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John S. Bell – Dicibile e indicibile in meccanica quantistica – tr. it a cura di G. Lorenzini, con un saggio di R. Figari e G. Tratteur [Adelphi, Milano 2010, p. 390, € 32]


Gli sbadati lo sanno bene, non tutto è prevedibile. Per quanto ci sforziamo di pianificare e programmare ogni dettaglio della nostra vita, l’esperienza quotidiana ci costringe a prendere atto di questa ansiogena verità. Il misterioso fascino esercitato dalla meccanica quantistica anche su chi di fisica sa poco o nulla sta forse tutto qui, nella sua paradossale vicinanza a un tipo di esperienza che ognuno di noi fa ogni giorno. Non è cosa da poco, visto che da Newton in poi la ragion d’essere della fisica, cioè della scienza che studia la natura della realtà, è stata l’assoluta prevedibilità di ogni fenomeno.

Heisenberg, Bohr, Einstein, Bohm, Schrödinger, insomma gente che ha rivoluzionato il concetto stesso di realtà, ci ha invece spiegato che il mondo è molto più bizzarro di quello che si sarebbe mai potuto immaginare e che, anzi, forse un mondo solo non basta per descrivere la realtà. Ne occorrono almeno sei. In “Sei possibili mondi della meccanica quantistica”, ventesimo capitolo della sua preziosissima raccolta di saggi sui fondamenti e le (apparenti) stramberie della meccanica quantistica, John Bell ci invita a fare questo strano esperimento mentale, per cui se è vero che le leggi della fisica descrivono il mondo, l’eventuale coesistenza di uno spettro di possibili leggi fisiche implicherebbe la coesistenza di uno spettro di possibili mondi. Se pensate che si tratti di un’astruseria da fisici teorici vi sbagliate di grosso. Di fatto le leggi della fisica del nostro universo reale non sono affatto autoritarie, non sono affatto “le” leggi della fisica. Il che, ça va sans dire, non vuol dire affatto che non esistano delle leggi, ma questo è un altro discorso. Ma dicevamo del carattere non più autoritario delle leggi fisiche. Bene, nel secolo scorso, con la scoperta dell’infinitamente piccolo, abbiamo dovuto prendere atto che le leggi che funzionano così bene per descrivere il movimento e il comportamento dei pianeti non sono altrettanto utili alla descrizione del comportamento degli atomi e, in particolare, del movimento degli elettroni. Ora, se questo è vero, se dunque esistono altre leggi rispetto quelle “classiche”, esiteranno pure altri mondi. O no? La meccanica quantistica nasce da qui, dall’esigenza di comprendere la realtà dell’infinitamente piccolo, la realtà microscopica che pure è alla base di quella nella quale viviamo e ci muoviamo ma che, ciò nonostante, sfugge sistematicamente alle sue regole.

Bell fa un esempio. Prendiamo un televisore. Il cannone elettrico di una Tv spara miliardi di elettroni che, come altrettanti bimbi mentre vanno in onda “I Teletubbies”, sono irresistibilmente attratti verso lo schermo. Ora, quando gli elettroni colpiscono lo schermo si produce un piccolo lampo di luce, una “scintillazione”. Negli apparecchi televisivi queste scintillazioni sono ridirezionate da campi elettrici in modo da formare le immagini, ma se gli elettroni non fossero ridirezionati, se cioè fossero lasciati “liberi”, potremmo noi prevederne il comportamento? La risposta è un no categorico. Anche se tra il cannone elettrico della Tv (una sorta di mini-acceleratore di particelle) e lo schermo ponessimo una barriera con dei microscopici fori in cui far passare un elettrone alla volta, sarebbe praticamente impossibile predisporre un percorso da far seguire agli elettroni. Assumendo che essi si muovono come fossero sospinti da onde, si potranno tutt’al più prevedere i punti dello schermo in cui, date certe circostanze, è “probabile” che gli elettroni produrranno una scintillazione, ma niente di più. «Quello che fa la meccanica quantistica – osserva Bell – è sviluppare in modo preciso e rigoroso gli aspetti matematici di questo moto ondulatorio che governa in qualche modo l’elettrone» (p. 248). Non a caso la “meccanica ondulatoria” è la formulazione più naturale per indicare i fenomeni che accadono in questa porzione di realtà. Ma di quale realtà stiamo parlando? «Ma che cos’è che ondeggia – si domanda Bell – nella meccanica ondulatoria? Nel caso di onde nell’acqua a oscillare è la superficie dell’acqua. In quello delle onde sonore è la pressione dell’aria. Nella fisica classica anche la luce era considerata un moto ondulatorio. Nel caso della meccanica ondulatoria non abbiamo idea di ciò che oscilla … e non ci poniamo la domanda» (p.249). Ma i misteri non finiscono qui.

«Dal sistema ondulatorio dobbiamo sempre escludere una parte dell’universo, che deve essere descritta in modo classico, corpuscolare, perché coinvolge eventi definiti e non semplici possibilità ondulatorie» (p. 250). E siamo al punto d’inizio: non esiste un solo universo ma ne esistono almeno due, uno classico e uno quantistico. Anzi, dicevamo, ne esistono almeno sei. Cosa succede infatti all’onda dove non si produce alcun lampo di luce? Secondo alcuni fisici esistono tanti universi quante sono le potenzialità di un’onda di produrre delle scintillazioni. L’universo, cioè, si moltiplicherebbe per quanti sono i luoghi che possono essere sede di un lampo prodotto da un elettrone! Nel saggio citato, come abbiamo accennato, John Bell analizza “solo” sei di queste realtà parallele, ma nel resto del volume offre una panoramica rara e magnifica di tutto il «dicibile e l’indicibile in meccanica quantistica». Ed è proprio a cavallo tra il dicibile e l’indicibile che il fisico irlandese conia concetti nuovi e astrusi persino per i suoi colleghi, come quello di esseribili.

Cosa sono le esseribili? Letteralmente “ciò che può essere”, un neologismo che traduce in italiano il neologismo inglese “beable” utilizzato da Bell. «Si tratta – dice Bell – di un nome pretenzioso per una teoria che altrimenti difficilmente potrebbe esistere, ma che tuttavia dovrebbe esistere. Il nome è volutamente modellato sull’algebra delle osservabili locali». Ma soprattutto, precisa il fisico, «il termine “esseribile” contrapposto a “osservabile” non è inteso a spaventare con della metafisica coloro che sono dediti alla verafisica. È scelto piuttosto per aiutare a rendere esplicite alcune nozioni che sono già implicite e fondamentali per la meccanica quantistica ordinaria» (p. 69). Bell così continua: «La parola esseribile sarà utilizzata per trasferire [al contesto quantistico] la distinzione familiare già in teoria classica tra quantità “fisiche” e “non-fisiche”. Nella teoria elettromagnetica di Maxwell, per esempio, i campi E e H sono “fisici” (esseribili, diremmo noi), ma i potenziali A e V sono “non-fisici”. A causa dell’invarianza di gauge, la stessa situazione fisica può essere descritta da potenziali molto diversi. Non importa che nel gauge di Coulomb il potenziale scalare si propaghi con velocità infinita. Non si suppone che sia davvero lì. È solo un conveniente artificio matematico» (p. 70). Bell suggerisce di attribuire alla funzione d’onda descritta dalla meccanica quantistica uno status analogo a quello del potenziale scalare nel gauge di Coulomb, vale a dire negargli lo status di esseribile. In questo modo «il suo strano comportamento diventerebbe accettabile esattamente quanto il bizzarro comportamento del potenziale scalare della teoria di Maxwell nel gauge di Coulomb» (ibid.). La preoccupazione di Bell è di ordine epistemologico, se così si può dire, egli è interessato a far guadagnare alla meccanica quantistica gli stessi crismi di coerenza e di attendibilità della meccanica del mondo macroscopico. Deve esserci il modo per far sì che in futuro si possano formulare i criteri per una teoria non «intrinsecamente» ambigua e approssimata. «Una siffatta teoria – precisa – non potrà riguardare in sostanza “misure”, perché ciò implicherebbe ancora una volta un’incompletezza del sistema e influenze esterne non analizzate. Piuttosto dovrebbe diventare nuovamente possibile dire, di un sistema, che determinate cose sono così e non che si osserva che sono così. La teoria non riguarderebbe dunque le “osservabili” bensì le “esseribili”. Queste esseribili non devono necessariamente assomigliare a quelle, diciamo, della teoria classica dell’elettrone; ma come minimo dovrebbero fornire a livello macroscopico un’immagine del mondo classico della vita quotidiana» (pp. 54-55). Senza voler spaventare con la metafisica le menti impegnate nella verafisica, i ragionamenti di Bell sulle esseribili potrebbero essere tradotti così: esistono dei valori osservabili che, come tali, sono fatti di esseribili e, soprattutto, esistono fenomeni fisici la cui condizione ontologica benché approssimativa non è incerta. Forzando un po’ si potrebbe dire che la fisica, teorizzando su se stessa, scopre delle sfumature d’essere che sfuggono non solo alle sue vecchie rigidità, ma anche alle rigidità cui ci ha abituati la nostra stessa tradizione metafisica. C’è da chiedersi se questa rinnovata flessibilità concettuale non possa offrire strumenti per rendere meno rigida anche altre partizioni ontologiche.

 

Cristian Fuschetto

S&F_n. 4_2010

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