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Thomas Henry Huxley – Evoluzione ed etica, tr. it. di Tania Gargiulo e Anna Rusconi, a cura di Antonello La Vergata [Bollati Boringhieri, Torino 2020]

Recentemente il delicato tema dei rapporti fra scienza e società si è imposto sotto una luce di insospettata attualità. Eventi e processi come la pandemia da Covid-19 e la crisi climatica (aspetti particolari di un medesimo problema che è quello del rapporto fra l’uomo e il pianeta) invitano a riflettere sulle modalità, sui fini e sulle tecniche cui gli scienziati dovrebbero attenersi per comunicare i loro risultati al pubblico dei non specialisti.

La comunicazione della scienza non è, tuttavia, una novità dei nostri giorni: almeno a partire dal Dialogo sui massimi sistemi di Galilei, gli scienziati si sono impegnati nella faticosa arte della divulgazione; in forme che vanno dai trattati in volgare alle conferenze pubbliche. Dal momento che la scienza non di rado intercetta temi di interesse collettivo, può capitare che interventi di scienziati particolarmente carismatici, destinati a un vasto uditorio, riscuotano un interesse culturale pari, se non superiore, ai trattati destinati agli accademici.

È quello che accadde presso il teatro anatomico dell’Università di Oxford, in un pomeriggio di maggio del 1893. La lectio magistralis (come la chiameremmo oggi) di un anziano Thomas Henry Huxley, intitolata Evolution and Ethics, avrebbe riscosso unanime plauso circa lo stile brillante e l’eloquio forbito dell’oratore; ma non altrettanta approvazione egli avrebbe ricevuto circa gli argomenti addotti a giustificazione della propria tesi. Questa, in estrema sintesi, era quella di una incompatibilità di fondo fra evoluzione per selezione naturale (“processo cosmico”) ed evoluzione morale (“processo etico”), data la quale risulta illecito trarre insegnamenti morali dalla natura che non siano a contrario rispetto alla “lotta gladiatoria” che avviene fra gli individui e le specie selvatiche. «Perché la società progredisca occorre frenare il processo cosmico ad ogni passo, sostituendolo con un processo diverso – che si potrebbe definire etico – il cui fine è non è la sopravvivenza di quanti si trovano ad essere i più adatti rispetto al complesso delle condizioni vigenti, bensì di coloro che sono i migliori eticamente» (pp. 51-52).

La dissertazione Evoluzione ed etica prende le mosse dal problema filosofico fondamentale della moralità della natura, mediante un excursus nella storia del pensiero che spazia dalla spiritualità induista e buddista alla filosofia greca antica ed ellenistica. Huxley individua, pur nella diversità delle varie tradizioni, un percorso comune nel tentativo di rispondere allo «stesso spaventoso problema del male» (p. 34) da parte delle religioni e delle filosofie dell’antichità: di fronte alla sofferenza del giusto, ovvero al radicale contrasto fra senso morale e brutalità del mondo, l’unica risposta è l’astrazione intellettuale (teodicea) o spirituale (ascetismo). Huxley ritiene che l’interpretazione letterale della massima stoica “vivi secondo natura” sia stata addotta a giustificazione di certa «filosofia dei filosofastri» (p. 47), ovvero della tesi per cui bisogna conformare la società umana alla naturale lotta per l’esistenza. Ma Huxley sa benissimo che in realtà gli Stoici, per naturam sequi, intendevano il vivere secondo ragione: «È questa la “natura” che esalta l’ideale del bene supremo ed esige totale sottomissione della volontà ai suoi precetti» (ibidem).

Huxley chiarisce che occorre distinguere fra etica dell’evoluzione (per cui la lotta per l’esistenza presente in natura rappresenta un modello per la società umana) ed evoluzione dell’etica (per cui l’origine del sentimento morale è da ricercare nell’evoluzione biologica). Non si può dubitare della validità della seconda; quel che importa è non confondere l’origine della morale con la sua giustificazione: «L’evoluzione cosmica potrà forse spiegare come si sono formate nell’uomo le inclinazioni al bene e al male; ma di per sé non è in grado di fornire una ragione migliore di quelle che già avevamo per spiegare come mai ciò che chiamiamo bene sia preferibile a ciò che chiamiamo male» (pp. 50-51). Ne consegue che non solo l’evoluzione biologica non può fornirci alcun modello etico, ma che, anzi, se c’è una prescrizione morale che dalla natura possiamo ricavare, è proprio la necessità di opporsi alla “lotta per l’esistenza” affinché la compagine sociale si conservi:

 

Ho già affermato con insistenza come la pratica di ciò che è meglio dal punto di vista etico – ciò che definiamo bontà o virtù – implica una linea di condotta contraria sotto tutti gli aspetti a quella che conduce alla vittoria nella lotta cosmica per l’esistenza. […] Cerchiamo di capire una volta per tutte che il progresso etico della società non sta nell’imitare il processo cosmico, e men che meno nel rifuggirne, bensì nel combatterlo. (pp. 52-53).

 

L’ignoranza di tale fondamentale assunto conduce, continua Huxley, a quell’«individualismo fanatico del nostro tempo» che «cerca di applicare alla società l’analogia della natura cosmica» e «attribuisce la dignità di diritti alle spinte verso l’autoaffermazione» (p. 52). Dietro tale sferzata polemica si cela un attacco al “darwinismo” sociale di Herber Spencer; il quale, da parte sua, fu fra coloro che evidenziarono un’aporia non trascurabile nell’argomentazione di Huxley: «La posizione da lui assunta, secondo cui dobbiamo lottare contro il processo cosmico o correggerlo, implica il presupposto che in noi esista qualcosa che non è un prodotto del processo cosmico; è praticamente un ritorno alle vecchie idee teologiche che ponevano in antitesi l’uomo e la natura» (Lettera di Herbert Spencer a J.A. Skilton, cit. da A. La Vergata, p. XX). Consapevole di ciò, Huxley cercò di attenuare tale dicotomia in una nota (la “famigerata nota 19” dell’opuscolo originale, riportata come nota 34 a pp. 158-159 della presente edizione) in cui spiegava che «a rigor di termini la vita sociale e il processo etico in virtù del quale essa procede verso la perfezione sono parte integrante del processo generale dell’evoluzione […] così come il regolatore automatico di una locomotiva a vapore fa parte del meccanismo della macchina». 

Evoluzione ed etica rappresenta solo uno dei diversi scritti che Huxley dedicò al rapporto fra biologia, etica e politica. Questa edizione ne include altri quattro: Prolegomeni a Evoluzione ed etica del 1894 (pp. 3-29), La lotta per l’esistenza nella società umana del 1888 (pp. 56-80), Diritti naturali e diritti politici del 1890 (pp. 81-109), Governo: anarchia o irreggimentazione? del 1890 (pp. 110-136). Una lettura comparativa di questi saggi, guidata dalla dettagliata Introduzione di Antonello La Vergata e dal ricco apparato di note (sia dell’autore che, integrative, del curatore), aiuta il lettore a collocare tale corpus di scritti nel loro contesto intellettuale e politico. A tal proposito, occorre sottolineare che a fondamento della tesi di una contrapposizione radicale fra processo cosmico e processo etico, ripetuta in tutti questi saggi sotto diverse prospettive, «stava non il rifiuto generale della liceità di ogni appello alla natura in questioni morali e politiche, ma il rifiuto della liceità del chiedere alla natura la sanzione di certe idee politiche. Più precisamente, la separazione fra processo cosmico e processo etico nasceva dall’esigenza di contestare le conseguenze che anarchici e socialisti traevano dalla confusione tra i due» (p. XL).

Inoltre, anche in questi saggi Huxley cerca di sciogliere, senza riuscirci del tutto, la contraddizione imbarazzante di cui si è detto: ammessa una dicotomia netta fra natura ed etica, fondare un’etica sull’assunto del combattere la natura non significava, forse, attribuire comunque un valore morale (ancorché negativo) alla natura medesima? Huxley, in altre parole, inciampa in quella stessa antropomorfizzazione della natura che egli stesso rimproverava ai suoi avversari (pp. LVII-LVIII).

È quello che accade, ad esempio, nel caso della celebre metafora del “giardino dell’etica”, contenuta nei Prolegomena a Evoluzione ed etica. L’etica riveste rispetto allo stato di natura la stessa funzione che il giardiniere ricopre rispetto a una campagna incolta: anch’essa adotta le leggi e i procedimenti della natura (e pertanto non si può negare che il processo etico sia parte del processo cosmico), ma opera al fine di contrastare il normale processo cosmico: «Non solo lo stato di natura è ostile allo stato di artificio del giardino: il principio stesso dell’orticultura, in base al quale il giardino si forma e si regge, è in antitesi con il principio del processo cosmico, il quale si caratterizza per la competizione intensa e ininterrotta determinata dalla lotta per l’esistenza» (p. 10). L’orticultura, infatti, favorisce le piante che nella normale competizione allo stato di natura sarebbero sopraffatte e, d’altra parte, estirpa le erbacce che altrimenti crescerebbero incontrollate. Eppure, come Huxley specifica in una nota, processo cosmico e processo etico sono in tensione, ma dipendono entrambi dalle leggi di natura; come «quando un uomo tiene strette nelle due mani le due estremità di uno spago e le tira per spezzarlo, certamente il suo braccio destro fa forza in contrasto con il braccio sinistro; eppure entrambe le braccia traggono energia dalla stessa fonte» (p. 144, n. 11). Come spiega Antonello La Vergata:

 

Era un modo brillante di rispondere alla domanda come possa un risultato dell’evoluzione reagire contro lo stesso processo che l’ha prodotto. Ma questa soluzione non cancellava un aspetto paradossale della situazione: Darwin aveva fin dall’inizio sottolineato il carattere metaforico del concetto di lotta per l’esistenza, ma ora il suo principale difensore proiettava sull’universo intero una concezione della lotta tutt’altro che metaforica, una concezione – per usare il suo stesso termine – “gladiatoria”: proprio perché la natura era dipinta in modo così truculento aveva senso contrapporle l’ordine artificiale della società e l’ideale morale. Di più: l’estensione della visione gladiatoria all’universo era confermata paradossalmente proprio dal fatto che il processo cosmico poteva, secondo Huxley, essere contrastato solo con una lotta; in altri termini, la società, per conservarsi, doveva, per così dire, combattere una lotta contro la lotta per l’esistenza (p. XXIX).

 

Come si vede, la contraddizione rimane. Sebbene Huxley ribadisca, ne La lotta per l’esistenza nella società umana, che «il corso della natura ci appare così né morale né immorale, bensì amorale» (p. 57), nel sostenere «che la morale consiste nell’ostacolare il processo cosmico, Huxley faceva di quest’ultimo qualcosa non solo di amorale, ma di immorale» (p. LVIII).

Non è questa l’unica antinomia che si riscontra nell’approccio di Huxley al rapporto fra evoluzione, etica e politica: alla base sta «la contraddizione insanabile fra la dichiarata esclusione di ogni forma di appello alla natura in questioni etiche e politiche e l’uso di argomenti “scientifici” a sostegno delle sue idee» (p. LV). Alla radice di ciò stava ancora una volta un’esigenza di carattere politico: nell’intenzione di minare alla radice le tesi degli anarchici e dei socialisti, che fondavano i propri argomenti etico-politici su esempi tratti dal mondo naturale, Huxley finiva per negare le premesse dei propri stessi interventi. Essi, inoltre, comprendevano motivi diversi, tenuti insieme solo da una straordinaria abilità retorica:  

 

un individualismo di fondo e la solidarietà nell’interesse superiore della nazione (o di quello che appariva tale agli occhi dell’élite tecnocratica), la difesa dell’evoluzionismo come unico criterio generale d’interpretazione e lo sbandierato (ma non praticato) rifiuto di qualunque deduzione etica dalla teoria darwiniana, l’esigenza delle riforme e la paura che un cambiamento eccessivo minasse la stabilità sociale; il tutto mescolando riflessioni elevate sul destino dell’uomo e sul senso della vita con proposte molto spicciole su come far vincere all’Inghilterra la “gara industriale” (ibidem).

 

Sebbene le argomentazioni di Huxley non manchino di incongruenze, questi suoi interventi risultano fondamentali per chiunque voglia avvicinarsi al tema del rapporto fra evoluzione ed etica. «Al di là delle sue stesse intenzioni, l’insegnamento duraturo di Evolution and Etichs e degli scritti affini è la denuncia della commistione di fatti e valori» (p. LX). La distinzione da lui enunciata fra etica dell’evoluzione ed evoluzione dell’etica può metterci nella condizione di comprendere perché è possibile fondare un’etica evoluzionistica senza commettere la fallacia naturalistica: ovvero come spiegare le basi biologiche del comportamento sociale umano senza che ciò equivalga ad assumere tout court la natura come modello etico e soprattutto mantenendo l’autonomia dell’etica quale disciplina che sancisce perché debbano valere certe norme e certi valori morali; questione legata a, ma distinta da, quella relativa alle modalità attraverso cui esse si svilupparono da sentimenti morali nel corso dell’evoluzione. «Insomma, la biologia, può aiutare a dare una risposta alla domanda sulle origini dei valori morali universali, anche se ciò non significa che possa spiegare perché questi valori debbano essere universalmente coltivati e siano gli unici. In questo Huxley aveva ragione» (p. LXIV).

 

Giovanni Altadonna

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