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I confini, le fondamenta e la fisica di Babele: lo studio interdisciplinare delle lingue e del linguaggio

Autore


Emanuele Serrelli

Università di Milano Bicocca

svolge attività di ricerca post-dottorato presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano Bicocca

Indice


  1. Intro
  2. Vincoli neuronali alla sintassi?
  3. Confini mobili? Critiche all’autonomia della sintassi
  4. Integrare le conoscenze e allargare lo sguardo sul linguaggio
  5. Le fondamenta di Babele, ovvero il rapporto tra linguaggio e altre funzioni, probabilmente più antiche
  6. La fisica di Babele
  7. Conclusione

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S&F_n. 10_2013

Abstract


If, by “Babel”, we mean the set languages that have appeared in the world, we may want to research the ‘boundaries of Babel’ by asking whether the expansion of Babel is prevented (i.e., whether unobserved languages are impossible languages), and, if so, by which factors. The boundaries of Babel are being explored by partnerships of linguists and neuroscientists. Neo-chomskian approaches find evidence of neural networks dedicated to language processing, and study how these networks constrain the space of possible grammars, whereas lexico-grammar looks at neuroscientific evidence that syntax is not a separate function in the brain. Research questions also expand beyond a tight focus on the brain-language relationship. By “foundations of Babel” we refer to broader, ancient brain functions in which articulated language is embedded. Imitation can be one of those functions. “Physics of Babel” refers to many extra-brain factors that are lacking in non-human species, and that together make language possible. Research on the boundaries of Babel is a fascinating and open scenario, not only interdisciplinary, but also multi-directional, beyond the language function and beyond the exclusive role of the brain.

 


  1. Intro

Più di seimila lingue sono oggi parlate in tutto il mondo. Moltissime si sono estinte nelle ultime decine di migliaia di anni[1]. Come e perché si sono formate? Quali sono le “ragioni di Babele”? Per rispondere a questa domanda vi è una strategia classica “in negativo”, che consiste nell’esplorare i confini di Babele[2], ovvero nel ricercare universali linguistici e lingue impossibili. Per quanto infatti vi sia un’ingente dose di arbitrarietà in ogni lingua, conoscere le eventuali caratteristiche universali e quelle irrealizzabili può suggerire almeno quali vincoli agiscano nella storia delle lingue, invalidando l’idea che queste siano pure convenzioni culturali e aprendo possibilità per afferrare meccanismi e regolarità della loro evoluzione. Per capire meglio i confini di Babele i linguisti stanno cominciando a interessarsi ai progressi delle neuroscienze. Forse i confini di Babele sono determinati dal funzionamento del cervello.

Una osservazione preliminare generale è che ogni studio sul linguaggio[3] si focalizza necessariamente su uno o pochi aspetti di questo fenomeno estremamente complesso. Molte ricerche si concentrano sulla sintassi, lo studio dei collegamenti tra le parole e tra le proposizioni, e sulla grammatica, l’insieme delle regole di correttezza per una certa lingua. La sintassi, considerata dai linguisti spartiacque tra la nostra specie e gli altri animali, può essere definita in molti modi: uno dei più generali e generici è “l’uso infinito di finiti”[4], cioè la possibilità di combinare in modi sempre nuovi un determinato numero di elementi (fonemi, parole, proposizioni, ecc.). Una grammatica è la collezione di regole per costruire correttamente frasi, sintagmi e parole in una certa lingua. Tra “bottiglia” e “bottiglie” corre una differenza grammaticale. La grammatica è collegata alla sintassi ma è più specifica sebbene il modello di Noam Chomsky, il più influente di tutti i tempi in linguistica, abbia postulato l’esistenza di una grammatica profonda universale. Domande possibili sui confini di Babele sono se vi sia oppure no una grammatica comune a tutte le lingue, e se essa abbia un qualche carattere di necessità o se sia contingente, ereditata da una ipotetica lingua ancestrale. Nella contemporanea attenzione alle neuroscienze cognitive, la domanda diviene la seguente: vi è forse qualcosa, nell’organizzazione del nostro cervello, che vincola nella storia le lingue a una determinata grammatica, o perlomeno limita le grammatiche possibili? Linguisti e neuroscienziati stanno lavorando insieme per trovare una risposta, ma vi è ancora molta strada da fare per scoprire di più e per integrare le conoscenze disponibili.

Si intuirà che il presente articolo è soprattutto un piccolo tributo al ricco Convegno Interannuale della Società di Linguistica Italiana tenutosi all’Università di Milano Bicocca nel giugno 2012[5]. Ho tratto molto dalle relazioni di Andrea C. Moro, Annibale Elia, Antonino Pennisi, Fabio Di Vincenzo e Giorgio Manzi, Tullio De Mauro, ma in fondo ciò che scrivo è frutto di tutti i contributi. Più volte, fin dal sottotitolo, è stata sottolineata la novità di mettere a confronto “linguisti e non linguisti”, un’apertura reciproca che porta a una visione integrata e interdisciplinare del linguaggio.

 

  1. Vincoli neuronali alla sintassi?

Il linguista Andrea C. Moro ha partecipato a diversi studi sperimentali in cerca di vincoli che contribuiscano a spiegare perché solo poche tra le sintassi e le grammatiche concepibili siano realizzate nelle lingue del mondo[6]. Generalmente questi studi propongono a soggetti in laboratorio stimoli linguistici costruiti ad hoc monitorando simultaneamente la loro attivazione cerebrale attraverso tecniche di neuroimmagine. Creare sperimentalmente errori di tipo sintattico non è semplice. Scrive Moro:

Supponiamo di costruire un errore di tipo sintattico e di costruire una frase come leone pantera morso ha il la. È chiaro che un errore di tipo sintattico siffatto produce immediatamente anche un effetto a livello semantico: si sta parlando di un leone che morde una pantera o di una pantera che morde un leone? […] se produciamo un errore di questo tipo, il risultato non può essere correlato immediatamente alla sola competenza sintattica, in quanto anche quella semantica risulta inevitabilmente coinvolta. […] Il «trucco» che abbiamo utilizzato è stato di evitare del tutto l’accesso alla semantica lessicale, costruendo delle frasi fatte di parole costruite con radici inventate (pseudoparole) come le seguenti: (1) il gulco gianigeva la brala / nafantavano gli oprammi / il lappento non tonce mai / quella molmeca non alinava questa frida / il triaggo fabbisce ogni lustasio / si tasalano molte barne / tutti i gorpotti sono stati gasporati[7].

 

I ricercatori hanno mostrato, durante l’elaborazione della sintassi, la co-attivazione selettiva dell’area di Broca e del Nucleo Caudato Sinistro[8]. L’attivazione non è spiegabile come reazione a uno stimolo genericamente nuovo, visto che essa non si verifica nell’ascolto di lingue sconosciute (sulle quali il nostro cervello è in grado di sintonizzarsi naturalmente distinguendole dai rumori, senza il coinvolgimento di quella “rete neuronale dedicata alla sintassi”). Lo spiazzamento causato da un impossibile sintattico è inoltre distinto da quello generato da altri tipi di disorientamento. La rete reattiva agli errori sintattici non si attiva, ad esempio, in presenza di errori logici. Per Moro «gli errori di tipo logico e gli errori di tipo linguistico attivano reti disgiunte: questo ci fa dire che evidentemente quel tipo di logica non è incorporato nella lingua»[9]. L’esistenza di questo “network neuronale dedicato alla sintassi” sembrerebbe supportata anche da un metodo principe della biologia evoluzionistica: il confronto tra specie imparentate. Come era il cervello dei nostri parenti estinti? Attraverso lo studio delle cavità endocraniche dei fossili è possibile andare a studiare la distribuzione della volumetria e della configurazione topologica delle varie aree del cervello nel dispiegamento di varie forme ominidi e ominine avvenuto a partire dagli ultimi antenati che condividiamo con gli scimpanzé, circa 7 milioni di anni fa. Così oggi sappiamo che con la nascita del genere Homo si assiste allo sviluppo dell’area di Broca e del giro angolare nell’emisfero sinistro.

Assumendo dunque che esista un network localizzato che nel nostro cervello gestisce la sintassi, cosa succede in esso quando è sottoposto a regole grammaticali normalmente inosservate? Le grammatiche inosservate sono anche impossibili? Stiamo, cioè, apprezzando confini permanenti di Babele? Tre esperimenti citati da Moro[10] hanno messo progressivamente in luce che soggetti addestrati in grammatiche artificiali ritenute impossibili (ad esempio, prive di una architettura gerarchica chiamata “quasi-autosimilarità”) presentano un flusso ematico ridotto nell’area di Broca:

più siamo bravi a discriminare frasi costruite con regole di tipo possibile, più l’area di Broca richiama flusso ematico; più invece diventiamo bravi con frasi costruite con regole impossibili, più l’area di Broca viene in qualche modo inibita. Questo è un risultato importante, che ci dice che […] evidentemente la struttura linguistica non è totalmente convenzionale, almeno […] in quanto non è convenzionale l’afflusso ematico nel cervello[11].

 

  1. Confini mobili? Critiche all’autonomia della sintassi

Altri linguisti come Annibale Elia[12] giungono a conclusioni apparentemente opposte attraverso metodologie dette di “lessico-grammatica”. Sulla scia di lavori di Maurice Gross sul francese[13] e di Tullio De Mauro, questi linguisti mettono in discussione la distinzione grammatica/lessico e ora, nell’era della linguistica neuroscientifica, evocano quei risultati sperimentali che sembrerebbero contraddire la premessa locazionista, ovvero l’assunto che vi sia una funzione sintattica localizzata in aree specifiche del cervello, principalmente corticali.

L’approccio lessico-grammaticale consiste nella descrizione statistica di una lingua e nella classificazione di ogni parola a seconda delle strutture in cui essa può comparire e della frequenza con cui essa occorre in ogni struttura[14]. Per il verbo “abbattere” avremo, ad esempio:

 

La quercia si abbatte [nel senso di “bisogna abbattere la quercia”]

La quercia si abbatte contro il muro [riflessivo]

Il guidatore si abbatte contro il muro con l’auto

Max si abbatte discutendo di linguistica ogni giorno

 

E molte altre. Per ogni verbo si possono individuare e analizzare queste proprietà sintattiche a grana fine, e i verbi si possono così attribuire a classi distribuzionali. Si tratta insomma di un approccio induttivo (che ricava la regola dalla descrizione), non deduttivo (che ricaverebbe le possibili combinazioni partendo dalle regole). Recentemente Elia e il suo gruppo hanno eseguito un confronto mirato tra moltissimi verbi italiani e stabilito che le proprietà combinatorie di ciascuno sono uniche: in media non vi sono due verbi che abbiano esattamente lo stesso profilo di proprietà combinatorie. Inoltre il profilo di combinazioni cambia nel tempo: ad esempio dal XIV secolo l’italiano ha perso 8 usi di “abbattere”, non soltanto distribuzionali ma anche sintattici, mentre altri sono incrementati. L’ipotesi che emerge dal lessico-grammatica è dunque che il vocabolario non si limiti a fornire materiale (parole, vocaboli) per la costruzione di frasi secondo regole grammaticali ad esso esterne, ma sia invece “il sostituto delle regole”: attraverso esempi, modalità d’uso, frequenze di occorrenza, i verbi “fanno regola” e veicolano una miriade di informazioni sintattiche che assumono configurazioni diverse in ognuno di essi. Se all’esordio del lessico-grammatica negli anni ’70[15] era possibile concepire una compatibilità con la grammatica profonda della Grammatica Generativo-Trasformazionale (GGT) chomskiana, che postulava una struttura superficiale come “trasformazione” della struttura profonda, lo sviluppo del lessico-grammatica rese progressivamente le posizioni inconciliabili. Un relativo riavvicinamento è ravvisabile solo grazie all’attenuazione della GGT verso un programma minimalista[16].

Anche in questo campo si cerca di correlare gli assunti linguistici con studi neuroscientifici: si citano ad esempio ricerche recenti che mettono in discussione scoperte precedenti sui potenziali evento-correlati (ERPs) misurati sul cuoio capelluto di soggetti sottoposti all’ascolto di frasi anomale. Nel 1980 Kutas e Hillard scoprirono che combinazioni verbo-oggetto semanticamente anomale causano un picco negativo nell’elettroencefalogramma circa 400 millisecondi dopo lo stimolo (componente N400), mentre violazioni sintattiche causerebbero un picco a 600ms. I lavori più recenti citati da Elia e colleghi[17], sempre basati su errori costruiti intenzionalmente e rivolti a queste onde di attivazione neurale, mostrano che esse in realtà non possono essere rigidamente divise in semantiche N400 e sintattiche N600: l’attivazione è molto più globale.

Quali sarebbero le implicazioni di questi studi per i confini di Babele? Il lessico, risultato dell’azione del tempo e della massa dei parlanti, è il regno della socialità, della storicità. La sintassi e la grammatica non sarebbero un fenomeno separato, bensì l’informazione linguistica – moltissima, evanescente, granulare, completa – sarebbe veicolata in maniera unificata. Il lessico-grammatica sembra insomma non porre il vincolo di una “spina dorsale grammaticale” alle lingue possibili, conferendo forse una potenza molto maggiore alle innovazioni, arbitrarie e storiche, delle masse parlanti:

L’organizzazione dei dati sintattici e semantici che abbiamo registrato e mostrato rivela una natura “diversamente” sistematica e per certi versi casuale […]. Crediamo che dal nostro pur limitato osservatorio si evinca l’astuzia e la “genialità” del nostro cervello pronto a negoziare continuamente […], adattando alla meglio tutte le risorse disponibili in partenza per creare nuovi percorsi, nuove funzioni e nuove interazioni. Siamo molto lontani dall’idea di un organo del linguaggio innato[18].

 

  1. Integrare le conoscenze e allargare lo sguardo sul linguaggio

Come abbiamo visto, da una parte gli studi sul “network neuronale della sintassi” ci presentano un controllo localizzato e vincolante delle lingue possibili, dall’altra gli studi di lessico-grammatica sembrano contraddire questo locazionismo e liberare l’evoluzione linguistica, contrastando l’idea di linguaggio come “organo mentale innato”. Come è possibile integrare studi linguistici e neuroscientifici o, ancor più, studi delle lingue e del linguaggio che adottano visioni così diverse? Il campo è molto aperto: ammesso che esista una sintassi universale, essa non dovrebbe essere disordinata e transeunte come quella che appare dagli studi del lessico-grammatica, e il rapporto tra le due grammatiche diventa un problema affascinante da spiegare. Le informazioni sul cervello disponibili grazie alle neuroscienze e a studi congiunti tra linguisti e neuroscienziati possono avere molto da dire su come nascono e cambiano le lingue, ma la conferma e la riproducibilità degli studi neuroscientifici è notoriamente delicata. Inoltre studi diversi utilizzano tecniche neuroscientifiche eterogenee e guardano ad aspetti diversi dell’attivazione cerebrale.

Vi sono, poi, due ampliamenti affascinanti da considerare, evocati e studiati in misura crescente in questo campo interdisciplinare. Sono ampliamenti rispetto a uno stretto focus sulla funzione linguistica nel cervello, e sono a un tempo riferimenti obbligati e risorse verso una comprensione dei confini di Babele. Il primo ampliamento, che chiameremo “le fondamenta di Babele”, muove dalla funzione del linguaggio e la mette in relazione con altre funzioni del nostro cervello, probabilmente più antiche. Il secondo, che chiameremo “la fisica di Babele”, allarga lo sguardo dal cervello alla etologia del linguaggio, che coinvolge molti più aspetti e strutture rispetto a quelli studiati dalle neuroscienze cognitive. Entrambe le etichette sono improvvisate e quasi scherzose e non hanno la pretesa di identificare problemi isolabili l’uno dall’altro.

 

 

 

  1. Le fondamenta di Babele, ovvero il rapporto tra linguaggio e altre funzioni, probabilmente più antiche

Molti studi – compresi quelli finora citati – evidenziano che il controllo del linguaggio presenta parziali coincidenze con quello di altre attività o stimoli come la musica, la matematica, i gesti. Secondo le “teorie motorie”[19], il linguaggio gestuale sarebbe stato la “impalcatura” per l’origine evolutiva del linguaggio verbale articolato. Per i paleoantropologi Fabio Di Vincenzo e Giorgio Manzi[20] il precursore del linguaggio andrebbe piuttosto cercato nella imitazione[21], caratteristica rara tra gli animali, fondata su una risonanza ad alto livello di carattere emotivo, necessaria tra l’altro per l’acquisizione delle conoscenze motorie per la costruzione di strumenti. I due antropologi riferiscono studi che evidenziano una sovrapponibilità tra le “aree del cervello” del linguaggio e dell’imitazione, più specificamente la “Minimal Neural Architecture for imitation” costituita dal sistema mirror[22]. Nella linguistica contemporanea, in apertura verso scienze naturali come la primatologia, l’imitazione torna infatti a svolgere un ruolo forse fondamentale[23]. Imitazione e linguaggio si collocano nel dominio dell’azione, in una nuova visione che vede ogni azione, anche la più semplice, e addirittura la osservazione apparentemente passiva dell’azione[24], come accompagnata da un portato di intenzioni, navigazione, proiezione nel futuro, rappresentazione, con le corrispondenti attivazioni nel cervello[25].

Manzi e Di Vincenzo ipotizzano che decine di migliaia o alcuni milioni di anni fa negli ominidi capaci di imitazione si sia potuto generare un feedback evolutivo, dove l’imitazione a un tempo richiede un cervello più grande e dotato di corteccia molto esigente dal punto di vista energetico e funzionale, ma dall’altra consente la costruzione di strumenti e quindi un maggiore accesso alla risorsa alimentare e una dieta maggiormente onnivora. Stiamo quindi parlando dell’origine del linguaggio come una cascata di effetti evolutivi, anche retroattivi, non soltanto sul cervello. La nostra metafora statica delle “fondamenta di Babele”, che veicola l’idea di un sostrato pre-esistente, è quanto mai inefficace a rendere la grande dinamicità e complessità di questa origine.

Lo scenario evolutivo prospettato, nel quale si modifica la distribuzione complessiva di importanza di funzioni e fattori non linguistici, risolve per Manzi e Di Vincenzo il problema del passaggio da un contesto di gesti non linguistici a un contesto di gesti linguistici che le “teorie motorie” non hanno risolto, e risponde inoltre a problemi sulle plausibilità e sulle ragioni della divergenza tra le traiettorie evolutive di linee imparentate come gli ominini e le antropomorfe[26]. Allargando lo sguardo neuroscientifico dal linguaggio-visto-separatamente al linguaggio-con-altre-funzioni si ricava l’idea che la facoltà linguistica si possa essere evoluta da un contesto biologico non ancora linguistico e non ancora convenzionale coerentemente con una serie di principi accettati in biologia, senza ricorso a spiegazioni ad hoc, saltazioniste, o a fenomeni non biologici. Ma emergono anche nuove idee sui confini di Babele e sulle loro cause. L’evoluzione è conservativa, e il reclutamento di un cervello di Homo per una nuova funzione – il linguaggio – potrebbe spiegare la non-ottimalità che emerge da molte analisi. Ancora Moro, ad esempio, fa notare come non vi siano motivi computazionali per ritenere che la struttura “a matrioska” della nostra sintassi sia migliore di altre possibili, e attribuisce la sua esistenza all’inerzia dell’evoluzione che conserva ciò che funziona, non necessariamente ottimizza o può farlo[27]. La particolare dialettica tra normatività e variabilità, tra ripetizione affidabile e versatilità, che strutturalmente pertiene ad azione e imitazione potrebbe perfino portare a una riconciliazione tra sguardi apparentemente incompatibili sul linguaggio come quelli che abbiamo visto sopra, o come le tradizioni contrapposte dei generativisti e dei “teorici della pertinenza”[28].

 

  1. La fisica di Babele

Un altro ampliamento dello sguardo sul linguaggio riguarda il fatto che il linguaggio “non è solo cervello”. Il filosofo del linguaggio Pennisi fa notare che «filosofie linguistiche per altri aspetti contrapposte come l’analitica logico-formale, lo strutturalismo e il generativismo» sono «tutte immagini completamente defisicizzate dei processi di codificazione, elaborazione, produzione e comprensione del linguaggio»[29]. Il linguaggio articolato richiede, oltre a un neuroprocessore categoriale iperspecializzato nella corteccia uditiva, molte altre caratteristiche: un tratto vocale composto da due canne (orizzontale e verticale) le cui lunghezze hanno un rapporto 1:1, muscoli orofacciali che non ostacolino la vocalizzazione fine, un apparato uditivo con una organizzazione tonotopica della coclea per distinguere le formanti, nonché una struttura sociale esponenzialmente espansiva migratoria rispetto a primati non umani. Pennisi sottolinea come il linguaggio sia una proprietà specie-specifica di Homo sapiens, cioè una caratteristica obbligata e interamente determinata dall’evoluzione (fatta salva la variabilità popolazionale che è un’acquisizione indelebile della biologia post-darwiniana), ma non solo cerebrale. Gli esperimenti di Sue Savage-Rambaugh con lo scimpanzé Kanzi mostrarono la capacità di quest’ultimo di comprendere e utilizzare la sintassi e le relazioni, una capacità che però non si rivela in natura. Gli scimpanzé mancano di molte delle caratteristiche sopraelencate, ad esempio non sono in grado di emettere voci articolate, essi dunque comunicano con voci olistiche e altri segnali per la gestione delle gerarchie sociali. Il linguaggio per Pennisi è un fenomeno essenzialmente etologico[30], una «tecnologia uditivo vocale applicata ai bisogni simbolici», correlata quindi ad aspetti come il contesto sociale ed ecologico, e agli scopi perseguiti dai sapiens. Lo speechmaking è simile al toolmaking.

La fisica di Babele è compulsione, campi di forze relazionali, magnetismo verso obiettivi individuali e condivisi all’interno di un contesto sociale. Difficile pensare che tali campi non abbiano un influsso sul mantenimento dei confini di Babele. Dice Pennisi:

Il vantaggio principale del concepire il linguaggio umano come una forma tardiva di tecnologia corporea è costituito dal fatto che […] in tal modo vengono messi in evidenza in modo inequivocabile quei vincoli strutturali che altrimenti potrebbero venir oscurati dalla complessità della nozione stessa di linguaggio[31].

 

 

 

  1. Conclusione

Per mappare e comprendere i confini di Babele bisognerà senz’altro occuparsi dei meccanismi specifici attraverso cui le lingue si trasmettono e cambiano. Bisognerà però anche capire meglio quanto la storia evolutiva continui ad agire sulle possibilità e le impossibilità nelle lingue e funga da vincolo per la creatività delle popolazioni e delle culture. Che lo faccia, è fuor di dubbio: anche i linguisti se ne sono ormai accorti da tempo. Ma il campo è quanto mai aperto: neo-chomskiani e sostenitori del lessico-grammatica sono divisi sulla misura in cui i confini di Babele, in particolare i vincoli alle grammatiche possibili, siano determinati dal nostro cervello. Inoltre lo studio dei confini di Babele finisce per portarci fuori dalla stretta relazione cervello-linguaggio, per giungere anzitutto alla relazione tra linguaggio articolato e altre funzioni più antiche. Lia Formigari ha ricostruito le sorti burrascose del rapporto tra lo studio delle “condizioni bioevolutive” del linguaggio e la ricerca sulle “realizzazioni storico-empiriche” che sono le lingue[32]. Un eclatante editto della Società Linguistica di Parigi del 1866 dichiarò la impossibilità scientifica di studiare l’origine del linguaggio. Per Formigari è evidente che questa fu più una presa di posizione che la constatazione di una reale impossibilità, e servì soprattutto a legittimare lo studio delle lingue come oggetto autonomo. Oggi, dopo 150 anni, i confini di Babele sembrano rimandare a fondamenta gettate dall’evoluzione molto tempo prima della sua fondazione. Fuor di metafora, il linguaggio potrebbe essere il riutilizzo di gran parte dell’apparato coinvolto in funzioni più antiche, come l’imitazione, fonte di possibilità ma anche di vincoli per la sua espansione. Inoltre i confini di Babele potrebbero essere co-determinati da fattori extra-cerebrali (ad esempio, morfologici o sociali), tanto da rendere una focalizzazione esclusiva sul cervello una rappresentazione semplificata e distorta, perfino sbagliata, della fisica di Babele.

 

Ringraziamenti: Un ringraziamento speciale a Fabio Di Vincenzo per la prontezza nella condivisione delle sue vastissime conoscenze, e per il rigore delle sue indicazioni. Grazie anche a A.C. Moro, A. Pennisi, A. Elia e G. Manzi per l’incoraggiamento e i puntuali suggerimenti. Grazie a Telmo Pievani per l’invito a partecipare al convegno SLI e a Emanuele Banfi per la cordialità e la generosità nel coinvolgermi.


[1] B. Turchetta, Lingue in via di estinzione, in Ecosphera, vol. Atlante di Ecologia, a cura di N. Eldredge e T. Pievani, UTET-De Agostini, Torino 2010, pp. 256-260.

[2] L’espressione è di A.C. Moro, I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili, Longanesi, Milano 2006.

[3] In questo articolo, per “linguaggio” intendiamo quasi sempre “linguaggio articolato”, ovvero il linguaggio umano caratterizzato dall’uso regolato della voce, sebbene alcune osservazioni possano applicarsi anche a realizzazioni parziali o differenti.

[4] W. von Humboldt, La diversità delle lingue (1836), tr. it. Laterza, Bari 2004, cit. in F. Di Vincenzo, G. Manzi, L’origine darwiniana del linguaggio, in Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali. Un confronto fra linguisti e non linguisti, a cura di E. Banfi, Bulzoni, Roma 2013, pp. 217-247.

[5] Gli atti sono ora pubblicati in E. Banfi (a cura di), Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali, cit.

[6] A.C. Moro, Kataptation, o sulle ragioni (perdute) della grammatica universale, in Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali, cit., pp. 143-151.

[7] A.C. Moro, Autonomia della sintassi e tecniche di neuroimmagine, in «Lingue e Linguaggio», 1, 2004, pp. 135-147, qui pp. 139-140.

[8] Per la prima volta parla diffusamente di sintassi e linguaggio anche il primo capitolo della nuova edizione di E. Kandel et al. (a cura di), Principle of Neural Science, Quinta edizione, McGraw-Hill Professional 2012.

[9] A.C. Moro, Kataptation…, cit., p. 145.

[10] Cfr. M. Tettamanti, H. Alkadhi, A. Moro, D. Perani, S. Kollias, D. Weninger, Neural correlates for the acquisition of natural language syntax, in «Neuroimage», 17, 2002, pp. 700-709; M. Musso, A. Moro, V. Glauche, M. Rijntjes, C. Büchel, C. Weiller, Broca’s area and the language instinct, in «Nature neuroscience», 6, 2003, pp. 774-781; M. Tettamanti, I. Rotondi, D. Perani, G. Scotti, F. Fazio, S.F. Cappa, A. Moro, Syntax without language: neurobiological evidence for cross-domain syntactic computations, in «Cortex», 45, 7, 2009, pp. 825-838.

[11] A.C. Moro, Kataptation…, cit., p. 149.

[12] A. Elia, Sintassi e semantica tra neuroscienze e linguistica, in Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali. Un confronto fra linguisti e non linguisti, cit., pp. 69-85.

[13] Cfr. M. Gross, Méthodes en syntaxe, Hermann, Paris 1975; M. Gross, On the failure of generative grammar, «Language», 55, 4, 1979, pp. 859-885.

[14] Per avere un’idea dell’approccio computazionale e dei “profili distribuzionali” è possibile visitare diversi siti, ad esempio LEXIT (http://sesia.humnet.unipi.it/lexit/) gestito dal Dipartimento di Linguistica dell’Università di Pisa. Sebbene per l’utilizzo effettivo sia necessario conoscere le convenzioni di questo approccio, non riportate nel sito, è sufficiente provare a inserire qualche parola. I profili di LexIt sono stati estratti automaticamente da “corpora” (cioè, collezioni di testi come Repubblica o Wikipedia): i testi vengono indicizzati in automatico attraverso programmi e senza revisione manuale, da ciò deriva la presenza di errori. Elia e il suo gruppo, per gli studi che qui citiamo, precisano di aver realizzato ogni conteggio manualmente.

[15] Cfr. Z.S. Harris, Papers in structural and transformational linguistics, Reidel, Dordrecht 1970; M. Gross, Méthodes…, cit.; M. Gross, On the failure…, cit.

[16] Cfr. G. Graffi, 200 years of syntax, John Benjamins, Amsterdam-Philadelphia 2001, cit. in A. Elia, Sintassi e semantica…, cit.

[17] Cfr. P. Hagoort, J. van Berkum, Beyond the sentence given, in «Philosophical Transactions of the Royal Society. Series B: Biological Sciences», 362, 2007, pp. 801-811; R.M. Willems, P. Hagoort, Neural evidence for the interplay between language, gesture, and action: a review, in «Brain and Language», 101, 3, 2007, pp. 278-289; T. Blackford, P.J. Holcomb, J. Grainger, G.R. Kuperberg, A funny thing happened on the way to articulation: N400 attenuation despite behavioral interference in picture naming, in «Cognition», 123, 1, 2012, pp. 84-99; M. Mazzone, Autonomia del linguistico. Alcune tendenze delle neuroscienze attuali, in Cervello, linguaggio, società, a cura di V. Cardella, D. Bruni, CORISCO-Squilibri, Roma 2008.

[18] A. Elia, Sintassi e semantica…, cit., p. 83.

[19] Pioniere di questo approccio, A.M. Liberman, On finding that speech is special, in «American Psychologist», 37, 1982, pp. 148-167; sviluppatore e divulgatore M.C. Corballis, Dalla mano alla bocca (2002), tr. it. Cortina, Milano 2008.

[20] F. Di Vincenzo, G. Manzi, L’origine darwiniana del linguaggio, in Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali, cit., pp. 217-247.

[21] Cfr. R.W. Byrne, A.E. Russon, Learning by imitation: A hierarchical approach, in «Behavioral and Brain Sciences», 21, 1998, pp. 667-721.

[22] Cfr. M. Iacoboni, Imitation, empathy, and mirror neurons, in «Annu. Rev. Psychol.», 60, 2009, pp. 653-670.

[23] La durevole marginalizzazione dell’imitazione deriva dalla Grammatica Universale: uno degli argomenti più forti a sostegno dell’esistenza di una grammatica innata fu infatti quello della “povertà dello stimolo” o “insufficienza dell’input”, ovvero dell’impossibilità di apprendere il linguaggio per imitazione. L’argomento si opponeva al comportamentismo – che sosteneva la tesi del “tutto appreso” – ma ebbe l’effetto di escludere per molti anni qualsiasi considerazione dell’imitazione nello studio dell’apprendimento linguistico.

[24] Cfr. G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano 2006.

[25] Cfr. F. Ferretti, I. Adornetti, Dalla comunicazione al linguaggio. Scimmie, ominidi e umani in una prospettiva darwiniana, Mondadori Università, Milano 2012.

[26] Cfr. F. Di Vincenzo, G. Manzi, L’origine darwiniana…, cit.; F. Di Vincenzo, G. Manzi, L’origine darwiniana del linguaggio, in «Micromega», 1, 2012, pp. 147-167.

[27] Cfr. A.C. Moro, Kataptation…, cit.

[28] F. Di Vincenzo, G. Manzi, L’origine darwiniana…, cit., p. 237.

[29] A. Pennisi, Per una tecnologia dello speech making, in Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali, cit., pp. 169-183, p. 170.

[30] Cfr. A. Pennisi, A. Falzone, La scienza della natura e la natura del linguaggio umano, Mucchi, Modena 2011; A. Pennisi, A. Falzone, Il prezzo del linguaggio. Evoluzione ed estinzione nelle scienze cognitive, Il Mulino, Bologna 2010.

[31] A. Pennisi, Per una tecnologia…, cit., p. 180.

[32] Cfr. L. Formigari, L’origine del linguaggio. Ricognizioni storiche e valenze epistemologiche, in Sull’origine del linguaggio e delle lingue storico-naturali, cit., pp. 13-22.

 

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