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Etica della crioconservazione

Autore


Francesca Minerva

Università degli studi di Milano

Ricercatrice in Filosofia Morale presso l’Università degli studi di Milano

Indice


 

  1. La crioconservazione come trattamento e come progetto a lungo termine
  2. Obiezioni alla crioconservazione
  3. Il dilemma dell’immortalità

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S&F_n. 26_2021

Abstract


The Ethics of Cryonics

In this paper I discuss the ethics of cryopreservation (understood as a treatment and as a long term project) of individuals declared legally dead. I consider various objections to this practice based on concerns about its selfishness, low chances of succeeding, and wastefulness. I also discuss objections against indefinite life extension and immortality.

  1. La crioconservazione come trattamento e come progetto a lungo termine

La crioconservazione, detta anche criopreservazione, è la conservazione a temperature bassissime (si parla di -196 gradi centigradi) di individui considerati deceduti dal punto di vista legale. Anche se questo tipo di tecnologia viene discussa di solito in libri o film di fantascienza e non è (ancora) considerata un’alternativa valida ai ben più comuni metodi di disposizione dei cadaveri, quali la sepoltura o la cremazione, il fenomeno sta conoscendo una discreta espansione. Al momento ci sono poche centinaia di persone crioconservate in tutto il mondo, e alcune migliaia hanno espresso il desiderio di essere crioconservate al momento della loro morte, prendendo degli accordi con le strutture che erogano questo tipo di servizio, ma il numero è in aumento e l’argomento viene discusso con una certa frequenza anche dai media, specialmente quando si registra qualche caso clamoroso. Per esempio, nel 2016, una ragazzina inglese di soli 14 anni aveva chiesto di essere crioconservata perché malata di un cancro incurabile che l’avrebbe portata a morire da lì a breve. La madre aveva acconsentito subito alla sua richiesta, mentre il padre, il quale non vedeva la figlia da anni, aveva negato il suo consenso. Essendo la paziente minorenne, era necessario per legge avere il consenso di entrambi i genitori per procedere con la crioconservazione. Non riuscendosi a trovare un accordo, la questione era stata portata davanti a un giudice il quale, dopo aver discusso a lungo con questa ragazzina, aveva autorizzato il trattamento. Nella sua lettera al giudice, resa poi pubblica dopo la sua morte e conseguente crioconservazione, questa poco più che bambina aveva spiegato di essere consapevole del fatto che la crioconservazione avesse poche chance di funzionare, ma che morire a quattordici anni fosse troppo presto, e che questa era la sua unica chance di vivere un po’ più a lungo.

La crioconservazione presenta varie difficoltà tecniche, che spiegano almeno in parte perché questa pratica sia così poco diffusa. Il processo di crioconservazione inizia quando l’individuo viene dichiarato legalmente morto, non appena il cuore abbia cessato di battere ma prima che il cervello inizi a soffrire per i danni causati dalla mancanza di ossigeno. Il primo passaggio prevede che vengano immediatamente restaurate artificialmente la respirazione e la circolazione del sangue, in modo che i tessuti non subiscano danni. Nel frattempo, la temperatura del corpo viene portata a 10°C e il sangue viene estratto e poi sostituito da un liquido (quello utilizzato per trasportare gli organi per i trapianti) per evitare la formazione di ghiaccio che danneggerebbe la struttura cellulare.

Questo lungo processo viene completato quando il corpo viene conservato nell’azoto liquido a -196 °C. Per quello che sappiamo dalla crioconservazione degli embrioni, la preservazione in azoto liquido permette di mettere in pausa tutti i processi metabolici e quindi di prevenire la decomposizione delle cellule. Questa procedura, abbastanza complessa e macchinosa, è finalizzata a tenere un corpo intatto fino al momento in cui sarà possibile riportarlo in vita, cosa che sarebbe ovviamente impossibile se continuasse a decomporsi come avverrebbe secondo i normali processi naturali.

Lo scopo della crioconservazione, dunque, non è quello di fornire un’alternativa alla sepoltura o alla cremazione, ma piuttosto quello di raggiungere un’estensione della durata della vita media tramite un processo che permette di mettere in pausa la morte biologica. Il motto dei crionicisti[1] è «vivere abbastanza a lungo da poter vivere per sempre». Il motto si riferisce al progetto a lunghissimo termine di molte (ma non tutte) le persone che decidono di farsi crioconservare. L’obiettivo ultimo non è quello di farsi crioconservare, e neppure quello di tornare in vita per un breve lasso di tempo, ma quello di raggiungere una durata della vita indefinita o addirittura l’immortalità.

Se una persona anziana dovesse essere crioconservata al sopraggiungere della sua morte naturale per vecchiaia, anche quando fosse possibile riportarla in vita, in un futuro remoto quando la riesumazione dei corpi crioconservati diventasse tecnicamente fattibile, non avrebbe molto da guadagnare da questo processo. La vita media si sta allungando, ma senza grandi rivoluzioni biomediche, è improbabile che si allunghi in modo significativo. Colui che si facesse crioconservare a 80 anni, e fosse riesumato nel 2030, probabilmente potrebbe vivere ancora una ventina d’anni, ma non molto di più. Un discorso simile varrebbe per qualcuno che fosse crioconservato in seguito alla morte causata da un male incurabile. Anche se fosse possibile riportarlo in vita, in assenza di una terapia per curare la malattia che ne ha causato la morte in primo luogo, il processo di crioconservazione e riesumazione si rivelerebbe poco utile, perché non andrebbe ad aggiungere un numero di anni di vita che giustificherebbe tutta la procedura. Alla base del progetto della crioconservazione c’è invece l’idea che questo tipo di trattamento possa aiutare a estendere la vita di una persona di tantissimi anni, potenzialmente secoli o millenni, se non addirittura per l’eternità.

Ciò che auspicano coloro che desiderano essere crioconservati è, fondamentalmente, guadagnare tempo, e più precisamente, riuscire a rimanere in uno stato di crio-sospensione fino a quando la medicina e la tecnologia future non saranno in grado di curare la causa della morte, curare l’invecchiamento (e riuscire a ringiovanire un individuo), e riportare in vita chi è stato crioconservato.

La possibilità di curare la malattia che ha causato la morte di qualcuno è ovviamente un requisito necessario perché la crioconservazione funzioni: Se X è morto a 60 anni per un cancro al pancreas, è necessario che una terapia per questo tipo di cancro sia disponibile nel momento in cui viene riportato in vita, perché altrimenti morirebbe di nuovo entro pochissimo tempo.

La cura dell’invecchiamento è invece una questione diversa, anche se non completamente distinta. La maggior parte delle persone, con un po’ di fortuna, muore a un’età considerata appropriata, cioè in linea con quella che è considerata la durata media della vita nel luogo e al tempo in cui vive (la durata della vita media cambia a seconda di luogo e tempo). Se dunque una persona di 77 anni si facesse crioconservare nel 2022 e venisse riportata in vita nel 2052 (quando la vita media sarà passata, ipotizziamo, da 77 a 80 anni), il processo di crioconservazione sarebbe servito solo ad aumentare la durata della sua vita di circa tre anni. Anche se tale soggetto fosse riportato in vita in un futuro ancora più remoto, quando la vita media avesse raggiunto il secolo, la crioconservazione sarebbe servita ad aggiungere qualche decina di anni, sicuramente un risultato notevole, ma considerato non sufficiente da molti crionicisti. Ciò che viene auspicato, invece, è un cambiamento profondo dell’approccio all’invecchiamento e alla morte per anzianità più in generale. Si stanno già studiando le cause dell’invecchiamento degli organismi e possibili rimedi per fare andare indietro la lancetta dell’orologio, anche se al momento i risultati non sono particolarmente incoraggianti. Questo passaggio è fondamentale per comprendere appieno l’approccio di chi è interessato alla crioconservazione: non si vogliono semplicemente aggiungere anni alla propria vita, ma anche, e forse soprattutto, anni con un’alta qualità della vita.

Supponiamo che X muoia a 80 anni e venga quindi crioconservato e riportato in vita dopo un secolo. Se nessuna tecnica di ringiovanimento fosse stata sviluppata nel frattempo, X vivrebbe ancora dieci o vent’anni, ma la sua salute sarebbe destinata a deteriorarsi, e dunque la qualità della sua vita non sarebbe particolarmente alta. Se invece X morisse a 80 anni e fosse riportato in vita quando le tecniche di ringiovanimento fossero già state messe a punto, tornerebbe ad avere lo stesso livello di salute, energia e qualità della vita che aveva quando era molto più giovane. Se questo trattamento di ringiovanimento fosse ripetuto ogni dieci anni, X potrebbe trovarsi ad avere un’età biologica di 40 anni anche quando la sua età cronologica avesse raggiunto e superato i tre secoli (o i tre millenni). Visto che il rischio di morire di un quarantenne è molto più basso di quello di un ottantenne, è evidente che X potrebbe continuare a vivere, in salute e con una buona qualità della vita, per moltissimi secoli a venire, e magari anche per sempre.

Quando consideriamo la crioconservazione, dobbiamo dunque pensare a un progetto più ampio che va ben oltre il semplice tentativo di conservare e riesumare un corpo, ma che mira invece a estendere la durata della vita di un individuo di molti anni, se non addirittura per un tempo indefinito.

Affinché un individuo possa effettivamente “sopravvivere” alla propria morte non basta, però, che il suo corpo venga riportato in vita. Quello che conta affinché si possa dire che la crioconservazione è andata a buon fine, e che quindi X è sopravvissuto alla propria morte, è che i suoi ricordi e, più in generale, il suo profilo psicologico, sia più o meno intatto. Se un individuo si risveglia dalla crioconservazione ed è in grado di percepirsi come la stessa persona che si era sottoposta al trattamento, allora si può dire che tutto il processo sia andato a buon fine e che effettivamente egli sia sopravvissuto alla morte (legale) e alla crioconservazione. Se invece un individuo si dovesse risvegliare e non essere in grado di ricordare nulla della sua vita prima della crioconservazione, allora l’esperimento dovrebbe considerarsi fallito, perché di fatto non sarebbe servito a traghettare una persona dalla morte a una vita nuova, ma solo a trasportare un corpo dal passato al futuro.

La speranza di raggiungere questo obiettivo più ambizioso si basa su una concezione di morte detta “informatico-teoretica”. In base a questo approccio, un individuo si definisce deceduto non quando il suo cuore smette di battere né quando le sue funzioni cerebrali cessano del tutto, ma solo quando le informazioni nel suo cervello vengono distrutte in modo irreversibile. Chi fa riferimento a questo parametro di morte ritiene che le nostre memorie e i nostri tratti psicologici, cioè tutto ciò che ci rende persone uniche e diverse da tutte le altre, siano conservati nel nostro cervello in un modo simile a quello in cui vari files sono conservati nei nostri computer. Questo parallelismo fra cervello umano e hard-disk di un computer non è ovviamente accettato da tutti, e presuppone un approccio materialistico alla persona. Tuttavia, questa ipotesi non può essere esclusa a priori, e dato quanto poco capiamo ancora del funzionamento del cervello, non si può dare per scontato che sia sbagliata e che coloro che ritengono che le informazioni nel nostro cervello possano sopravvivere a un trattamento di crioconservazione siano del tutto fuori strada. Date le scarse conoscenze attuali, non possiamo dunque escludere a priori che la crioconservazione possa un giorno funzionare, anche se al momento sembra alquanto improbabile.

 

  1. Obiezioni alla crioconservazione

Le obiezioni alla crioconservazione sono di varia natura. Alcune sono le tipiche obiezioni rivolte contro una nuova tecnica quando viene inizialmente introdotta, e viene percepita come strana, inusuale e innaturale. Per esempio, si dice che la crioconservazione (intesa come progetto con lo scopo di estendere la vita per un tempo indeterminato) sia contro natura. Oppure che chi vuole vivere oltre i limiti biologici della vita umana voglia “giocare a fare dio”. Simili obiezioni, basate in parte sullo status quo bias e in parte su una fallacia di tipo naturalistico, sono state fatte a tanti altri tipi di tecnologie o terapie al momento della loro introduzione. Per esempio, obiezioni simili sono state mosse contro la fecondazione assistita e la crioconservazione di embrioni, o anche il semplice trapianto di organi. Di solito, però, dopo che queste nuove tecnologie sono state in circolazione per un po’ di tempo e viene appurato che non siano pericolose, vengono eventualmente accettate dalla maggior parte della società senza particolari problemi.

Un’altra obiezione alla crioconservazione è basata sull’idea che sia una trovata per truffare coloro che, essendo forse troppo creduloni, spenderebbero centinaia di migliaia di dollari per farsi crioconservare, quando in realtà il loro desiderio è irrealizzabile.

Questo tipo di obiezione scaturisce in parte dall’elevato costo della crioconservazione. Al momento ci sono solo poche strutture al mondo dove viene somministrato questo tipo di trattamento, due in America, una in Russia e una (non ancora attiva) in Svizzera.

In base alla struttura scelta, il prezzo varia dai $28,000 ai $200,000, in base al pacchetto che viene offerto, il quale in alcuni casi include il trasporto da qualsiasi parte del mondo qualcuno si trovi quando muore alla struttura dove verrà crioconservato, o addirittura un versamento su un fondo che permette di avere dei soldi a disposizione nel momento in cui ci si dovesse risvegliare. Il fatto che la crioconservazione sia abbastanza costosa di per sé non implica necessariamente che sia una truffa, o che sia uno spreco di soldi. Il problema principale, invece, a parte il costo, sembra essere la convinzione che non possa funzionare, per cui qualunque cifra fosse spesa per farsi crioconservare, sarebbe uno spreco. In risposta a questa obiezione, però, chi supporta la crioconservazione può far notare che, anche se al momento le nostre conoscenze sono molto limitate, e appare molto improbabile che la crioconservazione possa un giorno funzionare, non si può neppure essere sicuri che non funzionerà. Anche se improbabile, è comunque possibile che questo tipo di trattamento possa un giorno effettivamente funzionare, e dato che non si può escludere a priori che la crioconservazione funzionerà, non è corretto considerarla una truffa, anche se rimane un investimento molto rischioso. Una persona che decide di farsi crioconservare scommette una notevole somma di denaro su un investimento che ha pochissime probabilità di avere successo, sapendo però che il ritorno per questo investimento potrebbe anche essere altissimo. Investire nella crioconservazione è equivalente ad acquistare un costosissimo biglietto della lotteria sapendo che le probabilità di vincere il premio sono infinitesimali, ma sapendo anche che tale premio è incredibilmente alto.

Alcuni obiettano che, anche ammettendo che la crioconservazione non sia una truffa e sia semplicemente un investimento molto rischioso, rimane comunque una scelta egoista. Invece di spendere notevoli somme nel tentativo di estendere la propria vita di decenni, secoli, o millenni, sarebbe meglio investire le stesse somme in donazioni ad associazioni benefiche che si occupano di salvare vite nei paesi poveri. Abbiamo visto che il costo della crioconservazione oscilla tra i $28,000 e i $200,000, in base al centro dove viene svolta e ad altre variabili. Per salvare la vita di una persona in un paese in via di sviluppo, secondo la Charity GiveWell, ci vogliono tra i $900 e i $7000. Di solito, queste vite vengono salvate tramite trattamenti per curare infezioni come la malaria e lo schistosoma. In base a dei semplici calcoli, quindi, una persona potrebbe salvare tra le 4 e le 220 vite se decidesse di devolvere i fondi che voleva destinare alla crioconservazione a una associazione benefica.

Scegliere di estendere la propria vita quando se ne potrebbero salvare altre (destinate a essere altrimenti molto brevi) sembra indicare una preferenza per la propria sopravvivenza che può risultare difficile da difendere, soprattutto da una prospettiva utilitarista secondo cui un individuo dovrebbe rimanere imparziale e non preferire il proprio benessere, o quello dei suoi cari, a quello di chiunque altro. Ma anche per i non utilitaristi, questo tipo di scelta pone dei dilemmi morali, perché è difficile riuscire a giustificare una così forte preferenza per la propria vita rispetto a quella altrui, specialmente quando si tratta di investire una notevole somma di denaro nella remota possibilità di allungare la propria vita piuttosto che salvarne altre quattro o addirittura duecento. E anche se la crioconservazione avesse buone probabilità di funzionare nel futuro, scegliere di farsi crioconservare sarebbe sempre la scelta di allungare la durata della propria vita, magari già lunga, invece che salvare tra le 4 e le 220 vite.

Una risposta piuttosto ovvia è che molti di noi spendono ingenti somme di denaro per vivere in modo più confortevole, o addirittura nel lusso, senza porsi troppi problemi riguardo all’uso delle proprie risorse. Compriamo case, auto costose, vacanze in luoghi esotici quando invece potremmo usare le stesse risorse per salvare decine o addirittura centinaia di vite di persone meno abbienti. Spendiamo anche notevoli cifre per allungare la nostra vita, anche se si tratta di pochi mesi o anni. Nei sistemi con la sanità pubblica è difficile percepire quanti soldi vengano investiti in terapie che allungano la vita di persone anziane, magari per qualche mese o anno. Nei sistemi privati, come negli Stati Uniti, è più facile rendersi conto di quanto siamo disposti a spendere pur di vivere un po’ più a lungo, e anche quando abbiamo già raggiunto o superato l’età media. Secondo uno studio sull’uso dei reparti di terapia intensiva da parte di pazienti molto anziani, il costo di una giornata in un’unità di cure intensive ammonta a circa $5.000, mentre i costi di ammissione si aggirano attorno ai $32.000[2]. Ogni paziente anziano passa in media una settimana in terapia intensiva prima di essere dimesso, per cui il costo per paziente è di circa $49,000, e circa $62,000 vengono spesi per ogni paziente che sopravvive almeno un anno dopo essere stato dimesso. Questo significa che alcuni pazienti spendono circa $67,000 per una settimana di vita in terapia intensiva, e alcuni spendono più o meno la stessa cifra per un anno o più di vita (fuori dalla terapia intensiva). Nel caso della terapia intensiva per pazienti molto anziani, le chance di successo sono più alte di quelle dei pazienti crioconservati, ma il guadagno, in termini di QALYs è potenzialmente molto inferiore. Risulta quindi difficile comprendere come mai la scelta di spendere ingenti somme di denaro per estendere di poco la vita di pazienti molto anziani e malati non viene tacciata di egoismo, mentre quella della crioconservazione viene spesso tacciata come uno spreco di soldi e una scelta profondamente egoista.

Rimane ovviamente il problema dell’incertezza sulle possibilità di successo della crioconservazione, ma tale probabilità di successo, per quanto minima, esiste, e deve essere messa in conto quando si confronta la crioconservazione e altri interventi che possano estendere la vita delle persone con le donazioni alle associazioni che intervengono nei paesi poveri o cercano di tenere in vita pazienti gravemente malati.

La crioconservazione ha poche possibilità di successo, ma dall’altro lato, se dovesse funzionare, permetterebbe di allungare la vita di tantissimi anni, potenzialmente per un tempo indefinito, cosa che nessun altro trattamento al momento disponibile è in grado di fare. Inoltre, tale allungamento della vita, sarebbe accompagnato anche da un’alta qualità della vita, dato che sarebbe abbinato a tecniche di ringiovanimento. Il potenziale guadagno in termini di QALYs della crioconservazione è perciò altissimo (anche se le probabilità di successo sono bassissime). Ipotizziamo di poter salvare 220 vite nei paesi poveri donando $200,000 a un’associazione benefica, e che ciascuna di queste vite venga estesa di 50 QALYs grazie a questa donazione. Con questo investimento, $200,000 potrebbero far guadagnare, complessivamente, 1100 QALYs (distribuiti equamente fra 220 persone in questo caso ipotetico). Ipotizziamo adesso che la crioconservazione si riveli un successo, e che permetta a un singolo individuo di vivere per 5000 anni, quindi di aggiungere 4900 QALYs alla vita di un individuo che sia arrivato all’età di 100 anni. Potremmo in questo caso giustificare la scelta di spendere $200,000 per guadagnare 4900 QALYs per un singolo individuo piuttosto che 1100 distribuiti fra 220 individui?

Qui le intuizioni morali possono divergere drasticamente, ma a prescindere da quale opzione uno consideri migliore, risulta difficile dismettere l’opzione della crioconservazione come totalmente irrazionale e irragionevole, per gli stessi motivi per cui non tacciamo la scelta di ricoverare in terapia intensiva gli anziani come irrazionale e egoista.

Nessuno può essere sicuro del fatto che la crioconservazione funzionerà, o funzionerà così bene da aggiungere addirittura migliaia di QALYS alla vita di una persona, ma del resto questa incertezza pervade tutte le nostre vite, e le nostre decisioni anche in ambito medico. In questo senso, la scelta di farsi crioconservare non è poi così dissimile, per tipologia, da altre scelte che facciamo nel corso della nostra vita, anche se coinvolge un livello di incertezza molto più alto, e dei potenziali benefici che superano quelli di molte altre opzioni al momento a nostra disposizione.

Una possibile obiezione all’argomento appena proposto è che, anche se la crioconservazione dovesse funzionare, e permettesse alle persone di tornare in vita per migliaia di anni, sarebbe comunque destinata al fallimento. Questo perché la vita nel futuro potrebbe essere molto difficile per chi viene riportato in vita dopo la crioconservazione. La persona riportata in vita non avrebbe amici o familiari, e tutti coloro che conosceva prima della crioconservazione sarebbero morti da tempo.

Inoltre, la società sarebbe profondamente diversa, e potrebbe essere estremamente difficile riuscire a integrarsi e a stabilire rapporti affettivi con coloro che invece sono nati in questa società nuova. Se qualcuno morto anche solo cento anni fa fosse riportato in vita, avrebbe molte difficoltà a comprendere il nostro stile di vita, a imparare a usare computer, smartphone e altre risorse informatiche. Chi viene crioconoservato potrebbe essere riportato in vita migliaia di anni dopo, in una società radicalmente diversa, in cui la specie umana potrebbe essere stata modificata geneticamente per sopravvivere, per esempio, al cambiamento climatico, alla penuria di acqua e cibo e all’inquinamento dell’aria. Potrebbe essere estremamente difficile sopravvivere in un simile contesto per qualcuno che non fosse stato geneticamente modificato per questo tipo di ambiente.

Oppure i futuri umani potrebbero essere centinaia di volte più intelligenti degli umani attuali, e potrebbero non capire che chi è stato riportato in vita è senziente, e sarebbero quindi poco empatici nei suoi confronti e addirittura incapaci di comprendere i suoi bisogni essenziali o le sue richieste.

Si possono prospettare infiniti scenari futuri distopici, ma in verità è difficile sapere se questi scenari siano più probabili e plausibili di scenari futuri utopici, dove si prospettano generazioni future più empatiche e più compassionevoli che magari hanno scoperto il segreto della felicità eterna e vivono in un perenne stato di grazia.

Anche in questo senso la crioconservazione è una scommessa. Al momento nessuno può sapere se gli scenari distopici siano più probabili di quelli utopici. Spetta a ciascuno scegliere quale sia più probabile e decidere, di conseguenza, se farsi crioconservare.

 

  1. Il dilemma dell’immortalità

La crioconservazione, abbiamo visto, non è considerata soltanto uno strumento per prolungare la vita di un individuo nel futuro, ma anche un passo verso l’immortalità o comunque verso una durata della vita indefinita.

Nelle società moderne, la morte è spesso considerata come il male assoluto da evitare fino a che è possibile. Tuttavia, curiosamente, anche l’opposto della morte, cioè l’immortalità, è considerata non desiderabile. Fra i vari filosofi che si sono occupati del tema dell’immortalità spicca Bernard Williams, il quale nel 1973 pubblicava un saggio dal titolo The Makropulos Case: Reflections on the Tedium of Immortality[3]. Williams propone il caso (di finzione) di Elina Makropulos alla quale viene donato un elisir che permette di allungare la sua vita di 300 anni, e che può essere assunto svariate volte. Elina lo assume per la prima volta a 42 anni, ma decide di non prenderlo nuovamente e quindi si spegne a 342 anni di vita. L’elisir permette non solo di estendere la durata della propria vita di 300 anni, ma anche di mettere in pausa il processo di invecchiamento, così che Elina rimane sana e piena di energie come una quarantenne fino alla fine della sua lunghissima vita. Tuttavia, nonostante la sua condizione apparentemente invidiabile, Elina sceglie la morte perché la sua vita lunghissima le causa uno stato di noia insopportabile e di indifferenza verso tutto e tutti.

Bernard Williams identifica tre caratteristiche che rendono la vita di Elina non desiderabile, e che quindi renderebbero l’immortalità, o una vita lunghissima, un peso più che un privilegio 1) la realizzazione di tutti i desideri categorici, 2) il cambiamento dei desideri categorici con la conseguente perdita di identità, 3) una vita che non è più distintamente umana.

Il primo argomento contro l’immortalità, cioè la realizzazione di tutti desideri categorici e la conseguente perdita di interesse nel continuare a vivere, ci riporta alla definizione di desiderio categorico secondo Williams, per cui questo tipo di desiderio, inteso come un progetto e un piano per il futuro, è ciò che ci dà la spinta a proiettarci nel futuro. Esempi di desideri categorici sono quello di imparare a suonare uno strumento, costruire una famiglia, scrivere un libro, etc. Secondo Williams, quando questi desideri sono soddisfatti, il desiderio di continuare a vivere inizia a scemare. È vero che nuovi desideri categorici possono nascere anche a un’età avanzata, però a un certo punto si esauriscono e la noia e la mancanza di interesse verso il futuro prendono il sopravvento, rendendo la morte un’opzione più desiderabile della vita.

Williams ha probabilmente ragione quando dice che nel lungo termine i desideri categorici si possono esaurire, eppure l’argomento non è del tutto convincente. Infatti, lo stesso Williams parla di desideri contingenti, cioè di desideri che scaturiscono da bisogni, per esempio il desiderio di mangiare o di bere o di stare al caldo. Secondo Williams, i desideri di questo tipo non sono sufficienti per giustificare il desiderio di continuare a vivere. Tuttavia, non è così assurdo immaginare che qualcuno voglia continuare a vivere anche se non ha desideri categorici ma solo contingenti. Oppure, possiamo immaginare un tipo di desiderio categorico che si rinnova nel tempo, e non è mai completamente esaudito. Qualcuno che avesse il desiderio categorico di aiutare i membri della propria famiglia, per esempio, potrebbe continuare ad avere questo desiderio per millenni senza mai esaurirlo, visto che i membri della famiglia cambiano e crescono a ogni cambio generazionale.

Possiamo anche immaginare il caso di un individuo i cui desideri categorici continuino a cambiare nel corso del tempo, così che, una volta realizzato un certo desiderio categorico, verrebbe sostituito da uno diverso. Questa opzione ci riporta al secondo argomento contro l’immortalità di Bernard Williams, cioè quello secondo cui un cambiamento dei desideri categorici è incompatibile con la continuità dell’identità personale, perché l’identità personale di un individuo è tenuta assieme dai suoi desideri categorici, così che cambiandoli uno smette di essere se stesso.

Questo problema, però, si presenta anche nel caso di individui che vivono una vita di durata normale: i desideri categorici che abbiamo da bambini sono diversi da quelli che abbiamo da adulti i quali sono a loro volta diversi da quelli che abbiamo da anziani. Eppure, di solito non pensiamo che questo tipo di cambiamento ci renda persone diverse, ma semplicemente che faccia parte del normale passaggio da un’età all’altra. È dunque possibile che avremmo la stessa percezione di essere noi stessi anche se dovessimo vivere molto più a lungo e cambiare moltissimi desideri categorici nell’arco di vite millenarie. Non è quindi ovvio che Williams abbia ragione quando sostiene che il cambiamento dei desideri categorici corrisponde alla perdita dell’identità personale (lasciando comunque da parte tutto il discorso sulle varie concezioni di identità personale, per cui i desideri categorici sarebbero irrilevanti per mantenere l’identità personale di un individuo).

Il terzo argomento contro l’immortalità di Williams ha a che fare con l’impossibilità di conciliare una vita lunghissima con il suo essere una vita umana. La finitezza della nostra vita è infatti una caratteristica fondamentale della nostra esistenza, e influenza in modo decisivo tutto il nostro vissuto. La crioconservazione, se utilizzata insieme a trattamenti di ringiovanimento, porterebbe a un inedito scollamento tra età biologica e età cronologica, cioè un individuo potrebbe avere, come Elina, 42 anni biologici ma 342 anni cronologici. Samuel Scheffler nota, ad esempio, che la nostra vita è fatta di vari stadi, e ogni stadio della vita corrisponde a una certa età biologica[4]. È proprio in base a questa divisione in stadi che possiamo attribuirci degli scopi e celebrare gli obiettivi raggiunti, perché ogni passaggio ha obiettivi appropriati per l’età biologica di riferimento: un bambino di cinque anni che impara a fare le sottrazioni ha un obiettivo appropriato per la sua età, mentre per un trentenne gli obiettivi riguardano di solito il lavoro e la famiglia. La nostra consapevolezza della brevità della nostra esistenza ci forza a darci degli obiettivi dentro dei limiti di tempo ben precisi, ma se fossimo immortali, il darci degli obiettivi in base allo stadio della vita a cui ci troviamo diventerebbe irrilevante. Avremmo sempre più tempo per raggiungere un certo obiettivo, e dire che alcuni obiettivi sono appropriati per una certa età diventerebbe una falsità, visto che il concetto di età stesso diventerebbe vuoto. Una vita lunghissima o infinita cambierebbe o cancellerebbe del tutto la corrispondenza fra età biologica e cronologica, insieme all’attribuzione di diversi obiettivi ai vari stadi della vita.

È ben possibile che Bernard Williams o Samuel Schaffler abbiano ragione, e che in effetti una vita lunghissima non potrebbe essere una vita distintamente umana, almeno per come intendiamo una vita umana al momento. Tuttavia, il vivere una vita distintamente umana non è un requisito necessario per vivere una vita buona. Forse nel futuro saremo soppiantati da una o più specie che avranno degli elementi in comune con noi, ma avranno vite indefinitamente lunghe. Non possiamo escludere a priori che, seppur non distintamente umane, queste vite saranno felici e degne di essere vissute, quanto o forse anche più delle nostre.

Un altro tipo di argomento contro l’immortalità incentrato sulla noia è stato sviluppato da Shally Kagan e Todd May. Secondo Shally Kagan, una persona che vive troppo a lungo non riuscirebbe più a provare alcun interesse per il mondo circostante e per la sua stessa vita, una volta raggiunti tutti i suoi obiettivi[5]. Secondo Todd May, nel corso di una vita troppo lunga, un individuo inizierebbe a esperire un tipo di noia così profonda che diventerebbe impossibile darsi dei nuovi obiettivi[6].

Anche se l’argomento basato sulla noia ha sicuramente un valido fondamento, non possiamo dire con certezza che questo tipo di attitudine si svilupperebbe in ogni persona che dovesse vivere molto a lungo. In un certo senso, la vita diventa più noiosa man mano che andiamo avanti nel tempo perché rimangono meno cose nuove da scoprire, e anche lo stupore di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo diventa un’emozione conosciuta e perde un po’ della sua magia iniziale. Tuttavia, non si deve necessariamente dedurre che la maggior parte delle persone preferirebbe morire piuttosto che annoiarsi, e non siamo neppure in grado di prevedere come nuove o future tecnologie, come per esempio la realtà virtuale e l’upload del cervello, potrebbero modificare la nostra percezione della noia e risolvere il problema più radicale della noia esistenziale. Non si può escludere che, anche dopo l’introduzione di queste nuove tecnologie, una vita lunghissima diventerebbe insopportabile, e per questa ragione si dovrebbe sempre lasciare all’individuo la possibilità di scegliere di morire, magari dopo aver vissuto centinaia o migliaia di anni.

In conclusione, possiamo dire che tutte le obiezioni alla crioconservazione non riescono a dimostrare che la crioconservazione sia un investimento immorale. La crioconservazione è certamente un investimento rischioso, visto quanto poco sappiamo sia della possibilità che funzioni, che della vita nel futuro o di come potrebbe essere una vita lunghissima. Ma queste obiezioni non rendono questa scelta immorale, la rendono semplicemente una scelta rischiosa.


[1] crionicista o crionauta sono termini utilizzati per definire chi crede che la crioconservazione possa avere successo, e decide di farsi crioconservare.

[2] N. Chin-Yee, G. D’Egidio, K. Thavorn, D. Heyland, K. Kyeremanteng, Cost analysis of the very elderly admitted to intensive care units, in «Critical Care», 21(1), 2017, pp. 1-7.

[3] B. Williams, The Makropulos case: Reflections on the tedium of immortality, in B. Williams (Ed.), Problems of the self, Cambridge University Press, Cambridge 1973, pp. 82–100.

[4] Cfr. S. Scheffler, Death and the afterlife, Oxford University Press, New York 2013.

[5] Cfr. S. Kagan, Death, Yale University Press, New Haven 2012.

[6] Cfr. T. May, Death, Routledge, Londra 2014.

 

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