S&F_scienzaefilosofia.it

Jakob von Uexküll – Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili – Illustrazioni di Georg Kriszat, a cura di Marco Mazzeo [Quodlibet, Macerata 2010, pp. 164, € 16]


Siamo avvezzi ad ascoltare le prodezze comportamentali dei primati, esseri intelligenti capaci addirittura di imparare l’Ameslan, il linguaggio dei sordomuti, a sentire notizie sconcertanti sulla comunicazione tra delfini, a commuoverci per la fedeltà dei nostri amici a quattro zampe. Eppure se si tralasciano i mammiferi più intelligenti, il vasto mondo dell’organico sembra, come descritto anche da Derrida, cadere nella nebbia dell’indistinto: più vicino alla muta cosalità dell’ente, alla semplice presenza, gran parte del mondo organico resta per la specie sapiens sapiens territorio omogeneo e straniero, chiuso nell’indifferenza di semplici meccanismi stimolo risposta.

Agli esordi del Novecento le passeggiate del barone prussiano Jakob von Uexküll, conducono il lettore tra mondi sconosciuti e invisibili, portandolo alla scoperta di organismi a tutta prima insignificanti ma bizzarri come solo la vita può esserlo. Studioso eclettico e dal carattere difficile, amico e consulente biologico di Rilke, letto e amato da Heidegger, lavorò tanta parte della sua vita alla stazione zoologica di Napoli. La zecca e la sua attesa paziente, la medusa ossessionata dal movimento costante e ripetitivo del suo ombrello, il paguro eremita innamorato delle forme cilindriche, la chioccia cieca dinnanzi al dimenarsi del pulcino in pericolo, furono oggetti privilegiati delle sue ricerche. Questo Palomar ante-litteram operò una rivoluzione nel mondo scientifico “inventando” il concetto di Umwelt.

Uexküll si affannò attorno al mistero della vita: tra le due istanze allora contrapposte di meccanicismo e vitalismo, lo studioso era alla ricerca di una terza via, che desse conto del fatto che l’organismo è una macchina, che tuttavia trascende le rigide regole meccaniche e la cui unità è più dell’insieme delle sue parti. I tempi non erano maturi: non conosceva i servosistemi e la cibernetica il nostro zoologo, né le teorie sulla complessità e quelle sull’emergenza. Per via di questa ignoranza abdicò al vitalismo.

Si fa presto a dire ambiente: questa nozione introdotta nella seconda metà del 1700, stava a indicare semplicemente l’etere, inteso come fluido che veicola l’azione a distanza tra due corpi. È in quest’accezione che il termine compare anche all’interno dell’Encyclopedie. Lamarck invece ci parla di ambienti, intendendoli come habitat statici, l’acqua, l’aria, la luce, non in grado di esercitare un’influenza sugli organismi. Comte rivendicherà la paternità dell’accezione di ambiente in senso biologico e nel 1838 definirà l’ambiente come il complesso totale delle circostanze esterne necessarie all’esistenza di ciascun organismo.Si tratta ancora di un’accezione meccanicistica sebbene applicata al vivente. Uexküll al contrario comprende che la caratteristica propria del vivente è quella di farsi il proprio ambiente, di comporselo. La relazione soggetto-oggetto allora viene completamente modificata: non un ambiente esterno, inteso come datità estranea, composta da una serie di caratteristiche,  cui il vivente deve adattarsi per sopravvivere, quanto piuttosto l’attività continua della soggettività organica che seleziona dell’ambiente solo gli stimoli rilevanti dal punto di vista vitale. Ciò vuol dire che uno stimolo per essere tale non deve solo prodursi ma deve anche essere avvertito, presuppone cioè l’interesse del vivente; dunque non proviene dall’oggetto ma dalla domanda del vivente. Di tutta la ricchezza di cui un determinato ambiente è costituito, in quanto elargitore di perturbazioni potenzialmente illimitate, l’animale non ritiene che alcuni segnali. L’Umwelt dunque rappresenta una selezione di parte dell’Umgebung, cioè dell’intero ambito geografico che solo l’uomo riesce a percepire. Ciò che l’ambiente offre al vivente è funzione della domanda stessa. Emblematica è la descrizione dell’epopea della zecca, sorda e cieca, ma attenta a recepire quanto le occorre, sensibile soltanto all’odore dell’acido butirrico emanato dalla preda e al calore del suo corpo; sono questi segnali gli unici in grado di attivare quello che Uexküll definisce come circuito funzionale: «Nel mondo sterminato che circonda la zecca, tre stimoli brillano come segnali luminosi nell’oscurità […] L’intero, ricco mondo che circonda la zecca si contrae su se stesso per ridursi a una struttura elementare, che consiste ormai essenzialmente di tre sole marche percettive e tre sole marche operative: il suo ambiente» (pp. 50-51).L’Umwelt allora altro non è che l’insieme dei processi biologici che si svolgono per il tramite della connessione di organi recettori ed effettori, l’insieme cioè di mondo percepito Merkwelt e mondo operativo, effettuale Wirkwelt. Il circuito funzionale è l’innescarsi del circolo senso-motorio che dà origine all’azione efficace, per cui si parte da un recettore, cioè da un apparato che lascia entrare solo determinati agenti esterni, calore o acido butirrico, e respinge tutti gli altri, e si termina con un muscolo che mette in movimento un effettore, che può essere un apparato di movimento o di presa: «L’oggetto fa parte dell’azione solo nella misura in cui questo deve possedere le proprietà necessarie per fare da supporto alle marche operative e percettive» (p. 48).Il circuito funzionale alloraci fa comprendere che il soggetto e l’oggetto si incastrano l’uno con l’altro, costituendo un insieme ordinato. Lo scienziato dunque ricostruisce l’Umwelt di ciascun animale isolando le marche percettive, fra tutte quelle che fanno parte dei suoi dintorni.

Per questo all’interno di quello che all’uomo appare come un ambiente unico, diversi esseri viventi prelevano, in maniera specifica e inconfrontabile, il proprio ambiente peculiare e singolare.

Come sostenuto da Mazzeo nell’ambito della prefazione al testo l’Umgebung è il comune ambito geografico, i dintorni, che per una sorta di collasso diviene l’Umwelt dell’uomo. L’uomo si costituirebbe allora come «animale dei dintorni» (p. 31). La nostra specie è in grado dunque di accedere, seppure in maniera indiretta, agli ambienti delle altre forme di vita. Vive in una specie di supernicchia in grado di contenere tutte le altre. L’uomo dunque è, come voleva anche l’Heidegger dei Concetti fondamentali della metafisica, l’unico ente in grado di “trasporsi” nell’altro da sé.

Nel racconto di Uexküll spazio e tempo cessano di essere categorie assolute, contenitori affidabili all’interno dei quali gli enti stanno: spazio e tempo vanno declinati al plurale, diventano gli spazi e i tempi diversi per ciascun organismo: cosa sono del resto i diciotto anni in cui la zecca può resistere prima di gettarsi su una preda? L’istante dell’uomo, che dura un diciottesimo di secondo è lo stesso istante percepito dal pipistrello? «Possiamo rappresentarci tutti gli animali che vivono intorno a noi come chiusi dentro una bolla di sapone che circoscrive il loro spazio visivo e che contiene tutto quello che per loro è visibile […] Anche ciascuno di noi vive chiuso dentro il suo mondo, cioè dentro la sua bolla. Tutti i nostri simili sono circondati da bolle trasparenti che si intersecano senza attrito perché formate da segni percettivi soggettivi. Non esiste uno spazio indipendente dai soggetti» (pp. 74-75).

«Tutti i soggetti animali, i più semplici come i più complessi, sono adattati al loro ambiente con la medesima perfezione. All’animale semplice fa da contraltare un ambiente semplice, all’animale complesso un ambiente riccamente articolato» (p. 49).

Le enormi intuizioni dello zoologo sembrano tuttavia passare in secondo piano davanti al suo pervicace anti-darwinismo, e all’abdicazione al vitalismo. Uexküll in effetti non è interessato alla genealogia dei viventi, ma solo a cogliere determinate fenomenologie in atto. Gli organismi non si evolvono, ma aderiscono al loro piano naturale. Lo zoologo allora ci presenta la vita come statica, per certi versi cristallizzata. Il piano naturale è inteso infatti come «un fattore d’ordine» (p. 103), una sorta di armonia prestabilita, che a monte governerebbe l’ordine dei viventi e le loro manifestazioni vitali. Addirittura tale piano naturale compenserebbe la lacunosità, l’imperfezione dei viventi singoli, i cui schemi comportamentali sembrano talvolta ottusi: la chioccia che è sensibile unicamente allo stimolo sonoro del pulcino in pericolo, mentre resta completamente indifferente al suo dibattersi, se, sotto una campana di vetro, non ne ode il pigolio. Questa Benommenheit, questo ottuso stordimento sembra venire compensato dall’intelligenza di un piano superindividuale, che vede e provvede all’armonia degli esserti malgrado le loro carenze individuali. Gli organismi dunque non si è evolvono: in questi quadri presentati da Uexküll, sembra non esserci spazio per il mostruoso, inteso come l’inedito, l’evento straordinario; la vita non gioca a dadi, non c’è spazio dunque per il caso e per le sue risorse. Questa visione è forse l’aspetto più obsoleto della sua dottrina.

Lo studioso letto da Heidegger sembra ripercorrere la riflessione del filosofo tedesco e incappa in un paradosso: per un verso l’animale è, a differenza di quanto sostenuto da Heidegger nelle Vorlesung del ’29, formatore di mondo, nel senso che ciascuna soggettività vivente procede a selezionare dall’Umgebung solo determinati stimoli e a costruire la propria nicchia, il proprio specifico Umwelt. Tuttavia resta la petizione antropocentrica di fondo, per la quale solo l’uomo e la sua parola danno la possibilità di trasporsi nell’altro da sé, di poter dire, descrivere le bolle di sapone entro le quali tutti i viventi sono imprigionati, ma l’uomo meno.

 

Fabiana Gambardella

S&F_n. 7_2012

Print Friendly, PDF & Email