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Simone Pollo – Umani e animali: questioni di etica [Carocci editore, Roma 2016, pp. 148, € 14]


Quasi sicuramente il nostro primo incontro con un animale è avvenuto da bambini: con il cane o il gatto di casa, con gli animali “selvatici” della “giungla” urbana, con gli esemplari negli zoo, ma anche, in modo più sottile e indiretto, con gli animali usati per il cibo o per le sperimentazioni mediche e scientifiche. Gli animali sono ovunque, radicati in quasi tutto quello che facciamo, in quasi tutto quello che usiamo, non solo come oggetti di incontro diretto ma anche nelle pratiche della vita quotidiana. Cosa accadrebbe se decidessimo di eliminare totalmente gli animali dalla nostra quotidianità? Secondo Simone Pollo, ci ritroveremmo a vivere in condizioni totalmente diverse da quelle fino a ora conosciute. Gran parte della nostra esperienza come esseri umani si basa, infatti, su quella polarizzazione fattuale originaria che è definita dalla distinzione tra l’uomo e l’animale, una distinzione che si esprime in tutti i rapporti che intessiamo con gli animali. L’interdipendenza di questa relazione ha condotto gli uomini a essere tali, se «si provasse a riscrivere la storia umana senza gli animali, lo scenario che risulterebbe sarebbe privo dell’essere umano così come è oggi, tanto nelle sue condizioni di vita quanto nella sua stessa costituzione biologica» (p. 17). L’essere umano è tale perché ha conosciuto l’animale e perché con esso ha intessuto relazioni di incontro e scontro. Ed è proprio nell’incontro poliformico con l’alterità animale, l’incontro con l’animale domestico, l’incontro/scontro con l’animale selvaggio, lo scontro con l’animale che usiamo per mangiare o per sperimentare, che il comportamento umano e animale si chiarifica in quella che è un’interdipendenza reciproca. In ogni epoca e in ogni età dell’uomo, il rapporto con l’essere animale ha scandito le modificazioni della civiltà. Il ruolo degli animali «non è contingente o occasione: ha condizionato il processo della civilizzazione e ha plasmato le nostre stesse capacità mentali» (p. 23). Se non avesse tessuto rapporti di amicizia con alcuni esemplari più docili di Canis lupus, modificandosi e influenzandosi mutualmente, come avviene in tutti i rapporti affettivi, difficilmente potremmo pensare che la razza umana, oggi, sarebbe la stessa. L’umanità sarebbe sicuramente un diverso tipo di umanità se non avesse utilizzato e utilizzasse tutt’oggi gli animali come sostentamento. Tutti i processi che hanno condotto a uno stretto rapporto tra animali umani e animali non-umani hanno comportato una svolta radicale non solo nel processo dell’evoluzione animale ma anche in quella umana. L’analisi che si dispiega per tutta la durata del lavoro permette di riconoscerlo in quelle diverse forme di rapporto prese in esame: gli animali come cibo, gli animali nella sperimentazione, gli animali selvatici e gli animali in cattività. «Le relazioni con gli animali sono ereditate dagli esseri umani come frutto di un lungo percorso della specie e della civilizzazione […] Le nostre abitudini alimentari, per esempio, sono qualcosa che riceviamo e che è determinato tanto dalle nostre necessità biologiche quando da come queste sono declinate in un percorso culturale» (p. 77).   Tutte le complesse modalità attraverso cui ci relazioniamo con gli animali prese in esame diventano lo strumento pratico per una riflessione morale. Se l’indagine morale non è mera speculazione ma ha la capacità di indirizzare verso un progresso che si compia «nel perfezionamento delle capacità individuali di riflettere» (p. 133) su un tema, allora l’approfondito excursus proposto da Pollo si dimostra essere un importante luogo teorico in cui esercitare le capacità di comprensione e ricostruzione in vista di un «progresso morale» (p. 131) che permetta un perfezionamento, non necessariamente normativo o prescrittivo, delle nostre capacità riflessive.  Allontanandosi da quella tradizione normativa che deriva dai lavori di Peter Singer e Tom Regan che dominano sul piano del dibattito teorico contemporaneo, la riflessione di Pollo permette il districarsi attraverso la pratica quotidiana dell’incontro e dello scontro con l’alterità animale, lasciando libero il volere di fare e di capire. Dunque, non è l’animale a essere l’unico soggetto dell’analisi ma esso deve, come suggerito dal titolo, dividere l’onere con l’essere umano il quale, senza dubbio in una posizione di vantaggio, esprime ogni giorno la sua ontologia attraverso e grazie ai rapporti (benevoli o meno) che instaura con gli animali. Nel testo ci si confronta con un’analisi che ha adottato una prospettiva naturalistica per ricostruire in modo “darwiniano” le relazioni con gli animali e una di tipo empiristica per esaminare dall’interno e dal basso le questioni etiche delle azioni umane. L’intento dell’autore è quello di mantenere un equilibrio tra i diversi aspetti, rinunciando a quel carattere normativo caratteristico di gran parte delle etiche ambientali e animali, senza però sottrarsi a un compito di critica e di trasformazione. La critica e la trasformazione, infatti, diversamente dalla prescrizione normativa, fungono da promotori per l’obiettivo finale: il progresso morale inteso come incremento delle capacità riflessive morali umane (p. 131). Il timore, infatti, sarebbe quello di cadere nel “moralismo”, rischio che troppo spesso compromette il processo di cambiamento e di “rivoluzione” in seno alla questione animale. Nel dibattito contemporaneo, questo rischio è corso da quei movimenti ecologisti definiti “animalisti” che impiantano il lavoro dell’etica a favore del riconoscimento giuridico e morale degli animali in una dimensione puramente prescrittiva. L’errore di questo approccio (presente, come sottolinea l’autore, sia nei sostenitori sia nei detrattori di certi atteggiamenti) è quello di manifestarsi come statuto normativo senza tenere conto della varietà e della storicità dell’esperienza morale umana.    A essere in discussione, in questo testo, non è l’intento di criticità di quell’etica animale che cerca di dirigere la riflessione morale in una prospettiva razionalista atta a una prescrizione dispositiva, bensì il metodo e il modo in cui questo intento viene condotto e perseverato (p. 85). Il vegetarianesimo, che è uno dei concetti al centro delle più influenti elaborazioni teorico-pratiche dell’ultimo decennio nell’ambito della questione animale, esprime, secondo Pollo, in modo esemplare il modo in cui «l’approccio normativo razionalista affronta la questione» (p. 90). La tendenza comune di molti sostenitori del vegetarianesimo come norma e condotta di vita, infatti, è quella di prescrivere regole e modelli per diminuire il consumo di alimenti di origine animale. Se, secondo Pollo, quest’atteggiamento è del tutto comprensibile in quanto esprime il desiderio «che la nostra condotta e quella altrui si conformino a ciò che, dopo attenta riflessione, consideriamo moralmente apprezzabile» (p. 132), esso presenta anche una normatività poco aperta alle possibilità e alla varietà dell’esistenza umana. La prospettiva tribunalizia, che spesso determina gli approcci fin troppo semplicistici, si farebbe, in questo caso, portatrice di quell’idea per la quale una dieta priva di prodotti di origine animale sarebbe da considerarsi naturale.Accanto a queste osservazioni, Pollo non dimentica mai l’importanza della criticità e dell’analisi atta al cambiamento reale, «questo libro tratta dell’etica delle relazioni fra umani e animali, ovvero del tipo di trattamento che gli umani dovrebbero riservare agli altri animali che con loro condividono la terra» (p. 9) scrive nelle prime pagine di introduzione. Il punto di vista dell’analisi morale, di cui questo testo è strumento efficace, non deve mai giungere a un’acquisizione definitiva e stabile bensì deve coadiuvare l’apertura e l’ampliamento dei confini morali. La molteplicità delle esperienze che vedono coinvolti l’animale e l’uomo non possono essere ridotte a giudizi limitativi e restrittivi ma devono essere baluardo di quell’interesse sempre vivo nel comprendere e nel voler compiere il giusto, o il più giusto, nei confronti di esseri co-esistenti-nel-mondo. Proporre una normativa prescrittiva che si basi sulla negazione del carattere “naturale” («inteso come ciò che è consueto, oppure come ciò che è conforme alla nostra biologia», p. 90) dell’utilizzo degli animali significa negare anche quella tradizione culturale e biologica che ci ha condotto a comprendere e amare così tanto gli animali da desiderare il loro benessere. Prescrivere senza cogliere l’ampio spettro delle sfumature della trasformazione morale significherebbe negare storicamente anche l’evoluzione di quel sentimento di compassione che ci fa naturalmente commuovere, per esempio, nel leggere della morte di Frida, l’affettuosa cagnetta dell’autore. L’identica matrice storica e biologica che caratterizza l’evoluzione del sentimento di compassione per l’animale che ci spinge, durante la lettura del libro, a ripensare a Frida, e quel bisogno “naturale” che ci porta a nutrirci di alcune specie animali, dovrebbe darci la misura di quanto il cambiamento del rapporto uomo-animale non possa far leva su mere negazioni moralistiche quanto essere condotto attraverso le sue innumerevoli possibilità.

Renata Rallo

S&F_n. 16_2016

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