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La “Terza Vita”. Ipotesi sulla molteplicità del vivente

Autore


Pier Luigi Capucci

Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

insegna Teoria e tecniche dei nuovi media all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Indice


  1. Intorno all’idea di vita
  2. La dimensione simbolica
  3. Vivere nel futuro
  4. La terza vita

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S&F_n. 02_2009


Questo testo è la versione italiana, rivista per la pubblicazione, del paper, intitolato “From life to life. The multiplicity of the living”, presentato alla conferenza internazionale “Consciousness Reframed IX – New Realities: Being Syncretic” (Vienna, Universität Für Angewandte Kunst, 3 – 5 luglio 2008). È stato pubblicato in lingua inglese nel volume R. Ascott, G. Bast, W. Fiel. M. Jahrmann, R. Schnell (eds.), New Realities: Being Syncretic, Wien, Springer-Verlag, 2008.

 


  1. Intorno all’idea di “vita”

Quelli di vita e vivente sono concetti estremamente affascinanti, sebbene tutt’oggi anche dal punto di vista scientifico ci sia ancora molto da scoprire. Diverse definizioni – tutte parziali e relative a discipline eterogenee – cercano di inquadrare questi concetti. Così, per fare qualche esempio, la vita potrebbe essere di volta in volta, per la biologia, “ciò che nasce e cresce, procrea e muore”; per la biologia evolutiva, “un flusso continuo di energia e informazione”; per il neodarwinismo “ciò che è in grado di procreare e di correggere gli errori riproduttivi mediante la selezione naturale”; per la fisica, “ciò che può contrastare l’entropia preservando la sua struttura fisica in maniera costante nel tempo e con la capacità di riprodurre un’entità simile a se stessa”; per la biochimica “ciò che può assorbire energia libera in forma di luce solare o di energia potenziale chimica (cibo e ossigeno) e utilizzare questa energia per accrescersi secondo le istruzioni codificate nei suoi geni”; per la geofisiologia “un organismo è un sistema delimitato aperto a un flusso di materia ed energia, che può mantenere stabile la sua composizione interna e il suo stato fisico in un ambiente che cambia, cioè rimanere in omeostasi”. E si potrebbe ancora continuare.

La vita è sempre stata considerata come inerente al dominio dell’organico, basata sul carbonio, e sin dalla fine del XVIII secolo era noto che la materia organica conteneva sempre carbonio e idrogeno (e spesso anche ossigeno, azoto e fosforo). Così, dato che almeno per il momento non conosciamo forme di vita al di fuori della Terra, abbiamo estrapolato l’idea terrestre di vita, organica e basata sul carbonio, rendendola assoluta e universale. Negli ultimi decenni, tuttavia, il concetto di vita è stato ampliato da varie discipline, come per esempio la Vita artificiale e la Robotica. La Vita artificiale[1] ha sviluppato l’idea di studiare la vita – nella sua organizzazione individuale, nella sua dimensione sociale e nella sua evoluzione – simulandone alcune caratteristiche[2]. Come la robotica, e all’opposto dell’Intelligenza artificiale, la Vita artificiale opera con un approccio dal basso: partendo da semplici elementi interconnessi consente l’emergere di sistemi complessi. La Vita artificiale simula i processi della vita mediante programmi al computer e simulazioni, come il calcolo evolutivo (algoritmi evolutivi, algoritmi genetici, programmazione genetica, swarm intelligence, chimica artificiale, modelli basati su agenti, automi cellulari). A differenza della Robotica, che costruisce entità con un corpo fisico che possono agire nel nostro mondo fisico e personale, la Vita artificiale genera forme che vivono all’interno dei computer, e possono eventualmente agire nel mondo fisico per mezzo di qualche tipo di effettore.

L’importanza della Vita artificiale è stata quella di estendere il concetto di vita al di fuori del dominio dell’organico, rendendolo più generale. Il vivente non è più definito dalla materia di cui è costituito ma dalle istruzioni che lo governano: non è più hardware based bensì software based. La Vita artificiale ha perciò liberato le dinamiche del vivente dalla dimensione materiale in cui era imprigionato, estendendo il concetto di vita.

 

  1. La dimensione simbolica

La capacità simbolica umana sembra essere alla base dell’attuale e della futura evoluzione delle forme di vita. L’intelligenza simbolica e le forme di comunicazione che ne sono derivate – segni indicali, linguaggio orale, immagini, scrittura, fino al complesso mediascape contemporaneo – costituiscono il “genio” della nostra specie. Non sappiamo quando tutto questo abbia avuto origine. Ciò che possiamo dire è che siccome condividiamo questa capacità, sia pure in minor parte, con alcuni primati superiori come lo scimpanzé, probabilmente il nostro comune progenitore, circa 7-8 milioni di anni fa, possedeva in nuce questa capacità.

L’acquisizione simbolica è molto più di una semplice abilità poiché ha segnato il successo evolutivo del genere umano. Tra le prove della sua importanza nella nostra evoluzione, per esempio, il fatto che nei nostri avi arcaici la selezione naturale ha privilegiato il sistema fonatorio sulla capacità di bere e respirare insieme. Bere e respirare contemporaneamente era, ed è, una difesa importante contro i predatori. Questi ultimi infatti attendono le prede vicino o dentro i bacini e i corsi d’acqua, quindi il tempo dedicato al bere deve essere il più breve possibile per minimizzare la durata della condizione in cui l’individuo si trova esposto in una situazione di debolezza. Negli umani lo sviluppo delle capacità vocali, che ha portato al linguaggio orale, ha fatto sì che la laringe cambiasse posizione, comportando conseguentemente l’incapacità di bere e respirare nello stesso tempo. Il sistema fonatorio umano e la sua straordinaria ricchezza e complessità, nonché le sue capacità di modulazione uniche in natura[3], ha dunque costituito un vantaggio maggiore per la specie umana ed è stato selezionato dall’evoluzione. 

Mediante il simbolico e gli strumenti che ne sono derivati, i nostri avi arcaici hanno iniziato a conoscere e a controllare l’ambiente, e nello stesso tempo hanno stabilito una sorta di “distanza di sicurezza” dal mondo fisico creando una sfera antropica sempre più complessa – conoscenze, progetti, artefatti, dispositivi, protesi, macchine. Con la dimensione simbolica i nostri avi arcaici hanno acquisito tre obiettivi fondamentali, strettamente correlati tra loro: conoscenza, protezione ed effettualità[4]. Conoscenza nella comprensione dell’ambiente e nella produzione, nello scambio e nella condivisione di modelli simbolici; protezione dall’ambiente grazie agli strumenti, agli artefatti e ai comportamenti derivati dai modelli simbolici; effettualità sull’ambiente grazie ai progetti, agli strumenti e agli artefatti in grado di intervenire sull’ambiente, modificandolo e declinando la relazione con esso, e su se stessi.

L’acquisizione simbolica ha aperto un universo di opportunità e di comportamenti inediti. Mediante i simboli abbiamo creato una conoscenza condivisa separata dalla sostanza del reale fenomenico: un laboratorio in cui, mediante l’elaborazione di modelli simbolici, possiamo sperimentare ipotesi e simulare il loro impatto sul mondo, originando una capacità progettuale in grado di creare artefatti sempre più complessi. I simboli sono il luogo dell’astrazione, delle ipotesi della comunicazione remota nello spazio e nel tempo, della coscienza, dell’immaginazione, della cultura, dello scambio e della condivisione della conoscenza, il dominio del passato e del futuro. I simboli sono un luogo nel quale informazione, esperienza e valori possono essere raccolti e trasmessi, sono un luogo di mediazione dei conflitti. I simboli sono il laboratorio in cui conduciamo esperimenti sulle relazioni col mondo fenomenico nella sua complessità, il luogo in cui la nostra relazione col mondo viene sempre più trasferita.

Mediante i simboli abbiamo impresso una grande accelerazione all’evoluzione culturale, in un processo che ha permesso ai nostri avi arcaici di ridurre notevolmente il tempo di adattamento all’ambiente, limitando o sviando la sua pressione e migliorando il confronto con esso. Per esempio, se per una specie può essere necessario un grande numero di generazioni per sviluppare mediante la selezione naturale una pelliccia come risultato della pressione del clima, i nostri avi arcaici, mediante la dimensione simbolica, adottando e condividendo idee, concetti, modi di vita, per esempio imitando un cacciatore che uccide un orso e ne indossa la pelliccia[5], avrebbero potuto acquisire questo obiettivo anche in una sola generazione, in un processo nel quale probabilmente i neuroni specchio hanno avuto un ruolo chiave[6]. Come una reazione a catena all’interno di un L.A.S.E.R., che genera una crescita spettacolare dei fotoni finché la loro energia consente al raggio di uscire, la capacità simbolica ha prodotto una grande accelerazione nella cultura umana e nel processo di creazione di strumenti e artefatti sempre più complessi.

 

  1. Vivere nel futuro

Mediante i simboli abbiamo sviluppato la coscienza, l’immaginazione, l’interiorità, l’introspezione, la consapevolezza di sé; abbiamo creato le condizioni per trascendere i limiti fisici del “qui e ora” e abbiamo costruito mondi paralleli dai quali sono scaturite le mitologie, i riti, le religioni. Grazie ai simboli abbiamo sviluppato, in una maniera quasi ipertrofica, la capacità di proiettarci nel futuro, di immaginare e progettare il futuro, e i modi di vivere nel futuro.

Perché di fatto noi viviamo nel futuro: una parte rilevante dei nostri pensieri, delle nostre azioni, attività, idee, progetti, è declinata al futuro. Teniamo agende per accordarci col futuro. Costruiamo monumenti – e utilizziamo quella particolare forma moderna di monumento che è la fotografia – per declinare la memoria al futuro. Facciamo attenzione alle previsioni meteorologiche. Alcuni pagano dei maghi per riuscire ad avere indicazioni sul futuro. Il denaro è una sorta di promessa infinita. Depositiamo i nostri soldi nelle banche perché potrebbero tornarci utili in futuro e le banche investono i nostri soldi nel futuro (talvolta sbagliandosi). Stipuliamo assicurazioni (e alcune di esse sono obbligatorie) per sentirci più sicuri nel futuro. Scommettiamo e investiamo denaro in borsa, giochiamo d’azzardo. Acquistiamo beni a credito o a rate. La maggior parte delle attività delle aziende sono pianificate per affrontare il futuro e fanno affidamento su previsioni sociali, economiche, culturali. Esistono aziende la cui unica attività è predire il futuro. La stessa etimologia della parola “progetto” deriva dal termine latino che significa “gettare al di là”. Ma al di là di che cosa? Certamente al di là delle difficoltà e degli ostacoli che ogni progetto deve superare prima di realizzarsi, ma soprattutto al di là del tempo.

Qualche volta chiedo ai miei studenti: “Siete qui per il passato, per il presente o per il futuro? Siete qui perché ritenete di poter acquisire dai corsi che seguite una conoscenza che potrà esservi utile nella vita futura, che si attaglia alle vostre attitudini e ai vostri progetti (e siete disposti a pagare per questo)?”. E qual è in fondo il significato della “speranza”, un tipico costrutto umano e anche una delle tre virtù teologali cristiane, se non immaginare un futuro da cui emergeranno eventi e opportunità che si accordano coi nostri desideri?

Desideriamo ardentemente essere pronti per il futuro, il futuro ci deve cogliere preparati. Vogliamo controllare, moltiplicare e persino sovvertire il futuro, anche al di là delle nostre possibilità biologiche, con la nostra Prima Vita (la vita biologica), con la Seconda Vita (la vita nel dominio del simbolico) e con la Terza Vita (di cui parlerò). Probabilmente siamo la prima specie con la consapevolezza del tempo, che cerca di comprendere e mettere in discussione il tempo. Potrebbe essere considerato il segno di un salto evolutivo della natura.

 

  1. La Terza Vita

La dimensione simbolica è divenuta un universo sempre più autonomo, che si espande e si ristruttura costantemente. È un universo basato soprattutto sulla simulazione e il processo di simulazione, ed è probabilmente alla base dell’evoluzione. Questo universo della simulazione può confondersi con ciò che chiamiamo “il mondo reale” e spesso sostituirlo completamente. I saperi, gli artefatti e le macchine che abbiamo inventato scaturiscono dall’intelligenza simbolica. Ci sono discipline, come l’Intelligenza Artificiale, che cercano addirittura di simularla o di emularla.

Grazie alla dimensione simbolica abbiamo sviluppato una grande varietà di estensioni del cervello, dei sensi, del corpo: strumenti, artefatti, macchine, bioentità[7] che diventano sempre più potenti, complesse, automatiche, autosufficienti. Queste entità/organismi, anche ispirati dalle bioscienze, stanno diventando sempre più “intelligenti” e indipendenti dal nostro controllo, al punto che per certi aspetti potrebbero essere riconosciuti come “entità viventi”, in un processo che sarà sempre più evidente e differenziato in futuro.

Esistono già molti settori e applicazioni emergenti o in crescita: agenti autonomi e forme di vita artificiale, oggetti autonomi, robotica e biorobotica, nanoentità, ibridi (organici/inorganici), organismi modificati o espansi, vita sintetica. E questa crescita e molteplicità avviene in un ambito in cui la connessione di possibilità, la raccolta, la comunicazione[8] e la condivisione di informazioni possono essere facilmente realizzate grazie alle tecnologie informatiche e alla Rete.

Una delle differenze più rilevanti tra le forme di vita basate sul carbonio e quelle artificiali sta nell’ipotesi che le prime si siano evolute naturalmente (o persino che siano state create da un’entità trascendente), mentre le altre siano prodotti culturali, realizzate dalla cultura umana. Oggi l’opposizione tra organico e inorganico si fa più labile e questi due ambiti si mescolano in molti campi e applicazioni, dato che la dimensione culturale sta crescendo sempre più velocemente. Il vivente è il miglior modello nel realizzare strumenti, macchine, artefatti, dispositivi che devono operare autonomamente e adattarsi a molti ambienti diversi. Secondo una delle teorie più accreditate sull’origine della vita, a partire da circa 4 miliardi di anni fa l’organico si è evoluto dall’inorganico[9]; dunque organico e inorganico non dovrebbero essere considerati come opposizioni ma come dimensioni complementari, come universi contigui, osmotici, due diverse declinazioni delle forme viventi. Anche l’arte può costituire un tramite tra queste due dimensioni, e di fatto alcune forme artistiche hanno già attraversato questa barriera: l’arte genetica, per esempio, costruisce un ponte tra organico e inorganico attraversando quel confine[10]. Ma anche alcune discipline scientifiche seguono questo percorso[11], per esempio le nanotecnologie[12] e la biologia sintetica[13].

In una sorta di divertissement potremmo persino interpretare questa tendenza come portatrice di un nuovo step evolutivo, fondato su basi diverse, che comprende estensioni autonome, organismi potenziati (organici/inorganici) e nuove forme di coscienza e intelligenza. In un prossimo futuro potremmo assistere a un’estensione dell’idea di vita e delle forme di vita, dal comune regno dell’organico a un panorama articolato costituito da forme di vita organiche, inorganiche e miste (organiche/inorganiche). La capacità simbolica si è evoluta dalla dimensione organica, le sue radici sono organiche. Il suo avvento ha generato l’esplosione di strumenti, protesi, artefatti, e ha profondamente cambiato l’interazione umana con l’ambiente, generando il mondo antropico che conosciamo. In una prima fase – in un percorso che è in atto dal Paleolitico – le nuove forme dipendono da noi e sono principalmente nostre estensioni, come gli attuali strumenti, le macchine, i dispositivi, gli artefatti che conosciamo, che espandono i nostri corpi, i nostri sensi e la nostra mente. Ma a poco a poco queste forme diventano sempre più autonome e grazie alla pressione dell’ambiente antropico si stanno evolvendo come entità viventi oltre la dimensione organica, ibridandosi con essa o fondandosi completamente su basi inorganiche. Queste forme non sono state selezionate dallo stesso ambiente “naturale” che ha selezionato le attuali forme viventi organiche; come noi umani, non sono il risultato della cosiddetta selezione naturale: sono state create e selezionate da un processo culturale, dalla sfera antropica. Sono il risultato della cultura e dell’ambiente antropico. Più la sfera antropica si espanderà e si svilupperà, più queste forme prolifereranno e si evolveranno.

Dunque, sembra che la natura e l’evoluzione stiano aprendo un nuovo orizzonte che va al di là delle mere radici biologiche, che espande e oltrepassa il dominio del biologico. Un’evoluzione che origina da una specie, la nostra specie, e che si basa sulla capacità simbolica, anche se i suoi esiti probabilmente non utilizzeranno i simboli. Un’evoluzione con molte alternative, al fine di mantenere un certo grado di flessibilità, adattabilità, variabilità, e dunque più possibilità e probabilità di avere successo.

Questo percorso, in ultima analisi, riassume la nascita della vita sulla Terra, diversificando sempre di più la vita e le forme di vita, richiamando la relazione complementare tra organico e inorganico. Noi siamo i padrini di questa genesi, completamente naturale. Naturalmente ci sono moltissime questioni che potrebbero essere poste e alcune sono intriganti. Perché tutto questo origina dalla nostra specie? E perché dalla dimensione simbolica? Fino a che punto saremo in grado di assemblare, gestire, e indirizzare queste nuove “intelligenze”? I simboli avranno ancora un ruolo guida in queste “intelligenze”, o saranno solo delle mere vestigia del passato?

 


[1] Il concetto di Vita artificiale è emerso ufficialmente con il Congresso internazionale “Artificial Life I”, organizzato da Christopher Langton a Los Alamos nel 1989. Si veda C. G. Langton,  Artificial Life, Addison-Wesley 1989. In Italia si veda in particolare il lavoro di D. Parisi, Vita artificiale e società umane, in «Sistemi Intelligenti», 3(3), 1995, pp. 443–475.

[2] D. Parisi, Mente come cervello, in «Le Scienze», 431, 2004, pp. 80–86.

[3] I. R. Titze,  Lo strumento umano, in «Le Scienze», 475, 2008, pp. 56–63. Cfr. anche R. Lewin, 1993, The Origin of Modern Humans, Scientific American Library, New York, in particolare il capitolo sul linguaggio.

[4] P. L. Capucci, Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p. 35.

[5]Ho tratto questo esempio, semplice e chiaro, da un video post, G. Capacchione, I neuroni specchio (Video Post), in Psicocafé. Psicologia contemporanea [online], http://psicocafe.blogosfere.it/2006/10/i-neuroni-specchio-video-post.html .

[6]Sui neuroni specchio e il loro ruolo si vedano G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina, Milano 2006; G. Rizzolatti, L. Vozza, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Zanichelli, Bologna 2007; G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, Mirrors in the Brain: How Our Minds Share Actions, Emotions, and Experience, Oxford University Press, Oxford 2008. Sui neuroni specchio e l’apprendimento per imitazione, si veda V. S. Ramachandran, Mirror neurons and imitation learning as the driving force behind “the great leap forward” in human evolution, in Edge - The Third Culture, 2000 [online],  http://www.edge.org/3rd_culture/ramachandran/ramachandran_p1.html .

[7]Un altro concetto utile è “biofacts” (biofatti), introdotto da Nicole C. Karafyllys,  Endogenous Design and Biofacts. Tissues and Networks in Bio Art and Life Science, in J. Hauser, Sk-interfaces, Liverpool University Press 2008, pp. 42–58.

[8] Sulla comunicazione animale/macchina/uomo si veda in particolare il lavoro di Louis Bec, 2008, Les  Chromatologues. Bestiaire Chromatophorique, in NoemaLab,

http://www.noemalab.org/sections/ideas/ideas_articles/bec_chromatologues.html .

[9]S. Simpson, Le più antiche tracce di vita, in «Le Scienze», 417, 2003, pp. 46–53; M. Russell,  Agli inizi della vita, in «Le Scienze», 454, 2006 pp. 88–97.

[10]Sull’arte genetica si veda K. Gerbel, P. Weibel, Ars Electronica 93. Genetische Kunst – Künstliches Leben/Genetic Art – Artificial Life, PVS Verleger, Wien 1993. Sull’A-Life art si veda N. Tenhaaf,  Art Embodies A-Life: The VIDA Competition, in  «Leonardo», 41 (1), 2008, pp. 6–15. Sulla relazione tra tecnologie e natura vegetale nell’arte si veda G. M. Gatti,  L’Erbario Tecnologico, Clueb, Bologna 2005.

[11]M. A. Reed, J. M. Tour,  Molecole nel computer, in «Le Scienze», 384, 2000, pp. 86–92.

[12]N. C. Seeman, Nanotecnologie a doppia elica, in «Le Scienze», 431, 2004, pp. 100–109.

[13]W. W. Gibbs, Vita sintetica, in «Le Scienze», 430, 2004, pp. 76–84; Bio Fab Group, L’ingegneria della vita, in «Le Scienze»,  456, 2006, pp. 68–75; E. Shapiro, Y. Benensono, Arriva il computer a DNA, in «Le Scienze», 457, 2006, pp. 70–77.

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