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Ciò che è morto non muoia mai (?). Rimozione e risignificazione della morte nel contemporaneo

Autore


Paolo Amodio, Delio Salottolo, Luca Lo Sapio, Viola Carofalo

Università degli Studi di Napoli Federico II-Università degli Studi di Napoli L'Orientale

Indice


 

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S&F_n. 26_2021

Abstract


What is dead may never die (?). Removal and Re-signification of death in the contemporary world

What Is Dead May Never Die, the motto of the House of Greyjoy in "Game of Thrones", takes us back to a time when death did not represent the dissolution of human existence, but the fulfillment of a destiny. At least, ritualized and celebrated, it implied the promise of remembrance and allowed one’s placement within a collective narrative. The same cannot be said of today's conception of death, no longer considered within a community dimension, but increasingly individualized. Its rites of passage, whether secular or religious, are increasingly stripped of sacredness. Death, today, does not represent, in common feeling, a completion, but only the end.The purpose of this Issue is to investigate the multiple philosophical, ethical and anthropological paths within which the theme of death is addressed.

What Is Dead May Never Die, il motto della casata dei Greyjoy in “Game of Thrones”, ci riporta a un’epoca in cui la morte non rappresentava la dissoluzione dell’esistenza umana, ma il compimento di un destino o, se non altro, ritualizzata e celebrata, implicava la promessa del ricordo e permetteva la collocazione all’interno di una narrazione collettiva. Non si può dire lo stesso della concezione odierna della morte, non più considerata all’interno di una dimensione comunitaria, ma sempre più individualizzata, i cui riti di passaggio, laici o religiosi che siano, sono sempre più spogliati di sacralità. La morte, oggi, non rappresenta, nel sentire comune, un compimento, ma solo la fine.

Scopo del Dossier è indagare i percorsi, filosofici, etici e antropologici, entro i quali il tema della morte viene affrontato. Queste alcune delle traiettorie a partire dalle quali il tema verrà esaminato:

  • Il peculiare processo di civilizzazione occidentale, attivatosi a partire dalla fine del Medioevo e la cui marcia caratterizza la cosiddetta Modernità, ha portato a una sorta di rimozione della morte e alla solitudine del morente[1]: la tabuizzazione della morte passa attraverso un movimento che da una scena pubblica – la morte come momento comunitario e collettivo – conduce a un dramma privato[2]. Per la Modernità, dunque, che legge sé stessa e il proprio sviluppo nei termini di un dominio umano crescente sui processi naturali, la morte rappresenta un elemento di criticità da addomesticare e controllare attraverso dispositivi plurimi e diversificati.
  • La profonda algofobia contemporanea[3], il tentativo cioè di rimuovere il dolore e la vulnerabilità, in ultima istanza, associati alla morte, ha condotto al paradossale rovescio per cui, in una società nella quale la vita va a tutti i costi preservata e riconosciuta – innalzata com’è a valore supremo – centrale è la produzione di “vite di scarto”[4]. Una società che espunge dolore, fragilità e morte, mettendo al centro l’imperativo del godimento e l’immagine di corpi che possono tutto, produce infatti incessantemente corpi considerati senza valore, che non possono nulla.
  • La rapida evoluzione delle tecnologie biomediche e digitali che hanno determinato una riperimetrazione delle categorie di vita e morte spinge a una riflessione strutturata intorno alle nuove modalità del morire. Alle classiche questioni del fine vita, nelle varie declinazioni del suicidio assistito, dell’eutanasia, delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, si aggiungono nuovi scenari dischiusi dall’impiego delle biotecnologie per il potenziamento umano che, tra le altre cose, si propongono l’obiettivo di ritardare la morte[5] o, in alcuni casi, consentire a sapiens di raggiungere una qualche forma di immortalità (l’era del death free, il tema del mind uploading, il transumanesimo)[6].

Morte come limite alla perfezione e al perfezionamento umano, nuove tecnologie volte a rallentare i processi che sottendono la morte e meccanismi sociali di rimozione e addomesticamento della morte, del dolore e della vulnerabilità. In un’epoca attraversata da profondi cambiamenti di carattere culturale, sociale, simbolico, il tema della morte è tornato profondamente attuale.  La sintomatologia di questo ritorno sarà al centro degli approfondimenti proposti nel presente Dossier.


[1] Cfr. N. Elias, La solitudine del morente (1982, 1985), tr. it. Il Mulino, Bologna 2019.

[2] Cfr. P. Ariès, Storia della morte in Occidente (1975), tr. it. BUR, Milano 2019.

[3] Cfr. B.-C. Han, La società senza dolore (2020), tr. it. Einaudi, Torino 2021.

[4] Cfr. Z. Bauman, Vite di scarto (2004), tr. it. Laterza, Roma-Bari 2007.

[5] A tal proposito, è opportuno qui richiamare l’ampia letteratura che, a partire dagli anni 2000, si è sviluppata intorno al tema dell’immortalismo, soprattutto all’interno dei cosiddetti human enhancement studies (cfr. A. De Grey, La fine dell’invecchiamento. Come la scienza potrà esaudire il sogno dell’eterna giovinezza (2007), tr. it. D Editore, Roma 2016; F. Minerva, The Ethics of Cryonics. Is it immoral to be immortal?, Springer 2018). In chiave critica, il tema dell’immortalismo è stato esaminato da B. Williams, The Makropulos case: Reflections on the tedium of immortality, in B. Williams (Ed.), Problems of the self, Cambridge University Press, Cambridge 1973 e nel volume di D. Benatar, La difficile condizione umana. Una guida disincantata alle maggiori domande esistenziali (2017), tr. it. Giannini Editore, Napoli 2020.

[6] In tale ambito, da alcuni anni stanno assumendo particolare rilevanza i cosiddetti death studies, nei quali si mettono a fuoco le trasformazioni che la “morte” sta subendo anche a causa della sempre più pervasiva presenza delle tecnologie digitali (cfr. D. Sisto, Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio, Bollati Boringhieri, Torino 2020, e Id., La morte si fa social, Bollati Boringhieri, Torino 2018).

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