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N. Katherine Hayles – How we became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature and Informatics [The University of Chicago Press, Chicago 1999, pp. 350, $ 25]


All’interno del vasto panorama della riflessione plurale che chiamiamo Posthuman è possibile rintracciare una significativa varietà di approcci, tutti votati ad affrontare una rielaborazione dei modelli antropologici tradizionali. Il decentramento e la detronizzazione dell’umano, e il ripensamento, più o meno radicale, dello statuto ontologico (ed epistemologico) delle alterità con cui l’umano si interfaccia rappresentano il punto di partenza delle istanze Posthuman. Che cosa è l’umano? Qual è il suo posto? Chi o cosa è l’Altro? A questi quesiti il pensiero filosofico occidentale risponde generalmente con sicurezza, forte di una (quasi) ininterrotta e bimillenaria tradizione di stampo platonico: l’uomo è al centro del cosmo, in grado, con il suo intelletto e i suoi strumenti, di dominare la Natura e ogni altro ente; egli possiede un’essenza specifica, che gli garantisce quelle peculiarità in virtù delle quali è in grado di produrre uno scarto sugli altri enti; l’alterità, ovvero la molteplicità di enti non-umani con cui l’uomo ha a che fare, fungono da negativo, indicando ciò che uomo non è e non dovrebbe essere, e per differenza riaffermano l’identità dell’umano in una circolarità autoreferenziale che chiude il “sistema” e archivia la questione. Il Posthuman cerca di problematizzare e ripensare questo modello, immaginando nuove possibilità di costruzione dell’identità umana, con esiti talvolta inaspettati.N. Katherine Hayles pubblica, nel 1999, il suo How We Became Posthuman, libro mai tradotto in italiano. La riflessione dell’autrice si concentra sul Posthuman, considerandolo, al pari della tradizione umanistica, come una costruzione intorno all’umano. Riconoscendo al Posthuman il merito di avere, probabilmente per la prima volta in maniera così radicale, messo in discussione i paradigmi del passato, Hayles analizza le varie strade che il pensiero Posthuman attraversa, e ravvisa, in alcune di esse, una pericolosa continuità con le costruzioni umanistiche. Come siamo diventati Posthuman? La domanda che dà il titolo al libro è ambivalente: da un lato vengono ricapitolate le modalità di decostruzione della soggettività tradizionale dagli anni ’50 in poi, evidenziando come i periodi chiave della cibernetica abbiano provocato dei veri e propri shift di pensiero; dall’altro quelle stesse modalità vengono passate al vaglio critico dall’autrice. L’analisi si focalizza dunque sul come, nel doppio senso di “in che modo” e “a che prezzo”. In realtà per Hayles la vera questione è: che tipo di Posthuman saremo?In questo senso, la prosa dell’autrice, intrisa di femminismo, postmodernismo e critica letteraria, ci svela in che modo la materialità, il corpo e l’embodiment (l’essere sempre e comunque esseri “incarnati”) perdano progressivamente terreno rispetto all’immaterialità e alla mente disincarnata. Lungo le traiettorie segnate dalla cibernetica, a cui in effetti il Posthuman deve moltissimo, la sempre più stretta metafora che equipara informazione e coscienza umana rischia di diventare così letterale da portare con sé una cancellazione sistematica del corpo. Se il Posthuman si propone come un ripensamento critico del paradigma umanistico, non può, secondo Hayles, permettersi di riscrivere, senza problematizzarla, la superiorità della mente e dell’immaterialità.«L’informazione è informazione, non materia o energia. Nessun materialismo può sopravvivere nel nostro presente, a meno che non ammetta questo fatto». Con questa celebre formulazione, nel 1950, Norbert Wiener sanciva la separazione netta tra materia e informazione. L’informazione è dunque distinta dal supporto che la ospita; questo significa anche che essa è in grado di cambiare supporto senza subire alterazioni. L’informazione perde così il suo corpo. Secondo Hayles, il Posthuman avrebbe attinto a piene mani dalla cibernetica. Basti pensare alle tesi di Hans Moravec, che alla fine degli anni ’80 immaginava che la coscienza umana potesse essere ridotta a un insieme di informazioni e di dati, permettendo così di poter essere “caricata” in un computer, al fine di garantire all’uomo l’immortalità tramite il trasferimento su un altro “supporto”. Il mind uploading renderebbe possibile dematerializzare e rimaterializzare la coscienza su diversi supporti, organici o sintetici, isolando la mente disincarnata, considerata come il luogo privilegiato dove alloggia la coscienza, e riproponendo così la separazione cartesiana tra res cogitans e res extensa. Questa concezione configura quindi il corpo come carne “in eccesso”, separato e secondario rispetto alla coscienza, e quindi non necessario e assolutamente sostituibile; la coscienza, di contro, sarebbe la vera “essenza” dell’umano, la sua peculiarità più importante, intesa come un blocco di informazioni e di dati che è possibile trasferire da un supporto all’altro. Ed è proprio il concetto di informazione, così come delineato dalla cibernetica a partire dal secondo dopoguerra, che ha perso per primo il suo “corpo”, il suo supporto, divenendo sempre più astratto e immateriale.Hayles procede quindi a costruire un possibile excursus cronologico della storia della cibernetica, connettendone alcuni temi a diverse opere di letteratura fantascientifica (Wolfe, Dick, Gibson tra gli altri), per spiegare come scienza e cultura umanistica, in accordo, abbiano promosso una visione positiva dell’immaterialità, e dell’astratto come “vero reale”; in questo processo, l’autrice ritiene che sia stata sottovalutata l’importanza dell’interconnessione e dell’interdipendenza del “sistema” mente-corpo, che chiama embodiment. Le tesi a favore del disembodiment, la loro ricezione e problematizzazione, e la diffusione di un paradigma così pervasivo, si dispiegano lungo le tre “epoche” della cibernetica: gli anni iniziali, dal 1945 al 1960, in cui la cibernetica comincia ad affermarsi come disciplina; la cibernetica del secondo ordine, dal 1960 al 1980; il dibattito contemporaneo, dal 1980 al presente. In questi tre momenti, Hayles individua tre concetti chiave: l’“omeostasi”, la “riflessività”, la “virtualità”.Il primo blocco temporale comprende il periodo delle Macy Conferences on Cybernetics, nelle quali gli sforzi combinati degli intellettuali che vi partecipano si concentrano intorno alla formulazione di principi che confluiranno in una teoria generale della comunicazione e del controllo, teoria sistematizzata da Norbert Wiener. Grazie alla sua enorme portata, la cibernetica è in grado di proporre un nuovo modo di guardare all’uomo. Egli è ora un’entità in grado di processare informazione, in modo essenzialmente simile alle macchine intelligenti. In realtà però, come Hayles sottolinea, nonostante l’esito delle conferenze fosse a dir poco rivoluzionario, Wiener rimane un umanista. Lo shift consiste in una non più possibile separazione netta tra uomo e mondo: due entità prima separate diventano un unico sistema che si determina dalla costante relazione tra le parti. Ma Wiener non ha nessun interesse a smantellare il soggetto umanistico; gli preme solo mostrare che uomo e macchina possano essere considerati in modo simile, e cioè come sistemi autonomi e auto‑organizzanti. Per questo ripiega sul più rassicurante concetto di omeostasi: l’informazione consiste nei feedback negativi che mantengono il sistema in equilibrio a fronte di perturbazioni esterne. L’occasione, secondo l’autrice, è perduta: l’accostamento tra informazione e coscienza umana ascrive entrambe al reame dell’immaterialità. Allineando la cibernetica in continuità con i paradigmi umanistici Wiener può estendere la portata dell’umanesimo, senza sovvertirla: la cibernetica ha già riscritto il dualismo mente/corpo, spegnendo così le implicazioni potenzialmente immense di uno shift paradigmatico senza precedenti.Sarà la fase successiva a dare pieno sviluppo alle promettenti ma inespresse intuizioni della prima cibernetica. La cibernetica del secondo ordine, come spesso viene chiamata, si apre con la pubblicazione di Autopoiesis and Cognition di Maturana e Varela. La costruzione dei due studiosi porta a riferire il feedback dall’omeostasi alla riflessività, e l’enfasi viene posta sul ruolo dell’osservatore: la cognizione non è la semplice e passiva ricezione dell’informazione dall’esterno, ma la costruzione attiva di se stessi e allo stesso tempo dell’ambiente, l’autopoiesi, appunto. La teoria dell’autopoiesi mostra come tutte le entità viventi non siano altro che processi fisicamente incarnati, che interagiscono continuamente gli uni con gli altri; l’informazione dematerializzata non ha spazio nei sistemi, se non come inferenza astratta tracciata da un osservatore. La riflessività incarna i suoi sistemi, e secondo Hayles mette, finalmente, davvero in pericolo il soggetto umanistico in favore dei processi incarnati e dell’autocostruzione di sé e del mondo.L’epoca in cui viviamo oggi, secondo Hayles, è connessa alla terza fase della cibernetica, ed è contrassegnata dalla virtualità, definita dall’autrice come la percezione culturale che gli oggetti materiali stiano compenetrandosi con i pattern informazionali. Questa definizione gioca con i termini del dualismo materiale/immateriale, recuperando l’informazione, stavolta incarnata, come attore in grado di connettere i due poli: solo perché l’informazione ha perso il corpo, ciò non significa necessariamente che anche uomo e mondo abbiano perso il loro. La virtualità rappresenta per Hayles un’occasione in cui il recupero del corpo può giocare un ruolo importante nell’interazione tra uomo e macchina (ad esempio nelle simulazioni al computer del pensiero umano), proponendo inoltre una visione che articola uomo, computer e ambiente come un continuo scambio tra pattern informazionali e oggetti materiali. Nell’ultima parte del libro l’autrice traccia perciò un’importante distinzione: quella tra corpo ed embodiment. Laddove il corpo è sempre concettualizzato come una costruzione logico-idealistica, una sorta di universale discorsivo, una forma ideale pura, in qualche modo complice e funzionale alla costruzione del dualismo materiale/immateriale, l’embodiment deriva direttamente dall’influenza delle tecnologie sull’uomo, ed è sempre contestuale, imbrigliato com’è nella sua particolare cornice spazio-temporale, “situato” e sempre suscettibile all’influsso culturale. L’epoca della virtualità, come sottolineato da Hayles, porta con sé l’emergere dell’istanza Posthuman, che apre, in alcune sue configurazioni, alla possibilità di esautorare, pur non essendone ancora pienamente in grado, il soggetto di stampo umanista.È proprio nell’epoca della virtualità che le relazioni dell’uomo con le macchine e la tecnologia si fanno più strette. È nel presente che è più forte il pericolo, o la fascinazione, di perdersi in fughe nell’immaterialità. Katherine Hayles cerca di mostrare quale sia il prezzo di abbandonarsi a tali fughe: perdere nuovamente la carne, la materialità, e l’inferenza, nell’esperienza umana, del corpo. Essere diventati Posthuman, come esito inevitabile dell’ingresso massiccio delle tecnologie nella nostra vita, dovrebbe portare con sé la lucida consapevolezza di aver già reciso i potenti legami con il paradigma umanistico. La soggettività tradizionale, con la sua lunga e autorevole storia, può e dovrebbe, secondo Hayles, essere sorpassata e rimpiazzata da costruzioni più adatte al mondo contemporaneo. Dare alla luce e costruire, nel processo, nuovi modelli antropologici significherebbe cogliere davvero la portata, feconda e destabilizzante al tempo stesso, di una visione inedita, che non può che partire dal Posthuman.«I do not mourn the passing of a concept so deeply entwined with projects of domination and oppression. Rather, I view the present moment as a critical juncture when interventions might be made to keep disembodiment from being rewritten, once again, into prevailing concepts of subjectivity. I see the deconstruction of the liberal humanist subject as an opportunity to put back into the picture the flesh that continues to be erased in contemporary discussions about cybernetic subjects» (p. 5).

 

Serena Palumbo

S&F_n. 15_2016

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