La potente analogia macchina-organismo ha un ruolo particolarmente significativo nella storia del pensiero filosofico e scientifico occidentale. A partire dalle sue prime formulazioni durante il XVII secolo, passando per la cibernetica postbellica delle Macy Conferences, fino alle recenti intuizioni delle neuroscienze e della robotica, oggi sembra impossibile negarne l’influenza persino nei più vari ambiti della cultura pop. E nella vita quotidiana delle società contemporanee, sempre più invasa e dipendente dalle tecnologie intelligenti, è difficile non notarne la pervasività. Al di là di una sua applicazione troppo superficiale, e talvolta delle sue banalizzazioni nella cultura di massa, l’analogia nasconde in realtà tutta una serie di nodi epistemologici non facili da sciogliere, che investono e problematizzano lo status di entrambi gli elementi coinvolti. Cosa è una macchina? E cos’è un organismo? Sono qualcosa di diverso o possono essere considerati allo stesso modo? Chi è la copia, e chi l’originale? Che relazione esiste tra struttura, forma e funzione? Tra duplicazione e simulazione? E, soprattutto, quali sono la natura, le implicazioni e quali le conseguenze dell’incontro macchina-organismo, e attraverso quali modalità si stabilisce tra essi una relazione?Wired Bodies nasce proprio dall’esigenza di ragionare su questi quesiti. Come accennato da Elena Gagliasso nella prefazione, il volume rappresenta infatti il tentativo di raccogliere i contributi intorno a questi temi, così come sono emersi a partire dalla formazione, nel 2012 presso il dipartimento di filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, del reading group intitolato “Evolution and Cognition”. Il reading group è talmente partecipato e dinamico da diventare un seminario permanente dal titolo “Ecoevoluzione e Cognizione”: è dalle conversazioni di quella sede che proviene il tentativo di sistematizzare, in forma antologica, i più importanti spunti emersi durante gli incontri. La partecipazione di studiosi, professori e dottorandi provenienti da diverse aree disciplinari, garantisce il carattere plurale di quella che sembra essere, durante tutto il volume, una conversazione a più voci, un gioco di rimandi da un’area di studi all’altra, che partendo dall’ambito filosofico si allarga sempre di più fino ad abbracciare le scienze cognitive, la biologia evoluzionista, le neuroscienze. L’analogia organismo-macchina funziona nel libro come nodo centrale, un punto fermo dal quale sembrano emergere varie direttrici di pensiero, dalla storia della medicina alle neuroscienze, dalla riflessione filosofica alla biologia evoluzionista; tuttavia, l’analogia non è mai presentata in modo fisso e statico. In effetti, l’antologia sembra enfatizzare proprio la dinamicità e l’interscambio tra i due termini dell’analogia: il taglio scelto dai curatori gira proprio intorno all’evolversi nei secoli delle due categorie di “organismo” e “macchina”, mostrandone sia la mutua influenza, sia lo sconfinamento disciplinare, tra filosofia e discipline scientifiche. Dal ben noto paradigma cartesiano della bête machine ai modelli cognitivi impiegati dalle neuroscienze, dunque, in Wired Bodies il materiale è organizzato in tre parti che affrontano tre momenti fondamentali: 1) descrivere la costruzione e lo sviluppo di un quadro teorico “meccanicista” in medicina, biologia e filosofia a partire dal XVII secolo, più nello specifico per quanto riguarda la considerazione dei processi corporei come una serie di “macchine” separate, deputate a varie funzioni; 2) i problemi metodologici riguardanti l’uso delle “simulazioni” di processi cognitivi nel cervello umano nelle neuroscienze, in particolare attraverso quali modalità programmare le macchine e in che modo interpretare i dati forniti dalle simulazioni e 3) l’interazione tra umano e macchina, analizzata attraverso la lente dell’epistemologia del XX secolo, con particolare attenzione a quella complessa matrice che interfaccia mente, corpo, mondo e tecnologia, rendendo le macchine una vera e propria estensione del corpo.La prima sezione è dedicata all’analisi della diffusione ed evoluzione del paradigma meccanicistico in vari ambiti del sapere, con particolare attenzione alla costruzione medica di modelli del corpo umano. Con la matematizzazione cartesiana della realtà, e la separazione delle sostanze in res cogitans e res extensa, il corpo altro non sarebbe se non una macchina; a partire dal modello cartesiano e dalle sue rielaborazioni successive, nell’ambito della nascente medicina moderna si sviluppa, dal XVII secolo in poi, la cosiddetta anatomia meccanica, come tentativo di spiegare, in termini meccanici appunto, strutture, processi e funzioni interne al corpo umano. Considerarlo come una macchina, e comprenderne il funzionamento attraverso l’analogia meccanicista significherebbe tentare di spiegare anche gli stati patologici a partire da quell’analogia. Il corpo umano può funzionare come una macchina? Gli stati morbosi sono accostabili ai malfunzionamenti di una macchina? Per rispondere a questi quesiti, gli interventi raggruppati in questa sezione mettono in campo una riflessione più ampia intorno alla diffusione della cosiddetta iatromeccanica, una dottrina medica fondata nel XVII secolo che tenta di spiegare gli stati del corpo, normali e patologici, in termini meccanici, più precisamente secondo le leggi della fisica. Ogni organo del corpo umano viene dunque descritto come un meccanismo, un’ampolla, una pompa idraulica, una cinghia di distribuzione e così via, e ogni stato patologico interpretato come un “inceppo” degli ingranaggi. Questo quasi radicale riduzionismo viene più volte criticato e rielaborato nei secoli, fino a mostrare tutti i suoi limiti: la iatromeccanica ha indubbiamente un suo valore euristico, e l’analogia organismo‑macchina può essere utile a una prima comprensione del corpo umano, oltre che alla formulazione di più efficienti modelli medici; ma le malattie non possono essere ridotte semplicemente alla fisica, e sono talvolta molto più complesse di qualunque meccanismo.La seconda sezione si occupa del periodo che va dal XVIII al XXI secolo, e investe la nascita dell’Artificial Intelligence, e il problema dell’autonomia. Più nello specifico, vengono prese in esame le modalità di ricerca in campo cognitivo aperte dalle simulazioni al computer, o meglio, da quel continuo processo di reverse engineeiring che, nel tentativo di costruire e programmare macchine in grado, ad esempio, di pensare come un cervello, o di svolgere funzioni analoghe a quelle di un organismo, porterebbe a una più profonda comprensione dei processi cognitivi in generale. Dagli automi veri e propri, incredibilmente popolari per la loro stranezza durante il XVIII secolo, alle prime macchine autonome programmabili, come la famosa “macchina analitica” di Babbage o i telai automatici del XIX secolo, fino alle macchine di Turing e alla matematizzazione del “pensiero simulato”, e alla cibernetica di Wiener nel XX secolo, l’automazione e la simulazione “artificiale” degli organismi diventa un campo fertile in diversi ambiti del sapere. In questo senso, la rilevanza dell’analogia organismo-macchina prende una direzione inversa rispetto al passato: abbandonata (anche se non del tutto) la pretesa meccanicista di spiegare il funzionamento organico attraverso un parallelismo, forse troppo stretto, con le macchine, si prova ora a capire l’organismo (di cui quello umano rappresenta solo un esempio) cercando di replicarne “artificialmente” le peculiarità. In altre parole, alla domanda “un essere umano funziona come una macchina?” si accosterebbe e sostituirebbe una nuova domanda: “è possibile costruire una macchina che si comporti/pensi/agisca come un essere umano?”. È possibile, dunque, costruire dei modelli matematici in grado di replicare, e spiegare nel processo, il funzionamento dell’attività mentale (umana)? O ancora: è possibile costruire un sostituto “artificiale” del cervello? L’uso delle simulazioni artificiali nell’ambito delle scienze cognitive è fondamentale quanto problematico, e solleva di per sé questioni metodologiche ed epistemologiche di non poco conto. La possibilità che macchine e cervelli siano considerati equivalenti, quanto meno da un punto di vista funzionale, e il fatto che “l’organismo artificiale” e quello “biologico” (la macchina e il corpo) sembrino avere strutture funzionali simili, ha portato, in tempi recenti, alla formulazione del cosiddetto metodo sintetico. Grazie a tale metodo, tipico delle scienze cognitive contemporanee, i modelli computerizzati che simulano l’attività del cervello non sarebbero meramente votati a replicarne le funzioni cognitive, ma sarebbero adatti a testare la validità delle teorie cognitive formulate sul cervello.La terza sezione riguarda la contemporaneità, e le varie modalità interpretative che cercano di descrivere la complessa interazione tra umani e macchine. Le sfide del presente, messe in moto dall’overflow delle tecnologie intelligenti nella vita di tutti i giorni, necessitano di nuovi modelli interpretativi in grado di adattarsi meglio alle nuove possibilità aperte dai sempre più evoluti dispositivi artificiali a disposizione. Nel nostro presente iper‑tecnologico è necessario ripensare quali siano effettivamente i confini del corpo, e se e in quali modi le macchine possano effettivamente estendere le potenzialità performative, mentali, affettive e culturali del corpo umano. Se infatti il corpo è interpretabile come un’estensione della mente, allora le macchine diventano interpretabili come vere e proprie estensioni materiali del corpo. In questo senso, la simbiosi umano-macchina si sviluppa come un avvicinamento, un’identificazione tra i due termini, non più percepiti in opposizione ma in cooperazione. In tale contesto perciò, l’analogia organismo-macchina diventa più letterale, senza proiettare necessariamente paradigmi meccanici sull’organico, ma neppure ridurre il medium tecnologico a una mera appendice di cui è possibile fare a meno. Da un punto di vista cognitivo, è innegabile, ad esempio, che nel XXI secolo gli esseri umani stiano acquisendo grazie alle macchine delle modalità di apprendimento completamente nuove rispetto ai secoli precedenti; è anche vero però che, grazie alle recenti ricerche nel campo della robotica, anche le macchine stiano iniziando a mostrare capacità di adattamento, apprendimento e interazione con l’ambiente che si accrescono a una velocità impensabile solo un secolo fa. Tali nuove configurazioni del rapporto tra umani e macchine complicano ulteriormente lo status di entrambi: l’umano dell’epoca 2.0 non è oramai soltanto umano, e le macchine del XXI secolo non sono più gli automi del secolo dei Lumi. In questo quadro, i due elementi si avvicinano sempre di più, ricombinandosi persino in una sorta di nuovo organismo, non interamente biologico né interamente artificiale.Gli spunti contenuti in Wired Bodies rappresentano certamente un punto di partenza per una più ampia riflessione sul modo in cui pensiamo alle macchine. L’analogia con gli organismi, con la sua lunga storia e le sue evoluzioni nei secoli, resta un punto cardine nella storia del pensiero scientifico e filosofico, con il quale è necessario confrontarsi al fine di comprendere i processi di tecno-ibridazione che caratterizzano il mondo contemporaneo.
Serena Palumbo
S&F_n. 18_2017