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Quentin Meillassoux – Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza – a cura di Massimiliano Sandri, prefazione di Alain Badiou [Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 158, € 14]


Un breve bilancio in occasione del decennale

A dieci anni dalla sua pubblicazione, Dopo la finitudine è un classico contemporaneo. Opera prima di Quentin Meillassoux, allievo di Alain Badiou e già giovanissimo docente all’École normale supérieure di Parigi, questo breve libro ha proiettato il suo autore al centro del dibattito europeo e poi internazionale, riunendo intorno alla nozione di “realismo speculativo”, in verità da sempre rifiutata da Meillassoux, una nutrita costellazione di autori appartenenti a diverse tradizioni. Avendo dato vita alla prima corrente filosofica massicciamente diffusa sulla blogosfera, l’opera di Meillassoux ha portato nel pensiero contemporaneo uno slancio circondato da un’innegabile aria di novità.Questa novità, paradossalmente, è facilmente riassumibile con l’idea di un molteplice ritorno: ritorno a un pensiero fortemente argomentativo contro la “deriva post-moderna” che aveva caratterizzato il dibattito europeo degli ultimi decenni; ritorno a un modo tradizionale di fare filosofia, al di qua – e dunque al di là – dell’ormai vetusta distinzione tra analitici e continentali; ritorno all’idea che la filosofia possa parlare dell’assoluto, al di là – ma forse, nonostante tutto, al di qua – dell’idea kantiana di una ragione limitata entro i confini del soggetto trascendentale. Soprattutto, però, ciò che viene prefigurato in Dopo la finitudine è un ritorno della filosofia a un rapporto proficuo con le scienze naturali, rapporto che secondo il filosofo francese sarebbe stato messo in crisi dalla “rivoluzione tolemaica” inaugurata dal pensiero kantiano, colpevole di aver provocato una distanza progressiva tra una scienza sempre meno antropocentrica e un pensiero filosofico sempre più focalizzato sulla centralità dell’uomo nella spiegazione della realtà.L’attrattiva della proposta teorica di Meillassoux risiede principalmente nel tentativo di scavalcare una serie di alternative classiche, come quella tra dogmatismo e criticismo, elaborando un pensiero capace affermare una verità assoluta senza con ciò esporsi all’accusa di un ingenuo ritorno a una concezione “classica” della filosofia. Questo compito viene perseguito con l’aiuto di un lessico abbastanza rigoroso da non lasciare spazio a fraintendimenti: Meillassoux intende la propria posizione come un radicale materialismo, da egli stesso definito come la tesi secondo la quale il pensiero avrebbe accesso a una realtà nettamente separata da esso.Questo materialismo, tuttavia, si qualifica come speculativo nel momento in cui Meillassoux non rinuncia alla possibilità per il pensiero di trovare una verità necessaria. Questa verità – questo il passo di danza fondamentale di Meillassoux – non consiste nella dimostrazione dell’esistenza necessaria di alcun ente (in questo modo, in fatti, si ricadrebbe semplicemente in un dogmatismo precritico), bensì in una proposizione metamodale: il pensiero ha potere speculativo perché può dimostrare – questa la tesi del testo – che è necessario che tutto sia contingente.In poche parole, la proposta di Meillassoux è di operare una critica della metafisica che non si fondi sul riconoscimento dei “limiti” della ragione, bensì, al contrario, che testimoni la capacità della ragione di affermare l’impossibilità di qualsivoglia ente necessario, e dunque la necessaria falsità di ogni metafisica. A questo punto si fa evidente un aspetto centrale della proposta meillassouxiana, aspetto che si ripresenta in gran parte degli autori ispirati alla sua opera: l’idea di un “ritorno alla realtà”, così come di un ritorno a un ideale epistemico della filosofia, non viene affatto concepita come una risposta al nichilismo, bensì come una sua radicalizzazione. Dal “nichilismo positivo” di Ray Brassier al “nichilismo gioioso” di Markus Gabriel, passando per l’ontologia dell’accidente di Catherine Malabou, la mossa fondamentale del realismo speculativo europeo è il tentativo di individuare nel nichilismo non lo scacco, ma la conquista fondamentale della ragione. Non è un caso, dunque, che il processo argomentativo di Meillassoux preveda un riferimento così serrato al nulla. Infatti è proprio la possibilità di pensare il nulla – più precisamente, il proprio non-essere – a fare da pietra angolare a tutte le successive conquiste del testo: la dimostrazione della necessità della contingenza; la dimostrazione della necessaria verità del principio di non-contraddizione; la dimostrazione della necessità che qualcosa esista. Questa trasfigurazione del nichilismo coincide dunque con un recupero dell’esigenza speculativa, e serve a una esplicita funzione etico-politica: ridare alla ragione la capacità di fronteggiare ogni forma di fanatismo dogmatico, non dichiarandolo più al di là delle proprie capacità d’intervento, bensì condannandolo in quanto affermazione dell’impossibile.Questa impresa, ovviamente, non è stata risparmiata da numerose istanze critiche. Istanze necessarie, se si considera il carattere esplicitamente provvisorio delle tesi meillassouxiane e l’insopprimibile “aria di famiglia” evocata da diverse sue posizioni. Nonostante i ripetuti tentativi di distinguersi, infatti, è difficile non sospettare Meillassoux di riabilitare tesi vecchie con metodi nuovi. In questo tentativo, forse, la rilevanza di alcune posizioni post-kantiane è stata ingiustamente sottovalutata. In particolare, è stato merito di Markus Gabriel rilevare che il dibattito intorno al realismo speculativo ripercorre, in sostanza, quello successivo alla pubblicazione delle Critiche kantiane. Figure come quella dello stesso Gabriel, di Catherine Malabou o di Slavoj Žižek hanno ampiamente messo in luce la profonda affinità tra alcuni motivi meno noti del pensiero di Hegel – o Schelling – e alcune rivendicazioni dello stesso Meillassoux. Alla luce di questa affinità, tuttavia, il punto saliente è forse chiedersi se la filosofia classica tedesca non abbia già provveduto ad affrontare le questioni presenti in Dopo la finitudine con una finezza teoretica che non andrebbe perduta. Se c’è un aspetto in cui Meillassoux viene clamorosamente meno rispetto alla figura del maestro Badiou, è proprio l’insufficiente approfondimento del proprio legame coi classici, legame che nondimeno viene costantemente chiamato in causa nel corso del testo.Si può dire, d’altronde, che questo è il destino di ogni opera seminale: se i successori di Meillassoux hanno contribuito a correggere questo difetto d’impostazione, nel farlo hanno anche riformulato i termini di una questione che da proposta teorica isolata si è trasformata in vera e propria atmosfera speculativa. In questo senso l’opera di Meillassoux, pur essendo ancora oggi incompleta e per certi versi lacunosa, continua a stabilire l’agenda per un gran numero di pensatori che hanno trovato in lui non tanto risposte soddisfacenti, quanto un modo di porsi rispetto al pensiero filosofico che ne rimetta in luce la potenzialità, i tratti specifici ma, soprattutto, l’urgenza per il nostro tempo.

 

Alessandro De Cesaris

S&F_n. 16_2016

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