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L’opposizione a Darwin di Jakob von Uexküll

Autore


Vallori Rasini

Università di Modena e Reggio Emilia

Indice


  1. Il senso e la funzione della biologia
  2. Macchine e macchinisti
  3. Distorsioni interpretative
  4. Una «religione» contro il piano della natura

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S&F_n. 28_2022

Abstract


Jakob von Uexküll’s Opposition to Darwin

The Estonian biologist Jakob von Uexküll is considered an important precursor of environmental ecology and a forerunner of zoosemiotics. He was at the centre of German scientific and philosophical debate in the early 20th century for his «theoretical biology» and his theory of «subjective environments». His positions were radically opposed to Darwinian evolutionary theory; however, his arguments often appear flawed by profound misunderstandings, interpretative distortions and confusion between the positions of Darwin's supporters. Added to this is the strong prejudice against a revolutionary worldview regarded as a new religion.

  1. Il senso e la funzione della biologia

Riscoperto negli ultimi decenni come precursore dell’ecologismo ambientalistico, nonché antesignano della cosiddetta zoosemiotica, il biologo estone Jakob von Uexküll è stato al centro del dibattito scientifico e filosofico tedesco, durante i primi decenni del Novecento, per avere proposto una originale «teoretica del vivente»[1], contrastante sia con il meccanicismo all’epoca dominante – con il tentativo quindi di ricondurre i fenomeni biologici a puri fatti fisiologici e, in sostanza, a elementi inorganici – sia con forme più o meno accreditate di puro spiritualismo o di psicologismo[2]. Von Uexküll abbraccia tuttavia una forma di vitalismo naturalistico, e va a collocarsi nel novero dei più convinti antidarwiniani. Alla stregua di molti scienziati e intellettuali suoi contemporanei, però, egli rivolge buona parte delle sue critiche contro interpretazioni parziali o fuorvianti della teoria darwiniana, spesso conosciuta solo indirettamente, attraverso versioni divulgative o gli scritti di altri scienziati in qualche modo sostenitori dell’evoluzionismo biologico[3].

Nella concezione di von Uexküll, accanto a un’attenta osservazione delle funzioni fisiologiche – considerata in ogni caso un’indagine doverosa – per conoscere gli organismi è indispensabile valutare la composizione delle attività fisiche con il loro «aspetto soggettivo»[4]; è necessario cioè riconoscere nei viventi l’intervento di un principio di autonomia e concentrare l’indagine biologica sulla loro corrispondenza a un «piano di costituzione» o «piano di costruzione» (Bauplan). La biologia, una scienza al tempo ancora giovane e alla ricerca di una sua centratura, viene da lui collocata su un piano diverso rispetto alla fisiologia: quest’ultima può limitarsi a descrivere i processi vitali analizzando l’organismo «come se» fosse una macchina; la biologia al contrario persegue lo scopo di studiare il vivente nel ruolo di macchinista[5], approfondendo esattamente le ragioni per cui i fenomeni vitali non sembrano esaurirsi nella descrizione fisiologica: «la biologia attuale – dice von Uexküll in apertura alla sua Theoretische Biologie – non ha solo la pretesa di dominare un determinato ambito del sapere, ma anche di essere in possesso di un fondamento teoretico a essa peculiare, che non può essere affatto derivato dai fondamentali concetti fisici e chimici»[6].

Per ottenere questo fondamento von Uexküll si appella alla necessità di rinnovare l’impalcatura della ricerca scientifica, la quale anziché escludere sin dal principio l’idea che nella natura vivente operi una pianificazione – che cioè la realtà organica abbia una sua «conformità a un piano di costituzione» (Planmäßigkeit) – deve assumere un’ottica particolare, seguendo le direttrici armoniche e ben strutturate che percorrono la realtà: «la domanda se nella natura vivente vi siano autonomi fattori di conformità a un piano – dichiara – dev’essere affrontata da una diversa prospettiva, ascoltando attentamente la natura nella sua pianificata effettualità (planmäßige Wirksamkeit) e contrapponendo all’affermazione negativa un positivo materiale probatorio»[7].

Una simile impostazione della ricerca biologica fa emergere il ruolo della soggettività organica, da cui deriva l’indipendenza di un ente dinamicamente in relazione con il mondo circostante. Per questo, «nel mondo dei fisici ci sono solo oggetti che interagiscono attraverso il medium dello spazio; nel mondo dei biologi ci sono […] solo fenomeni che agiscono l’uno rispetto all’altro anche attraverso il medium del soggetto»[8]. In questo modo, il postulato dell’esistenza di un solo spazio, in se stesso «oggettivo», viene a cadere insieme all’idea di un mondo unico e indifferenziato: «di fronte al panorama del mondo, non esiste un punto di vista diverso da quello del nostro soggetto, poiché il soggetto in quanto osservatore è, al tempo stesso, il costruttore del suo mondo. Un’immagine del mondo oggettiva, che possa corrispondere in egual modo a tutti i soggetti, deve necessariamente rimanere un fantasma»[9].

Si tratta di un assunto di matrice kantiana, che von Uexküll adatta al sistema dell’indagine biologica: come l’essere umano anche l’animale è un soggetto e avrà pertanto una sua «visione del mondo» – cioè una propria esperienza di ciò che gli sta intorno – la quale sarà diversa a seconda della specie a cui appartiene e commisurata alle capacità e agli strumenti di cui dispone. Ciascun animale avrà a che fare con un determinato sistema di percezioni e reazioni, quindi con un proprio ambiente, un «mondo soggettivo» – appunto – adeguato alle sue varie ma specifiche esigenze di vita.

 

  1. Macchine e macchinisti

Con aggancio a quella linea di pensiero che dall’idealismo romantico goethiano aveva condotto alla definizione di «omologia» di Richard Owen[10], la morfologia rappresenta per von Uexküll la prospettiva alternativa a quella funzionale, tramite la quale gli organismi viventi – e non invece gli oggetti inanimati, inclusi gli strumenti tecnici di produzione umana – possono ottenere una classificazione plausibile. Uno strumento è costruito in vista di una precisa funzione e le sue prestazioni le sono interamente subordinate; dinanzi all’organismo vivente – con le sue molteplici, spontanee prestazioni – il semplice punto di vista funzionale è invece insufficiente. Grazie alla prospettiva morfologica, spiega von Uexküll, «alla posizione degli organi nel corpo dell’animale viene attribuito un significato più importante rispetto alla loro funzione. Se ora volessimo impiegare gli stessi punti di vista nella classificazione dei nostri oggetti strumentali, ne risulterebbe il più completo nonsenso. Proprio per questa ragione dev’essere respinta una teoria meccanica dell’organismo vivente»[11].

Nonostante occorra riconoscere che anche l’essere vivente è dotato di proprietà meccaniche, il biologo deve fare un passo oltre, giacché egli ha ben presente che «un fascio di riflessi non è ancora un animale» e che oltre alle qualità meccaniche «un essere vivente possiede anche capacità sovrameccaniche che gli conferiscono un carattere del tutto diverso rispetto alle macchine»[12]; capacità che si collocano all’origine della sua completa autonomia. Mentre una macchina presuppone l’intervento di prestazioni umane – nella progettazione, nella costruzione, nel controllo delle attività – le capacità sovrameccaniche del vivente «costruiscono la loro stessa macchina corporea, la mettono in funzione da sé e provvedono alle sue stesse riparazioni»[13]. Nel protoplasma – un termine generico con il quale indica la sostanza vitale della cellula – von Uexküll individua il materiale contenente quelle capacità; in esso ritiene che si producano gli impulsi la cui successione rivela l’esistenza del «fattore naturale» – un fattore espressamente qualificato come «enigmatico» – che produce e dirige il funzionamento dell’animale stesso in quanto sua «regola»[14]. Dunque, tutto è predefinito e nulla è lasciato in balia del caso: la struttura del vivente si genera secondo regole e in conformità a un piano di costituzione specifico, così come conformemente a un piano essa ha i suoi effetti sul mondo esterno.

La questione della conformità a un piano coinvolge contemporaneamente il soggetto animale e il suo esterno; essi compongono, insieme, la perfetta unità esistenziale a fondamento della teoria dei «mondi individuali»:

ogni animale è un soggetto – spiega von Uexküll – che, a seconda del modo particolare in cui è costruito, seleziona determinati stimoli provenienti dagli effetti generali del mondo esterno, a cui esso risponde in un modo determinato. A loro volta, queste risposte consistono in determinati effetti sul mondo che, di nuovo, influenzano gli stimoli. Sorge così un ciclo chiuso in sé che può essere chiamato il circuito funzionale dell’animale[15].

 

La possibilità di avanzare dimostrazioni concrete a confutazione dell’esistenza del piano di costituzione è tolta in partenza dal presupposto che si tratti di un fattore «assolutamente immateriale»[16]. E tuttavia – argomenta von Uexküll – è evidente che di un piano di costituzione siano dotati tutti gli strumenti costruiti dall’uomo, quindi per analogia lo devono essere anche i viventi; con la differenza che, mentre gli strumenti hanno la ragion d’essere del loro funzionamento in un progetto umano, i viventi l’hanno all’interno della loro stessa struttura. Dunque, «la prestazione complessiva del loro organismo si riferisce sempre a fattori del loro proprio mondo», anche se ce ne è negata la comprensione immediata[17]. Ciò che si può conoscere, o meglio desumere – al di là di uno schema generale che può considerarsi comune – è che, come il mondo interiore, anche il mondo esteriore – vale a dire l’ambiente (Umwelt) – degli animali «diverge dal nostro tanto quanto vi si allontana il loro piano costruttivo»[18].

Presentato da von Uexküll come un elemento tanto irrefutabile da dover essere accolto persino dal darwinismo[19], il concetto di «piano costitutivo» si dimostra plastico e polivalente. Non solo l’insieme dei fattori dell’auto-organizzazione di ogni vivente è imputato a un simile piano funzionale e connettivo, ma anche la composizione della specie è da considerarsi «un’unione conforme a un piano di diversi individui»[20]. Esiste poi un piano di costituzione generale dell’intero sistema organico, ragione per cui qualunque processo riguardi la correlazione del soggetto vivente con il suo ambiente rappresenta «una componente dell’universale conformità a un piano della vita (ein Glied der allgemeinen Planmäßigkeit des Lebens[21]. La miriade di impulsi formativi (Bildungstriebe), che determina la generazione, i processi di sviluppo e le relazioni con l’esterno dei singoli individui, delle specie e delle diverse forme di aggregazione dei viventi, crea insomma «un grandioso intreccio che si può capire solo da un punto di vista superiore […]. Quest’intreccio onnicomprendente non può più essere ricondotto a un particolare impulso formativo. Qui, in ultima istanza, vediamo l’azione della vita come tale, che opera in conformità a un piano»[22].

Il meraviglioso dinamismo della natura, descritto a tratti poeticamente dal biologo estone, nasconde dietro di sé un rigoroso fissismo progettuale, nel quale trovano posto note idee romantiche di concordia e perfezione[23].

 

  1. Distorsioni interpretative

Questa favolosa immagine di piani ben incastonati tra loro a formare l’imponente composizione della natura, rende evidente la radicale lontananza della biologia di von Uexküll da quella di Darwin e del darwinismo; ma gli argomenti da lui avanzati contro le avverse posizioni rivelano non soltanto una profonda differenza nell’impostazione teoretica, bensì anche una quantità di confusioni e fraintendimenti – per non parlare dei pregiudizi – presumibilmente favoriti, come si diceva, dall’abbondante letteratura divulgativa, spesso parziale o distorta.

Per incominciare, von Uexküll ritiene che l’evoluzionismo rappresenti un’unica grande corrente, all’interno della quale la concezione contemporanea si presenta come erede del preformismo dei secoli XVII e XVIII: «non appena furono scoperti gli spermatozoi, si assunse come qualcosa di ovvio che, in tal caso, si dovesse trattare di esseri umani in miniatura che avevano solo bisogno di crescere per giungere al più completo sviluppo. In tal modo furono gettate le basi per la successiva teoria dell’evoluzione»[24].

Ancora oggi – prosegue – «in senso darwiniano, evoluzione significa che il germe contiene già nascosto in sé l’animale finito»[25]. Sulla scorta di questa sua convinzione – chiaramente errata –, dopo avere attribuito al biologo vitalista Hans Driesch il merito di una certa modificazione del «vecchio senso» del termine «evoluzione» grazie all’introduzione delle teorie epigenetiche, egli sottolinea che «si deve soprattutto alla cosiddetta “legge biogenetica fondamentale” di Haeckel il merito di avere fornito all’evoluzione il suo ultimo sostegno»[26], un sostegno che ovviamente von Uexküll ritiene del tutto inutile. Nella riformulazione haeckeliana – secondo la quale il singolo individuo nel corso del suo sviluppo ripercorre in forma abbreviata le tappe evolutive degli antenati, rimanendo così nel solco del preformismo – von Uexküll vede sostanzialmente riassunto tutto l’evoluzionismo di stampo darwiniano[27]. Haeckel è stato un fervente sostenitore e divulgatore della teoria darwiniana, ma le sue posizioni – come noto – non sono sovrapponibili a quelle di Darwin. Una lettura dell’evoluzionismo romanticamente ispirata, l’insistenza sull’idea di una ricapitolazione ontogenetica della filogenesi dei viventi, il rigoroso monismo entro il quale Haeckel collocava l’origine e lo sviluppo delle specie, non solo producevano una distorsione delle idee di Darwin, ma nel complesso non giovarono affatto alla loro affermazione, sollecitando anzi accese reazioni da parte degli scienziati antidarwiniani[28]. E von Uexküll fu senz’altro uno di loro.

Una delle critiche che più inattese è l’accusa di un totale disinteresse per l’evoluzione delle specie: «è quantomeno sorprendente – afferma nella Theoretische Biologie – che i darwiniani parlino sempre dell’evoluzione dell’individuo e mai dell’evoluzione delle specie, benché essi distinguano animali altamente evoluti da animali primitivi o primordiali»[29]; essi – precisa ulteriormente – pur ponendo l’idea di evoluzione all’apice delle loro argomentazioni mostrano un «perseverante rifiuto» verso una evoluzione delle specie[30]. Simili affermazioni, se per un verso rafforzano l’impressione di una conoscenza sommaria e di seconda mano della teoria darwiniana, per l’altro si rendono possibili solo sulla base di una precisa idea di evoluzione, intesa – secondo l’etimologia – come «dispiegamento»; un’idea che non appartiene a Darwin mentre invece è parzialmente accolta da von Uexküll (esclusivamente in relazione ai cambiamenti delle specie e non degli individui)[31].

Armato di pungente sarcasmo, il biologo estone attacca:

l’entusiasmo con cui i darwiniani si sono impegnati a favore dell’idea di evoluzione non manca di un certo aspetto comico, e non solo per il fatto che la loro visione del mondo, che per principio si basa sulla fisica e sulla chimica, non può ricavare la sua idea da queste scienze, dal momento che la fisica e la chimica rifiutano fondamentalmente ogni tipo di evoluzione, ma soprattutto perché ogni «evoluzione» esprime proprio il contrario di ciò che in tal modo s’intende significare[32].

 

Il termine «evoluzione» significa letteralmente «svolgimento», vale a dire distensione di qualcosa che si trova inizialmente raccolto, accartocciato, pieghettato; ma i darwiniani – osserva von Uexküll – non sembrano affatto volersi riferire a un processo naturale secondo il quale «la formazione delle “pieghe” va diminuendo»[33]. Al contrario – argomenta – essi vorrebbero esprimere un generale processo di aumento della complessità, dunque il generarsi di una quantità maggiore di «pieghe» all’interno del regno del vivente[34]. Di fatto, von Uexküll accoglie come un’evidenza irrefutabile la comparsa in ambito organico di una «complessità superiore», che ritiene però derivante non dalla genesi di nuove specie, ma dal prodursi di nuovi individui. La nascita di nuovi individui di maggiore complessità – che tendano a separarsi «in differenti razze che possono poi formare nuove specie»[35] – non è frutto di variazioni fisico-chimiche del tipo di quelle ipotizzate dalle teorie evoluzionistiche, ma dell’intervento di impulsi formativi nuovi nel piano di costituzione degli organismi[36].

Secondo von Uexküll, insomma, non si può dire che si evolvano gli individui – i quali sorgono sempre diversi per via della straordinaria congerie di genotipi contenuta da sempre nella specie, in modo che sorgano «variazioni sempre nuove dello stesso tema»[37] –; si può invece dire che si evolvano le specie, in quanto, benché in se stesse fisse e da sempre date, «srotolano» al loro interno le molte possibilità insite nel germe, generando razze distinte e dando luogo all’immagine di un vero e proprio albero genealogico, da intendersi però come una espressione di vita conforme a un piano, come «la raffigurazione di un fenomeno vivente»[38]:

ha dunque effettivamente senso – spiega – parlare dell’evoluzione di una specie dall’altra. In tal caso, ci rappresentiamo il fatto che la razza era inviluppata nella specie, oppure che la specie si sviluppa in modo da formare diverse specie quando le sue razze si separano l’una dall’altra. Chiaramente, un’unione si suddivide in più unioni. La prima unione includeva senza dubbio un numero maggiore di diversità, ma in sé non era affatto connessa in modo migliore rispetto alle unioni da essa scaturite[39].

 

 

  1. Una «religione» contro il piano della natura

Ed ecco un ulteriore rimprovero a Darwin, frutto – di nuovo – di una deformazione interpretativa: la teoria darwiniana presenterebbe le specie come «incompiute» e gli organismi come «imperfetti».

Ma sappiamo bene che nella concezione darwiniana la modificabilità delle specie non implica affatto che le si debbano considerare incomplete (come se vi fosse un punto di completezza al quale tendere o un ideale da raggiungere); e la variabilità degli organismi non si genera «per via» di una loro imperfezione, tanto più che, trattandosi di cambiamenti casuali, essi non si possono intendere nello stesso tempo come mirati al perfezionamento dell’organismo. Dal punto di vista della teoria di Darwin, non ha alcun senso parlare di «perfezionamento» con riferimento all’individuo; se mai, ne potrebbe avere – con le debite precisazioni – nel considerare l’adattamento reciproco di parti e organi del vivente o la relazione dell’organismo con le sue condizioni generali di vita[40]; laddove un eventuale miglioramento – termine senz’altro più adatto alle circostanze – può avere luogo sia per un potenziamento di determinati organi o facoltà sia mediante un eventuale loro depotenziamento.

D’altronde, a ben guardare, anche nel contesto della concezione di von Uexküll il concetto di «perfezione» finisce per perdere la sua ragion d’essere. «La perfezione – egli dice – non è l’onnipotenza, ma significa solo il giusto e completo sfruttamento di tutti i mezzi a disposizione»; e consistendo il vivente nella propria effettiva dotazione, è questa, con le sue potenzialità e i suoi limiti, a determinare la perfezione del vivente. Dato che «ogni organismo può essere solo se stesso»[41], e nel funzionamento vitale ha il proprio scopo, esso è di conseguenza perfetto per il semplice fatto di essere quello che è (e nel fare quello che sa e può fare). Ma se la perfezione identifica la semplice condizione dell’“esser così e non altrimenti”, diviene di fatto superfluo parlare di perfezione e imperfezione (ogni vivente è contemporaneamente perfetto rispetto a ciò che è e imperfetto rispetto a ciò che non è); ma nel contesto della Theoretische Biologie il concetto mantiene tuttavia la funzione di legare saldamente la realtà organica all’infallibile conformità a un piano immateriale di costituzione[42].

A garanzia di tale infallibilità e per sgombrare il campo dal rischio di equivoci von Uexküll suggerisce infine di dismettere il termine «adattamento» (Anpassung) – divenuto oramai un ambiguo strumento concettuale nelle mani dell’evoluzionismo darwiniano – per assumere quello di «inserimento» (Einpassung); un termine a suo parere cristallino, in grado di indicare il sussistere di un «perfetto aggiustamento» tra il vivente e l’ambiente che lo circonda, eliminando alla radice ogni traccia dell’idea di una loro maggiore o minore adeguatezza reciproca:

l’aggiustamento – dice – è sempre perfettamente compiuto nella misura in cui i mezzi a disposizione dell’animale sono sufficienti. Se tutti gli esseri viventi sono perfettamente aggiustati al loro ambiente, non esiste allora alcun perfezionamento progressivo, ma la perfezione dell’aggiustamento è ovunque presente fin dal principio[43].

 

Negato qualunque processo di adattamento, di «variazione», von Uexküll può dunque ancora accettare che si parli solo a proposito della spontanea germinazione di nuove organizzazioni e di nuovi circuiti funzionali a partire dal medesimo materiale genetico. Questa spontaneità – che naturalmente non va confusa con il casualismo darwiniano – nega al contempo che si possa concepire una gradualità dei mutamenti, i quali a suo parere si possono dare unicamente «per salti»[44]. La recente riscoperta delle leggi di Mendel[45] gli offriva il migliore sostegno per distinguere tra caratteristiche costitutive «essenziali» nella determinazione della specie e caratteristiche «mutabili» (ovvero alternabili, scambiabili, ricombinabili) da cui si originano le «razze» (un termine generico usato per indicare raggruppamenti differenti all’interno della specie) che col tempo possono portare all’identificazione di nuove specie. La sua «teoria dei fattori» – basata su una serie di ipotesi indimostrabili – individua nella relazione di impulsi e fermenti l’ottenimento di quei fattori vitali che all’inizio del secolo Johannsen aveva chiamato «geni» e il cui autentico valore egli ritrova nelle scoperte mendeliane: «la teoria di Mendel – dice –, se intesa in tutta la sua portata, rifiuta ogni spiegazione meccanica del processo genetico. Infatti, al posto degli agenti meccanici essa introduce un fattore sovrameccanico», e decide pertanto di chiamare il monaco agostiniano lo «scopritore degli impulsi»[46]. Impiegata come potente arma antidarwiniana, questa teoria dimostrerebbe l’immodificabilità dei caratteri e la loro reciproca esclusione nella combinazione, cioè comproverebbe la «costanza delle proprietà dei viventi» confutandone ogni variabilità; ma soprattutto, se le scoperte mendeliane avessero avuto il debito riconoscimento in un momento di grande apertura e duttilità del dibattito scientifico, avrebbero consentito a una diversa impostazione biologica «di affermarsi vittoriosamente contro la materializzazione darwiniana del mondo»[47].

Fatta di tutta l’erba un fascio, il darwinismo si presenta agli occhi del biologo estone come uno spiacevole, implacabile abbaglio occorso al mondo del sapere scientifico; un grande equivoco dal quale vede sorgere quella «inguaribile confusione riguardo alle questioni fondamentali della conoscenza della natura» dominante tra gli studiosi più raffinati e non solo tra i profani. Privo persino di coerenza logica – utilizzerebbe addirittura la stessa parola in due sensi opposti[48] – il darwinismo sarebbe da definirsi «più una religione che una scienza»; ragione per cui – prosegue – «l’idea di evoluzione è diventata la convinzione sacra di migliaia di persone, ma essa non ha certo più nulla a che fare con un’indagine della natura senza pregiudizi». Proponendo – suo malgrado – una lettura di sapore psicologistico, von Uexküll conclude allora che tanta caparbietà deve risalire a una radice atavica, incarnando «l’impulso della volontà umana di scacciare in ogni modo dalla natura la conformità a un piano»[49]. Quasi rappresentasse un fenomeno di infantile ribellione dell’uomo del Novecento dinanzi all’ordine cosmico accolto con trepidante sospetto da una tradizione secolare.


[1] J. von Uexküll, Biologia teoretica (1920, 1928), tr. it. Quodlibet, Macerata 2015.

[2] Per un inquadramento generale: C. Brentari, Jakob von Uexküll. Alle origini dell’antropologia filosofica, Morcelliana, Brescia 2011; L. Guidetti, La biologia teoretica di Jakob von Uexküll, in J. von Uexküll, Biologia teoretica, cit.; si veda inoltre il ricco volume collettivo a cura di F. Michelini e K. Köchy, Jakob von Uexküll and Philosophy. Life, Environments, Anthropology, Routledge, London-New York 2020.

[3] Sulla complessità delle formulazioni delle teorie di Darwin e sulle forme della loro accoglienza e divulgazione si possono vedere, a titolo di esempio, P.J. Bowler, Evolution. The History of an Idea, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, London 1983, pp. 177 sgg.; E. Mayr, Storia del pensiero biologico. Diversità, evoluzione, eredità, Bolati Boringhieri, Torino 1990, pp. 339 sgg.

[4] Si veda in particolare J. von Uexküll, Die Rolle des Subjekts in der Biologie, in «Die Naturwissenschaften», 19, 1931, pp. 385-391.

[5] Si veda Id., Ambienti animali e ambienti umani (1934), a cura di M. Mazzeo, tr. it. Quodlibet, Macerata, 2010, p. 43.

[6] J. von Uexküll, Biologia teoretica, cit., p. 7.

[7] Ibid., p. 4 (trad. mod.).

[8] Ibid., p. 40.

[9] Ibid., p. 47.

[10] R. Owen, Lectures on the comparative Anatomy and Physiology of the invertebrate Animals, Longman Brown Green and Longmans, London 1843.

[11] J. von Uexküll, Biologia teoretica, cit., p. 108.

[12] Ibid., pp. 115-116.

[13] Ibid., p. 116.

[14] Ibid., p. 118.

[15] Ibid., p. 119. Per venire incontro alle complesse dinamiche del piano di costituzione, “il” circuito funzionale (Funktionskreis) diviene poi presto “i” circuiti funzionali. Von Uexküll ne menziona espressamente quattro: i circuiti del medium, del nutrimento, del nemico, del sesso); d’altronde, complessità e varietà della dimensione vitale non tollerano facili riduzionismi, mentre possono facilmente favorire l’arbitrio; egli ammette comunque che ciò che possiamo realmente conoscere dei mondi viventi è solo ciò che ci consente la nostra appercezione (ibid., p. 122).

[16] Ibid., p. 124.

[17] Ibid.

[18] Ibid.

[19] Ibid.

[20] Ibid., p. 126.

[21] Ibid., p. 121 (nell’edizione originale: Theoretische Biologie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1973, p. 153).

[22] Ibid., p. 224.

[23] Si veda ibid., p. 270.

[24] Ibid., p. 72.

[25] Ibid., p. 228.

[26] Ibid., p. 173.

[27] Si veda ibid., p. 228.

[28] Si vedano ad esempio G. Montalenti, Introduzione: l’evoluzionismo ieri e oggi, in C. Darwin, L’origine delle specie, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 42; E. Mayr, Storia del pensiero biologico, cit., p. 482.

[29] J. von Uexküll, Biologia teoretica, cit., 225 (trad. mod.).

[30] Sappiamo bene che in Darwin la questione della variazione individuale è tutt’altro che slegata dalla variazione delle specie; ad es. C. Darwin, On the Origin of Species (1859), tr. it. Id, L’origine delle specie, cit., cap. II.

[31] J. von Uexküll, Biologia teoretica, cit., p. 226.

[32] Ibid., p. 227.

[33] Ibid.

[34] È opportuno ricordare che, in relazione a Darwin, l’idea di una tendenza che conduce dal semplice al complesso è da prendere con circospezione e fornendo le debite specifiche.

[35] Ibid.

[36] Ibid., p. 226.

[37] Ibid., p. 214.

[38] Ibid., p. 227.

[39] Ibid.

[40] Si veda C. Darwin, L’origine delle specie, cit., p. 137.

[41] J. von Uexküll, Biologia teoretica, cit., p. 161 e p. 162.

[42] Ibid., p. 111.

[43] Ibid., p. 252.

[44] Si veda ad esempio ibid., p. 229.

[45] Com’è noto, l’importanza del lavoro di Mendel non venne riconosciuto nell’immediato, e le convalide delle leggi mendeliane all’inizio del Novecento vennero per lo più sfruttate in direzione antidarwiniana.

[46] Ibid., p. 187.

[47] Ibid., p. 194.

[48] Ibid., p. 228.

[49] Ibid.

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