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Roberto Marchesini – Tecnosfera. Proiezioni per un futuro postumano [Lit Editori, Roma 2017, pp. 244, € 22]


Navigheremo nella tecnosfera come Odisseo lungo le correnti del Mediterraneo, sognando Itaca ma parimenti, facendo di tutto per non tornarci (p. 219).

 

Il problema della téchne è la questione cardine che ha percorso l’intera filosofia del secolo scorso e che si ripresenta quale sfida al pensiero ancora oggi. Nel suo ultimo saggio, Tecnosfera. Proiezioni per un futuro postumano, Roberto Marchesini – tornando su un tema già affrontato in passato con il saggio Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza (Bollati Boringhieri, 2002) – analizza nuovamente la questione, rilevando le criticità ermeneutiche dell’approccio umanista e proponendovi all’opposto un criterio postumanista, l’unico in grado di offrire la chiave interpretativa adeguata all’aspetto sistemico dell’odierna téchne. L’umanismo, infatti, presenta diversi limiti: attraverso un’esegesi della condizione umana sulla scorta del mito di Prometeo, legge il fenomeno della téchne quale processo di strumentalizzazione e conseguente emblema o di un’incompletezza o di una grandiosità umana fondando, in entrambi i casi, un rapporto polare tra identità dell’uomo e tecnica là dove la tecnica sarebbe unico strumento in grado di rivestire l’uomo dalla sua nudità originaria e di proiettarlo oltre ogni ordine di natura. Tecnosfera impone un ripensamento del fenomeno tecnico cioè dall’interpretazione antropocentrica che lo vorrebbe qualcosa di completamente esterno all’uomo – riducendolo così a uno strumento con lo scopo di operare sulla realtà una precisa disamina di verità – per comprenderne, all’opposto, il valore epifanico, evolutivo e mediativo per la dimensione ontologica dell’essere umano. Marchesini mostra che l’evoluzione della nostra specie è da sempre avvenuta attraverso la mediazione tecnica e che essa ha un potere intrinseco difficile da spiegare attraverso il paradigma ermeneutico della strumentalità. La tecnica, secondo l’autore, sì fonderebbe la dimensione umana, ma non certo per colmarne una qualche mancanza naturale attraverso un soccorso strumentale bensì fondando un rapporto con il mondo e si ricollegherebbe a quella vertigine prodotta dal thaumatos (meraviglia) che Aristotele pone all’origine dalla filosofia. Secondo Marchesini la tecnica non sarebbe strumento in grado di stimolare ordine, misurabilità, previsione – e quindi realizzazione di quell’essenza unica, fondata e immutabile dell’essere umano – ma si affiderebbe a quel principio di meraviglia capace di muovere emozioni come stupore e spaesamento. Ciò che intende l’autore è che ogni grande cambiamento tecnico ha messo l’uomo nella condizione di agire il mondo in termini differenti e contemporaneamente di agirsi diversamente, deposizionandolo dalla sua storia, rendendolo sé nell’atto di uscire da sé, attraverso un dialogo rinnovato con il mondo. Per queste ragioni la tecnica è epifania dionisiaca, fonte di una seconda vita nell’incontro con l’alterità, là dove l’alterità è una rinnovata e sconvolgente visione del mondo: «è sempre possibile rinunciare a uno strumento, non è mai possibile fingere di non aver avuto un’epifania» (p. 129).L’operazione di ridurre la tecnica a mero strumento, operata dall’umanismo, ha condotto a diverse distorsioni tra le quali il ridimensionamento dalla sua potenza intrinseca al confort, da intendersi quale esonero dell’uomo dalle fatiche dell’azione attraverso l’atto della sostituzione. Questo è il volto di quella società liquida in cui l’uomo, alla ricerca costante di gratificazioni, assume il ruolo di consumatore seriale affamato di qualunque forma di piacere “usa e getta”.La riduzione della tecnica a strumento non è in grado di cogliere la sua portata epifanica, destabilizzante e annunciativa nella convinzione che essa debba sempre e solo ubbidire all’uomo senza poterlo mai meravigliare, sia nel bene che nel male. Mai come ora la tecnica invade ogni azione dell’uomo attraverso il suo aspetto sistemico – da qui Tecnosfera; pensare ancora che essa possa essere totalmente esternalizzata è molto ingenuo ci dice Marchesini: solo una volta compreso che il rapporto è dialogico si può anche accettare la natura spiazzante, destrutturante, complessa, stupefacente, pericolosa tipica di ogni incontro. Non bisogna temere la tecnica per questo suo aspetto perturbante giacché ogni vita chiama all’instabilità proprio perché ogni vita si nutre di desiderio, la tecnica diviene quindi una forma del desiderio umano, una forma incerta, spettacolare ma quanto mai propria dell’uomo giacché si è trasformata trasformando il suo soggetto-oggetto.Abbandonare una visione strumentale della tecnica, significa affrontare la vera portata della téchne quale dimensione del fare inteso come apertura di nuovi modi di agire e di agirsi (tecno-poiesi). Solo attraverso la conversione ermeneutica proposta dal postumano, la téchne si spoglierà del suo aspetto normalizzante ma demoniaco di “strumento di confort” per consumatori compulsivi, librandosi a una dimensione di partecipazione e desiderio e quindi di appagamento.Ciò che vuole dirci Marchesini è che non è la tecnica a offrire abiti alla nostra nudità, come se fosse il riflesso ovattato di un mondo chiuso che sprofonda in se stesso, quanto il contrario, essendo il suo agire un’azione meravigliante e quindi spaesante, gettando l’uomo in quella dimensione di meraviglia che richiede partecipazione, impegno, pericolo, senso di vertigine ma la sola in grado di spingerlo alla realizzazione delle sue coordinate d’essere: «La techne è sempre epifania, vale a dire trascende sempre il mero significato fenomenico, per farsi annunciatrice di un mondo nuovo verso cui, stupiti ed eccitati, esuberanti e impauriti, ma soprattutto tradotti in eventi metamorfici incompiuti e ambivalenti, veniamo proiettati, questa volta sì nudi, carenti e vulnerabili» (p. 126). 

Manuela Macelloni

S&F_n. 18_2017

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