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Bataille, l’informe all’opera

Autore


Cristian Fuschetto

Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Un dizionario stranissimo
  2. Statistiche e scarti

 

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S&F_n. 07_2012


  1. Un dizionario stranissimo

Negli stessi anni in cui Hitler prepara la sua salita al potere, Bataille dà vita a un progetto editoriale che urterà la sensibilità di molti intellettuali, soprattutto di quelli d’accademia (all’epoca assai sensibili). Nel biennio 1929-1930 egli dirige la rivista d’arte «Documents». Il cavallo accademico, L’apocalisse di San Severo, Il linguaggio dei fiori, Figura umana, Il giro del mondo in 80 giorni, L’alluce, Il gioco Lugubre, Il basso materialismo e la gnosi, Le deviazioni della natura, Sole putrido, già dai titoli dei suoi scritti emerge un’eccentricità di interessi. Nei suoi articoli Bataille parla di tutto, di fotografia, di testi sacri, di civiltà antiche, di piedi, di rituali di macellazione e del suo tanto caro Hegel, si tratta di pezzi di bravura, certo, apparentemente scollegati gli uni dagli altri, ma ciò non toglie che da quegli scritti possa emergere un unico filo conduttore. Lo mette in luce Denis Hollier: il filo conduttore è il concetto di informe.

È bene ricordare che la rivista viene corredata sin dal secondo numero di un Dizionario critico molto singolare, dove i redattori (il più delle volte lo stesso Bataille) ridefiniscono sarcasticamente e ironicamente il senso di parole e concetti. Basta l’elenco delle parole ridefinite per rendersi conto che si tratta di un dizionario molto lontano da quelli canonici: Architettura, Black Birds, Bocca, Cammello, Ciminiera, Esteta, Infelicità, Informe, Kali, Materialismo, Mattatoio, Metamorfosi, Museo, Occhio, Polvere, Spazio. Secondo Hollier, tra tutti questi concetti è senz’altro quello di informe a svolgere un ruolo fondamentale. L’informe rappresenta qui la funzione di manifesto non solo del Dizionario redatto da «Documents» ma della stessa estetica batailleana. «L’articolo “informe” occupa dunque il posto che viene solitamente attribuito in questo tipo di opere all’articolo “dizionario” stesso»[1]. Si tratta di una parola chiave.

 

Informe. Un dizionario comincerebbe dal momento in cui non desse più il senso ma i compiti delle parole. Così informe non è soltanto un aggettivo con tal senso ma un termine che serve a declassare, esigendo in generale che ogni cosa abbia la sua forma. Ciò che designa non ha diritti suoi in nessun senso e si fa schiacciare dappertutto come un ragno o un verme di terra. Bisognerebbe effettivamente, perché gli uomini accademici fossero contenti, che l’universo prendesse forma. La filosofia intera non ha altro scopo; si tratta di dare una redingote a ciò che è, una redingote matematica. Per contro, affermare che l’universo non rassomiglia a niente e non è che informe equivale a dire che l’universo è qualcosa come un ragno o uno sputo[2].

 

Si tratta dunque di dare i compiti delle parole, non il loro significato. Ecco, questo è lo scopo del Dizionario, ma questo è anche lo scopo dell’estetica batailleana, della logica sanamente decostruttiva che la anima. Nell’intenzione di Bataille, l’informe deve infatti essere assimilato a un costante processo di decostruzione delle forme, indirizzato a introdurre dissomiglianza laddove si presuppone il Medesimo. Anzi, non solo laddove lo si presuppone, laddove lo si preferisce; perché anche il senso delle parole è frutto di una scelta. Ebbene, a giudizio di Bataille la scelta della tradizione è stata sempre per l’ordine, la stasi, l’armonia e l’ideale. Il pensiero, però, in questo modo dimentica la bassa concretezza dalla quale pure è generato.

Va da sé che non si tratta semplicemente di rovesciare il mondo statico delle idee con quello dinamico della materia. Così non si farebbe altro che idealizzare la materia riproponendola in fin dei conti nuovamente come forma. Bataille è perfettamente consapevole del rischio e ricorda che

molti materialisti del passato hanno finito col situare la materia morta al vertice di una gerarchia convenzionale dei fatti di ordine diverso, senza accorgersi di cedere così all’ossessione di una forma ideale della materia, di una forma che si avvicinerebbe più di qualunque altra a ciò che la materia dovrebbe essere. La materia morta, l’idea pura e Dio rispondono, in effetti, nello stesso modo, cioè perfettamente, altrettanto piattamente dello scolaro docile in classe, a una domanda che non può essere posta che da filosofi idealisti, alla domanda circa l’essenza delle cose, esattamente circa l’idea per la quale le cose diventerebbero intelligibili. I materialisti classici – conclude – non hanno neppure veramente sostituito la causa al dover essere[3].

 

Bataille è sì un materialista, ma tutt’altro che ingenuo. Egli è un basso materialista, ovvero dialettico, a suo giudizio la materia è fonte di contraddizioni: i dualismi si tengono e non vengono ipostatizzati. Il suo materialismo ha l’obiettivo specifico di liberare la materia dalla pressione dell’idea senza per questo presumere che dell’idea se ne possa fare a meno. Si tratta di declassare e non di capovolgere delle gerarchie (in primis la gerarchia tra materia e forma), e l’informe serve esattamente a questo. L’informe allora non definisce alcunché, opera. Insomma è un principio dinamico. Non si tratta di negare statuto alle cose, di opporre dadaisticamente un “No” a tutto; si tratta piuttosto di fare il contrario, di promuovere un «movimento Sì, implicante un perpetuo consenso a ogni cosa»[4].

È molto probabile che il pensatore francese attraverso questo concetto abbia avviato il tentativo filosofico di istituire impensate relazioni tra cose, tra l’ideale e il reale, l’alto e il basso. È solo in questo movimento, ma in generale è solo nel movimento, suggerisce il filosofo, che è possibile creare lo spazio per uno scarto, ovvero per una forma nuova. A tal proposito è stato correttamente sottolineato che «l’informe è l’accidente delle forme, la loro condizione contingente e non sostanziale, in quanto, quando ci si riferisce a questo termine, bisogna intenderlo come aggettivo e non come sostantivo»[5]. Tra dinamismo e inclusività, l’informe esprime quindi un’esigenza primaria: quella dell’alterazione. Nonostante l’istintiva passione per la forma, tutto è alterabile e, insinua Bataille, per fortuna che le cose stiano così. Senza l’alterazione non si aprirebbe lo spazio per la nascita di nuove forme. Non è dunque solo questione di un’illusione ottica dettata dalla volontà di riconoscere ordine anche laddove quell’ordine non c’è, è questione di vita o di morte. L’informe costringe a fare attenzione al movimento che trapassa ogni cosa e, in tal modo, crea lo spazio necessario per far essere quello che ancora non è.

 

  1. Statistiche e scarti

Si assiste così a un colpo al cuore dell’ontologia delle forme, siano esse di dominio estetico o antropologico. Nell’articolo dedicato agli Scarti della natura, le linee di questo movimento emergono in modo piuttosto chiaro. Prendendo le mosse da un manuale di teratologia del XVII secolo, intitolato proprio Les écarts de la nature, Bataille arriva al dunque allorché cita Galton, padre dell’eugenetica. Lo cita in un’altra veste, come statistico e teorico delle medie e dei tipi, ma la cosa rimane significativa.

 

Un “fenomeno” da fiera qualsiasi provoca un’impressione positiva di incongruità aggressiva, un po’ comica, ma soprattutto generatrice di malessere. Questo malessere è oscuramente legato a una seduzione profonda. E, se si può parlare di dialettica delle forme, è evidente che bisogna tener conto in primo luogo di tali capricci di cui la natura, benché siano solitamente chiamati contro natura, è incontestabilmente responsabile[6].

 

Bataille fa immediatamente notare che l’incongruità di cui si parla è praticamente rinvenibile in ogni uomo, solo che «è poco sensibile e per questo è preferibile riferirsi ai mostri per determinarla». Chi ha provato a definirla in modo scientifico è appunto Galton, che attraverso la sovrapposizione di numerose foto di studenti americani ha ottenuto, o comunque pensato di ottenere, l’idea dello studente perfetto.

Così con quattrocento visi di studenti maschi americani, si ottiene un viso tipo di studente americano. Georg Treu ha definito […] il rapporto tra l’immagine composita e le sue componenti mostrando che la prima è necessariamente più bella della media delle altre: così venti visi mediocri compongono un bel viso e si ottengono senza difficoltà delle figure le cui proporzioni sono molto vicine a quelle dell’Hermes di Prassitele[7].

 

Ma ecco il punto.

L’immagine composita darebbe così una specie di realtà all’idea platonica, necessariamente bella. Nello stesso tempo la bellezza sarebbe alla mercé di una definizione così classica come quella della misura comune. Ma ogni forma individuale sfugge a questa misura comune, e in qualche modo, è un mostro[8].

 

Ogni forma individuale è un mostro perché ogni individualità rappresenta uno scarto. È per questo che la metafisica, e la sua variante umanistica, avversano le molteplicità: esse partono dall’assunto per cui «ogni cosa debba avere la sua forma». Ma ciò, almeno nel dominio delle cose viventi, è impossibile.

L’informe è un’operazione. Su questo aspetto del concetto ha lavorato molto Rosalind Krauss, che tra i suoi numerosi lavori a riguardo ne annovera anche uno sul paradigma fotografico dell’informe. Come rendere meccanicamente, si chiede la studiosa, quest’azione di rottura e di trasformazione? Poiché l’informe non nasce dalla negazione delle forme (questo è l’errore dei materialisti ingenui), ma dalla loro relazione, Krauss individua dei procedimenti spaziali adottati dai fotografi coinvolti nel progetto di «Documents» e di «Minotaure» (rivista molto vicina alla prima), in grado creare un “riorientamento” dell’immagine al fine di restituirne la bassa materialità. Si tratta di mezzi semplici, consistenti nel «far ruotare il corpo umano, cosicché un semplice oscillamento dall’asse verticale all’orizzontale trasformi il tutto del corpo in parte, l’alto (la Gestalt) in basso (l’organo sessuale), l’umano nell’animale»[9].

È la strategia adoperata, per esempio, da Brassaï quando fotografa i nudi femminili, dove grazie a una semplice torsione riesce a trasformare un torso femminile in fallo o l’asse metamorfosa dei seni nell’immagine di una bestia. L’artista ungherese ci conduce a vedere l’informe al lavoro, immortalando con procedimenti inconsueti ciò che è normale in un’altra forma. L’effetto è scioccante perché l’“altra” forma non è ancora definita ma è, per così dire, nel passaggio dalla vecchia alla nuova, dal Medesimo all’Altro; è cioè inclassificabile e per questo mostruosa. Basta lo spostamento dalla verticalità dell’umano all’orizzontalità dell’animale per mutare radicalmente lo scenario. Su questo punto insiste a ragione la Bois, quando a proposito della natura operazionale dell’informe sostiene che l’orizzontalità qui non può indicare semplicemente uno stato, perché l’informe ha una consistenza dinamica, ma sta a significare piuttosto

un ribaltamento dal verticale all’orizzontale o orizzontalizzazione. La rotazione di cui si tratta in questo ribaltamento è una delle strategie messe in opera nel modo più insistente da Bataille (regge diversi testi di “Documents”, come la voce Bocca del Dizionario critico e L’alluce, ma anche tutto il dossier sull’occhio pineale): l’uomo è molto fiero di essersi eretto (e di aver abbandonato così la sua condizione animale, il cui asse biologico bocca-ano è orizzontale) ma questa fierezza è fondata su una rimozione. Verticale, l’uomo ha biologicamente senso solo per guardare il sole e bruciarsi gli occhi o per contemplare i suoi piedi nel fango: la sua attuale architettura, per la quale il suo sguardo orizzontale attraversa un campo visivo verticale, è un travestimento[10].

 

Sul piano umanistico, l’accostamento uomo-animale è quanto di più mostruoso possa essere concepito e, difatti, Bataille ce l’ha con tutti i sistemi, prima di tutto con l’umanesimo[11]. La ragione è quella di sempre: i sistemi vivono di strutture e gerarchie e, in questo modo, emarginano ogni “altra” possibilità. Anzi, condannano il regime stesso del possibile. Lo spiega a suo modo Paul Valéry, che in un saggio del 1936 dedicato a Degas, scrive:

Pensavo talvolta all’informe. Ci sono cose, macchie, masse, contorni, volumi, che non hanno, in qualche modo, che un’esistenza di fatto: non sono che percepite da noi, ma non conosciute; non possiamo ridurle a una legge unica, dedurre il loro tutto dall’analisi di una delle loro parti, ricostruirle con operazioni logiche […]. Dire che sono cose informi, significa, non che non hanno affatto forme, ma che le loro forme non trovano in noi nulla che permetta di rimpiazzarle con un atto di definizione o riconoscimento sicuro. E, effettivamente, le forme informi non lasciano altro ricordo se non quello di una possibilità[12].

 


[1] D. Hollier, La prise de la Concorde, Gallimard, Paris 1974, p. 62.

[2] G. Bataille, Informe, in Documents, tr. it. Dedalo, Bari 1974, p. 165.

[3] Id., Materialismo, ibid., p. 170.

[4] M. Leiris, De Bataille l’impossible à l’impossible Documents, in «Critique, Hommage à Georges Bataille», 195-196, 1963, p. 686.

[5] C. Alemani, L'informe: un percorso tra le pagine di Documents, in «Itinera», 2002 (www.filosofia.unimi.it/itinera).

[6] G. Bataille, Gli scarti della natura, in Documents, cit., p. 108.

[7] Ibid.

[8] Ibid.

[9] R. Krauss e Y-A. Bois, Oggetto parziale, in L’informe, a cura di E. Grazioli, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 153.

[10] Y.-A. Bois, Introduzione. Il valore d’uso dell’informe, ibid., p. 15.

[11] Cfr. ibid., p. 6.

[12] P. Valéry, Del suolo e dell’informe, in Degas Danse Dessin, cit. in C. Alemani, op. cit.

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