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Roberto Marchesini – Etologia filosofica. Alla ricerca della soggettività animale Postfazione di Felice Cimatti [Mimesis, Milano-Udine 2016, pp. 136, € 12]


Manuela Macelloni

Spazi di libertà. Etologia filosofica: ridare vita a un corpo morto

 

Quella resa da Marchesini è una lettura interessante e profondamente innovativa alla questione della soggettività, capace di fare da segnavia a una nuova maniera di pensare la filosofia stessa.

Per quanto il testo apra a un’ampia serie di questioni ciò che mi urge chiarire, con questo contributo, è come una rilettura del concetto di soggettività, crei un effetto domino per cui anche altri concetti, dati per assodati dalla storia del pensiero, necessitino di una nuova fondazione. Tra questi vi è anche il concetto di libertà.

Lo scopo principale di Etologia Filosofica è una ridefinizione della soggettività animale in opposizione sia alla tradizione cartesiana sia a quella behaviorista incapaci, secondo l’autore, di rappresentare la complessità e la ricchezza del mondo animale tutto: la prima quanto la seconda inchiodano l’animale in una dimensione di asservimento alla funzione e di totale mancanza di una titolarità effettiva delle proprie dotazioni.

Ricostruire una soggettività animale significa ridare dignità alla dimensione animale scardinando alla base la convinzione che l’uomo sia classificabile come qualcosa di altro dall’animalità: tanto l’uomo quanto l’animale sono meta-predicativamente soggetto.

Affinché l’animale riacquisisca il suo valore e la sua dimensione di esser-ci nel mondo è necessario riconoscergli, non solo dei predicati propri a loro volta generatori di mondi ma, anche, il possesso delle sue dotazioni. Con ciò si intende che possa utilizzare le dotazioni non in maniera meccanica né tanto meno funzionale ma che, per mezzo di connessioni sinaptiche ben precise, di marcature emozionali sviluppate nel corso dell’esistenza, possa adoperarle in un modo piuttosto che in un altro.

Il possedere delle dotazioni diviene quindi il fondamento per comprendere la natura soggettiva dell’essere animale: «ammettere una sovranità sulle dotazioni e quindi un utilizzo titolato delle stesse nell’espressione delle funzioni vuol dire considerare le dotazioni degli strumenti che il sistema utilizza e non degli interruttori. Esistere significa pertanto emergere dalle proprie dotazioni» (p. 44).

L’animale inoltre è sempre all’interno di una dimensione temporale che non è mai sincronica ma diacronica: il soggetto è nel presente solo in quanto è il risultato di un passato e di un futuro.

La soggettività non è quindi un concetto determinato, ma fluido, immerso nel costante cambiamento in una dimensione di metamorfosi continua.

A discapito delle vecchie teorie per cui la soggettività trascendeva l’individuo, era qualcosa che dall’alto si calava – la res cogitans – e che per mezzo della coscienza regalava soggettività, Marchesini interpreta il soggetto come qualcosa di emergente, da intendersi non come qualcosa che si giustappone in forma trascendente all’individuo ma qualcosa che emerge dall’individuo stesso.

Il concetto di emergenza fa, a mio avviso, particolarmente breccia in quello che è il significato concettuale espresso dall’autore. Emergere significa venire a galla, apparire chiaramente, ma l’emergenza è anche ciò da cui non si può prescindere, qualcosa che sconvolge i piani. Il soggetto emerge appunto come eccedenza: all’opposto della macchina che lavora nella costante funzionalità e assorbe se stessa nella prevedibilità assoluta delle sue funzioni, il soggetto, emergendo, crea urgenze posizionando l’individuo in uno stato di costante non equilibrio e di incessante perfezionamento di un proprio languore nei confronti del mondo.

Il languore per Marchesini è il motore della soggettività: senza desiderio non si dà alcun soggetto, è il desiderio a dare colore al mondo e valore a esso, il desiderio seleziona pezzi di realtà in cui esplicare la volontà che altro non è se non il desiderio in azione.

La soggettività per essere tale ha quindi più urgenze: la sovranità sulle dotazioni, la coesistenza di predicati filogenetici e ontogenetici, la dimensione temporale, il desiderio quale scintilla in grado di stimolare quel dialogo con la realtà.

In conseguenza a una tale interpretazione della soggettività il presenziare nel mondo non può più essere definito un cogito ergo sum – visone che pone l’essere vivente in uno stato di autopoiesi e di isolamento solipsistico – ma deve essere pensato come un dialogo ergo sum: l’essere vivente si dà come struttura dialogica mai determinata in quanto in costante flusso. Il flusso è dato dall’impossibilità di un esserci al di fuori di una struttura dialogica: questa instabilità del sistema trova espressione nel desiderio come volontà di agire in risposta a un’urgenza interna.

Danno forza ulteriore alle argomentazioni di Marchesini le diversità rilevate tra soggetto e macchina: la macchina non attua alcun rapporto dialogico con la realtà proprio alla luce di una sua incapacità diacronica, la macchina è inchiodata nel qui e ora e non ha urgenze da esperire se non la sua mera funzionalità del tutto prevedibile.

Proprio da questo confronto con la macchina emerge anche la questione della libertà.

La macchina quale organismo sempre in equilibrio si completa nella perfezione delle sue funzioni, la macchina non eccede mai le proprie dotazioni ma rimane strettamente vincolata a esse. Contrariamente, il soggetto, è sempre soggetto desiderante e per tale ragione in perenne squilibrio, alla ricerca di risposte nel mondo ma, è questo statuto di “imperfezione”, che apre al dialogo e alla creatività.

Ma dove hanno origine i desideri?

Secondo Etologia Filosofica nella filogenesi si ereditano tutte le inclinazioni principali di specie e quindi quelle caratteristiche che hanno condotto una specie nella lotta alla sopravvivenza: il desiderio si costruisce dunque sulla base di quei comportamenti convenienti per la salvaguardia della specie.

Altro luogo capace di generare desideri è l’evoluzione ontologica. L’ontogenesi è da intendersi come la storia della persona, quei fatti, eventi, circostanze, Marchesini le definisce “occorrenze”, le quali portano un individuo a sviluppare alcune dotazioni specifiche piuttosto che altre.

Le stesse occorrenze però non sono a discrezione dell’individuo, bensì accadimenti che piombano nella presenza di ognuno e lo forgiano. Nell’esser-ci accadono fatti, ci si scontra con il mondo, si tesse con lui una relazione costante sulla scorta di desideri che muovono l’individuo e, in questo movimento, si forgia l’essere, nutrito da nuove forme di desiderio. Ma in questo moto non vi è nulla di autonomo se non l’obbligo di relazionarsi costantemente con quell’ontologia di cui l’individuo è frutto ma che non ha scelto, scrive Marchesini: «siamo sovrani di un regno che non abbiamo scelto» (p. 90).

Quindi dove si trova lo spazio di libertà? Dove trova posto il concetto di libertà? Quanto meno quel concetto cui siamo “storicamente” abituati? La storia del concetto di libertà è sicuramente complessa ma nella tradizione cui apparteniamo il concetto di libertà resta sempre e comunque un atto forte di coscienza: «Per libertà negativa, o libertà da coazione o da costrizione, si intende la mancanza di costrizione esterna o interna subita dalla capacità di operare appartenente a un soggetto umano» (Libertà, a cura di F. Botturi, vol. VII, pp. 6393-6447, p. 6393, in Enciclopedia Filosofica, voll. XII, a cura di V. Melchiorre, E. Berti, P. Gilbert, M. Leonci, A. Pieretti, M. Marassi, Bompiani, Milano 2006).

Alla luce di questo riferimento, è necessario domandarsi dove, nel soggetto sapientemente costruito da Marchesini, vi sia spazio per questa libertà.

A mio avviso in nessun luogo. Analizzato secondo questi aspetti il soggetto è privo sia di un forte atto di coscienza sia di possesso e autopoiesi della soggettività tale da poterlo rendere libero.

Ma una tale rivisitazione del concetto di soggettività non merita anche una rilettura della stessa concezione di libertà?

Neppure questo sfugge all’autore il quale scrive: «la libertà non si sceglie, non si è causa della propria libertà e si è liberi proprio in quanto non si è in grado di decidibilità sul campo di espressione soggettiva» (p. 89).

Per comprendere a pieno questo passaggio è importante collegare la questione a un’altra impostazione particolarmente originale del Marchesini: la soggettività, secondo l’autore, non ha alcuna relazione con la coscienza.

Il soggetto non è tale giacché è cosciente: la soggettività arriva prima della coscienza e ciò alla luce del fatto che molti elementi che abitano la soggettività non sforano mai, neppure minimamente, l’ambito cosciente. Il passaggio proposto da Marchesini quindi è quello di vedere la coscienza come una conseguenza della soggettività e non come luogo fondatore della soggettività.

Questa visione, che deposiziona la coscienza a un ruolo subalterno alla soggettività, dovrebbe fare da guida anche alla concezione di libertà espressa dall’autore: non può più essere l’atto cosciente, come sostegno e determinazione del soggetto, a conferire libertà all’agire, la libertà deve per forza trovare altri spazi che vadano oltre la coscienza.

In opposizione alla tradizione per cui il concetto di libertà poteva essere pensato esclusivamente come atto non costrittivo, pienamente cosciente, eseguito dal soggetto umano, Marchesini, estende questo concetto a tutta la natura animale, giacché non v’è distinzione tra soggetto animale e quello umano ma soprattutto perché vede nella libertà qualcosa che non è frutto di una volizione volontaria e neppure cosciente: la libertà per essere tale non deve essere decisa, non è un “io penso” cosciente che si dà nella libertà ma anche essa è un accadimento, una emergenza: «l’essere diacronico dell’animale sta proprio in questo interpretare i desideri che intrecciano ricorsivamente passato e futuro, singolarità e identità, individualità e appartenenza, in una casualità massivamente parallela, così plurale da rendere di fatto il soggetto svincolato dal destino» (p. 97).

Non esiste destino giacché il darsi del soggetto è l’intersecarsi di una serie di variabili per cui non vi può essere nulla di prefissato, la libertà e il destino emergono dal soggetto stesso proprio per l’indecidibilità che ne sta alla base. I presupposti filologici e ontologici altro non sono che delle basi da cui si può dipanare ogni tipo di soggettività con ogni tipo di destino.

Questa libertà di presenziare al mondo e di creare mondi per il soggetto non è qualcosa che si possiede, non è decidibile ma emerge costantemente nell’imprevedibilità di un destino che si oppone alla fissità del meccanismo. Tutto è calcolabile nella macchina almeno quanto tutto è imprevedibile nel soggetto. Questa imprevedibilità è appunto per Marchesini libertà.

È difficile, attraverso le categorie cui siamo abituati, pensare uno spazio di libertà con queste caratteristiche ma diviene essenziale, se ci si fa carico di una nuova interpretazione del soggetto, ripensare tutte le categorie fino a oggi stabilite. Prendere sul serio questa nuova visione significa a mio avviso rimettere in discussione tutto, cercando di spogliarsi delle vecchie classi concettuali.

Di fatto quella posta in essere dall’etologia filosofica di Marchesini non è solo una delle questioni del pensiero ma l’impostazione stessa che ci ha portato a leggere delle categorie in un certo modo. Una rivoluzione profonda che sconfessa la fine della filosofia mostrando come la filosofia sia stata di fatto la storia di un errore.

Ciò che l’etologia filosofica propone è una rivoluzione all’approccio del pensiero, un riposizionamento dell’uomo che, cambiando il suo punto di vista, può focalizzarsi meglio sulla reale natura delle cose. La storia del pensiero è stata non un incontro con la realtà, con il mondo e ciò che lo abita, ma una riflessione sull’uomo: il soggetto, aggiungerei umano, è stato limite del mondo («Il soggetto non è parte, ma limite del mondo», L. Wittegenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino, 1964, p. 89) nel senso che il suo sguardo ha limitato il mondo, non ha tradotto il mondo ma quello che, attraverso una griglia di lettura strettamente antropomorfica, era la visione dell’uomo nel mondo e l’ha trasformata in assoluto. Abbiamo assistito dunque a un umanesimo incessante che oggi si è capovolto in un individualismo accecante.

La ridefinizione della soggettività animale non è solo un’azione in favore di una parte dei viventi ma dei viventi tutti, capace anche di instillare nuova linfa vitale a un corpo ormai esanime: quello della filosofia.

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