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Arte e tecnica materiale nell’Encyclopédie

Autore


Mario Cosenza

Università degli Studi di Napoli Federico II

Dottorando di ricerca in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II in cotutela con l’Université Paris Nanterre

Indice


  1. Quale arte
  2. Portare alla luce
  3. Materie nuove

 

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S&F_n. 19_2018

Abstract


Art and material technology in the Encyclopédie


The Diderot’s article Art of the Encyclopédie is not only an essay about the classic division between liberal and mechanical arts but also a new way of advocating the second ones. Discussing the importance of the machines and the topic of the distribution of ideas, Diderot doesn’t renounce to pull out from such a technical voice, and, at the same time, he tries to keep his research about a materialism that is both rigorous and passionate.


  1. Quale arte?

L’ordine alfabetico delle voci dell’Encyclopédie fu concepito dai suoi “ideatori” come un ordine “qualsiasi” tra gli infiniti possibili[1]: è dunque una comoda coincidenza se la voce Arte – lemma fondamentale e tra i termini del sottotitolo della grande impresa[2] – può campeggiare già nel primo volume, che esce trionfalmente nel 1751. Comoda in quanto, all’epoca e anche oggi, un importante “manifesto programmatico” è offerto ai lettori, cui viene fornita una chiave interpretativa dirimente per molti dei nodi dell’opera.

In più, la voce/articolo Arte fornisce, in maniera ampia e densa, un quadro fondamentale dell’autocoscienza teorica di Diderot in quel momento. Se l’articolo è, infatti, uno dei grandi quadri teorici “condivisi” dell’Encyclopédie, esso non manca comunque di un taglio molto personale: anzi risulta essere, in qualche modo, un’impresa nell’impresa, nella misura in cui tratteggia un programma molto deciso ma forse non integralmente conciliabile con altri presupposti teorici dell’Encyclopédie, come ad esempio i dettami più propriamente geometrici che campeggiano nel Discours préliminaire di d’Alembert[3].

L’interprete di Diderot sarà portato a mettere in prospettiva l’articolo, misurandolo ad altri momenti del pensiero del philosophe, per cercare di trarne un’immagine il più possibile completa del suo itinerario intellettuale; d’altra parte, si può in qualche modo astrarre dalla questione prospettica, e portare in primo piano una lettura aderente alla lettera del testo dell’articolo. Cercherò qui di far dialogare il Diderot philosophe con il Diderot enciclopedista – cioè di fatto divulgatore e “politico” – cercando di mostrare i nessi tra l’opera più propriamente teorica e quella pubblica.

Urge dire che la questione dell’arte non è qui la questione del bello o del gusto: se si accetta che l’arte è

Il centro di convergenza o nesso, cui si ricondussero le osservazioni [su di un qualsiasi argomento], per ridurle ad un sistema di regole o di strumenti, coordinati in vista di un medesimo fine. Tale è una disciplina in genere[4]

 

allora si intende subito che non siamo, in Arte, all’interno di un dibattito estetico, bensì in un discorso – di chiara ispirazione baconiana – sulle tecniche di costruzione e catalogazione dell’umano sapere pratico.

Infatti,

se l’oggetto va eseguito, l’insieme e la disposizione tecnica delle norme secondo le quali va eseguito si dicono arte. Se l’oggetto deve essere semplicemente osservato sotto diversi punti di vista, l’insieme e la disposizione tecnica delle osservazioni relative ad essa si dicono scienza. Così la metafisica è una scienza, mentre la morale è un’arte. Lo stesso si dica della teologia e della pirotecnica[5].

 

Non è qui il caso di dire troppo sul tipico procedimento d’ispirazione libertina con cui sono accostate nella stessa frase teologia e pirotecnica; né sull’idea che la morale sia un’arte applicata; ciò che qui importa è la necessaria rivalutazione della portata dei saperi che si fanno pratica, che spinge Diderot a dire che

Ne segue che soltanto un artigiano che sappia ben ragionare può parlare degnamente dell’arte sua[6].

 

Dunque, il philosophe vuole dare un nuovo senso – personale ed epocale insieme – alle arti, ma si muove, come d’altronde egli ben sa, in un contesto già dato: quello dell’antica distinzione tra arti liberali e arti meccaniche, distinzione non solo teorica – cosa che non si ha problemi ad ammettere – ma anche, in maniera più celata, sociale.

Tale pregiudizio [in favore delle arti liberali] mirava a riempire le città di ragionatori orgogliosi e di contemplativi superflui, e le campagne di tirannelli oziosi, pigri e altezzosi[7].

 

Un’arte è dunque una disciplina generica che costruisce un sistema di regole strumentali coordinate in vista di un unico fine. Se l’insieme teorico non trova un correlato materiale, si ha una scienza; se esso trova applicazione, si ha un’arte.

Quest’ultima nasce da bisogni fisici immediati, o da “necessità” culturali, come lusso e divertimento; in tal senso, arti e mestieri sono quasi sinonimi, e le vere differenze – comunque non così nette – sussistono semmai tra scienze e arti.

Bisogna però subito dire che, pur essendo un articolo che tenti di dare identità e credibilità al sapere delle arti meccaniche, Arte non è una voce che parli di questa o quella macchina nello specifico; Diderot qui tenta piuttosto di rintracciare lo spirito (se così si può dire) dell’arte meccanica, e cerca di invertire gli ordini di senso che nell’immaginario “aristocratico” (in senso lato) attribuiscono alla meccanica un grossolano sperimentalismo buono tutt’al più per manovali irriflessivi, da deridere proprio perché pratico.

Ma non solo questo: il philosophe è in cerca di una rinnovata misura dell’uomo che in qualche modo non lo “condanni” alla sola teoria, ma renda possibile invece concepire i suoi nessi con il mondo materiale (in tutti i sensi). E, per Diderot, un tentativo del genere passa anche dalla (ri)valutazione del mondo delle arti. Nella sua filosofia, infatti, un tale intento non è possibile senza saldare insieme l’uomo al suo tempo storico, cioè iniziando – certo in maniera accorta e “sperimentale” – a fondere discorsi filosofici a una comprensione più ampia della produzione materiale. Senza costringere Diderot a confrontarsi con teorie a lui ampiamente successive, ci si può azzardare a dire che si scorgono qui indizi di un materialismo che si configura non solo come rapporto dell’uomo con la materia dei corpi sofferenti/ gaudenti o con la materia degli spazi lontani ma anche con la materia di cui “sono fatti” gli oggetti che rendono possibile la società assicurandone la sussistenza[8]. Come si leggerà in maniera molto sintetica in un altro importante articolo dell’Encyclopédie

le poëte, le philosophe, l’orateur, le ministre, le guerrier, le héros, seroient tout nuds, & manqueroient de pain sans cet artisan l’objet de son mépris cruel[9].

 

Al fine di portare alla luce questo materialismo – inteso anche come il problema delle macchine – dev’essere messo in risalto in maniera definitiva il nesso inscindibile tra teoria filosofica e pratica sociale – procedimento che è l’unico modo per sconfiggere l’idealismo à la Berkeley che Diderot tanto temeva[10]. Se allo scopo di catalogare i saperi la divisione tra arti – dovuta probabilmente alla percentuale maggiore o minore di attività intellettuale o manuale presente in una singola arte[11] – può avere una linearità e una fondatezza, essa ha nondimeno portato a concedere più dignità a quelle puramente teoriche rispetto a quelle che richiedono una “poco nobiliare” propensione alla manualità: «[la distinzione] pur essendo ben fondata, ha prodotto pessimi effetti»[12]. Dunque, non è davvero dirimente distinguere completamente tra le arti, e lo è ancor meno innalzarne qualcuna a scapito di altre, per quanto “un senso” – tutto ideologico, ma è proprio qui il punto – la cosa la abbia eccome.

Se ponete su uno dei piatti della bilancia l’utilità reale delle scienze più sublimi e delle arti più onorate, e sull’altro quella delle arti meccaniche, vedrete che le valutazioni dell’una e dell’altra non sono state fatte secondo criteri che tenessero conto dei rispettivi meriti; giacché gli uomini intenti a farci credere che siamo felici hanno sempre ottenuto molte più lodi di quelli intenti a far sì che lo fossimo davvero[13].

 

Questo è un passaggio nodale, perché qui Diderot pone in risalto una relazione, nella sua ottica, davvero dirimente, ossia quella tra produzione e felicità. Per meglio analizzare questa posizione, è bene mettere in campo alcuni elementi.

In primis, un dato di carattere biografico: Diderot era orgoglioso figlio di artigiani (coltellinai). Ma certo non si può ridurre a un mero dato biografico una posizione teorica del genere; né si deve pensare solo a un auto-promozione a mo’ di martellamento “pubblicitario” se nell’Encyclopédie viene fatto presente (spesso, e con vigore) che una delle forze dell’impresa editoriale sia appunto la tenace curiosità con cui si è cercato di pubblicizzare e sintetizzare la situazione dell’artigianato e della nascente piccola-industria[14]. Senza dare macro-giudizi sociologici – che anche sono stati enunciati – per i quali l’Encyclopédie fu essenzialmente una sorta di organo di stampa della borghesia, è chiaro che l’articolo di Diderot ha come destinatari degli elementi ben precisi della società, cioè coloro i quali sempre più allargavano la propria influenza economica e sempre più ritenevano di essere ostracizzati dai ruoli più squisitamente politici – anche se va detto che, nel momento in cui spesso li “citavano” in un unico discorso, probabilmente agli enciclopedisti non era del tutto chiaro quanto gli interessi di “piccoli” artigiani e “grandi” possessori di macchinari non convergessero affatto[15].

Ma affrontare la posizione di Diderot riportandola a una semplicistica committenza di classe, è riduttivo e fuorviante; quello che qui realmente importa è, invece, mostrare come anche un articolo di chiara impronta “d’attualità” sottintenda – in maniera propriamente filosofica – una visione della natura materiale umana che risulta perfettamente integrata nel pensiero del philosophe. Questo è possibile se si tiene fermo che, per Diderot, lo scopo di ogni arte meccanica è di imprimere determinate forme agli elementi della natura, attraverso un processo che porti alla costruzione di macchinari complessi capaci di produrre beni necessari per sempre più persone. L’uomo deve farsi allora interprete delle necessità e produttore di risposte adeguate. L’arte è dunque manipolazione al fine di ottenere prodotti che arrechino un benessere – e quindi, una produzione migliore non può non essere a lungo andare foriera di “felicità”.

 

  1. Portare alla luce

Si aggiungano però problemi che sono più squisitamente culturali: nella visione di Diderot, che è quella di un alfiere della pubblicità degli affari filosofici e della divulgazione, uno dei grossi problemi di una genealogia delle arti meccaniche è che spesso le tracce della loro nascita si sono perse a causa del discredito per la manualità. Qui deve intervenire allora un procedimento filosofico induttivo[16], che cerchi di “interpretare” la possibile nascita di un manufatto artistico e ne mostri l’utilità. Al fine di divulgare incessantemente, una “finzione” può essere talvolta addirittura più utile di una ricostruzione ben fondata, nella misura in cui mostra come un manufatto sia diventato un “problema” (o una risorsa).

Spesso si ignora l’origine di un’arte meccanica, o si hanno soltanto nozioni vaghe circa i suoi progressi: e questa è una conseguenza naturale del disprezzo del quale, in tutti i tempi e presso tutte le nazioni colte e guerriere, furono oggetto coloro che vi si dedicarono. In questo caso bisogna ricorrere a induzioni filosofiche, muovere da qualche ipotesi verosimile, da qualche evento iniziale e fortuito e, da questo, procedere fino al punto in cui l’arte è giunta. […] Procedendo così i progressi di un’arte saranno esposti in maniera più istruttiva e chiara che non secondo la sua vera storia, se pur fosse nota. Gli ostacoli che è stato necessario superare per perfezionarla si presenteranno in un ordine del tutto naturale; la spiegazione sintetica dei progressi successivi dell’arte ne faciliterà la comprensione da parte delle menti più comuni, e porrà gli artisti sulla viva che può condurli più prossimi alla perfezione[17].

 

Qui ci sono, indubbiamente, tracce del Diderot letterato, del suo piacere nel raccontare. Ma è anche sottesa la costante preoccupazione per una crescita qualitativa dei lettori, attraverso le possibilità di una divulgazione che, per quanto tecnica e attenta, stimoli il piacere di una conoscenza viva. Una divulgazione che sia istruttiva e chiara e che non rinunci a un rapporto critico con la realtà. In Diderot, quindi, il problema delle arti, il problema teorico, è sempre legato a una sua possibile spiegazione. Questo è il modo di evidenziare anche “su carta” il nesso teoria-prassi: in questo caso, la teoria è la spiegazione dell’esistenza stessa di una certa arte, la prassi è la divulgazione. Cioè, anche nel campo apparentemente solo teoretico, esiste qualcosa di più vicino alla “materia”: questo qualcosa è la divulgazione.

Ne segue che alla costruzione di macchinari perfetti va in parallelo fatta seguire la costruzione di una lingua delle arti, che riesca a rendere univoco il linguaggio dei tecnici, supportato da una nomenclatura che sia la più precisa possibile e che riesca a mediare tra singoli ambiti artistici e regole più generali:

Ho notato che la lingua delle arti è molto imperfetta per due motivi: la scarsezza di nomi propri e l’abbondanza di sinonimi. Certi strumenti hanno molti nomi differenti; altri, al contrario, hanno soltanto il nome generico di «congegno» o «macchina», senz’alcuna aggiunta che li distingue[18].

 

A questo proposito, Jacques Proust dice:

A cet égard, Diderot a véritablement été un pionnier. Il est sans doute le premier homme de lettres qui ait considéré la technologie comme une partie de la littérature, dans laquelle par conséquent le “littéraire” avait son mot à dire au même titre que le technicien[19].

 

Ma oltre le disquisizione “nominale”, al limite del letterario, dare un certo grado di unitarietà teorica al non “sintetico” mondo delle arti, indica una chiara valutazione filosofica (e politica, ma non per forza in senso stretto).

Infatti, la storia di un’arte è storia comune in quanto storia del suo riferimento alla materia, cioè nel suo rapporto con un determinato dato materiale; e ciò significa, ancora, che è in rapporto in ultima istanza al mondo – alla soddisfazione cui si arriva e alla felicità che ne deriva – che dobbiamo giudicare di un’arte. L’esplicazione della funzione di un oggetto non può essere disgiunta dal perché esista quell’oggetto: esso è la risposta a un problema pratico, è qualcosa che si può toccare – cosa del tutto in linea con la predominanza del senso tattile in un certo materialismo d’ispirazione sensualista, affrontato da Diderot nella sua di poco precedente Lettera su ciechi.

Al contrario, se non si tiene sempre a mente il rapporto tra oggetto e strumentalità, si rischia – come accade per Diderot in ogni cattiva metafisica – di creare, ad esempio, un macchinario “valido” solo sulla carta, e che invece all’uso esso si dimostri goffamente inadeguato:

quante cattive macchine ci vengono proposte ogni giorno da persone che immaginano che le leve, le ruote, le pulegge, i cavi, funzionino in una macchina come sulla carta; e che, non avendo posto mano all’opera, non hanno mai saputo quale differenza c’è tra gli effetti di una macchina vera e propria, e quelli del relativo disegno! Aggiungeremo qui un’altra osservazione, che cade a proposito: certe macchine risultano bene in piccolo, ma non in grande; altre, al contrario, vengono bene in grande ma non risulterebbero bene in piccolo[20].

 

Dunque, la risoluzione di un problema di una certa arte non è una questione ideale/matematica/geometrica: si tratta spesso ben più prosaicamente di conoscere, ad esempio, la durezza di un attrezzo, il suo peso, la sua maneggevolezza[21].

 

  1. Materie nuove

È ora forse più chiaro, dunque, come il problema delle arti in Diderot non sia disgiunto dal problema della materia, cioè della sua trasformazione; in questo senso, il problema delle arti è il problema delle macchine, ed esso è politicamente rilevante nella misura in cui i macchinari possono – se meglio costruite e meglio esplicate – produrre beni e ricchezza. Ma non solo la materia di cui le macchine sono fatte; nell’equazione va messa la soddisfazione di una macchina che invece non è figlia di un progetto razionale: tale macchina è l’uomo. Per ora si è detto come la materia possa essere quella “da toccare” dei macchinari, che a sua volta producono materia edibile, materia abitabile, materia indossabile... Ma oltre a trasformare elementi o produrre oggetti di uso più o meno immediato, in che modo le macchine – e la loro riabilitazione – possono garantire un soddisfacimento “passionale” all’umanità? La visione dell’articolo Arte è integrabile con la posizione materialista di Diderot, nella misura in cui, per il philosophe, respingere una divisione dicotomica “alto/basso” delle arti rappresenta un tentativo di valorizzare ciò che di autenticamente vivo[22] vi è nel lavoro umano, vivo in quanto materiale e in quanto figlio di una programmazione razionale, sia quest’ultima un pensiero sul mondo o una produzione materiale: la dicotomia non ha senso di esistere in quanto le arti, lungi dall’essere figlie di dei minori, rappresentano il conatus umano verso ogni miglioramento. Quindi, da un lato Diderot collega la questione delle arti meccaniche ai nuovi rapporti produttivi della sua epoca, ponendosi un intento comunicativo/riassuntivo secondo il quale le arti devono essere mostrate nella loro laboriosa dignità e messe in rapporto con un’istanza progressista e vivificatrice accessibile a tutti[23].

Da un altro punto di vista, però, contro ogni contingenza sociale e ogni riduzionismo, ci si può azzardare a rapportare il Diderot “delle arti” a quello del piacere puro dello stare al mondo, del possibile bonheur e dei piaceri “da costruire”: infatti, per il philosophe, vi può essere bellezza nobilitante anche nell’arte materiale che meno ci si aspetta.

In quale sistema fisico o metafisico si nota più intelligenza, sagacia, ordine che nelle trafilerie da oro, nei telai da calze, nei congegni per la fabbricazione delle passamanerie, dei veli, delle stoffe o delle sete? Quale dimostrazione matematica è più complessa del meccanismo di certi orologi o delle varie operazioni alle quali si sottopongono le fibre della canapa o il bozzolo del baco da seta, prima di ottenere un filo adatto alla tessitura? […] Non la finirei più se mi proponessi di enumerare tutte le meraviglie che si presentano a chi visiti le manifatture con occhi non prevenuti né sciocchi[24].

 

Lungi dall’essere un’esaltazione della quantità fine a se stessa, l’entusiasmo di Diderot è invece figlio di una precisa filosofia dell’immanenza, una filosofia che si vuole nuovo modo di pensare l’umano e i suoi rapporti con la realtà oggettiva e storico sociale, e finanche nuovo canone di valorizzazione – tutta materiale – della bellezza possibile. La bellezza, qui, non è il contenuto di un’estetica, ma un sentimento relativo al sistema in cui ci si pone. Per Diderot, non solo le sfere celesti possono emozionare colui che sa pensare: chi non distingue surrettiziamente tra saperi ha ora la possibilità di “scendere” sulla terra, tra i macchinari, e addirittura apprezzarne spirito e fattezze. Questa profonda avversione per la distinzione tra alto e basso del sapere è evidente in tutto Diderot, dai suoi primi Pensieri a Jacques il fatalista: tutto merita di essere studiato – e raccontato. E comunque, si potrebbe dire, come le macchine producono il pane, così producono la possibilità di un’estetica: anche il più grande pittore ha bisogno che qualcuno gli costruisca il pennello.

Che la storia forse non abbia mostrato la possibile industria felice – ma i termini della questione, da lì a quarant’anni, sarebbero stati così sconvolti che è quasi inutile notarlo – a cui Diderot talvolta pensava, non toglie che realmente il philosophe concepisse il suo impegno riabilitante/divulgativo come una battaglia da compiere in nome dell’interesse generale della società contro il bieco ricavo di una minoranza: la divulgazione e la conoscenza della meccanica sono conoscenze utili per tutti; la comunicazione è sempre progresso, e anzi la stessa esistenza di una divulgazione filosofica è segnale di arricchimento. Tale fiducia, possibile ancora nel 1751, è causa ed effetto di una concezione che crede possibile una pacificazione sociale:

Invitiamo gli artigiani a valersi del consiglio dei dotti, e far sì che le loro scoperte non scompaiano con loro. Sappiano che non rivelando un segreto utile si rendono colpevoli di furto verso la società; e che anteporre l’interesse privato a quello generale non è meno vile in questo caso che in cento altri casi, nei quali essi stessi non esiterebbero a pronunziarsi in tal senso. Se diverranno comunicativi, si libereranno da molti pregiudizi, e soprattutto da quello comune a quasi tutti, è cioè che la loro arte abbia raggiunto il massimo grado di perfezione. La scarsa cultura li induce spesso da imputare alla natura delle cose un difetto che sta invece in loro stessi. Le difficoltà sembrano loro insormontabili, se ignorano i mezzi per vincerle. Facciano esperimenti, cui ciascuno rechi un contributo: l’artigiano con il lavoro manuale, l’accademico con i suoi lumi e consigli, e il ricco con le spese per il materiale, le fatiche ed il tempo; e ben presto le nostre arti e i nostri manufatti supereranno quelli esteri, nella misura che noi desideriamo[25].

 

Un’alleanza possibile: così in ambito politico quella tra filosofi e re (speranza che Diderot abbandonerà prestissimo), così tra i vari livelli della produzione. Alleanza teorica – divulgazione – e alleanza pratica: Diderot canta un’epoca nel quale il cambiamento può venir fuori dall’assoluta fiducia produttiva, ed egli pone il nesso tra abbondanza ed emancipazione che altri invece non pensarono. Lungi dall’essere un mero interesse di parte, questo tentativo serve a Diderot anche per meglio ragionare sui rapporti tra uomini e macchinari, in una prospettiva in cui tutto è materia trasformata: il vero filosofo è un’artista e il vero artista è un filosofo; la macchina che l’uomo è[26], con l’ausilio di macchine di sua invenzione, trasforma la natura al fine di raggiungere il soddisfacimento dei propri bisogni, che solo quando “riempiti” possono permettere la speculazione e il bonheur. Certo, la posizione di Diderot avrà poi altre sfumature e “si auto-correggerà”; nondimeno si può leggere in Arte un filosofo materialista in senso “forte” che, interpretando e riassumendo il suo tempo e precise condizioni sociali, non rinuncia a collegare un problema neanche del tutto nuovo a una concezione rinnovata e possibile della materia che l’uomo è.


[1] C. Duflo, Diderot philosophe, Honoré Champion, Paris 2013, pp. 151-155.

[2] Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772). Strumento ormai indispensabile per gli studi sull’Encyclopédie è ENCCRE, acronimo di Édition Numérique Collaborative et CRitique de l’Encyclopédie, progetto interamente online e gratuito, a cura dei maggiori studiosi del campo, consultabile su:

http://enccre.academie-sciences.fr/encyclopedie/.

Non è il caso di ricordare qui le tormentate vicende editoriali dell’Encyclopédie. I passi dall’articolo Arte che citerò in seguito sono tratti per comodità da J. D’Alembert, Denis Diderot, La filosofia dell’Encyclopédie, tr. it. Paolo Casini, Laterza, Bari 1966, in cui l’articolo Arte di Diderot è integralmente riportato. Su ENCCRE l’articolo originale è consultabile al link:

http://enccre.academie-sciences.fr/encyclopedie/article/v1-3082-0/. Non sempre gli articoli dell’Encyclopédie sono attribuibili con esattezza, ma su Arte non sussistono dubbi alcuni e anzi esso conoscerà una fortuna indipendente dall’Encyclopédie.

[3] «Le premier concerne le devenir de la pensée de Diderot. ART comporte des éléments qui indiquent une manière particulière – diderotienne si l’on veut – de comprendre la relation entre l’esprit et le monde: le rejet de la géométrisation impliquée par la mécanique mathématique (particulièrement celle de d’Alembert) se fait au profit d’une pensée pratique qui déplace les rapports entre les catégories de l’entendement», Jean-Luc Martine, L’article Art de Diderot: machine et pensée pratique, in «Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie», 39, 2005, p. 42.

[4] D. Diderot, Arte, in La Filosofia dell’Encyclopédie, cit., p. 161.

[5] Ibid., pp. 161-162.

[6] Ibid., p. 162.

[7] Ibid., p. 163.

[8] Sulle metafore “meccaniche” molto frequenti in Diderot si veda P. Quintili, Metafore del meccanico nel pensiero di Diderot. Arti e tecniche, in «Aisthesis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico», 7, 2, 2014, pp. 93-107.

[9] Cito dalla voce Metier dell’Encyclopédie. In questo contesto, Art e Métier sono di fatto sinonimi; nel secondo termine è forse ancora più accentuato l’uso della forza fisica e manuale.

http://enccre.academie-sciences.fr/encyclopedie/article/v10-1204-0/.

[10] Cfr. C. Duflo, op. cit., in particolare pp. 78-90.

[11] D. Diderot, Arte, cit., p. 162.

[12] Ibid.

[13] Ibid., p. 164, corsivo mio

[14] Diderot teneva particolarmente a evidenziare il lavoro di ricognizione svolto nelle botteghe artigiane, nelle officine, e probabilmente esagerava anche il tempo dedicato a queste occupazioni. Con tono quasi da reportage egli però effettivamente si recò spesso “taccuino alla mano” presso gli artigiani parigini, anche solo per valutare la veridicità delle fonti di cui disponeva. Cfr. J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie, Armand Colin, Paris 1962, pp. 189-231, in particolare pp. 191-195. Sia detto come tale opera rimanga riferimento imprescindibile per il rapporto tra Diderot e l’impresa di una vita.

[15] Per queste questioni si veda ancora ibid., pp. 9-43 e pp. 503-510.

[16] In questo senso, si può dire, come fa J. Proust, op. cit., p. 196, che l’articolo Art è a metà tra il Prospectus dell’Encyclopédie e l’Interpretazione della natura; basti pensare all’importanza che Diderot assegna nella seconda opera alla suggestione e alla previsione in un’ottica di rinnovamento del metodo delle scienze.

[17] D. Diderot, Arte, cit., pp. 165-166.

[18] D. Diderot, Arte, cit., p. 171.

[19] J. Proust, op. cit., p. 205.

[20] D. Diderot, Arte, cit., p. 170.

[21] Questo filone di considerazioni sui rapporti di grandezze, sulle qualità e sulle possibilità stessa di una divulgazioni per immagini, sarà il grosso problema delle tavole dell’Encyclopédie, che però qui non può essere affrontato. Per uno studio su un articolo scritto da Diderot su di un’arte più specifica e sui relativi problemi di rappresentazione della stessa si veda J. Proust, L’article BAS de Diderot, in M. Duchet, M. Jalley (a cura di), Langues et langages de Leibniz à l’Encyclopédie, Union générale d’éditions, Paris 1977, pp. 245-278.

[22] Ma è ovvio come Diderot non sia un teorico delle possibili “perversioni” del lavoro; egli nondimeno è tra i pochi della sua epoca a evidenziare come la soddisfazione "manuale" possa contribuire a rendere più ampia la comprensione e la soddisfazione umana tout court. Il philosophe considera questo tema una parte del problema, che è più in generale quello di sottrarre alle “false nature” religiose/sociali le mire sull’etica e sui possibili soddisfacimenti di donne e uomini.

[23] Uno dei precipitati, ma anche dei presupposti, della preoccupazione per la divulgazione è senza dubbio il forte anti-corporativismo di Diderot, aspetto che era un forte argine allo sviluppo di tecniche produttive condivise: infatti, il “segreto” delle varie arti iniziava a essere sempre più un freno a una reale integrazione economica. Sarebbe però lettura miope quella di leggere in questo Diderot semplicemente un cantore di parte della nascente rivoluzione industriale – e bisognerebbe a tal fine prescindere da tutti gli studi che hanno evidenziato come le arti e i mestieri dell’Encyclopédie non fossero affatto l’avanguardia assoluta della loro epoca e come, anzi, spesso mostrassero, involontariamente e per contrasto, elementi di arretratezza produttiva della Francia dell’epoca. Sul valore del lavoro di informazione e conoscenza degli enciclopedisti sul mondo delle arti si veda A. Picon, Gestes ouvriers, opérations et processus techniques. La vision du travail des encyclopédistes, in «Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie», 13, 1992, pp. 131-147. Cito qui l’esordio assai sintetico e preciso: «Si les spécialistes s’accordent généralement à reconnaître le caractère novateur de la réhabilitation des arts et métiers à laquelle procède l’Encyclopédie, ils sont aussi nombreux à souligner les limites de l’information technique rassemblée par Diderot et des collaborateurs. Ce derniers décrivent le monde des techniques de l’Ancien Régime finissant sans vraiment percevoir les signes de renouveau qui se dessinent en Angleterre comme en France. Envisagée de la sorte, l’Encyclopédie n’annonce pas la Révolution industrielle; elle marque plutôt le point d’orgue de la tradition technologique léguée par l’âge classique».

[24] D. Diderot, Arte, cit., p. 173.

[25] Ibid., pp. 175-176.

[26] Diderot manterrà spesso tali metafore, ma a ben vedere egli mai si situerà all’interno di una prospettiva integralmente meccanicista, e anzi, ne sarà consapevole critico nella misura in cui il suo materialismo inizierà “a cibarsi” di scienze naturali e biologia.

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