massima considerazione per Darwin – dotato di «una mente onnicomprensiva» senza precedenti – così come di Spencer e di Stuart Mill[14]. All’Università di Edimburgo aveva eletto a proprio mentore Joseph Bell, nipote del precedente, dotato di straordinarie doti di diagnosta e di osservatore. Non ancora ventenne, Doyle nel 1876 era rimasto strabiliato di fronte alle sue esibizioni: allampanato, bruna capigliatura setolosa, Bell in aula ordinava allo studente (Arthur) di far entrare i pazienti uno a uno e inesorabilmente ne coglieva con un solo sguardo il malanno e anche il mestiere e le abitudini[15].

In modo sorprendentemente affine, Jean-Martin Charcot, seguace di Duchenne, la chioma candida e le orbite buie, possedeva altrettanto occhio clinico, la capacità di catturare istantaneamente la fisionomia di una persona e di schizzarla a mente sulla carta, inoppugnabile. Nel corso delle sue lezioni, Charcot, grazie all’ipnosi di cui faceva uso nei casi d’isteria, aveva svelato a Freud, borsista presso l’ospedale parigino della Salpêtrière (1885), l’azione della parte sommersa della psiche, decifrandola con l’intuizione creativa[16].

Sarà Bell a ispirare un giorno in Doyle la figura del suo campione dell’investigazione criminale, Sherlock Holmes (Watson era semmai la proiezione di Doyle stesso), ma sarà Charcot a svelare a Freud l’esistenza dell’inconscio.

 

  1. La lampada rossa

Va riconosciuto che le vite dei due personaggi per un periodo si erano fatte divergenti, ma era stato di breve durata. Freud aveva impiegato otto anni per laurearsi all’Università di Vienna, nel 1881. Aveva trovato impiego all’Istituto Zoologico, quindi all’Istituto di Fisiologia e poi all’Ospedale Generale della capitale austriaca. Conan Doyle aveva invece pubblicato il suo primo racconto nel 1879 (The Mystery of Sasassa Valley), e si era imbarcato per sei mesi in qualità di apprendista medico di bordo sulla baleniera Hope (1880), a caccia nel Circolo Polare Artico; sarebbe seguita un’altra esperienza marinaresca, sulla Mayumba, lungo le coste africane (1882). Il dato significante, comunque, resta che anche Arthur si era addottorato in medicina in quel 1881, a Edimburgo, con una tesi sulla atassia locomotoria.

Seguono gli anni di iniziazione alla pratica professionale. Doyle si è stabilito nel 1882 a Southsea, al numero 1 di Bush Villas, e ha installato davanti al portone una targa lustra e un globo rosso luminescente, quale vistosa insegna di medico generico. La sala di consultazione l’ha allestita al di là delle sue possibilità economiche, con tappeto, tavolo di quercia, quadri e uno strumentario fornito. Né lo stratagemma della lampada da caserma dei pompieri, né l’ambulatorio elegante sortiscono però l’effetto desiderato da Arthur, il quale trascorre le giornate in attesa di pazienti che non si presentano (di momenti altrettanto vuoti patirà anche il suo Sherlock). Narrerà nella raccolta intitolata La lampada rossa (1894):

Uomini, donne e bambini… durante una giornata ne passavano a migliaia, e tuttavia tutti sembravano trascorrere in fretta, occupati nei loro affari, gettando appena un’occhiata alla piccola placca di ottone o evitando di sprecare un pensiero riguardo a quell’uomo in attesa nel suo studio. Eppure, quanti di loro sicuramente, naturalmente, avrebbero potuto trovare giovamento nella sua assistenza professionale. Uomini dispeptici, donne anemiche, volti pustolosi, carnagioni biliari…[17].

E Freud? Non se la passava molto meglio. Aveva pubblicato sulla «Neue Freie Presse» l’annuncio che «il dottor Sigmund Freud» era tornato da «un soggiorno di sei mesi da Parigi», e che risiedeva al numero 7 della Rathausstraße[18]. Al portone era apposta una targa di vetro a lettere d’oro. Il quartierino era spazioso e ben ammobiliato, con tanto di saletta oftalmoscopica. Qualche paziente si presentava, ma quasi nessuno era in grado di pagare la visita. Un minimo per sostentarsi proveniva da ex degenti del dottor Joseph Breuer, protettore del giovane Sigmund, il quale scriveva alla fidanzata Martha Bernays: «in poche settimane il mio denaro, che non ho ancora riscosso, sarà finito»[19]. In quelle ore nell’ambulatorio deserto, nacque in Freud l’esigenza di elaborare un sistema di pensiero atto all’esplorazione dell’inconscio, sulla scorta di ricerche sulla funzionalità del sistema nervoso e sui fenomeni isterici (in collaborazione col più anziano Breuer), ma anche dello studio dell’ipnosi e delle opere di pionieri della psichiatria quali Charcot e Bernheim, e di un filosofo quale Stuart Mill, per giungere alla analisi e all’interpretazione del sogno e del rapporto tra nevrosi e sessualità[20].

Parallelamente, in Conan Doyle alle prese con la propria ristagnante carriera medica, si andava rafforzando e consolidando la vocazione del narratore, da lui accolta con una specie di «gioia selvaggia», che finalmente lo avrebbe reso padrone di se stesso. Lentamente, ma inesorabilmente, andrà affermandosi come autore dapprima di racconti – anche sulle sue disavventure professionali – in seguito con l’edificazione della figura del detective che gli avrebbe assicurato il successo planetario, anche se lo avrebbe condannato a non più liberarsene[21].

Si trattò dunque da parte sia di Freud sia di Doyle di «fiaschi felici» (preferibile il titolo di una novella di Melville all’abusato serendipity)[22], cioè di insuccessi che generarono la fortuna dei due giovani medici squattrinati.

 

  1. Cattive amicizie ed esperimenti azzardosi

Freud e Doyle diverranno l’uno padre della psicoanalisi, l’altro di Sherlock Holmes, ma i loro rispettivi cammini continuano a risultare punteggiati da esperienze simili, anche se non sempre luminose.

È nota la storia dello stretto rapporto di amicizia tra Freud e Wilhelm Fliess, otorinolaringoiatra tedesco dalle teorie ingegnose e bislacche sulla corrispondenza riflessa tra mucosa nasale e apparato genitale, e sui cicli biologici femminili e maschili, nonché chirurgo spericolato: rischiò di uccidere con un intervento sbagliato una paziente di Freud stesso, Emma Eckstein. Ciò nonostante, il sodalizio con Fleiss fu necessario per Freud non solo perché gli fornì un appoggio morale negli anni cruciali della sua vita, ma anche perché gli favorì l’indagine introspettiva, finalizzata a individuare i barlumi della teoria psicoanalitica, tra cui la bisessualità e la sublimazione[23].

D’altronde, Conan Doyle, nel 1882, subito prima dell’apprendistato a Southsea, si era lasciato irretire da un esuberante collega dall’etica professionale non proprio adamantina, George T. Budd. Il quale si era procurato a Plymouth una variopinta clientela degna del circo Barnum: curava con metodi ciarlataneschi, che gli fruttavano denaro sonante. Aveva fatto leva su una certa ingenuità di Arthur, sfruttandolo e poi accusandolo di avergli allontanato i pazienti a causa del suo esercizio della medicina tradizionale e superato. Si era giunti a una rottura del sodalizio quando Budd aveva sfasciato a martellate la placca «Dr. Arthur Conan Doyle», posta all’ingresso dello studio in comune. Va però ammesso che la breve attività insieme a Budd aveva costituito per Doyle un’esperienza che andava oltre quella scientifica. La conoscenza ravvicinata con le più svariate tipologie di persone gli sarebbe tornata utilissima nella creazione dei personaggi per le proprie opere[24].

L’altra cantonata in cui era incorso il giovane Freud era consistita nello sbandierare sconsiderata fiducia sulle proprietà benefiche della cocaina. Dopo averla provata su di sé in dosi blande, nel 1884 aveva pubblicato il saggio in cui vantava le doti farmacologiche dell’alcaloide, che poteva essere impiegato nella cura della nevrastenia, della cachessia, dei disturbi di stomaco, come euforizzante, analgesico e afrodisiaco, insomma una panacea. Impiegò la cocaina per alleviare la condizione dell’amico Ernst Von Fleischl-Marxow, autore di ricerche sull’attività elettrica del sistema nervoso, il quale pativa per le complicazioni dell’amputazione di un pollice ed era diventato morfinomane. La prescrizione di Freud, benché elargita con le migliori intenzioni, causò ulteriore dipendenza di Fleischl e lo condusse alla morte[25]. L’elogio malriposto della cocaina e l’esito infausto della terapia provocarono in Freud sensi di colpa e rischiarono di offuscargli la carriera. E però, chi sa, lasciarono una qualche traccia Oltremanica: il ricorso che Holmes fa della cocaina in soluzione sette per cento, quando si trova a corto di casi criminosi e cade nella depressione[26].

A onor del vero, cinque anni prima di Freud, Conan Doyle aveva pubblicato il resoconto dell’esperimento sugli effetti di un altro alcaloide, il Gelseminum (o Gelsemium), affine alla stricnina e impiegato come miorilassante, per trattare nevralgie e neuropatie. Era andata così. Durante il tirocinio a Birmingham, presso il paterno dottor Reginald Hoare (che si potrebbe ritenere un corrispettivo di Breuer), tormentato dalla cefalea, Arthur si era autosomministrato la tintura di gelsomino in quantità sempre crescenti, allo scopo di stabilire la soglia del sovraddosaggio. L’azzardata sperimentazione, segnata dall’insorgere progressivo di vertigini e paralisi facciali, si era arrestata al raggiungimento di una dose di duecento minime (equivalente ad altrettanti granuli faramacopeici), la quale provocava una forma estrema di diarrea[27]. Superare quel limen significava la morte. Probabilmente in questa occasione Doyle si dimostrò più cauto di Freud.

 

  1. Psicoanalisi e ricerca psichica

Il giorno dell’Epifania del 1891 Conan Doyle giunse a Vienna insieme alla moglie Louisa. Nevicava a larghe falde. Vi rimase tre mesi, per seguire le lezioni di oftalmologia al Krankenhaus e migliorare la conoscenza del tedesco. Si manteneva scrivendo racconti nel tempo libero. Freud si era sposato con Martha, era agli inizi del suo sodalizio con Fliess e andava pubblicando saggi sulle afasie e sulla paralisi infantile. Arthur e Sigmund non si incontrarono personalmente, possiamo immaginare che si sfiorarono soltanto, nell’edificio universitario, lungo l’Alserstraße, oppure in un caffè. E tuttavia questa non fu l’unica occasione.

Freud erigeva l’edificio della psicoanalisi sulla base della teoria sessuale e del centrale complesso di Edipo. Doyle invece prenderà a essere attratto sempre più fortemente dallo spiritismo. Questa disposizione si trasformerà quasi in un’ossessione, anche se fondata su un presupposto – almeno terminologico – affine all’indagine freudiana: lo studio del mondo psichico. La Society for Psychical Research, per l’appunto, fondata nel 1882 e di cui facevano o faranno parte, oltre a Conan Doyle, i fisici Crookes, Lodge, Flammarion, i coniugi Curie, gli psicologi Janet, Liébeault, Bernheim, i filosofi Sidgwick, Bergson e William James, l’ideatore della teoria della selezione naturale Alfred R. Wallace, e persino Cesare Lombroso, aveva l’intento di svolgere uno studio scientifico dei fenomeni cosiddetti paranormali. Era una compagine internazionale che poche accademie potevano vantare.

Col tempo, tuttavia, si venne a creare nell’associazione uno spartiacque tra coloro che giudicavano saggio continuare a indagare solamente laddove la determinazione razionale offriva una certa attendibilità – prevalentemente riguardo alla supposta trasmissione del pensiero – e coloro che invece ritenevano la ricerca psichica atta ad affrontare ogni aspetto parapsicologico, compresa la possibilità di comunicazione con i defunti. Doyle, assieme al suo nuovo mentore Wallace, apparteneva a questa frangia: finirà per diventare acritico sostenitore dell’attività dei medium[28].

Anche Freud era stato cooptato nella Society for Psychical Research. Comunicava nel 1911 al discepolo Jung che l’istituzione «mi ha invitato a porre la mia candidatura a socio corrispondente […] Primo segno di interesse di questa dear old England. La List of members è veramente formidabile»[29]. L’orgoglio che trapelava dalle sue parole era motivato dalla constatazione che la psicoanalisi, vista in patria come una dottrina «scandalosa», otteneva riconoscimento all’estero. Più tardi però, colto dal timore di compromettersi e di essere accomunato agli spiritisti, Freud aveva puntato i piedi, da un lato cercando di spiegare la telepatia con la psicoanalisi stessa, dall’altro dichiarando che l’associazione era «riuscita a estorcermi un articolo inglese sull’inconscio», ma esso, «naturalmente,» non diceva «nulla di nuovo»[30].

Nemmeno in questa circostanza Freud e Doyle entrarono dunque in contatto diretto, nondimeno possediamo ormai abbastanza elementi per provare a tirare le somme. Se Hillman ha affermato che Freud era uno scrittore con la maschera del medico, abile autore di romanzi terapeutici[31], potremmo a nostra volta dire che Conan Doyle era un medico con la maschera di scrittore? Sarebbe eccessivo, forse, e semmai potrebbe valere per il Doyle precedente la sua fascinazione per i fantasmi. Ma sarebbe altrettanto generico sostenere semplicemente che ambedue appartenevano alla categoria di medici che furono anche artisti, da Čechov a Bulgakov, da Cronin a Mario Tobino. Tra Freud e Doyle esisteva un particolare, inconsapevole affratellamento metodologico, esistenziale e di formazione, che piuttosto ci autorizza a riunirli sotto il motto che fu di Cartesio: larvatus prodeo. I due autori, in definitiva, «avanzavano mascherati», per scrutare la realtà senza condizionamenti, per costruire liberamente altri mondi, forse non meno veri[32].


[1] J. Hillman, Le storie che curano (1983), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 1984, pp. 3-23.

[2] C. Ginzburg, A. Davin, Morelli, Freud and Sherlock Holes: Clues and Scientific Method, in «History Workshop Journal», 9, 1980, pp. 5-36; M. Rohrwasser, Freuds Lektüren: Von Arthur Conan Doyle bis zu Arthur Schnitzler, Imago Psychosozial Verlag, Gießen 2005, pp. 17-86.

[3] A.C. Doyle, Oltre la porta magica (1907), tr. it. Piano B, Prato 2010, p. 49.

[4] Vedi P. Gay, Freud. Una vita per i nostri tempi (1988), tr. it. CDE, Milano 1988; P.-A. Alt, Sigmund Freud (2016), tr. it. Hoepli, Milano 2022.

[5] Arthur si dilettava appunto nel disegno; il suo schizzo più noto è The Old Horse (1929), rappresentazione dell’autore sotto forma di ronzino, che arranca tirandosi dietro il fardello dei familiari e delle imprese di un settantennio.

[6] Vedi J.D. Carr, La vita di Sir Arthur Conan Doyle (1949), tr. it. Rizzoli, Milano 1956; A. Lycett, Conan Doyle (2007), tr. it. Exceltior 1881, Milano 2011.

[7] P. Gay, Freud: percorsi di lettura (1990), tr. it. Il Pensiero Scientifico, Roma 1994, pp. 39 e 43. Cfr. S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1989, III, pp. 246 e 253.

[8] Cfr. J.D. Carr, La vita di Sir Arthur Conan Doyle cit., pp. 15, 26-27.

[9] A.C. Doyle, I discorsi del chirurgo, in Un medico d’altri tempi (1894), tr. it. Passigli, Firenze 2012, p. 118.

[10] S. Freud, lettera a Martha Bernays (1° aprile 1884), in M. Lavagetto, Freud, la letteratura e altro, Einaudi, Torino 2001, p. 9.

[11] S. Freud, Poscritto del 1927 a Il problema dell’analisi condotta da non medici (1926), tr. it. in Opere, cit., X, p. 418.

[12] Cfr. P. Gay, Freud, cit., p. 33.

[13] C. Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2012. Cfr. G. Scarpelli, L’eredità della scimmia, in «B@abelonline.print», V, 2008, pp. 159-167. Darwin apprezzava il Bell osservatore delle espressioni facciali umane, ma ne criticava la convinzione che gli animali non ne avessero.

[14] A.C. Doyle, Oltre la porta magica, cit., p. 143.

[15] J.D. Carr, La vita di Sir Arthur Conan Doyle, cit., pp. 38-39.

[16] S. Freud, Charcot (1893), tr. it. in Opere, cit., II, pp. 105-116; Autobiografia (1925), ibid., X, pp. 75-141. Freud tradusse in tedesco un’opera di Charcot (Neue Vorlesungen über die Krankheiten des Nervensystems, Toeplitz und Deuticke, Leipzig und Wien 1886).

[17] A.C. Doyle, Falsa partenza, in La lampada rossa (1894), tr. it. Passigli, Firenze 2011, p. 34. Vedi A. Lycett, Conan Doyle, cit., pp. 83-93.

[18] E. Jones, Vita e opere di Freud (1953), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1966, I, p. 186.

[19] S. Freud, Lettere 1873-1939 (1960), tr. it. Boringhieri, Torino 1960, p. 196.

[20] Gli scritti di Freud sugli argomenti elencati occupano i primi 3 volumi delle Opere, cit.

[21] Holmes fa la sua prima apparizione in A Study in Scarlet (1887).

[22] H. Melville, The Happy Failure (1854), tradotto da Enzo Giachino: Il fiasco felice, in Racconti, Einaudi, Torino 1954.

[23] Cfr. S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, 1887-1904 (1985), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1990; F. Sulloway, Freud biologo della psiche (1979), tr. it. Feltrinelli, Milano 1982.

[24] Nel romanzo epistolare autobiografico The Stark Munro Letters (1895), Doyle raccontò le sue esperienze con Budd, modificandone il nome in James Collingworth. Vedi D.N. Pearce, The Illness of George Tumavine Budd and Its Influence in the Literary Career of Sir Arthur Conan Doyle, in «Journal of Medical Biography», III, 1995, pp. 236-238.

[25] S. Freud, Sulla cocaina (1884), tr. it. Marsilio, Padova 1976; P. Gay, Freud, cit., pp. 40-41.

[26] Nicholas Meyer in La soluzione sette per cento (1974), tr. it. Rizzoli, Milano 1976, fa incontrare Freud con Holmes, allo scopo di disintossicarlo. Dal romanzo è tratto un film del 1976, regia di Herbert Ross.

[27] A.C. Doyle, Gelseminum as a Poison, in «The British Medical Journal», 20 settembre 1879, p. 483. Vedi anche K. Jones, I. Kelvin, The Sherlock Holmes Pharmacopoeia: Being an Examination into the Uses and Effects of Drugs and Poisons in the Sherlock Holmes Stories, Oakmagic Books, Weston-super-Mare 2002.

[28] Tale argomento è trattato nel mio Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 134-175.

[29] Lettere tra Freud e Jung (1974), tr. it. Boringhieri, Torino 1974, p. 426.

[30] Op. cit., p. 522; S. Freud, Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912), in Opere, cit., VI, pp. 573-581.

[31] J. Hillman, Le storie che curano, cit., p. 8.

[32] R. Descartes, Cogitationes privatae (1619), 1.

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